Disclaimer: I personaggi citati appartengono a
Masashi Kishimoto, che ovviamente si prende tutti i diritti del loro uso. La
strofa della canzone riportata come intermezzo tra i paragrafi è Scivola Via
di Vinicio Capossela. Inutile dire che i diritti per cotanto capolavoro
sono tutti suoi.
Carnation
"Tutte le
storie sono storie d'amore."
Eureka Street,
Robert McLiam Wilson
Canzoni e poesie
pugnali e parole
Il rumore dei macchinari in
funzione era monotono, bip bip bip, e sempre uguale: puntuale la goccia
d'anestetico scivolava lungo il tubicino di gomma per terminare la sua corsa
laggiù, nella punta dell'ago, e quindi dentro la vena bluastra che solcava l'incavo
del braccio destro, quella piccola ansa di carne scavata tra gomito e
avambraccio.
Un'ininterrotta serie di gelidi, monocorde 'bip' impersonali.
Aveva provato molte volte a tenerne il conto, ma si distraeva e finiva per
perderlo non appena la voce di Naruto si faceva spazio in quel silenzio
asfittico col suo tono vivace e vibrante, riempiendo ogni cosa, come le onde.
"Bastardo" sibilava sommesso, "bastardo", incapace di
articolare qualunque altra parola che non fosse quell'iroso epiteto masticato
fra i denti. Ci provava a cominciare un discorso, ad aggiungere qualcosa, ma
ogni volta le parole si sfogliavano sulle labbra come fiori, e non rimaneva più
niente.
"Bastardo" ripetè ancora piano, quasi fosse un mantra. Quanto suonava
sbagliato, pensò lei, quell'insulto detto con quella voce, una voce
fatta per ridere, cantare e scherzare, non certo per i giorni tristi e per le
maledizioni.
Sakura si alzò in piedi, s'avvicinò alla lastra di vetro scintillante della
finestra e si smarrì nella luce dorata del pomeriggio, nei giochi del sole tra
le fronde scure degli alberi e nei visi delle persone che di tanto in tanto
attraversavano la stradina -ma loro non alzavano mai gli occhi verso di lei,
neppure per sbaglio.
Poteva quasi annusarlo nell'aria, se chiudeva gli occhi: un profumo sapido,
arrogante, pelle bruciata e fiori in boccio, legno secco e polline giallo
miele.
Non aveva bisogno di spalancare le imposte e tuffare il naso nella scia del
vento per bere lunghe, dissetanti sorsate di quell'aroma. Era già lì, era
ovunque, anche in quella stanza sterilizzata e priva di un odore che non fosse
l'acidulo e artificiale olezzo dei medicinali.
"...Bastardo" non cessava di mormorare Naruto; 'bip', replicava
vuotamente il mostro elettronico.
A ogni bip uno
spillo le affondava nel petto tutto intero fino alla capocchia, e poi un altro,
e un altro, e un altro, senza poterli più contare.
Sakura aprì gli occhi: fuori non era cambiato nulla. Dentro neppure.
Bip, ingiunse la macchina, imperiosa.
Era come se la vita, o qualunque cosa si potesse definire tale, fosse rimasta
fuori dalla finestra e si tenesse ostinatamente alla larga da quella stanza
d'ospedale.
"E' qui! E' qui!"
Le grida concitate di Ino Yamanaka si sovrapponevano ai latrati di Akamaru,
agli ordini secchi di Shikamaru e al tramestio caotico di mille passi di corsa
soffocati nella polvere.
Sakura non capiva niente: davanti agli occhi le esplodevano piogge di stelline
luminescenti, mentre nelle orecchie riecheggiava il boato di una bomba appena
esplosa. Sentiva il cervello pulsare orribilmente e dibattersi come per
sfondare le pareti ossee della scatola cranica, mentre i suoi muscoli
irrigiditi non rispondevano più ai giusti comandi, s'intralciavano l'uno con
l'altro, formicolavano come quando s'era ubriacata per la prima volta.
Ino l'aveva strattonata per un braccio e Sakura, inerte e legnosa come un
burattino, era scivolata nel terreno umido di pioggia, ma quasi non se n'era
accorta. Non capiva infatti come fosse riuscita a rimettersi in piedi e a
correre in avanti, il viso dell'amica a pochi centimetri dal suo e il pericolo
che rosseggiava nella sua espressione allarmata.
Ino parlava a raffica, mangiandosi le parole, e in fretta la informava che non
c'erano trappole nei dintorni, che tutto era tranquillo, che non c'erano nemici
nelle vicinanze e se n'era accorto il cane perchè dalla sera prima era nervoso
e uggiolava di continuo e Kiba pensava fosse per il temporale ma -
Sakura non aveva avuto bisogno di provare a dissiparla per capire che
quella non era, sfortunatamente, un'illusione.
Gli occhi di Ino erano fin troppo eloquenti, così come l'irrefrenabile conato
sordo di Choji che, a carponi, vuotava lo stomaco nel fondo di un cespuglio.
Appena la vide, Naruto le si precipitò addosso scaricandole contro un'altra
ventata di parole insostenibili, che l'attraversarono senza scalfirla.
"Sakura-chan, Sakura-chan guarda me."
Inutile, lo sguardo di Sakura correva
verso il centro del viottolo, poco lontano dal punto in cui qualche anno
prima -quattro anni, quarantotto mesi e millequattrocentosessanta giorni-
aveva ricevuto la parola più bella che le avessero mai detto, il suo fugace,
effimero quarto d'ora di gloria subito svanita.
La cosa giaceva lì, buttata all'angolo della strada come un sacco di
spazzatura, ed era priva di vita, senza più forza né un barlume d'interesse,
quasi fosse un contenitore vuoto, un binario morto, un rudere che la terra
inghiottiva a poco a poco: una cosa senza importanza, da dimenticare.
Sakura s'era sentita scivolare via, la
testa leggerissima che si staccava dal collo come accadeva alle rokurokubi*
e rotolava lontano, dove il mondo non esisteva più.
Si sentiva come se i fili che tenevano imbrigliato il suo corpo si fossero
sciolti d'un colpo, tutti quanti.
Perciò aveva barcollato, come un bravo medico non dovrebbe mai fare.
La cosa era avvolta in un mantello nero, ma le nuvole rosse ricamate
sulla sua superficie erano sorrisi osceni che negavano qualunque lume di pietà,
irriverenti quanto uno sputo in faccia, e la cosa, sotto quelle nubi
rosso sangue, sembrava aver perso fattezze umane, sembrava un manichino, un
mucchietto di sterpi secchi mangiati dall'estate.
La frase Me l'hanno ammazzato si scrisse nitida nella sua mente per
infinite volte, nel momento in cui vide con chiarezza la propria mano sollevare
il drappo dell'Akatsuki e rivelare il corpo della cosa.
L'urgenza del vomito le si rovesciò in bocca, ma vinse la disciplina che
l'obbligò a mettere in pratica scrupolosamente il protocollo medico standard
per ferite gravi.
Sentiva lo sguardo di Naruto come una freccia puntata alla nuca, una freccia
pronta ad essere scoccata.
Ino le si accovacciò di fianco e prese ad aiutarla ad impastare il chakra, una
lettiga sorretta da Rock Lee e Shino era già pronta a caricare la cosa e
in meno di un minuto la strada fu vuota, mentre una ridda di voci ansiose
svaniva verso l'ospedale del villaggio.
E' vivo è vivo è vivo, ripetevano attutite le grida.
Ecco, pensò, ora arriva.
Si piegò in due tenendosi lo stomaco impazzito, mentre fra i singhiozzi e le
bestemmie che non aveva mai detto vomitava:"E' vivo, è vivo, è vivo!"
(E non sapeva quale, ma una parte di lei era persuasa che fosse una
condanna.)
Si rimise in piedi
rifiutando l'aiuto di Naruto, sputò per terra, si pulì le labbra violacee con
un fazzoletto e tossì un paio di volte, finchè riacquistò la necessaria
lucidità per rassicurare il compagno di Squadra:"E' passato, ecco, è già
passato. Sto bene, davvero, va tutto bene, va tutto bene" mormorò con un
filo di voce. Provò anche a sorridere.
Farfugliava stordito, Naruto:"...Hai visto i suoi occhi, tu..."
Lo stomaco di Sakura si ribellò un'altra volta:
metterlo a tacere le costò un'enorme dispendio di energia.
Il tono insicuro con cui disse "Andiamo, Naruto" rese noto a entrambi
che non c'era niente, proprio niente che stesse andando per il verso giusto, ma
nessuno dei due trovò qualcosa di sensato con cui replicare.
Scattarono via senza altre parole, la testa già all'ospedale e la gambe che per
i loro gusti andavano decisamente troppo lente.
Più veloce! Più veloce! Più veloce! Pompava forsennato il cuore di
Sakura, la mente come un treno che a rotta di collo si slanciava verso giorni e
giorni futuri. Cosa c'è da piangere ora, deficiente, si odiò mentre con
rabbia soffocava nel dorso della mano una lacrima che le tremolava sulle
ciglia.
Un'istante dopo la strada che portava ai Cancelli di Konoha era di nuovo vuota,
livida e irreale in quell'alba azzurrina.
Nessuno si accorse di quei fiori che, cocciuti e impavidi, resistevano a testa
alta nonostante si fossero piegati sotto il peso del corpo di Sasuke Uchiha,
quegli stupidi fiori rossi, prepotenti e attaccati alla vita, che avevano
appestato l'aria del loro profumo pesante e quasi carnale di carboni ardenti
che bruciavano, bruciavano e basta.
Due bambini di dieci, quasi
undici anni, un ponte rosso alle loro spalle e una tiepida, rosata giornata
primaverile.
La ragazzina portava un mazzo di fiori tra le braccia, fiori rossi sgargianti
come lingue di fuoco vivo, fiori di un colore troppo sanguigno per lei, che ha
occhi grandi come la luna e pelle chiara, mai esposta alle carezze roventi del
sole, e troppo vivaci anche per lui che, curvo sulle spalle, la testa incassata
nel petto, lo sguardo sfuggente e i capelli scuri, sembra un corvo pronto a
volare via.
Il sole svettava sopra le loro teste, assieme a un cielo azzurro, palpitante
come il mare.
"Sasuke-kun, questi sono per te."
"Sono garofani, garofani rossi."
"Te li ho portati perchè ti sei diplomato Genin e, ecco, volevo farti un
regalo."
"Spero che ti piacciano."
Il bambino chiamato Sasuke-kun aveva fissato l'amica dritta negli occhi, ed era
stato un po' come quando il mondo si blocca all'improvviso su quell'istante,
quello che cambia tutta una vita.
Non c'era nulla in quello sguardo, proprio nulla. Un nero senza fine, l'assenza
di ogni pensiero o emozione, un vuoto sterminato come se quegli occhi fossero
ciechi da molto, moltissimo tempo, disabituati all'effetto della luce sugli
oggetti.
"Non capisci proprio" si era lasciato sfuggire il bambino, gelido.
La ragazzina non aveva percepito la freddezza, la scortesia, il rifiuto in
quella laconica sentenza: quel semplice nulla che le stava di fronte così, nel
viso splendido un undicenne che sembrava invecchiato di secoli, la intenerì
anzichè spaventarla a morte.
Dove non cresceva più niente, neppure più la paura, c'era spazio perchè lei,
Sakura, potesse diventare qualcosa. O almeno provarci.
Non diede un nome alla semplicità disarmante delle onde marine che, ritmiche,
sciabordavano nella sua testa: era come la tessera di un mosaico che andava ad
aderire perfettamente alla superficie dell'altra, era come fare due più due.
Che, sapeva bene, qualche volta poteva fare anche cinque.
Era sicura che nessuna, proprio nessuna delle altre bambine avesse mai visto
cosa c'era al di là degli occhi di Sasuke-kun. Nessuna poteva conoscere quello
specchio vuoto che lei aveva intravisto di sfuggita, quella terribile immensità
priva di luce e di forme, come se qualcosa fosse passato di lì e avesse
distrutto tutto pezzo per pezzo, meticolosamente, per poi lasciarsi alle spalle
una spianata più desolante delle sterili terre lunari.
Nessuna poteva saperlo, nessuna. Soltanto lei.
Contro ogni aspettativa, Sakura sorrise lusingata a questo pensiero, e
inghiottì le lacrime mentre i fiori rossi volavano leggeri oltre la balaustra
di legno inciso.
"Eh?! Ma perchè l'hai fatto, Sakura, tu..."
"Non importa, Sasuke-kun, non importa" sorrise ancora,
serafica:"Va bene lo stesso, anche se non ti piacciono. Va bene così.
Erano soltanto un pretesto" ammise, d'un tratto goffa e rossa in viso,
visibilmente imbarazzata.
"Un pretesto?"
"Sì, insomma, una scusa. Quando non sanno parlare, le persone si affidano
alle cose. Sono loro a parlare al posto nostro."
Il ragazzino non aveva trovato nulla con cui rispondere; osservava le ombre
scure dei rami allungarsi sull'acqua e taceva, lontano mille miglia nella sua
impenetrabile corazza di silenzio. Le sembrava che quella lì parlasse
un'altra lingua e che s'ostinasse stupidamente a volerla insegnare anche a lui.
Bah, tutto fiato sprecato. Inutile.
Si sentiva a disagio, perciò non volle neppure guardarla, nervoso come se
indossasse una maglietta troppo stretta:"Sei una strana, tu" replicò.
Gli sfuggì però una voce acuta, fin troppo diversa dal suo solito tono piatto,
una voce dubbiosa, che mostrava un barlume di vita in quella terra
desolata.
Sakura scosse debolmente la testa, si rimangiò le lacrime e ancora sorrise,
felice per niente. Preferì il silenzio, nascose la delusione, poichè non era
così che aveva immaginato il suo primo "appuntamento" con Sasuke-kun,
quel Sasuke-kun, il sogno di tutte le ragazzine di Konoha, Sasuke-kun il
migliore, che da una manciata di giorni poteva chiamare compagno di Squadra. Sasuke-kun
vuoto.
Si avvicinò al parapetto del ponte e poggiò la testa sulle mani, gli occhi
fissi sul mormorio allegro delle acque del fiume.
Non sapeva nemmeno più se Sasuke-kun fosse ancora lì, se se ne fosse andato via
o meno, ma lo disse comunque, forte e chiaro, così da non lasciare il minimo
dubbio:"Sono felice che siamo in Squadra insieme."
Il viso addolcito in un mezzo sorriso, che anni avanti sarebbe diventato la sua
caratteristica, Sakura continuò a sorridere, a dispetto di ogni logica,
osservando i garofani rossi che si allontavano piano, indifferenti, scivolando
sulla superficie cristallina del fiume.
Un anno dopo se n'era
andato.
Anzi, non era neanche un anno preciso, erano appena dieci mesi.
Decisamente i migliori della sua vita.
i tuoi ricordi
sono vecchi ormai
Tsunade non l'aveva
guardata in viso, ma aveva continuato a leggere la pagina della pratica che
aveva sotto gli occhi, il mento inclinato verso il basso, lo sguardo fermo
sulla stessa riga di testo dattiloscritto che stava osservando da ore.
Sakura aveva atteso senza parlare né accennare un qualunque movimento, e in un
fremito aveva sentito di detestare il silenzio della sua Maestra e la sua
incapacità di relazionarsi col dolore dell'anima, una volta curato quello del
corpo. Cosa serviva saper spaccare le ossa e rimetterle a posto, se poi non si
sapeva parlare, lei non riusciva a capirlo. Strinse gli occhi, irritata, e
inspirò una boccata d'aria rovente, le corde vocali che già vibravano modulando
la prima parola.
A quel punto Tsunade aveva alzato lo sguardo, per poi riabbassarlo subito sui
suoi documenti:"Lo sai già" le aveva concesso, la voce amara come la
caffeina, "è inutile che te lo ripeta anch'io. Non me lo far dire, per
favore."
Allora la parola Irreversibile le si era stampata indelebile davanti
agli occhi, e il respiro le era mancato.
Un passo dopo l'altro aveva indietreggiato verso la porta dello studio ed era
uscita, quasi senza far rumore.
Gli occhi azzurri di Naruto, immobili e fissi su di lei, invece l'avevano
uccisa.
"...Come cazzo hai
fatto a ridurti in quel modo" ringhiava Naruto stringendo i pugni,
costretto all'impotenza sulla sedia per i visitatori, "bastardo. Fottuto
egoista bastardo."
Sasuke-kun poteva ascoltare, poteva parlare e poteva rispondere, ma evidentemente
non voleva farlo. Rimaneva muto e statico come una pietra, si sarebbe detto un
cadavere se non fosse stato per l'impercettibile respiro che gonfiava a
intervalli regolari il lenzuolo immacolato e per l'onnipresente 'bip' che
segnalava la sua debole attività cardiaca.
Era vivo, cosciente e senziente, ma era come se rifiutasse di considerarsi
tale.
"Bastardo. Cosa...cosa credi di fare adesso, eh, conciato così? Cosa?!"
Gli occhi di Sasuke-kun erano bendati, ma tutti sapevano che era una
precauzione inutile, poichè la sua cecità era irreversibile: i canali del
chakra erano bruciati, non era possibile ricollegarli al nervo ottico, le cui
fibre erano state tranciate di netto appena prima della cornea, come se
qualcuno d'un tratto avesse spento la luce.
Munita della pila regolamentare, aveva cercato un segno di vita sotto quelle
palpebre e aveva visto un'isola di un bianco malsano e innaturale, che l'aveva
terrorizzata.
Irreversibile. Era una parola dal suono così amaro.
"Stronzo. Stronzo egoista. Non rispondi neppure, non parli, fosse per te
saresti morto in guerra, vero?, morto mentre tentavi di sotterrarci tutti.
Bastardo schifoso."
Cieco a diciassette anni, pensava lei nel frattempo.
I canali del chakra bruciati fino alla radice, troppo danneggiati per poter
essere ricostruiti, e troppo fragili per consentire un trapianto: occhi
inservibili, che spalancati vedevano solo il buio.
Ma doveva provare, si disse, anche se era perfettamente inutile lei doveva
provare: era nata per combattere battaglie già perse, era un suo sacrosanto
diritto, ribadito con orgoglio e costanza fino alla fine.
"La lingua non te l'hanno strappata, eppure non dici una parola, non
ringrazi nemmeno. Sakura-chan ti sta rimettendo a posto e tu non le dici
niente. Tu stai zitto. Pezzo di merda."
Sakura avvertì la pericolosità di quelle parole e pregò che Naruto non notasse
l'incertezza delle sue dita mentre -fingeva- aumentava di pochissimo il
dosaggio dei farmaci.
Cieco a diciassette anni.
L'onda delle sue memorie si mosse appena e le fece serrare le labbra, il viso
stravolto dall'amarezza e dalle notti perse a cercare una -impossibile-
cura.
Cieco a diciassette anni, si ripetè, poi controvoglia aggiunse: come suo
fratello.
"...Non è vero, Sakura-chan?"
e i sogni di notte
che chiedono amore
cadono al mattino
senza te
Ino tagliava
meticolosamente le sue rose, immersa nei fiori della serra di famiglia. Sakura
non si sorprese di trovarla lì, silenziosa e sola, senza nessuno che tollerasse
la sua logorrea e alleviasse il suo umore burrascoso; la salutò, ma l'amica si
limitò a rivolgerle un cenno frettoloso:"...Hai mica visto Sai, venendo
qui?"
Sakura le lanciò un'occhiata inespressiva, poi si ricordò: Shikamaru era in
missione da due settimane e tardava a tornare al villaggio, ecco il vero
motivo, tutto combaciava come in una sequenza logica. "No" scrollò le
spalle, "credo sia in missione."
Udì uno schiocco secco, mentre il gambo della rosa veniva falcidiato senza
pietà e Ino grugniva:"Pure lui, eh."
Sakura la lasciò perdere e sprofondò molle tra i fiori, le ginocchia in terra e
un lungo sospiro spossato che si dileguava nell'aria. Ino parve capire
qualcosa, perchè per un battito di ciglia dimenticò le sue rose e la piega
delle sue labbra divenne amara.
"Non parla ancora?" fece, a voce bassissima.
L'altra scosse il capo, le dita impigliate nei ciuffi d'erba:"No."
Respirò di nuovo, riacquistò colore e con lentezza tornò in piedi, l'uniforme
da Chuunin sporca di terriccio.
"Non parla, non mangia se non è costretto con la forza, non ci ascolta
neppure. Non ci guarda nemmeno, sai? Guarda sempre di lato, verso la finestra,
verso qualcosa che comunque non può vedere." Sul viso di Sakura scivolò un
sorriso insolito, che nonostante tutto sembrava quasi tenerezza.
Ino rimase in silenzio, consultandosi con le sue rose.
"Gli ANBU lo sorvegliano a vista giorno e notte, l'ospedale ormai sembra
una piccola fortezza. Hanno paura che da un momento all'altro qualcuno venga a
riprenderselo, il nostro Sasuke-kun."A tentoni le dita di Sakura sfioravano
i boccioli con delicatezza, per paura di rovinarli.
Non aveva ancora confessato a Ino la domanda che l'assillava da giorni e
giorni, che non la faceva dormire né sorridere senza quel velo di
preoccupazione che continuamente calava su ogni suo gesto, sguardo o pensiero: perchè
Madara non l'ha ucciso. Perchè, si chiedeva, perchè. Madara
non sapeva che farsene di uno Sharingan che aveva divorato se stesso: che cosa
gli serviva farlo recapitare ai Cancelli di Konoha avvolto nel mantello
dell'Akatsuki, cosa. Odiava non capire, lei.
Ino parlava, e Sakura non ascoltava una sola parola. Perchè l'ha lasciato in
vita ridotto così? Perchè?
"...Non può neanche vedere" si lasciò sfuggire ad alta voce.
Ino tagliò un'altra rosa:"Io ho sempre pensato che avesse fatto una gran
cazzata andandosene via quattro anni fa, te l'avevo detto molte volte, però...
adesso è troppo. Dovrebbe esserci pietà, alla fine, anche per chi non la
merita, no?"
Sakura deglutì. Poi annuì e si concentrò su un'aiuola di orchidee dai colori
dell'acqua:"Posso aiutarti, Ino?"
La Yamanka sbuffò:"Annaffia quei fiori, Fronte Spaziosa, ma fà attenzione,
sei talmente imbranata che potresti rovinarmeli."
Sakura non raccolse la provocazione, in silenzio eseguì il suo compito senza
battere ciglio, la testa altrove.
"Ieri ho assistito alla prima fase del processo. Tu non sei venuta"
proseguì Ino.
"Tanto so benissimo che ha tutto il Consiglio degli Anziani contro, è
inutile che venga lì solo per vedere le loro facce, e poi era il mio turno in
ospedale. Kakashi-sensei comunque sta preparando la difesa, e anche
Tsunade-hime, sai?, mi ha promesso che lo aiuterà" ma Sakura, anzichè
sorridere, si rabbuiò un poco. Già mentre lo diceva non si sentiva più molto
sicura di quella promessa.
O forse era perchè aveva aiutato Kakashi-sensei a rintracciare gli antichi
codici del villaggio, e dopo ore e ore passate a leggere dovunque la stessa,
medesima parola (pena di morte) che come un cancello chiuso sbarrava loro la
strada, si erano guardati negli occhi e avevano abbandonato i libri là
dov'erano, a coprirsi di polvere.
"...E Naruto come l'ha presa?"
"Eh?"
"Degli occhi, dico."
"Beh, bene, l'ha presa bene. Dice che gli regalerà un cane guida."
Chissà perchè d'improvviso tutto le sembrava sfocato e non vedeva più bene le
bocche azzurre dei fiori.
Ino non si scompose:"Dici? Non lo facevo così tranquillo."
"No, è che è molto maturato, sai..." replicò Sakura, ma non convinse
neppure se stessa.
Lo sapevano entrambe: stava mentendo. E forse lo sapeva anche Naruto.
"Ino, fammi un mazzo di fiori" esordì Sakura d'un tratto.
"Quali?"
"Quelli là" indicò senza neppure guardare.
"Sakura, lui non può vederli"le rammentò l'amica con una dolcezza che
lei interpretò per mancanza di tatto.
"Questo non ha nessuna importanza" ribattè stanca Sakura, mentre le
orchidee annegavano, "lui può ancora sentirli, non te lo
dimenticare."
Quel giorno Naruto aveva
deciso di offrirle il pranzo e Sakura non aveva neppure insistito più di tanto:
meccanicamente portava alla bocca forchettate di ramen, masticava e deglutiva,
ridacchiando alle battute bislacche del compagno di Squadra.
L'aveva fatto per quattro anni, ormai poteva considerarla un'abitudine del
tutto naturale, quasi come sbattere le palpebre o tossire per schiarirsi la
gola.
Abbassava lo sguardo, però, e pensava: perchè non l'ha ucciso, perchè. Così
com'è non gli servono i suoi occhi, è inutile. Non ha senso riconsegnarcelo
secondo la sua logica, perchè ha agito così, perchè.
"...Ci vorrà ancora molto perchè si riprenda? Io noto dei leggeri
miglioramenti" proclamò ottimista Naruto.
Il viso di Sakura si congelò e per una volta ebbe voglia di gridare fino a
farsi sanguinare i polmoni, ma ovviamente non lo fece, si limitò a lanciargli
un'occhiata inasprita da un lampo di saccenza.
"Sono assolutamente irrilevanti dal punto di vista medico, purtroppo la
strada è ancora molto lunga, il danno alla cornea è stato gravissimo.
Richiederà tempo, lo sai. Il processo di rigenerazione dei tessuti di un organo
così delicato non è istantaneo, i vasi sanguigni devono cauterizzarsi e la
ricostruzione dei canali del chakra passa per fasi successive..."
Naruto l'interruppe con un gesto seccato:"Piantala di parlare medichese,
per favore, non ci sto capendo un emerito cazzo di nulla. In parole povere, quando?
Se ci attaccheranno, lui deve combattere al nostro fianco."
"Questo è fuori discussione, lui non è-"
"Non mi hai risposto: quando?"
Sakura ammutolì per un momento, poi dovette rispondere e trattenne a fatica
l'istinto di piangere:"Non lo so" pigolò, la gola che le faceva male.
La sua voce tremava come quella di una bambina.
Naruto strinse i pugni e sbiancò, gli occhi luicidi di sdegno:"Non eri tu
quella che aveva studiato per anni gli archivi degli Uchiha? E che aveva fatto
ricerche su ricerche su ricerche, e che aveva scandagliato la loro biblioteca
al lume di una lucerna, e che sapeva citare nomi, date ed eventi in punta di
lingua?"
Sakura spalancò gli occhi e si difese con pari ardore:"Questo cosa
c'entra, è vero, io mi sono occupata della storia del Clan Uchiha ma non vuol
dire che-"
"Vuoi dirmi che non hai scoperto niente sullo Sharingan, su come diavolo
si usa e su quali sono i suoi dannati effetti sul portatore?! Dovresti aver
trovato un rimedio, un appiglio, una via d'uscita, dovresti..."
Le gote di Sakura erano andate in fiamme, e la ragazza aveva stretto i lembi
della tovaglietta fin quasi a lacerarli:"Credi che sia semplice, eh, senza
riserve di chakra pari a un quintuplo di quelle di un comune essere
umano?"
Naruto non aveva alzato la voce, le aveva quasi latrato contro,
furioso:"...E tu credi che sia semplice, pur avendole?"
Ed era stata la seconda volta nella sua vita che Sakura aveva visto l'unghiata
di Kyuubi baluginare minacciosa nel volto dell'amico, enfatica come un monito.
Non si erano più detti altro, nessuno dei due aveva accennato a voler parlare o
a finir di mangiare. Anche Naruto, insaziabile per quanto riguardava il ramen,
sembrava aver perso l'appetito.
Erano passati lentamente cinque minuti, che a Sakura erano parsi più lunghi e
interminabili dell'eternità stessa. Cinque minuti inutili comunque, perchè
sapeva già cosa avrebbe fatto.
Allora s'era alzata in piedi, aveva posato una manciata di monete sul tavolino
e se n'era andata, senza neppure guardarlo.
"Scusa, io vado da Sasuke-kun," erano state le sue ultime parole.
Scivola,
scivola vai via
non te ne andare!
L'Archivio del Palazzo
degli Hokage era sterminato, era una città nella città: un microcosmo di
fascicoli polverosi, che raccontavano i più turpi e antichi segreti del
villaggio, destinati a sopravvivere alla falce inarrestabile del tempo,
all'umidità, ai parassiti e alla memoria caduca degli uomini.
Tsunade sembrava molto impegnata, e in effetti lo era: scartabellava mucchi di
scartoffie tossendo per gli acari intrappolati tra le pagine, annotava qualche
appunto incomprensibile su un taccuino e srotolava papiri ingialliti grandi
quanto vele di navi. Tuttavia Sakura, per nulla intimorita, non le dava tregua.
"...Tsunade-hime. Non c'è nessun problema, altrimenti lei me l'avrebbe già
detto, vero?"
Perchè Madara non l'ha ucciso?
La Godaime Hokage fingeva di non sentire, mascherava le parole dell'allieva con
qualche colpo di tosse rauca e, voltata di schiena, si nascondeva nell'aria
stantia e nella penombra degli scaffali ingombri di pratiche e tomi voluminosi.
"Non c'è nessun problema allora. Per quanto riguarda il processo, dico.
Non gli faranno niente, verrà assolto, altrimenti lei me l'avrebbe già detto da
tempo, non è così?" Sakura non demordeva, spazzava via i granelli di
polvere con una manata e senza battere ciglio tallonava la Maestra.
"Non c'è nulla di cui preoccuparsi, è soltanto una formalità che verrà
risolta nel giro di qualche mese, un anno al massimo: se verremo attaccati
dall'Akatsuki non avremo certo il tempo di disquisire su cavilli legali di
sorta. Insomma, i giochi sono già fatti, sarà assolto, andrà tutto bene. Voglio
dire, è completamente cieco, l'ha visto anche lei, l'ha visto Shizune-san e
tutto il personale medico dell'ospedale. E qualunque Chunin con un'elementare
conoscenza di medic-jutsu può verificarlo. Così com'è non rappresenta più
alcuna minaccia per il villaggio, su questo siamo tutti d'accordo, non è
vero?"
Tsunade taceva. Tossiva, si schiariva la gola, mugugnava qualcosa di
indistinto. Sakura comunque non cedeva d'un millimetro, le braccia incrociate
sul petto e la determinazione che brillava spavalda nello sguardo. Seguì la
donna come un cagnolino fedele, non si scoraggiò neppure per un istante.
"Tsunade-hime, è tutto a posto, no?" continuava.
Perchè ha voluto lasciarlo in vita? Perchè ha fatto una cosa così illogica?
"Lo Sharingan gli ha bruciato la vista. Ed è irreversibile, lei lo sa
meglio di me, non esiste alcun rimedio medico, ne abbiamo già parlato ed entrambe
siamo giunte alla medesima conclusione. Dunque non gli faranno niente, è
praticamente inerme, non possono fargli nulla, sarebbe ingiusto..."
Tsunade, d'improvviso, si era bloccata. Aveva smesso di rovistare tra i
documenti del villaggio e si era appoggiata a un tavolino semisommerso da una
catasta di fogli consunti.
Si era lasciata andare a un respiro lungo, profondo, di quelli che arrivano
fino alle punte dei piedi. Poi, con una voce stremata che tuttavia non perdeva
una vena di dolcezza, aveva parlato.
"Sakura, ha ucciso tre Anziani."
Silenzio. Il cuore di Sakura era in apnea.
"Ci avrebbe scatenato contro l'Akatsuki, e non è detto che non succeda,
purtroppo tutto tace e sai meglio di me che questo non è affatto un buon segno.
Ha ucciso tre membri del Consiglio, Sakura. Tre. Riesci a capire...?"
Tsunade questa volta si era girata per guardarla. Era Sakura, però, a voler ad
ogni costo evitare il suo sguardo.
Se n'era andata, minuti dopo, senza aggiungere una parola, non prima di aver
scagliato un tremendo pugno frustrato a uno dei muri dell'Archivio, che per un
istante vacillò come durante un terremoto.
Scivola,
scivola vai via
via da me!
La prima cosa che aveva
fatto era stato staccare accuratamente la flebo e tutti i macchinari collegati
al corpo di Sasuke-kun. Quell'onnipresente 'bip' era sparito di botto e
per un attimo, solo per un attimo si era sentita sollevata.
La seconda cosa che aveva fatto era stata spalancare la finestra, e l'odore del
vento si era immediatamente rovesciato nella stanza, danzando selvaggio e
indomabile come nelle tempeste.
La terza cosa, parlare a Sasuke-kun, ovviamente senza guardarlo in viso.
Sakura aveva preso respiro con lentezza, centellinando ogni singola molecola
d'aria che raggiungeva i suoi polmoni.
Aveva contato uno, due, tre.
Poi aveva parlato.
"Devi andartene, altrimenti ti uccideranno."
Dopodichè aveva sbarrato la porta, s'era avvicinata alla finestra aperta e
aveva gettato un'occhiata cauta e circospetta ai dintorni dell'Ospedale di
Konoha.
La sua voce era dolce, quasi ultraterrena; parlava come se dovesse far
addormentare un bambino o calmare un animale spaventato, come se dovesse
ammansire una forza ancestrale, primitiva e indistruttibile.
"Non vincerai il processo. Il Consiglio non accetterà di risparmiarti la
vita in nessun caso, hai osato troppo, lo sai... Siete arrivati così, di notte,
li avete sgozzati nei loro letti e poi via nel vento... ci avete dimostrato che
nulla è impossibile se si è aldifuori delle regole. Non te lo perdoneranno mai,
mai."
Sakura parlava e osservava le tondeggianti linee verdastre del pavimento di
linoleum, immaginando mille suoni strazianti per ogni morbida curva, delicata
come la mezzaluna di un petalo.
"Devi andare via subito, devi nasconderti, nessuno verrà a cercarti, hanno
troppa paura di un attacco. Ma se rimani qui sei morto, capisci, morto, ti
condanneranno, anche se sei l'ultimo del tuo Clan, anche se sei..."
La sua voce si era spenta d'improvviso, come la fiammella di una candela.
Adesso Sakura fissava i piedi nudi di Sasuke, bianchi come il marmo, posati sul
pavimento, e contava le vene bluastre che s'infittivano dalla punta al collo
come la trama leggera di un ricamo.
"Scappa" riprese a parlare scandendo bene le parole:"Hanno
allentato la sorveglianza. Ho messo dell'artemisia nel thé dei due di guardia,
avrai qualche ora di vantaggio."
Anche in quel momento Sakura si rendeva conto di quanto il suo piano fosse
folle e allucinato: stava mandando Sasuke a morte certa, perchè era cieco,
perdio, cieco senza scampo, ed era una pazzia farlo fuggire sui tetti, una vera
pazzia, però...
"Ascoltami: tu devi andare via. Non puoi rimanere qui un secondo di più,
il Consiglio vuole la tua testa e l'avrà, Tsunade-hime non rischierà un colpo
di stato per salvarti, non vali abbastanza, capisci, e poi ci sono stati troppi
morti, sai, la morte di Jiraya-san... E non ti considerano più uno del
villaggio, tu sei l'intruso, la mela marcia, non si faranno scrupoli. Perciò
per favore, te ne prego, và via, è l'unica soluzione."
Sakura tacque e si rese conto che respirava a fatica.
Madara non l'ha ucciso, non lo ucciderà neanche 'sta volta, lo lasceranno
andare...
I piedi di Sasuke-kun avevano fatto un piccolo, significativo passo in
avanti, un passo malfermo e insicuro come quello di un ubriaco.
E Sasuke-kun, con tutta la semplicità del mondo, aveva parlato per la prima
volta dopo mesi e mesi di ostinato mutismo:"...E quello là?"
Quella voce faceva tremare le montagne, ma Sakura aveva sorriso appena,
dolcemente:"Naruto non lo sa. Lui pensa che i tuoi occhi torneranno...
beh... che tu recupererai la vista. Naruto capirà, tornerà a inseguirti per
riportarti indietro, come abbiamo sempre fatto, e lotteremo e non ci
arrenderemo e un giorno forse... Sarà di nuovo come prima, sì, e Naruto capirà
e andremo avanti insieme, come abbiamo sempre fatto."
Era stata costretta ad alzare gli occhi sul viso di Sasuke-kun e aveva visto
qualcosa che non avrebbe dimenticato mai più, una visione così straziante da
sigillarsi per sempre nella sua memoria: privi di benda, gli occhi di
Sasuke-kun non erano più neri e senza fine, erano incolori come l'acqua,
bianchi e spaventosi, l'assenza di materia, una pagina cancellata. Erano gli
occhi di un mostro.
Quella era ancora la faccia di Sasuke-kun, ma era disperatamente mutilata e
incompleta, era sfregiata, faceva male allo sguardo.
Non avevano più undici anni, e a quel pensiero la gola di Sakura tornò a bruciare
e a sfrigolare, mentre la ragazza si voltava di spalle e rifiutava di osservare
qualunque cosa che non fosse una placida, innocua macchia di muffa grigiastra
che faceva capolino poco sotto il soffitto.
"E il tizio con la maschera?"
"Forse un giorno gliene parlerò. E forse Kakashi-sensei potrà
perdonarmi" Sakura si sforzò di ridere, ma le sue risate suonavano come la
carta che si strappa.
"Io non posso andare da nessuna parte..." borbottò Sasuke-kun, quasi
fosse infastidito. Se si fosse voltata, avrebbe visto disegnarsi sul suo volto
la stessa espressione seccata di ragazzino arrogante che aveva conosciuto molti
anni prima.
"Non è vero, questo non è affatto vero, tu riuscirai a sopravvivere, ci
sei sempre riuscito. Non puoi restare qui, non capisci? Non puoi morire qui, non
puoi."
La voce di Sasuke-kun aveva qualcosa di amaro e ironico al contempo:"Non
c'è nessun'altro posto in cui potrei stare."
Sakura lo incalzò con la voce, pur rifiutandosi di voltarsi:"Và via, và
via, è là che devi stare, non qui, và via subito, qui non c'è più niente
per te, ormai non c'è più niente!!!"
Sasuke-kun stranamente taceva, mentre la ragazza riprendeva fiato piano,
pianissimo. Gli occhi da spettro persi nel vuoto, Sasuke rifletteva, ignaro
della schiena che gli volgeva l'ex compagna di Squadra.
"Non c'è più tempo" ritentò debolmente Sakura, "và via, per
favore. Và via."
Sasuke-kun, assorto in pensieri che non la riguardavano, non accennò neanche a
risponderle. A tentoni con la mano sinistra cercò nell'aria qualcosa che non
esisteva, qualcosa di perfettamente inutile in quel momento. Sakura, dal suo
canto, pensò all'ironia del destino: era di nuovo voltata di schiena con Sasuke
alle spalle, come quattro anni -quattro anni, quarantotto mesi e
millequattrocentosessanta giorni- prima, ma questa volta era lei a
chiedergli di andarsene, andarsene subito, prima che la sentenza venisse
ufficializzata dal Consiglio.
"Sakura" la
chiamò, e fu come riaffiorare da un tuffo negli abissi profondi.
"Sì?"
"...Di che colore sono quei fiori, quei fiori vicino al mio letto?"
(Fu quello il momento in
cui tutte le sue difese si schiantarono a terra in un colpo solo, come un
castello di carte.)
Fu quello il momento in cui capì che lei, Haruno Sakura, era una ribelle,
incapace di smettere d'amare, per quanto ogni singola circostanza le fosse
sfavorevole con una premeditazione quasi divina. Molti avrebbero potuto
definirla un'illusa, ma lei preferiva senz'altro quell'appellativo, per quanto
poco s'adattasse alla sua figura di ragazzina onesta e profondamente buona: ribelle.
Gli anni che le erano piovuti addosso, ecco, non li sentiva già più, così come
la rabbia, la frustrazione, il risentimento. Avevano definito il suo amore per
Sasuke-kun come un ramo secco del destino, ma in quell'istante sentì che le
braci erano tornate a bruciare, bruciare come una volta, e di quell'albero
ramificato che era stata la sua vita non rimaneva più niente.
E sorprendentemente questo non la spaventava, non più.
L'ampolla con l'estratto
d'artemisia che teneva fra le mani cadde a terra e si frantumò in mille schegge
appuntite.
Sakura sorrideva mentre le lacrime scorrevano a fiotti sulle sue gote, ma non
se ne accorse neppure, perchè nello spazio di un respiro si era voltata e aveva
nascosto il viso nella spalla di Sasuke-kun.
I fiori, i fiori di Ino comprati mesi prima che ancora non morivano e
resistevano, resistevano imperterriti nonostante lo sfacelo del tempo,
resistevano, erano ancora lì...
"...Sono rossi,
Sasuke, quei fiori sono rossi."
Fin
Glossario
Rokurokubi: Creatura mitica del folklore giapponese, una
donna con un collo lunghissimo, capace di allungarsi di metri e metri. Non è
chiaro se sia un'entità malvagia o meno.
Note dell'Autrice
Dedicata a Chiara/Artemisia -è l'artemisia
finale è un omaggio a lei- perchè mi ha tirato su di morale quando non riuscivo
a scriverla, a Cami perchè smetterà con le fanfiction (ti odio per
questo, lo sai già ç.ç) e a Chaòs perchè mi va e perchè le voglio bene.
E anche a Gaia e Cla perchè sono le mie amiche, e perchè voglio
bene anche a loro -ecco, l'ho detto, adesso fatevelo bastare per i prossimi
diecimila anni XD-.
Comunque un Sesto Posto al Contest a tema floreale indetto da SweetAudy,
che ringrazio per il giudizio e con cui mi scuso per l'inconveniente dell'invio.
Faccio i complimenti alle prime classificate e a tutte le partecipanti, siete
state davvero bravissime, leggerò le vostre storie quanto prima.
Se qualcuno mi chiede perchè ho scelto un fiore del genere, il garofano, beh, questa è la mia motivazione: ho scelto il garofano, per la precisione il garofano rosso, che significa 'amore vivo, energia', perchè è anche il fiore delle rivoluzioni, dei ribelli, è un fiore passionale e sanguigno, dal profumo quasi aspro, è un fiore poco conosciuto e poco raffinato, un fiore di tutti i giorni, come i rivoluzionari. Eppure è bello, ed è particolare, perchè per me si allaccia alla 'ribellione' di Sakura, condannata per sempre ad amare, nonostante le si oppongano tantissime, troppe cose che rischiano di schiacciarla. L'ho scelto per lei, in fondo, perchè volevo scrivere della sua forza, volevo scrivere delle sue azioni concitate e confuse, del suo tentativo -condotto tutto da sola, sempre e comunque da sola- di cambiare le cose in silenzio, appoggiandosi a Sasuke. Che ovviamente non ha mai capito cosa volessero dire, i garofani rossi.
Probabilmente è confusa, sfalsata su tanti piani temporali, spero non OOC,
tirata per i capelli -come fa Sakura a sapere di Madara Uchiha?! Uhm...- e un
po' così, carente da molti punti di vista.
Ma, c'è un ma.
Mi piace. Perchè il garofano è il mio fiore, e SasuSaku la mia coppia. E perchè
un poco, in fondo, ci credo ancora, alle storie romantiche e a lieto fine.
Ma non ditelo in giro, eh.
Grazie dell'attenzione,
Hipatya