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Autore: Fragolina84    24/07/2014    1 recensioni
Sequel di Un raggio di luce per l'umanità
Driven to tears, spinto alle lacrime.
Loki è tornato e vuole vendetta. Gli Avengers e soprattutto Tony saranno spinti alle lacrime dalla rabbia del semidio di Asgard che si abbatterà su ciò che hanno di più caro al mondo.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'I love Avengers'
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Giorni tranquilli e assolutamente normali a casa Stark.
Godiamoci la normalità perchè le cose presto cambieranno.
Buona lettura e grazie per ogni commento vorrete lasciarmi.

 


Elizabeth Stark andava alla scuola elementare locale. Victoria si era opposta strenuamente ad iscriverla ad una scuola privata.
«Io sono cresciuta nella scuola pubblica, e non mi pare fosse così male» aveva sentenziato quando lei e Tony ne avevano parlato.
Così Elizabeth era stata iscritta alla Juan Cabrillo Elementary School, dove Aaron la accompagnava ogni mattina. Certo, la bambina era l’unica che arrivasse a bordo di una limo blindata e che avesse un bodyguard personale, ma Aaron era perfetto e le assicurava protezione senza diventare ingombrante.
Un venerdì pomeriggio, quando ormai mancavano poche settimane alla fine della scuola e l’estate cominciava già a mostrare la sua promessa, Victoria scelse la R8 e-tron nel parco macchine di Tony e andò a prendere personalmente Elizabeth all’uscita della scuola. La faccia che fece la piccola quando la vide ferma accanto all’auto rossa fiammante di suo padre fu impagabile.
Lasciò cadere lo zaino sul vialetto e le corse incontro. Victoria si abbassò e la prese in braccio.
«Ciao, mamma!» esclamò. «Come mai sei venuta a prendermi tu?»
«Pensavo che potessimo andare a Beverly Hills, fare un po’ di shopping e magari, prima di tornare a casa passare a farci belle, visto che stasera torna papà».
Tony era partito tre giorni prima in compagnia di Pepper, la sua infaticabile assistente, per un viaggio di lavoro. Dopo una breve parentesi anni prima in cui Tony aveva perso la testa cedendo la carica di Presidente a Pepper, le cose erano ritornate a posto. Tony era tornato a capo della compagnia fondata da suo padre e, anche se non erano più gli armamenti ad uscire dai suoi magazzini, le Stark Industries erano all’avanguardia nel campo della ricerca sulle energie pulite.
«E Aaron?» chiese la bimba preoccupata.
«Può farsi bello anche lui» scherzò Victoria, strizzando l’occhio al bodyguard che aveva raccolto lo zaino di Elizabeth e si era avvicinato.
«Problemi, signora?»
«No, Aaron. Ma c’è un cambiamento di programma: io e Lizzy vogliamo concederci un pomeriggio tra ragazze. La bimba viene con me, tu ci seguirai con la limousine».
Raggiungere la cittadina della contea di Los Angeles richiedeva un viaggio di circa tre quarti d’ora e Victoria non aveva fretta, ben decisa a godersi quel momento di intimità con sua figlia, libera da bodyguard e tate. Ma si accorse ben presto che qualcosa non andava: Elizabeth era chiusa e taciturna.
«Va tutto bene, tesoro?» chiese ad un certo punto.
«Sì» rispose la bambina, ma si girò in fretta osservando fuori dal finestrino.
«È successo qualcosa a scuola?» sondò la donna e l’esitazione che ebbe Elizabeth prima di negare fu sufficiente a confermarlo.
«Cos’è successo, piccola?» insisté Victoria.
«Oggi Sandy mi ha detto una brutta cosa» capitolò alla fine.
Sandy era la biondissima figlia insopportabilmente snob dei signori Miller. Victoria non aveva ancora avuto il piacere di conoscere Randolph, ma le erano bastati un paio di incontri con la sua signora, Bridget Miller, una donna che di naturale aveva – forse – il colore degli occhi.
La signora in questione, se di signora si poteva parlare, era stata classificata tra le antipatie di Victoria il giorno in cui si erano incontrate per la prima volta.
Era il primo giorno di scuola di Elizabeth, e Tony e Victoria l’avevano accompagnata alla Juan Cabrillo, dove erano presenti anche tutti gli altri genitori, compresa la procace signora Miller, che aveva puntato Tony da che era sceso dall’auto.
Da quando stava con Tony, si era dovuta suo malgrado abituare a come le donne si aggirassero attorno a suo marito come api intorno ad un favo. Non era colpa di Tony, che non faceva nulla per incoraggiare tali manifestazioni, e la cosa scivolava su Victoria lasciandola quasi sempre indifferente. Il fastidio che poteva provare scompariva di fronte alla certezza che Tony amava lei e non guardava nemmeno le altre.
Ma quel giorno, quando Bridget Miller si era avvicinata a Tony e gli aveva posato sull’avambraccio una mano carica di anelli e dalle unghie lunghe laccate di rosso, schiacciandogli il seno rifatto contro il bicipite e sporgendo le labbra siliconate in un broncio, l’irritazione aveva raggiunto un livello considerevole.
«Ciao, Tony» aveva mormorato la donna con voce suadente. «Hai accompagnato tua figlia a scuola?»
«Abbiamo accompagnato nostra figlia a scuola» aveva precisato Victoria, ma Bridget l’aveva ignorata.
«Spero che la mia Sandy e tua figlia diventino grandi amiche» aveva detto invece, sporgendosi ancor di più verso di lui. Victoria aveva temuto che il seno debordasse dalla vertiginosa scollatura.
Prima che Tony potesse replicare lo aveva preso per mano e l’aveva allontanato dalla presa della donna, piazzandosi fra i due.
«Posso presentarle mia moglie Victoria, signora Miller?» aveva pronunciato Tony, sogghignando divertito di fronte al comportamento di Victoria.
«Victoria Stark, piacere mio» aveva sibilato lei, calcando bene sul cognome.
Tony si era quasi strozzato cercando di mascherare la risata che gli era salita in gola: Victoria era molto fiera della propria indipendenza e non usava quasi mai il cognome di suo marito. Non che non fosse fiera di essere sua moglie, ma non voleva passare per una privilegiata, ben sapendo che non c’era porta che quel nome non potesse aprire.
Però stavolta lo aveva fatto, come a voler marcare il territorio, e Tony si era sentito lusingato da quella cosa: nessuna donna aveva mai dimostrato le stesse cose nei suoi confronti. No, la frase non era formulata correttamente: era lui che non aveva mai dato il tempo a nessuna di dimostrare quelle cose.
Bridget a quel punto non aveva più potuto ignorarla: aveva socchiuso gli occhi, come se accettasse la sfida. In realtà, secondo Tony, non c’era sfida. Victoria era una bellezza pura e naturale, senza difetti, ed era brillante e intelligente; Bridget era una bambola di plastica, finta e insipida.
«Molto lieta» aveva mugugnato, lanciando un’ultima occhiata a Tony, e girandosi per andarsene, ondeggiando sui tacchi e sbattendoli con malagrazia sul marciapiede.
«Sei gelosa» aveva costatato Tony.
«Non sono gelosa di quella lì».
«Sì, è quello che ho detto io» aveva ghignato Tony.
Victoria ritornò al presente. «Liz, sai bene che tipo è Sandy».
La donna aveva fatto di tutto per non far trapelare la sua antipatia per la famiglia Miller, ma Lizzy era abbastanza intelligente da capire da sola con chi aveva a che fare e Sandy Miller non era nella lista degli amici ammessi a Villa Stark, circolo che stava diventando più esclusivo di un golf club.
«Sì, lo so. Però mi ha dato fastidio».
«Che ha detto?»
«Che papà è uno sbruffone e un libertino pentito».
Ecco il punto dolente: Sandy aveva osato toccare Tony. Non c’era persona sulla Terra che potesse prendersela con Tony senza scatenare l’ira di miss Elizabeth Maria Stark.
Era evidente che ciò che Sandy aveva detto era qualcosa che aveva sentito in casa; non era certo farina del suo sacco. «E tu cosa le hai detto?» chiese.
«Che è una stupida e che probabilmente non conosce neanche il significato di quelle parole».
Victoria represse il sorriso che le salì spontaneo alle labbra: «Non avresti dovuto darle della stupida» la rimproverò invece.
«Sì, infatti per quello le ho chiesto scusa» replicò.
«E tu lo sai cosa significano quelle parole?» domandò, mentre la bambina giocherellava con la cintura di sicurezza.
«Sì. Secondo Sandy papà sarebbe uno che si vanta di cose che non ha fatto». Girò lo sguardo verso la madre: «È giusto?»
«Sì, sbruffone significa quello. E ti sembra che Sandy abbia ragione?»
«Certo che no!» esclamò con veemenza, dando uno strattone alla cintura. «Il mio papà è un supereroe e Sandy non dovrebbe aprire bocca».
Il mio papà è un supereroe. Chissà quanti bambini lo pensavano del proprio padre. Nel caso di Elizabeth però corrispondeva proprio alla realtà.
«E libertino pentito che significa?» incespicando un po’ sulla parola.
Questa è più tosta da spiegare.
«Significa che papà ha avuto, diciamo, diverse fidanzate in passato».
«Ma è stato prima di incontrare te» osservò la bambina.
«Sì, esatto. Prima ancora di diventare Ironman».
«E allora? Che problema ha Sandy?» esclamò.
Il problema di Sandy sono i suoi genitori, avrebbe voluto dirle, ma si morse la lingua.
«Ora ascoltami, Elizabeth. Mamma e papà sono personaggi pubblici. Ciò significa che sono sempre sotto l’occhio delle telecamere e dei giornalisti, e la gente guarda tutto ciò che facciamo».
Era un discorso che avevano già affrontato quando Elizabeth aveva chiesto come mai lei doveva andare a scuola con Aaron che la seguiva dappertutto mentre gli altri bambini no.
«Papà è il presidente di una grande azienda e tu sai bene che è molto ricco. E questo, purtroppo genera invidia».
«Cioè le altre persone sono gelose di quello che abbiamo?»
«Sì, è così. Non tutti possono andare a Beverly Hills quando vogliono a bordo di una costosa fuoriserie come facciamo noi. E allora dicono quelle cose poco carine su tuo padre. E su di me».
Elizabeth rimase in silenzio, ponderando sulle parole che aveva appena udito.
«Sai cosa puoi fare?» disse ad un certo punto Victoria. «La prossima volta che qualcuno dice qualcosa del genere a proposito di Tony devi guardare negli occhi la persona che ha parlato e dirgli: il mio papà sarà anche uno sbruffone ma ha salvato il mondo più di una volta, e quindi ha salvato la vita anche a te e ai tuoi genitori».
La bambina ci pensò su per qualche istante.
«Mi piace questa risposta, sai?» decretò alla fine e Victoria ridacchiò, mentre parcheggiava la R8 targata Stark16 in un posto libero.
«Bene! Allora che ne dici di un bel gelato, tanto per dimenticare Sandy?»
Vagabondarono per Rodeo Drive, seguite a brevissima distanza da Aaron che non le perdeva d’occhio, ridacchiando dei vestiti assurdi esposti in alcune vetrine ed entrando in una miriade di negozi. Elizabeth volle comprare una cravatta nuova per Tony e si impegnò per far impazzire la commessa di Armani alla ricerca della carta da regalo perfetta per il suo papà, prova che la donna sopportò con stoicismo. Quando finalmente consegnò il pacchetto perfettamente avvolto nella carta prescelta, a Victoria non sfuggì il sospiro di sollievo che emise.
Dopo la sosta dal parrucchiere, ritornarono alla macchina, ed Elizabeth sancì che quello appena trascorso era uno dei migliori pomeriggi della sua vita.
Alla fine, Tony ritardò il rientro, trattenuto dagli affari, ed erano quasi le undici quando entrò in casa, sciogliendo il nodo della cravatta.
«Bentornato, signor Stark» disse automaticamente Jarvis.
«Ciao, Jay».
Victoria si alzò dal divano e gli andò incontro.
«Ciao, signora Stark» mormorò lui, posando le labbra sulle sue.
«Sei stanco?» chiese la donna, cingendogli i fianchi e tendendosi all’indietro per guardarlo in viso.
«Sì, non è stata la trattativa facile facile che io e Pepper ci aspettavamo». Si strofinò gli occhi. «Adesso ho solo voglia di togliermi l’abito del presidente e stare un po’ con te. Lizzy?» chiese e lei si scostò, indicando il divano.
«Ha provato ad aspettarti sveglia, ma non ce l’ha fatta. Però mi ha fatto promettere che, nel caso si fosse addormentata, avrei dovuto lasciarla lì finché non fossi tornato».
Tony si avvicinò al divano: Elizabeth dormiva profondamente e sospirò quando le accarezzò il viso. Il pacchetto regalo era sul tavolino davanti a lei.
«La porto a letto» disse, prendendola delicatamente in braccio.
«Ti aspetto in camera».
Mentre saliva le scale, Elizabeth aprì appena gli occhi.
«’ao, papà» mormorò.
«Ciao, piccola. Continua a dormire, ci vediamo domani».
«Ti ho… ‘eso… ‘egalo» biascicò, in dormiveglia.
«Sì, ho visto. Grazie, amore. Lo apriamo insieme domani, ok? Ora dormi».
La bambina non rispose. Tony la mise a letto, baciandole la guancia rosea. Poi raggiunse Victoria in camera da letto. Si tolse la giacca, sistemandola sulla poltrona, mentre la donna gli si avvicinava.
«Lascia fare a me» disse, togliendogli i gemelli e sbottonandogli la camicia, baciandolo ad ogni bottone.
«Sembra quasi che avesse voglia di vedermi, signora Stark» scherzò lui, affondando il viso nei suoi capelli.
«Un po’» ammise lei. «Ti sto preparando il bagno», disse poi.
«Entri in vasca con me?» chiese, prendendola per mano e trascinandola in bagno senza attendere la sua risposta.
«Se Giuseppe sapesse che ho intenzione di sciupare il suo lavoro, mi ammazzerebbe» mormorò la donna, riferendosi al parrucchiere, ma seguì Tony.
Lui entrò nella vasca, appoggiando la schiena alla parete, osservando Victoria che si spogliava e si appuntava i capelli sul capo con qualche forcina. Poi sedette nell’acqua delicatamente profumata di agrumi e appoggiò la schiena al suo petto, mentre lui le stringeva le braccia attorno.
Si sistemò in modo che il minireattore non le premesse contro la spina dorsale e posò il capo sulla spalla di Tony, abbandonandosi al piacere di quella intimità. Aveva capito che Tony non aveva voglia di parlare quella sera, sicché si accontentò di rimanere all’interno del suo abbraccio, cullata dal suo respiro ritmico e regolare.
Dopo quello che le parve un tempo lunghissimo, quando l’acqua cominciava ormai ad essere più fresca sulla pelle, Victoria mosse la testa, girandosi lentamente a guardarlo.
«Dimmi» disse lui, senza aprire gli occhi, la testa reclinata all’indietro.
«Niente. Pensavo ti fossi addormentato».
Aprì gli occhi e la guardò. «No, mi stavo solo rilassando. Non sono più abituato a starti lontano, avevo bisogno di sentirti vicina».
Victoria sollevò una mano gocciolante e gli accarezzò la guancia, attirandogli poi la testa verso la propria. Tony fu stranamente delicato, muovendo le labbra in modo lento e sensuale, e stringendola a sé con tenerezza.
Era uno di quegli istanti eccezionali che ogni tanto capitano nell’universo, meraviglioso nella sua perfezione come un allineamento planetario: era un momento in cui non servivano parole, in cui sentivano di essere una cosa sola anche senza unirsi fisicamente, quell’attimo straordinario in cui due cuori battono allo stesso ritmo.
Un piccolo assaggio di paradiso.
  
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