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Autore: Lice_n_Catz    18/07/2014    2 recensioni
Due donne, investite dal vento della rivoluzione francese, si ritrovano improvvisamente private di qualcosa di molto importante nelle loro vite. Sono molto diverse, nemiche senza neanche conoscersi...ma sono anche molto vicine, senza sapere di esserlo.
La guerra non lascia vincitori né vinti, solo vittime, perché anche i carnefici sono uomini.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Rivoluzione francese/Terrore
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NÉ VINCITORI NÉ VINTI
Anna non aveva mai visto la sua padrona così silenziosa e forse era proprio questo a fare intendere quanto grande fosse il dolore che in cuor suo doveva covare. Correva l'Anno Domini 1789 e come paventato stava succedendo il finimondo. 
Donata Isabella sedeva nel suo soggiorno, senza muovere un ciglio, sull'orlo della poltrona. Era così tesa che il silenzio della sala era assordante, torturava con le dita nervose le cuciture del bracciolo della poltrona, come per volerle distruggere. Ma non era forse la stessa cosa che era successa a lei? La sera precedente una delle cuciture portanti della sua vita era venuta a mancare e ora si sentiva a brandelli come un vestito stracciato. Non c'era motivo nemmeno di piangere. Versare lacrime avrebbe forse riportato indietro il suo Horace? No.
Piangere avrebbe forse fatto giustizia sulla sua morte? Nemmeno.

Le sembrava che fossero passati mesi, quando in realtà erano state poche ore, da quando aveva visto tornare uno dei sottoposti di suo marito, con una medaglia, segno inequivocabile che Horace non avrebbe potuto più portarne. Sul momento non aveva potuto fare altro che disperarsi e chiedere come era morto suo marito, ma in seguito, quando la delegazione dell'esercito era uscita e lei era rimasta sola con la servitù, aveva sentito le forze abbandonarla ed era svenuta nel bel mezzo del corridoio.
Per questo aveva passato l'intera mattinata a letto e aveva trascorso il tempo a pensare a tutto il tempo che aveva condiviso con lui. Era stata promessa a lui, figlio di generali dell'esercito regio, quando aveva solo 11 anni, poi l'aveva sposato a 19. Horace era sempre stato un bravo marito, spesso troppo rigido e rinchiuso nelle sue regole di francese d'alto rango, ma le aveva sempre permesso di vivere come la rendeva più felice, l'aveva anche riportata in Sicilia a rivedere il suo paese natale...cosa poteva fare ora senza di lui? 
I venti della rivoluzione erano parsi così lontani fino a quando non l'avevano colpito in pieno petto, con l'asta di ferro di una bandiera. Gli avevano sfondato la cassa toracica e l'avevano lasciato morente in mezzo alla strada, tra le barricate e il clamore generale. Horace non era mai stato un uomo violento o un militare che amasse abusare del potere, erano stati loro...LORO! Quei popolani ciechi a quante sofferenze causavano e avrebbero causato continuando con gli scontri. 
Quante vedove ancora avrebbero dovuto gravare sul cuore della Francia? 
A quale libertà si appellavano? Con quale diritto?!
Non poté trattenere oltre un doloroso sospiro, minimo segno della tempesta che le straziava il cuore. Anna si avvicinò timida, insicura sul da farsi, serviva da poco in quella casa e non sapeva cosa avrebbe potuto giovane alla padrona, sempre autoritaria ma solare, in un momento così difficile.
"Cosa succede, Anna?" Chiese lei con la voce che tratteneva a stento le lacrime, continuando a torturare la povera poltrona in raso. La serva abbassò la testa in un saluto contenuto e si mantenne alla debita distanza.
"Madame, sono desolata per quello che è successo."
"Cosa vuoi saperne tu, sei giovane Anna!"
"Anche mia madre rimase vedova alla vostra età."
"Lei aveva dei figli su cui fare appoggio. Io non ho nessuno."
"Non disperate così, madame! So che siete una donna forte, con l'aiuto di Nostro Signore supererete ogni cosa, anche il grandi dolore."
Donata tornò a rivolgere lo sguardo nelle lontane distanze del ricordo del marito, ignorando la presenza di Anna.
"Sai, Anna, mi sto chiedendo perché siano stati così crudeli da uccidere un uomo che non aveva fatto nulla di male."
"Nel clamore e nella confusione non avranno voluto ucciderlo davvero."
"Hai troppa fiducia nel popolo. È solo una massa informe che urla pane."
Anna rimase piuttosto colpita dalle dure parole della sua padrona, la quale pareva aver proprio dimenticato che anche lei stessa proveniva dal suddetto popolo, ma poteva capire che ciò che aveva detto non veniva dal cuore, ma dalla disperazione.
"Volete vendetta?"
"No...- le cedette la voce - rivoglio indietro il mio Horace... Vattene via, Anna, lasciami sola."
La serva abbandonò la sala in silenzio, con un inchino di congedo, addolorata. Povera madame, così ferito era il suo cuore, da parlare senza nemmeno pensare...
Le donne del popolo non avrebbero mai capito il suo patimento! I loro uomini tornavano a casa con  le giacche e le medaglie rubate ai militari regi.
I loro mariti tornavano e trovavano mogli e bambini sorridenti ad aspettarli.
Trovavano pane caldo e zuppa.
Il suo non poteva più tornare, portato via dal quegli stessi uomini!

***

 Dall'altro lato della città, seduta su una sedia di legno, accerchiata da tre bambini cenciosi e magri, un'altra donna piangeva. Jaques non era tornato, era fuori da tutto il giorno prima e non si è fa nemmeno fatto vivo di notte. I bambini piangevano, un po' per la fame, un po' per l'ansia: dov'era papà? Quando tornava? 
Garànce non sapeva più cosa rispondere loro. Li distraeva con favole, con canzoncine, con una mezza cipolla...ma il più grande  tacito più di tutti, aveva capito.
Quando muore tuo marito te lo senti in cuore diceva sempre nonna Colette, ma solo ora capiva davvero cosa voleva dire. I tumulti della rivoluzione avevano piano portato loro via il mobilio, poi il cibo, da dar ai soldati e infine forse si erano presi Jaques. Prese il più piccolo dei figli tra le braccia, stupendosi di quanto fossero magre le sue braccine. Non era un dottore, ma era una mamma, mestiere più specializzato per capire che a suo figlio mancava il cibo. Se lo strinse al seno. Almeno aveva loro...
Ma cosa aveva mai fatto Jaques di male ai soldati! Combatteva per la libertà! Per avere il pane per crescere i suoi figli, cosa che non era mai riuscito a fare lavorando come un orso, senza mai rifiutare i compiti più pesanti. Tre settimane prima era tornato con i suoi due fratelli più giovani e aveva annunciato alla famiglia che si sarebbe unito alla rivolta per guadagnare ciò che gli era dovuto. Grazie a quella piccola guerra cittadina, avrebbero tutti avuto più pane, avrebbero tolto i nobili da quel piedistallo da cui rubavano tutti frutti degli alberi. NOBILI! Ciechi a quanta sofferenza subiva il popolo sotto i loro stivali lucidati! Sordi alle urla del popolo...loro è quel re impomatato che non vedeva che non poteva continuare così. I suoi figli non avrebbero mai patito la fame se tutti soldi non fossero solo nelle tasche già piene dei nobili.
I loro mariti non morivano sotto i colpi di fucile.
I loro mariti tornavano a casa pieni di medaglie.
I loro mariti trovavano la cena pronta e calda, servita da donne col grembiule bianco.
Jaques non sarebbe più tornato, ma nel caso avesse potuto, non avrebbe trovato né cibo né bianchi grembiuli. Si lasciò andare a un sospiro doloroso ma subito dovette trattenerlo.
"Cosa succede, mamma?" Biascicò il piccolo Joseph.
"Niente, piccolino, la mamma è solo molto stanca."
"Se vuoi stiamo io e Charle ad aspettare papà."
Non riuscì a sorride al buon cuore del suo piccolo bambino, così somigliante a Jaques negli occhi bruni e nel naso piccino. Gli accarezzò la guancia ormai non più paffuta.
"No, fa nulla piccolino. La mamma aspetta papà fino a che non andate a letto anche voi."
"Ma non possiamo uscire noi a cercarlo? Può essere da zio Martin!"
"No...non dovete uscire. Ci sono fuori gli uomini cattivi."
Gli uomini cattivi che rubano il pane ai poveri e che si riempiono la bocca di belle parole. 
Il silenzio calò di nuovo nella stanza spoglia...se ci fosse stata ancora la cassapanca avrebbero potuto sedersi anche lì ma era stato uno dei primi mobili a sparire  portato via per fare le barricate. Almeno Max avrebbe potuto sedercisi sopra e non lo avrebbe visto seduto in disparte con lo sguardo torvo. Il suo più grande aveva capito, gli si leggeva negli occhi chiari il rancore verso i soldati regi che suo padre gli aveva insegnato a disprezzare. Ma lui non avrebbe seguito la sua stessa sorte, sarebbe riuscita a impedirglieli di andare a combattere assieme agli altri ragazzini di strada. In cuor suo aveva già deciso che se Jaques non fosse tornato entro la giornata, avrebbero sgomberato la casetta la più presto, fuggendo verso le campagne, dove stava l'anziana madre di suo marito. Ancora se la ricordava da quando aveva presenziato al loro matrimonio e a tutti i battesimi dei figli, ma ancora prima quando aveva accettato assieme al marito di farli sposare. Quando Jaques era ancora giovane, senza tutte le rughe dettate dalla preoccupazione, con le mani callose dal lavoro dei campi e non rovinate dalle macchine che gli avevano fatto usare poi a Parigi.
Ancora ricordava il suo sorriso quando le aveva detto che potevamo andare a vivere a Parigi e che li avrebbero vissuto meglio! Quante speranze erano finite nel sangue.

***

Quando potrò riavere mio marito? Quando tornerà da me con il vestito buono e ce ne andremo da questo inferno? Ma la guerra non vede né poveri né ricchi, la guerra uccide. La guerra é cieca e non aveva guardato in faccia nessuno.
L'attesa angosciata non avrebbe trovato sollievo.
Lo sguardo non avrebbe più incrociato l'amato.
Se solo non fosse stato per LORO, io avrei ancora un marito e la mia vita non sarebbe vuota come un sacco, inutile. Anche se vinceremo, io sarò la sconfitta...queste guerre fratricide non hanno alcun vincitore.
Siamo tutti vinti. 
   
 
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