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Autore: Hipatya    04/09/2008    6 recensioni
Scivola,
scivola vai via
non te ne andare!
(...)
Scivola,
scivola vai via
via da me!
Dove non cresceva più niente, neppure più la paura, c'era spazio perchè lei, Sakura, potesse diventare qualcosa. O almeno provarci.
[SasuSaku]
~ Sesta Classificata al "Contest a tema floreale indetto da SweetAudy ~
Genere: Romantico, Triste, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ino Yamanaka, Naruto Uzumaki, Sakura Haruno, Sasuke Uchiha, Tsunade
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Disclaimer: I personaggi citati appartengono a Masashi Kishimoto, che ovviamente si prende tutti i diritti del loro uso

Disclaimer: I personaggi citati appartengono a Masashi Kishimoto, che ovviamente si prende tutti i diritti del loro uso. La strofa della canzone riportata come intermezzo tra i paragrafi è Scivola Via di Vinicio Capossela. Inutile dire che i diritti per cotanto capolavoro sono tutti suoi.

 

 

 

 

 

Carnation

 

"Tutte le storie sono storie d'amore."

Eureka Street, Robert McLiam Wilson

 

 

Canzoni e poesie
pugnali e parole

 

 

Il rumore dei macchinari in funzione era monotono, bip bip bip, e sempre uguale: puntuale la goccia d'anestetico scivolava lungo il tubicino di gomma per terminare la sua corsa laggiù, nella punta dell'ago, e quindi dentro la vena bluastra che solcava l'incavo del braccio destro, quella piccola ansa di carne scavata tra gomito e avambraccio.
Un'ininterrotta serie di gelidi, monocorde 'bip' impersonali.
Aveva provato molte volte a tenerne il conto, ma si distraeva e finiva per perderlo non appena la voce di Naruto si faceva spazio in quel silenzio asfittico col suo tono vivace e vibrante, riempiendo ogni cosa, come le onde.
"Bastardo" sibilava sommesso, "bastardo", incapace di articolare qualunque altra parola che non fosse quell'iroso epiteto masticato fra i denti. Ci provava a cominciare un discorso, ad aggiungere qualcosa, ma ogni volta le parole si sfogliavano sulle labbra come fiori, e non rimaneva più niente.
"Bastardo" ripetè ancora piano, quasi fosse un mantra. Quanto suonava sbagliato, pensò lei, quell'insulto detto con quella voce, una voce fatta per ridere, cantare e scherzare, non certo per i giorni tristi e per le maledizioni.
Sakura si alzò in piedi, s'avvicinò alla lastra di vetro scintillante della finestra e si smarrì nella luce dorata del pomeriggio, nei giochi del sole tra le fronde scure degli alberi e nei visi delle persone che di tanto in tanto attraversavano la stradina -ma loro non alzavano mai gli occhi verso di lei, neppure per sbaglio.
Poteva quasi annusarlo nell'aria, se chiudeva gli occhi: un profumo sapido, arrogante, pelle bruciata e fiori in boccio, legno secco e polline giallo miele.
Non aveva bisogno di spalancare le imposte e tuffare il naso nella scia del vento per bere lunghe, dissetanti sorsate di quell'aroma. Era già lì, era ovunque, anche in quella stanza sterilizzata e priva di un odore che non fosse l'acidulo e artificiale olezzo dei medicinali.
"...Bastardo" non cessava di mormorare Naruto; 'bip', replicava vuotamente il mostro elettronico.

A ogni bip uno spillo le affondava nel petto tutto intero fino alla capocchia, e poi un altro, e un altro, e un altro, senza poterli più contare.
Sakura aprì gli occhi: fuori non era cambiato nulla. Dentro neppure.
Bip, ingiunse la macchina, imperiosa.
Era come se la vita, o qualunque cosa si potesse definire tale, fosse rimasta fuori dalla finestra e si tenesse ostinatamente alla larga da quella stanza d'ospedale.

 

 

 

"E' qui! E' qui!" Le grida concitate di Ino Yamanaka si sovrapponevano ai latrati di Akamaru, agli ordini secchi di Shikamaru e al tramestio caotico di mille passi di corsa soffocati nella polvere.
Sakura non capiva niente: davanti agli occhi le esplodevano piogge di stelline luminescenti, mentre nelle orecchie riecheggiava il boato di una bomba appena esplosa. Sentiva il cervello pulsare orribilmente e dibattersi come per sfondare le pareti ossee della scatola cranica, mentre i suoi muscoli irrigiditi non rispondevano più ai giusti comandi, s'intralciavano l'uno con l'altro, formicolavano come quando s'era ubriacata per la prima volta.
Ino l'aveva strattonata per un braccio e Sakura, inerte e legnosa come un burattino, era scivolata nel terreno umido di pioggia, ma quasi non se n'era accorta. Non capiva infatti come fosse riuscita a rimettersi in piedi e a correre in avanti, il viso dell'amica a pochi centimetri dal suo e il pericolo che rosseggiava nella sua espressione allarmata.
Ino parlava a raffica, mangiandosi le parole, e in fretta la informava che non c'erano trappole nei dintorni, che tutto era tranquillo, che non c'erano nemici nelle vicinanze e se n'era accorto il cane perchè dalla sera prima era nervoso e uggiolava di continuo e Kiba pensava fosse per il temporale ma -
Sakura non aveva avuto bisogno di provare a dissiparla per capire che quella non era, sfortunatamente, un'illusione.
Gli occhi di Ino erano fin troppo eloquenti, così come l'irrefrenabile conato sordo di Choji che, a carponi, vuotava lo stomaco nel fondo di un cespuglio.
Appena la vide, Naruto le si precipitò addosso scaricandole contro un'altra ventata di parole insostenibili, che l'attraversarono senza scalfirla.
"Sakura-chan, Sakura-chan guarda me."
Inutile, lo sguardo di Sakura correva  verso il centro del viottolo, poco lontano dal punto in cui qualche anno prima -quattro anni, quarantotto mesi e millequattrocentosessanta giorni- aveva ricevuto la parola più bella che le avessero mai detto, il suo fugace, effimero quarto d'ora di gloria subito svanita.
La cosa giaceva lì, buttata all'angolo della strada come un sacco di spazzatura, ed era priva di vita, senza più forza né un barlume d'interesse, quasi fosse un contenitore vuoto, un binario morto, un rudere che la terra inghiottiva a poco a poco: una cosa senza importanza, da dimenticare.
Sakura s'era sentita scivolare via,  la testa leggerissima che si staccava dal collo come accadeva alle rokurokubi* e rotolava lontano, dove il mondo non esisteva più.
Si sentiva come se i fili che tenevano imbrigliato il suo corpo si fossero sciolti d'un colpo, tutti quanti.
Perciò aveva barcollato, come un bravo medico non dovrebbe mai fare.
La cosa era avvolta in un mantello nero, ma le nuvole rosse ricamate sulla sua superficie erano sorrisi osceni che negavano qualunque lume di pietà, irriverenti quanto uno sputo in faccia, e la cosa, sotto quelle nubi rosso sangue, sembrava aver perso fattezze umane, sembrava un manichino, un mucchietto di sterpi secchi mangiati dall'estate.
La frase Me l'hanno ammazzato si scrisse nitida nella sua mente per infinite volte, nel momento in cui vide con chiarezza la propria mano sollevare il drappo dell'Akatsuki e rivelare il corpo della cosa.
L'urgenza del vomito le si rovesciò in bocca, ma vinse la disciplina che l'obbligò a mettere in pratica scrupolosamente il protocollo medico standard per ferite gravi. 
Sentiva lo sguardo di Naruto come una freccia puntata alla nuca, una freccia pronta ad essere scoccata.
Ino le si accovacciò di fianco e prese ad aiutarla ad impastare il chakra, una lettiga sorretta da Rock Lee e Shino era già pronta a caricare la cosa e in meno di un minuto la strada fu vuota, mentre una ridda di voci ansiose svaniva verso l'ospedale del villaggio.
E' vivo è vivo è vivo, ripetevano attutite le grida.
Ecco, pensò, ora arriva. 
Si piegò in due tenendosi lo stomaco impazzito, mentre fra i singhiozzi e le bestemmie che non aveva mai detto vomitava:"E' vivo, è vivo, è vivo!"
(E non sapeva quale, ma una parte di lei era persuasa che fosse una condanna.) 

Si rimise in piedi rifiutando l'aiuto di Naruto, sputò per terra, si pulì le labbra violacee con un fazzoletto e tossì un paio di volte, finchè riacquistò la necessaria lucidità per rassicurare il compagno di Squadra:"E' passato, ecco, è già passato. Sto bene, davvero, va tutto bene, va tutto bene" mormorò con un filo di voce. Provò anche a sorridere.
Farfugliava stordito, Naruto:"...Hai visto i suoi occhi, tu..."
Lo stomaco di Sakura si ribellò un'altra volta:  metterlo a tacere le costò un'enorme dispendio di energia.
Il tono insicuro con cui disse "Andiamo, Naruto" rese noto a entrambi che non c'era niente, proprio niente che stesse andando per il verso giusto, ma nessuno dei due trovò qualcosa di sensato con cui replicare.
Scattarono via senza altre parole, la testa già all'ospedale e la gambe che per i loro gusti andavano decisamente troppo lente.
Più veloce! Più veloce! Più veloce! Pompava forsennato il cuore di Sakura, la mente come un treno che a rotta di collo si slanciava verso giorni e giorni futuri. Cosa c'è da piangere ora, deficiente, si odiò mentre con rabbia soffocava nel dorso della mano una lacrima che le tremolava sulle ciglia.
Un'istante dopo la strada che portava ai Cancelli di Konoha era di nuovo vuota, livida e irreale in quell'alba azzurrina.
Nessuno si accorse di quei fiori che, cocciuti e impavidi, resistevano a testa alta nonostante si fossero piegati sotto il peso del corpo di Sasuke Uchiha, quegli stupidi fiori rossi, prepotenti e attaccati alla vita, che avevano appestato l'aria del loro profumo pesante e quasi carnale di carboni ardenti che bruciavano, bruciavano e basta. 
 

 

 

Due bambini di dieci, quasi undici anni, un ponte rosso alle loro spalle e una tiepida, rosata giornata primaverile.
La ragazzina portava un mazzo di fiori tra le braccia, fiori rossi sgargianti come lingue di fuoco vivo, fiori di un colore troppo sanguigno per lei, che ha occhi grandi come la luna e pelle chiara, mai esposta alle carezze roventi del sole, e troppo vivaci anche per lui che, curvo sulle spalle, la testa incassata nel petto, lo sguardo sfuggente e i capelli scuri, sembra un corvo pronto a volare via.
Il sole svettava sopra le loro teste, assieme a un cielo azzurro, palpitante come il mare.
"Sasuke-kun, questi sono per te."
"Sono garofani, garofani rossi."
"Te li ho portati perchè ti sei diplomato Genin e, ecco, volevo farti un regalo."
"Spero che ti piacciano."
Il bambino chiamato Sasuke-kun aveva fissato l'amica dritta negli occhi, ed era stato un po' come quando il mondo si blocca all'improvviso su quell'istante, quello che cambia tutta una vita.
Non c'era nulla in quello sguardo, proprio nulla. Un nero senza fine, l'assenza di ogni pensiero o emozione, un vuoto sterminato come se quegli occhi fossero ciechi da molto, moltissimo tempo, disabituati all'effetto della luce sugli oggetti.
"Non capisci proprio" si era lasciato sfuggire il bambino, gelido.
La ragazzina non aveva percepito la freddezza, la scortesia, il rifiuto in quella laconica sentenza: quel semplice nulla che le stava di fronte così, nel viso splendido un undicenne che sembrava invecchiato di secoli, la intenerì anzichè spaventarla a morte.
Dove non cresceva più niente, neppure più la paura, c'era spazio perchè lei, Sakura, potesse diventare qualcosa. O almeno provarci.
Non diede un nome alla semplicità disarmante delle onde marine che, ritmiche, sciabordavano nella sua testa: era come la tessera di un mosaico che andava ad aderire perfettamente alla superficie dell'altra, era come fare due più due. Che, sapeva bene, qualche volta poteva fare anche cinque.
Era sicura che nessuna, proprio nessuna delle altre bambine avesse mai visto cosa c'era al di là degli occhi di Sasuke-kun. Nessuna poteva conoscere quello specchio vuoto che lei aveva intravisto di sfuggita, quella terribile immensità priva di luce e di forme, come se qualcosa fosse passato di lì e avesse distrutto tutto pezzo per pezzo, meticolosamente, per poi lasciarsi alle spalle una spianata più desolante delle sterili terre lunari.
Nessuna poteva saperlo, nessuna. Soltanto lei.
Contro ogni aspettativa, Sakura sorrise lusingata a questo pensiero, e inghiottì le lacrime mentre i fiori rossi volavano leggeri oltre la balaustra di legno inciso.
"Eh?! Ma perchè l'hai fatto, Sakura, tu..."
"Non importa, Sasuke-kun, non importa" sorrise ancora, serafica:"Va bene lo stesso, anche se non ti piacciono. Va bene così. Erano soltanto un pretesto" ammise, d'un tratto goffa e rossa in viso, visibilmente imbarazzata.
"Un pretesto?"
"Sì, insomma, una scusa. Quando non sanno parlare, le persone si affidano alle cose. Sono loro a parlare al posto nostro."
Il ragazzino non aveva trovato nulla con cui rispondere; osservava le ombre scure dei rami allungarsi sull'acqua e taceva, lontano mille miglia nella sua impenetrabile corazza di silenzio. Le sembrava che quella lì parlasse un'altra lingua e che s'ostinasse stupidamente a volerla insegnare anche a lui. Bah, tutto fiato sprecato. Inutile.
Si sentiva a disagio, perciò non volle neppure guardarla, nervoso come se indossasse una maglietta troppo stretta:"Sei una strana, tu" replicò.
Gli sfuggì però una voce acuta, fin troppo diversa dal suo solito tono piatto, una voce dubbiosa, che mostrava un barlume di vita in quella terra desolata.
Sakura scosse debolmente la testa, si rimangiò le lacrime e ancora sorrise, felice per niente. Preferì il silenzio, nascose la delusione, poichè non era così che aveva immaginato il suo primo "appuntamento" con Sasuke-kun, quel Sasuke-kun, il sogno di tutte le ragazzine di Konoha, Sasuke-kun il migliore, che da una manciata di giorni poteva chiamare compagno di Squadra. Sasuke-kun vuoto.
Si avvicinò al parapetto del ponte e poggiò la testa sulle mani, gli occhi fissi sul mormorio allegro delle acque del fiume.
Non sapeva nemmeno più se Sasuke-kun fosse ancora lì, se se ne fosse andato via o meno, ma lo disse comunque, forte e chiaro, così da non lasciare il minimo dubbio:"Sono felice che siamo in Squadra insieme."
Il viso addolcito in un mezzo sorriso, che anni avanti sarebbe diventato la sua caratteristica, Sakura continuò a sorridere, a dispetto di ogni logica, osservando i garofani rossi che si allontavano piano, indifferenti, scivolando sulla superficie cristallina del fiume.

 

Un anno dopo se n'era andato.
Anzi, non era neanche un anno preciso, erano appena dieci mesi.
Decisamente i migliori della sua vita.


i tuoi ricordi
sono vecchi ormai

 

 

 

Tsunade non l'aveva guardata in viso, ma aveva continuato a leggere la pagina della pratica che aveva sotto gli occhi, il mento inclinato verso il basso, lo sguardo fermo sulla stessa riga di testo dattiloscritto che stava osservando da ore.
Sakura aveva atteso senza parlare né accennare un qualunque movimento, e in un fremito aveva sentito di detestare il silenzio della sua Maestra e la sua incapacità di relazionarsi col dolore dell'anima, una volta curato quello del corpo. Cosa serviva saper spaccare le ossa e rimetterle a posto, se poi non si sapeva parlare, lei non riusciva a capirlo. Strinse gli occhi, irritata, e inspirò una boccata d'aria rovente, le corde vocali che già vibravano modulando la prima parola.
A quel punto Tsunade aveva alzato lo sguardo, per poi riabbassarlo subito sui suoi documenti:"Lo sai già" le aveva concesso, la voce amara come la caffeina, "è inutile che te lo ripeta anch'io. Non me lo far dire, per favore."
Allora la parola Irreversibile le si era stampata indelebile davanti agli occhi, e il respiro le era mancato.
Un passo dopo l'altro aveva indietreggiato verso la porta dello studio ed era uscita, quasi senza far rumore.
Gli occhi azzurri di Naruto, immobili e fissi su di lei, invece l'avevano uccisa.

 

 

 

 

"...Come cazzo hai fatto a ridurti in quel modo" ringhiava Naruto stringendo i pugni, costretto all'impotenza sulla sedia per i visitatori, "bastardo. Fottuto egoista bastardo."
Sasuke-kun poteva ascoltare, poteva parlare e poteva rispondere, ma evidentemente non voleva farlo. Rimaneva muto e statico come una pietra, si sarebbe detto un cadavere se non fosse stato per l'impercettibile respiro che gonfiava a intervalli regolari il lenzuolo immacolato e per l'onnipresente 'bip' che segnalava la sua debole attività cardiaca.
Era vivo, cosciente e senziente, ma era come se rifiutasse di considerarsi tale.
"Bastardo. Cosa...cosa credi di fare adesso, eh, conciato così? Cosa?!"
Gli occhi di Sasuke-kun erano bendati, ma tutti sapevano che era una precauzione inutile, poichè la sua cecità era irreversibile: i canali del chakra erano bruciati, non era possibile ricollegarli al nervo ottico, le cui fibre erano state tranciate di netto appena prima della cornea, come se qualcuno d'un tratto avesse spento la luce.
Munita della pila regolamentare, aveva cercato un segno di vita sotto quelle palpebre e aveva visto un'isola di un bianco malsano e innaturale, che l'aveva terrorizzata.
Irreversibile. Era una parola dal suono così amaro.
"Stronzo. Stronzo egoista. Non rispondi neppure, non parli, fosse per te saresti morto in guerra, vero?, morto mentre tentavi di sotterrarci tutti. Bastardo schifoso."
Cieco a diciassette anni, pensava lei nel frattempo.
I canali del chakra bruciati fino alla radice, troppo danneggiati per poter essere ricostruiti, e troppo fragili per consentire un trapianto: occhi inservibili, che spalancati vedevano solo il buio.
Ma doveva provare, si disse, anche se era perfettamente inutile lei doveva provare: era nata per combattere battaglie già perse, era un suo sacrosanto diritto, ribadito con orgoglio e costanza fino alla fine.
"La lingua non te l'hanno strappata, eppure non dici una parola, non ringrazi nemmeno. Sakura-chan ti sta rimettendo a posto e tu non le dici niente. Tu stai zitto. Pezzo di merda."
Sakura avvertì la pericolosità di quelle parole e pregò che Naruto non notasse l'incertezza delle sue dita mentre -fingeva- aumentava di pochissimo il dosaggio dei farmaci.
Cieco a diciassette anni.
L'onda delle sue memorie si mosse appena e le fece serrare le labbra, il viso stravolto dall'amarezza e dalle notti perse a cercare una -impossibile- cura.
Cieco a diciassette anni, si ripetè, poi controvoglia aggiunse: come suo fratello.
"...Non è vero, Sakura-chan?"

e i sogni di notte
che chiedono amore
cadono al mattino
senza te

 

 

Ino tagliava meticolosamente le sue rose, immersa nei fiori della serra di famiglia. Sakura non si sorprese di trovarla lì, silenziosa e sola, senza nessuno che tollerasse la sua logorrea e alleviasse il suo umore burrascoso; la salutò, ma l'amica si limitò a rivolgerle un cenno frettoloso:"...Hai mica visto Sai, venendo qui?"
Sakura le lanciò un'occhiata inespressiva, poi si ricordò: Shikamaru era in missione da due settimane e tardava a tornare al villaggio, ecco il vero motivo, tutto combaciava come in una sequenza logica. "No" scrollò le spalle, "credo sia in missione."
Udì uno schiocco secco, mentre il gambo della rosa veniva falcidiato senza pietà e Ino grugniva:"Pure lui, eh."
Sakura la lasciò perdere e sprofondò molle tra i fiori, le ginocchia in terra e un lungo sospiro spossato che si dileguava nell'aria. Ino parve capire qualcosa, perchè per un battito di ciglia dimenticò le sue rose e la piega delle sue labbra divenne amara.
"Non parla ancora?" fece, a voce bassissima.
L'altra scosse il capo, le dita impigliate nei ciuffi d'erba:"No." Respirò di nuovo, riacquistò colore e con lentezza tornò in piedi, l'uniforme da Chuunin sporca di terriccio.
"Non parla, non mangia se non è costretto con la forza, non ci ascolta neppure. Non ci guarda nemmeno, sai? Guarda sempre di lato, verso la finestra, verso qualcosa che comunque non può vedere." Sul viso di Sakura scivolò un sorriso insolito, che nonostante tutto sembrava quasi tenerezza.
Ino rimase in silenzio, consultandosi con le sue rose.
"Gli ANBU lo sorvegliano a vista giorno e notte, l'ospedale ormai sembra una piccola fortezza. Hanno paura che da un momento all'altro qualcuno venga a riprenderselo, il nostro Sasuke-kun."A tentoni le dita di Sakura sfioravano i boccioli con delicatezza, per paura di rovinarli.
Non aveva ancora confessato a Ino la domanda che l'assillava da giorni e giorni, che non la faceva dormire né sorridere senza quel velo di preoccupazione che continuamente calava su ogni suo gesto, sguardo o pensiero: perchè Madara non l'ha ucciso. Perchè, si chiedeva, perchè. Madara non sapeva che farsene di uno Sharingan che aveva divorato se stesso: che cosa gli serviva farlo recapitare ai Cancelli di Konoha avvolto nel mantello dell'Akatsuki, cosa. Odiava non capire, lei.
Ino parlava, e Sakura non ascoltava una sola parola. Perchè l'ha lasciato in vita ridotto così? Perchè?
"...Non può neanche vedere" si lasciò sfuggire ad alta voce.
Ino tagliò un'altra rosa:"Io ho sempre pensato che avesse fatto una gran cazzata andandosene via quattro anni fa, te l'avevo detto molte volte, però... adesso è troppo. Dovrebbe esserci pietà, alla fine, anche per chi non la merita, no?"
Sakura deglutì. Poi annuì e si concentrò su un'aiuola di orchidee dai colori dell'acqua:"Posso aiutarti, Ino?"
La Yamanka sbuffò:"Annaffia quei fiori, Fronte Spaziosa, ma fà attenzione, sei talmente imbranata che potresti rovinarmeli."
Sakura non raccolse la provocazione, in silenzio eseguì il suo compito senza battere ciglio, la testa altrove.
"Ieri ho assistito alla prima fase del processo. Tu non sei venuta" proseguì Ino.
"Tanto so benissimo che ha tutto il Consiglio degli Anziani contro, è inutile che venga lì solo per vedere le loro facce, e poi era il mio turno in ospedale. Kakashi-sensei comunque sta preparando la difesa, e anche Tsunade-hime, sai?, mi ha promesso che lo aiuterà" ma Sakura, anzichè sorridere, si rabbuiò un poco. Già mentre lo diceva non si sentiva più molto sicura di quella promessa.
O forse era perchè aveva aiutato Kakashi-sensei a rintracciare gli antichi codici del villaggio, e dopo ore e ore passate a leggere dovunque la stessa, medesima parola (pena di morte) che come un cancello chiuso sbarrava loro la strada, si erano guardati negli occhi e avevano abbandonato i libri là dov'erano, a coprirsi di polvere.
"...E Naruto come l'ha presa?"
"Eh?"
"Degli occhi, dico."
"Beh, bene, l'ha presa bene. Dice che gli regalerà un cane guida." Chissà perchè d'improvviso tutto le sembrava sfocato e non vedeva più bene le bocche azzurre dei fiori.
Ino non si scompose:"Dici? Non lo facevo così tranquillo."
"No, è che è molto maturato, sai..." replicò Sakura, ma non convinse neppure se stessa.
Lo sapevano entrambe: stava mentendo. E forse lo sapeva anche Naruto.
"Ino, fammi un mazzo di fiori" esordì Sakura d'un tratto.
"Quali?"
"Quelli là" indicò senza neppure guardare.
"Sakura, lui non può vederli"le rammentò l'amica con una dolcezza che lei interpretò per mancanza di tatto.
"Questo non ha nessuna importanza" ribattè stanca Sakura, mentre le orchidee annegavano, "lui può ancora sentirli, non te lo dimenticare."

 

 

 

Quel giorno Naruto aveva deciso di offrirle il pranzo e Sakura non aveva neppure insistito più di tanto: meccanicamente portava alla bocca forchettate di ramen, masticava e deglutiva, ridacchiando alle battute bislacche del compagno di Squadra.
L'aveva fatto per quattro anni, ormai poteva considerarla un'abitudine del tutto naturale, quasi come sbattere le palpebre o tossire per schiarirsi la gola.
Abbassava lo sguardo, però, e pensava: perchè non l'ha ucciso, perchè. Così com'è non gli servono i suoi occhi, è inutile. Non ha senso riconsegnarcelo secondo la sua logica, perchè ha agito così, perchè.
"...Ci vorrà ancora molto perchè si riprenda? Io noto dei leggeri miglioramenti" proclamò ottimista Naruto.
Il viso di Sakura si congelò e per una volta ebbe voglia di gridare fino a farsi sanguinare i polmoni, ma ovviamente non lo fece, si limitò a lanciargli un'occhiata inasprita da un lampo di saccenza.
"Sono assolutamente irrilevanti dal punto di vista medico, purtroppo la strada è ancora molto lunga, il danno alla cornea è stato gravissimo. Richiederà tempo, lo sai. Il processo di rigenerazione dei tessuti di un organo così delicato non è istantaneo, i vasi sanguigni devono cauterizzarsi e la ricostruzione dei canali del chakra passa per fasi successive..."
Naruto l'interruppe con un gesto seccato:"Piantala di parlare medichese, per favore, non ci sto capendo un emerito cazzo di nulla. In parole povere, quando? Se ci attaccheranno, lui deve combattere al nostro fianco."
"Questo è fuori discussione, lui non è-"
"Non mi hai risposto: quando?"
Sakura ammutolì per un momento, poi dovette rispondere e trattenne a fatica l'istinto di piangere:"Non lo so" pigolò, la gola che le faceva male. La sua voce tremava come quella di una bambina.
Naruto strinse i pugni e sbiancò, gli occhi luicidi di sdegno:"Non eri tu quella che aveva studiato per anni gli archivi degli Uchiha? E che aveva fatto ricerche su ricerche su ricerche, e che aveva scandagliato la loro biblioteca al lume di una lucerna, e che sapeva citare nomi, date ed eventi in punta di lingua?"
Sakura spalancò gli occhi e si difese con pari ardore:"Questo cosa c'entra, è vero, io mi sono occupata della storia del Clan Uchiha ma non vuol dire che-"
"Vuoi dirmi che non hai scoperto niente sullo Sharingan, su come diavolo si usa e su quali sono i suoi dannati effetti sul portatore?! Dovresti aver trovato un rimedio, un appiglio, una via d'uscita, dovresti..."
Le gote di Sakura erano andate in fiamme, e la ragazza aveva stretto i lembi della tovaglietta fin quasi a lacerarli:"Credi che sia semplice, eh, senza riserve di chakra pari a un quintuplo di quelle di un comune essere umano?"
Naruto non aveva alzato la voce, le aveva quasi latrato contro, furioso:"...E tu credi che sia semplice, pur avendole?"
Ed era stata la seconda volta nella sua vita che Sakura aveva visto l'unghiata di Kyuubi baluginare minacciosa nel volto dell'amico, enfatica come un monito.
Non si erano più detti altro, nessuno dei due aveva accennato a voler parlare o a finir di mangiare. Anche Naruto, insaziabile per quanto riguardava il ramen, sembrava aver perso l'appetito.
Erano passati lentamente cinque minuti, che a Sakura erano parsi più lunghi e interminabili dell'eternità stessa. Cinque minuti inutili comunque, perchè sapeva già cosa avrebbe fatto.
Allora s'era alzata in piedi, aveva posato una manciata di monete sul tavolino e se n'era andata, senza neppure guardarlo.
"Scusa, io vado da Sasuke-kun," erano state le sue ultime parole.

 

Scivola,
scivola vai via
non te ne andare!

 

 

 

L'Archivio del Palazzo degli Hokage era sterminato, era una città nella città: un microcosmo di fascicoli polverosi, che raccontavano i più turpi e antichi segreti del villaggio, destinati a sopravvivere alla falce inarrestabile del tempo, all'umidità, ai parassiti e alla memoria caduca degli uomini.
Tsunade sembrava molto impegnata, e in effetti lo era: scartabellava mucchi di scartoffie tossendo per gli acari intrappolati tra le pagine, annotava qualche appunto incomprensibile su un taccuino e srotolava papiri ingialliti grandi quanto vele di navi. Tuttavia Sakura, per nulla intimorita, non le dava tregua.
"...Tsunade-hime. Non c'è nessun problema, altrimenti lei me l'avrebbe già detto, vero?"
Perchè Madara non l'ha ucciso?
La Godaime Hokage fingeva di non sentire, mascherava le parole dell'allieva con qualche colpo di tosse rauca e, voltata di schiena, si nascondeva nell'aria stantia e nella penombra degli scaffali ingombri di pratiche e tomi voluminosi.
"Non c'è nessun problema allora. Per quanto riguarda il processo, dico. Non gli faranno niente, verrà assolto, altrimenti lei me l'avrebbe già detto da tempo, non è così?" Sakura non demordeva, spazzava via i granelli di polvere con una manata e senza battere ciglio tallonava la Maestra.
"Non c'è nulla di cui preoccuparsi, è soltanto una formalità che verrà risolta nel giro di qualche mese, un anno al massimo: se verremo attaccati dall'Akatsuki non avremo certo il tempo di disquisire su cavilli legali di sorta. Insomma, i giochi sono già fatti, sarà assolto, andrà tutto bene. Voglio dire, è completamente cieco, l'ha visto anche lei, l'ha visto Shizune-san e tutto il personale medico dell'ospedale. E qualunque Chunin con un'elementare conoscenza di medic-jutsu può verificarlo. Così com'è non rappresenta più alcuna minaccia per il villaggio, su questo siamo tutti d'accordo, non è vero?"
Tsunade taceva. Tossiva, si schiariva la gola, mugugnava qualcosa di indistinto. Sakura comunque non cedeva d'un millimetro, le braccia incrociate sul petto e la determinazione che brillava spavalda nello sguardo. Seguì la donna come un cagnolino fedele, non si scoraggiò neppure per un istante.
"Tsunade-hime, è tutto a posto, no?" continuava.
Perchè ha voluto lasciarlo in vita? Perchè ha fatto una cosa così illogica?
"Lo Sharingan gli ha bruciato la vista. Ed è irreversibile, lei lo sa meglio di me, non esiste alcun rimedio medico, ne abbiamo già parlato ed entrambe siamo giunte alla medesima conclusione. Dunque non gli faranno niente, è praticamente inerme, non possono fargli nulla, sarebbe ingiusto..."
Tsunade, d'improvviso, si era bloccata. Aveva smesso di rovistare tra i documenti del villaggio e si era appoggiata a un tavolino semisommerso da una catasta di fogli consunti.
Si era lasciata andare a un respiro lungo, profondo, di quelli che arrivano fino alle punte dei piedi. Poi, con una voce stremata che tuttavia non perdeva una vena di dolcezza, aveva parlato.
"Sakura, ha ucciso tre Anziani."
Silenzio. Il cuore di Sakura era in apnea.
"Ci avrebbe scatenato contro l'Akatsuki, e non è detto che non succeda, purtroppo tutto tace e sai meglio di me che questo non è affatto un buon segno. Ha ucciso tre membri del Consiglio, Sakura. Tre. Riesci a capire...?"
Tsunade questa volta si era girata per guardarla. Era Sakura, però, a voler ad ogni costo evitare il suo sguardo.
Se n'era andata, minuti dopo, senza aggiungere una parola, non prima di aver scagliato un tremendo pugno frustrato a uno dei muri dell'Archivio, che per un istante vacillò come durante un terremoto. 

 

 

Scivola,
scivola vai via
via da me!

 

 

 

La prima cosa che aveva fatto era stato staccare accuratamente la flebo e tutti i macchinari collegati al corpo di Sasuke-kun. Quell'onnipresente 'bip' era sparito di botto e per un attimo, solo per un attimo si era sentita sollevata.
La seconda cosa che aveva fatto era stata spalancare la finestra, e l'odore del vento si era immediatamente rovesciato nella stanza, danzando selvaggio e indomabile come nelle tempeste.
La terza cosa, parlare a Sasuke-kun, ovviamente senza guardarlo in viso.
Sakura aveva preso respiro con lentezza, centellinando ogni singola molecola d'aria che raggiungeva i suoi polmoni.
Aveva contato uno, due, tre.
Poi aveva parlato.
"Devi andartene, altrimenti ti uccideranno."
Dopodichè aveva sbarrato la porta, s'era avvicinata alla finestra aperta e aveva gettato un'occhiata cauta e circospetta ai dintorni dell'Ospedale di Konoha.
La sua voce era dolce, quasi ultraterrena; parlava come se dovesse far addormentare un bambino o calmare un animale spaventato, come se dovesse ammansire una forza ancestrale, primitiva e indistruttibile.
"Non vincerai il processo. Il Consiglio non accetterà di risparmiarti la vita in nessun caso, hai osato troppo, lo sai... Siete arrivati così, di notte, li avete sgozzati nei loro letti e poi via nel vento... ci avete dimostrato che nulla è impossibile se si è aldifuori delle regole. Non te lo perdoneranno mai, mai."
Sakura parlava e osservava le tondeggianti linee verdastre del pavimento di linoleum, immaginando mille suoni strazianti per ogni morbida curva, delicata come la mezzaluna di un petalo.
"Devi andare via subito, devi nasconderti, nessuno verrà a cercarti, hanno troppa paura di un attacco. Ma se rimani qui sei morto, capisci, morto, ti condanneranno, anche se sei l'ultimo del tuo Clan, anche se sei..."
La sua voce si era spenta d'improvviso, come la fiammella di una candela. Adesso Sakura fissava i piedi nudi di Sasuke, bianchi come il marmo, posati sul pavimento, e contava le vene bluastre che s'infittivano dalla punta al collo come la trama leggera di un ricamo.
"Scappa" riprese a parlare scandendo bene le parole:"Hanno allentato la sorveglianza. Ho messo dell'artemisia nel thé dei due di guardia, avrai qualche ora di vantaggio."
Anche in quel momento Sakura si rendeva conto di quanto il suo piano fosse folle e allucinato: stava mandando Sasuke a morte certa, perchè era cieco, perdio, cieco senza scampo, ed era una pazzia farlo fuggire sui tetti, una vera pazzia, però...
"Ascoltami: tu devi andare via. Non puoi rimanere qui un secondo di più, il Consiglio vuole la tua testa e l'avrà, Tsunade-hime non rischierà un colpo di stato per salvarti, non vali abbastanza, capisci, e poi ci sono stati troppi morti, sai, la morte di Jiraya-san... E non ti considerano più uno del villaggio, tu sei l'intruso, la mela marcia, non si faranno scrupoli. Perciò per favore, te ne prego, và via, è l'unica soluzione."
Sakura tacque e si rese conto che respirava a fatica.
Madara non l'ha ucciso, non lo ucciderà neanche 'sta volta, lo lasceranno andare...
I piedi di Sasuke-kun avevano fatto un piccolo, significativo passo in avanti, un passo malfermo e insicuro come quello di un ubriaco.
E Sasuke-kun, con tutta la semplicità del mondo, aveva parlato per la prima volta dopo mesi e mesi di ostinato mutismo:"...E quello là?"
Quella voce faceva tremare le montagne, ma Sakura aveva sorriso appena, dolcemente:"Naruto non lo sa. Lui pensa che i tuoi occhi torneranno... beh... che tu recupererai la vista. Naruto capirà, tornerà a inseguirti per riportarti indietro, come abbiamo sempre fatto, e lotteremo e non ci arrenderemo e un giorno forse... Sarà di nuovo come prima, sì, e Naruto capirà e andremo avanti insieme, come abbiamo sempre fatto."
Era stata costretta ad alzare gli occhi sul viso di Sasuke-kun e aveva visto qualcosa che non avrebbe dimenticato mai più, una visione così straziante da sigillarsi per sempre nella sua memoria: privi di benda, gli occhi di Sasuke-kun non erano più neri e senza fine, erano incolori come l'acqua, bianchi e spaventosi, l'assenza di materia, una pagina cancellata. Erano gli occhi di un mostro. 
Quella era ancora la faccia di Sasuke-kun, ma era disperatamente mutilata e incompleta, era sfregiata, faceva male allo sguardo.
Non avevano più undici anni, e a quel pensiero la gola di Sakura tornò a bruciare e a sfrigolare, mentre la ragazza si voltava di spalle e rifiutava di osservare qualunque cosa che non fosse una placida, innocua macchia di muffa grigiastra che faceva capolino poco sotto il soffitto.
"E il tizio con la maschera?"
"Forse un giorno gliene parlerò. E forse Kakashi-sensei potrà perdonarmi" Sakura si sforzò di ridere, ma le sue risate suonavano come la carta che si strappa.
"Io non posso andare da nessuna parte..." borbottò Sasuke-kun, quasi fosse infastidito. Se si fosse voltata, avrebbe visto disegnarsi sul suo volto la stessa espressione seccata di ragazzino arrogante che aveva conosciuto molti anni prima.
"Non è vero, questo non è affatto vero, tu riuscirai a sopravvivere, ci sei sempre riuscito. Non puoi restare qui, non capisci? Non puoi morire qui, non puoi."
La voce di Sasuke-kun aveva qualcosa di amaro e ironico al contempo:"Non c'è nessun'altro posto in cui potrei stare."
Sakura lo incalzò con la voce, pur rifiutandosi di voltarsi:"Và via, và via, è che devi stare, non qui, và via subito, qui non c'è più niente per te, ormai non c'è più niente!!!"
Sasuke-kun stranamente taceva, mentre la ragazza riprendeva fiato piano, pianissimo. Gli occhi da spettro persi nel vuoto, Sasuke rifletteva, ignaro della schiena che gli volgeva l'ex compagna di Squadra.
"Non c'è più tempo" ritentò debolmente Sakura, "và via, per favore. Và via."
Sasuke-kun, assorto in pensieri che non la riguardavano, non accennò neanche a risponderle. A tentoni con la mano sinistra cercò nell'aria qualcosa che non esisteva, qualcosa di perfettamente inutile in quel momento. Sakura, dal suo canto, pensò all'ironia del destino: era di nuovo voltata di schiena con Sasuke alle spalle, come quattro anni -quattro anni, quarantotto mesi e millequattrocentosessanta giorni- prima, ma questa volta era lei a chiedergli di andarsene, andarsene subito, prima che la sentenza venisse ufficializzata dal Consiglio.

"Sakura" la chiamò, e fu come riaffiorare da un tuffo negli abissi profondi.
"Sì?"
"...Di che colore sono quei fiori, quei fiori vicino al mio letto?"

(Fu quello il momento in cui tutte le sue difese si schiantarono a terra in un colpo solo, come un castello di carte.)


Fu quello il momento in cui capì che lei, Haruno Sakura, era una ribelle, incapace di smettere d'amare, per quanto ogni singola circostanza le fosse sfavorevole con una premeditazione quasi divina. Molti avrebbero potuto definirla un'illusa, ma lei preferiva senz'altro quell'appellativo, per quanto poco s'adattasse alla sua figura di ragazzina onesta e profondamente buona: ribelle. 
Gli anni che le erano piovuti addosso, ecco, non li sentiva già più, così come la rabbia, la frustrazione, il risentimento. Avevano definito il suo amore per Sasuke-kun come un ramo secco del destino, ma in quell'istante sentì che le braci erano tornate a bruciare, bruciare come una volta, e di quell'albero ramificato che era stata la sua vita non rimaneva più niente.
E sorprendentemente questo non la spaventava, non più.

L'ampolla con l'estratto d'artemisia che teneva fra le mani cadde a terra e si frantumò in mille schegge appuntite.
Sakura sorrideva mentre le lacrime scorrevano a fiotti sulle sue gote, ma non se ne accorse neppure, perchè nello spazio di un respiro si era voltata e aveva nascosto il viso nella spalla di Sasuke-kun.
I fiori, i fiori di Ino comprati mesi prima che ancora non morivano e resistevano, resistevano imperterriti nonostante lo sfacelo del tempo, resistevano, erano ancora lì...

 

"...Sono rossi, Sasuke, quei fiori sono rossi."

 

 

 

Fin

 

 

 

 

Glossario
Rokurokubi:
Creatura mitica del folklore giapponese, una donna con un collo lunghissimo, capace di allungarsi di metri e metri. Non è chiaro se sia un'entità malvagia o meno.

 

 

 

 

 

 

Note dell'Autrice

Dedicata a Chiara/Artemisia -è l'artemisia finale è un omaggio a lei- perchè mi ha tirato su di morale quando non riuscivo a scriverla, a Cami perchè smetterà con le fanfiction (ti odio per questo, lo sai già ç.ç) e a Chaòs perchè mi va e perchè le voglio bene. E anche a Gaia e Cla perchè sono le mie amiche, e perchè voglio bene anche a loro -ecco, l'ho detto, adesso fatevelo bastare per i prossimi diecimila anni XD-.


Comunque un Sesto Posto al Contest a tema floreale indetto da SweetAudy, che ringrazio per il giudizio e con cui mi scuso per l'inconveniente dell'invio.
Faccio i complimenti alle prime classificate e a tutte le partecipanti, siete state davvero bravissime, leggerò le vostre storie quanto prima.
Se qualcuno mi chiede perchè ho scelto un fiore del genere, il garofano, beh, questa è la mia motivazione: ho scelto il garofano, per la precisione il garofano rosso, che significa 'amore vivo, energia', perchè è anche il fiore delle rivoluzioni, dei ribelli, è un fiore passionale e sanguigno, dal profumo quasi aspro, è un fiore poco conosciuto e poco raffinato, un fiore di tutti i giorni, come i rivoluzionari. Eppure è bello, ed è particolare, perchè per me si allaccia alla 'ribellione' di Sakura, condannata per sempre ad amare, nonostante le si oppongano tantissime, troppe cose che rischiano di schiacciarla. L'ho scelto per lei, in fondo, perchè volevo scrivere della sua forza, volevo scrivere delle sue azioni concitate e confuse, del suo tentativo -condotto tutto da sola, sempre e comunque da sola- di cambiare le cose in silenzio, appoggiandosi a Sasuke. Che ovviamente non ha mai capito cosa volessero dire, i garofani rossi. 

 
Probabilmente è confusa, sfalsata su tanti piani temporali, spero non OOC, tirata per i capelli -come fa Sakura a sapere di Madara Uchiha?! Uhm...- e un po' così, carente da molti punti di vista.
Ma, c'è un ma.
Mi piace. Perchè il garofano è il mio fiore, e SasuSaku la mia coppia. E perchè un poco, in fondo, ci credo ancora, alle storie romantiche e a lieto fine.
Ma non ditelo in giro, eh.

 

Grazie dell'attenzione,
Hipatya




 

 

 





 

 

 

 

 



 

  
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