Storie originali > Soprannaturale
Ricorda la storia  |      
Autore: passiflora    20/07/2014    8 recensioni
Un ragazzo al primo anno di università compra, per uno dei suoi corsi, un libro usato.
-Io lo brucerei, se fossi in te-, gli suggerisce un compagno di classe, ma lui non da peso alle sue parole...
Genere: Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

A quell’epoca ero solo uno studentello al primo anno di università, facoltà di filosofia. Dopo ho cambiato strada, ma questa è un’altra storia. Comunque sia, all’epoca la mia famiglia non navigava nell’oro e quindi i miei libri di testo erano tutti belli che usati, dalla terza mano in su.

Un giorno mi capitò per le mani un vecchio volume che quasi perdeva le pagine. Gli argomenti mi sembravano così semplici da risultare sciocchi. Ora capisco che ero io a sentirmi bravo ed intriso di sapienza dalla testa ai piedi. Il testo ci sarebbe servito durante l’intero anno e io lo portai con me alle prime lezioni.

Fu dopo una settimana circa che mi misi a sfogliare il libro, ignorando spudoratamente le pedanti spiegazioni del professore su un argomento che ritenevo di conoscere quanto e forse più di lui.

Scoprii presto che il libro era zeppo di appunti a bordo pagina, fitti fitti, fatti a matita e quasi illeggibili per via dell’usura delle pagine, non perché la grafia fosse disordinata -anzi, tutt’altro. Era la grafia più precisa che avessi mai incontrato-. Le pagine erano piene di sottolineature e frasi evidenziate in giallo,verde, arancio e azzurro -il fatto che mancasse il rosa mi suggerì che il proprietario dovesse essere stato un ragazzo-. Inoltre, tutto il testo era accuratamente diviso in paragrafi a cui il mio predecessore aveva dato un nome al fianco del quale aveva diligentemente scritto un riassunto di quanto aveva letto. Peccato che i riassunti fossero per l’appunto sbiaditi e semi illeggibili.

Comunque, pensai, quello che aveva venduto il libro doveva essere un gran secchione e ciò mi avrebbe reso la vita molto più facile. Praticamente il lavoro era già tutto fatto, dovevo solo leggere e memorizzare.

Mentre mi felicitavo con me stesso per il mio ottimo acquisto, una voce dietro di me sussurrò: –Ehi, posso vedere quel libro?-.

Feci spallucce e passai il libro al ragazzo che mi sedeva alle spalle, dopo di che passai qualche minuto a disegnare sul bordo della pagina.

Alle mie spalle sentivo commenti entusiastici intrisi di una vaga ammirazione e anche di un velato timore, ma non capivo a che si riferissero.

Quando la lezione finì il ragazzo mi restituì il libro con un sorriso amaro in volto e disse: –Sei stato proprio sfortunato. Se fossi in te lo brucerei, questo libro.-

Stavo per chiedergli spiegazioni riguardo a questo suo strano suggerimento quando scoprii che era tardissimo e che se non fossi corso come una lepre fino alla stazione non sarei riuscito a tornare a casa fino al giorno dopo. Sciopero dei treni: una piaga.

Fortunatamente ero abbastanza allenato e scattante, cosa che mi permise di arrivare in tempo per salire sull’ultimo treno utile. Ansimante e col cuore in gola mi sedetti in carrozza. Ci volle un po’, ma quando tornai in me rivolsi la mia attenzione al libro.

Chissà perché quel ragazzo ha detto quelle cose...pensai mentre sfogliavo le vecchie pagine.

Alcune di queste erano strappate ai lati e il volume era tutto gonfio per via dell’uso intenso.

Ogni pagina era stata riempita di scritte fino all’ultimo spazio bianco disponibile, la grafia sottile e molto ordinata verso la fine si faceva tutta piegata di lato e le lettere sembravano incise nel foglio da quanto lo scrivente aveva premuto la matita mentre scriveva. Qualche buco qui e là indicavano anche una certa disattenzione e un vago nervosismo.

Cercai il nome del proprietario, ma non era riportato da nessuna parte. Io il libro l’avevo comprato in un negozio di libri scolastici usati e dubitavo di poter usufruire del gestore per risalire alla provenienza del volume.

Siccome la strada per casa mia era lunga e non avevo nulla di meglio da fare, mi misi a leggere proprio quel libro, così mi sarei portato avanti un po’ con il lavoro.

Lessi velocemente cinque pagine senza capirci molto e quando mi accinsi ad iniziare la sesta qualcosa mi disse che forse avrei dovuto rileggere le cinque pagine precedenti prima di continuare.

Lo feci.

A quel punto la coscienza mi disse che potevo continuare con la sesta.

Arrivai a casa con dodici pagine in saccoccia e la cosa non finì lì.

Dopo cena mi trovavo disteso sul letto a fare niente. O meglio, pensavo. Pensavo molto io e per questo motivo avevo scelto filosofia. Ma questa è un’altra storia. O forse no. Comunque sia ad un tratto pensai che potevo sedimentare una volta per tutte nella mia mente quelle pagine lette il pomeriggio. Quindi mi misi alla scrivania ed estratto il libro iniziai a dividere le pagine in paragrafi. Ma le pagine erano già scritte da tutte le parti, quindi presi dei fogli e mi misi a trascrivere il nome del paragrafo e il suo riassunto. Terminato il lavoro mi dedicai alla decifrazione di tutte le scritte ai margini.

Dopo un lavoro certosino della durata di un paio d’ore mi fu finalmente chiaro che quelle non erano solo annotazioni prese a lezione, ma anche pensieri e riflessioni ispirate dalla lettura. Da quanto avevo letto, il precedente proprietario doveva essere un ragazzo davvero brillante. Mi chiesi se studiasse ancora. Avrei voluto conoscerlo, ma non sapevo come si chiamasse.

 

Provai a informarmi a riguardo, ma non giunsi a nessuna conclusione. Mi ero totalmente dimenticato del sorriso triste del mio compagno e del suo strano suggerimento di bruciare il libro. Se ci avessi pensato più attentamente, forse sarei andato a parlargli e non sarebbe mai successo nulla.

Comunque sia, nella rosa delle mie dimenticanze non rientrava lo studio.

Non ero mai stato un gran studioso. Alle superiori le cose mi erano sempre riuscite molto bene impegnandomi il minimo indispensabile -cosa che mi faceva sentire un piccolo genio, ma che scoprii riuscire anche a tanti altri, gente tutt’altro che geniale. Devo ammettere che questo mi avvilì parecchio-. Non avevo mai perso una notte sopra un libro e non avevo intenzione di iniziare all’università. Però qualcosa mi diceva che dovevo studiare, che era mio dovere, e che, visto che ero un ragazzo intelligente e brillante, studiando per bene e tenendomi al passo avrei surclassato tutti.

Studiavo tutti i pomeriggi e tutte le sere e se non studiavo la sera mi alzavo presto la mattina per “fare il mio dovere”.

E non mi limitavo certo allo studio del vecchio libro che incuriosiva i miei compagni, no: io avevo applicato quel metodo ispiratomi dal mio ordinatissimo, brillante, diligente Predecessore a qualsiasi cosa. Leggevo, rileggevo, rileggevo ancora, paragrafi, titoli, riassunti, rilettura, altra rilettura, riflessione...

I miei libri si riempivano all’inverosimile di scritte e i miei genitori si lamentavano perché in quello stato non sarei riuscito a rivenderli. Ma a me non importava niente. Io stavo assorbendo conoscenza. Io ero un essere illuminato, lo sentivo. Sentivo qualcosa che mi scorreva nelle vene, che mi diceva che quella era la strada giusta, che la mia mente si stava spingendo oltre i sacri confini della conoscenza, che continuando così per tutto l’anno e quelli a venire sarei diventato il più grande filosofo vivente prima ancora di laurearmi.

E mentre pensavo queste cose mi consumavo. Davvero, avevo iniziato a consumarmi. Avevo il viso scavato e due occhiaie pazzesche che incorniciavano occhi sempre più miopi. Durante il periodo degli esami smettevo praticamente di mangiare e dormire.

Però avevo preso trenta e lode dappertutto e i professori si complimentavano, si ricordavano il mio nome e mi coprivano di elogi davanti a tutti.

Il secondo semestre non andò meglio.

In tutto questo la mia vita sociale era praticamente svanita. Non sentivo né vedevo la mia ragazza da quattro mesi, non sapevo che fine avesse fatto e di lei non mi importava assolutamente nulla. Non ricordavo nemmeno di aver mai avuto degli amici. Sia ragazza che amici avevano provato a chiamarmi qualche volta, ma io non volevo che qualcuno mi disturbasse e mia madre non mi avvertiva nemmeno più delle loro telefonate. Coi miei genitori non parlavo mai, neanche a pranzo, e loro, che erano contenti dei miei risultati, mi lasciavano fare.

Verso la metà del secondo semestre presi ad essere meticoloso verso qualsiasi cosa. Un giorno, ad esempio, mi resi conto che la mia stanza era diventata un gran casino e decisi di pulirla. La pulii così bene che mia madre rimase a bocca aperta. Poi però mi accorsi che avevo perso delle ore per nulla e mi misi nuovamente sui libri, deciso a raddoppiare l’impegno per recuperare il tempo perso.

Studiavo anche più del dovuto. Se il professore consigliava libri aggiuntivi io me li procuravo e li leggevo tutti, li riassumevo, li meditavo, comparavo, obiettavo.

L’ho detto no? Mi sentivo mentalmente onnipotente, per quanto il mio fisico si stesse consumando e avessi dei dolori lancinanti alla schiena e i miei occhi non avessero più l’ottimo focus di prima.

Eppure la mia testa diceva che era giusto, che andava tutto bene, che il mondo poteva andarsene al diavolo, che io ero un asceta illuminato e se loro resistevano per anni nella posizione del loto mangiando solo cortecce d’albero e acqua piovana, beh, perché non potevo farlo io?

Quel brivido di sapere mi dava alla testa.

A lezione ero sempre quello che faceva più domande e ritenevo quelle degli altri -di tutti gli altri, professori compresi- incredibilmente sciocche, senza senso e immancabilmente distanti dal punto della questione. Le lezioni dei professori erano lacunose e annoiate e io trovavo sempre qualcosa da criticare. Con qualcuno di loro mi fermavo a discutere anche dopo le lezioni solo per averla sempre vinta io. E la cosa mi dava una carica inimmaginabile. Praticamente vivevo di quella scarica di compiaciuto piacere della vittoria. Non parlavo con nessuno se non per disquisire a proposito di questo o quell’argomento trattato a lezione. Non partecipavo a nessuna attività e nessun corso che non considerassi altamente istruttivi e formativi e se poi la cosa mi deludeva me ne andavo dicendo la mia e lasciando tutti a bocca asciutta. Comunque lasciare le persone a bocca asciutta, aperta, o piena di una sensazione amara era diventata una pratica abituale: non trovavo un solo interlocutore alla mia altezza e lo lasciavo trasparire con fin troppa chiarezza. Di conseguenza, tutti mi odiavano.

Il peggio giunse durante gli esami estivi.

Ne avevo ben sei, uno a poca distanza dall’altro e la cosa riusciva ad intimidirmi anche se avevo studiato più di tutti i miei compagni messi assieme e sicuramente ero il più brillante e preparato.

Una persona qualsiasi non si sarebbe nemmeno degnata di rimettersi a studiare e avrebbe semplicemente optato per un tranquillo ripasso. Ma io no. Io rilessi tutto d’accapo. Trangugiavo libri e aria.

Passai cinque esami su sei coi soliti trenta e lode .

Il sesto ed ultimo era l’esame comprensivo della materia trattata nel libro misterioso. Studiai avidamente le ultime pagine di quella che era diventata la mia bibbia. Però le riflessioni del mio Predecessore si facevano sempre più azzardate e vagamente senza senso, o quantomeno senza logica.

Alla fine dell’ultimissima pagina c’era una data: 1 luglio. La data in cui avrei dato l’ultimo esame.

Quel giorno mi diresse all’università reggendomi a stento sulle mie gambe oramai scheletriche e abituate alla posizione seduta in cui mi costringevo per la maggior parte del giorno e della notte.

Svolsi l’esame in preda ad un terribile mal di pancia, sudando come un ladro in chiesa e tremando come una foglia. Quando uscii dall’aula fui preso da una rapida serie di tremori, brividi gelidi e capogiri. Persi i sensi e caddi a terra.

Mi svegliai in ospedale dopo tre giorni di sonno ininterrotto, intubato, fasciato, circondato di macchinari. Mi sentivo tutto scosso e intorpidito. I miei genitori parlavano col dottore e non mi videro aprire gli occhi, così feci finta di niente e ascoltai la loro conversazione.

-Mi sembra di rivivere la stessa situazione!-, si lamentava il dottore.

-Quale situazione?-, domandò mia madre.

-Ma come? Non lo avete letto mai sui giornali?-

-Non saprei...- mormorò mia madre, donna ritrosa che i giornali non li leggeva affatto.

Il dottore sospirò. –Un anno fa un ragazzo della stessa facoltà di vostro figlio ha accusato gli stessi disturbi. Da quanto venni a sapere era un ragazzo intelligentissimo ed incredibilmente perfezionista. Studiava come un matto e si consumava sui libri proprio come il vostro ragazzo, qui. Voleva essere il migliore, avere sempre voti altissimi, e passava ore chino a studiare e studiare e studiare- spiegò in tono grave, poi continuò. -Ma lui è stato più sfortunato. Ha fatto un colpo una notte, mentre studiava. L’hanno trovato accasciato sul libro e non ha mai dato l’ultimo esame. I genitori, come voi, erano accecati dalla gloria di cui il successo del figlio li ricopriva. Quindi se ne fregavano se il loro “bimbo” mangiava, usciva, dormiva oppure no. Dissero che non aveva mai avuto molti amici e aveva sempre studiato molto... Lasciatemelo dire signori, due stronzi idioti, e voi siete stati uguali a loro-.

 

Passai l’estate in “riabilitazione”, ovvero ozio totale in senso fisico, mentale e spirituale. Riuscii anche a far pace con amici e ragazza, che adesso è mia moglie. Ma questa è un’altra storia.

Io cambiai facoltà e partii avvantaggiato perché parecchi degli esami che avevo già superato valevano anche per questa.

Il libro l’ho bruciato.

Non so se fosse solo suggestione, ma quando lo feci mi sentii sollevato doppiamente sollevato: per me e per quel ragazzo morto mentre studiava. Non mi fu mai dato di sapere sopra quale libro si fosse accasciato, ma un’idea ce l’avevo...

 

   
 
Leggi le 8 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale / Vai alla pagina dell'autore: passiflora