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Autore: Ayepandayay    24/07/2014    7 recensioni
Le foto possono raccontare di esperienze, avvenimenti, sentimenti, che hanno segnato la nostra vita. Niall Horan racconta della sua vita attraverso delle semplici foto, che per lui significano molto più di semplici scatti.
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Niall Horan, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Photos
 
“Teniamo questo amore in una fotografia
Abbiamo fatto questi ricordi per noi stessi
Dove i nostri occhi non si chiudevano mai
I nostri cuori non si sono mai stati spezzati
E il tempo era perennemente congelato, ancora”
Photograph-Ed Sheeran
 
Sono disteso sul divano color salmone del salotto. Sto sfogliando un album di foto. Ma non sono semplici foto. Sono quelle foto. Le foto che hanno segnato la mia infanzia, la mia adolescenza, la mia vita. Ora che le guardo meglio, noto che accanto a me c’è sempre lei: Amèlie.
Amèlie Lawrence era una ragazza tranquilla e insicura. Tutti l’avevano sempre presa in giro per la sua robustezza; “In realtà ho le ossa grandi, e un intestino meravigliosamente largo” diceva lei ogni volta, sottolineando la parola “meravigliosamente”. Non se l’era mai presa più di tanto, anzi, ci scherzava sopra. All’età di due anni perse entrambi i genitori, e andò a vivere dagli zii materni; non era una ragazza che si piangeva addosso, però, e neanche quell’argomento sembrava turbarla. Fino all’età di quattordici anni, le prese in giro si limitavano a semplici battute sul suo fisico; dai quindici in poi, iniziarono le vere e proprie offese, come “Ma guardati, sei una balena”, oppure “L’ippopotamo più grasso del mondo t’invidia”, fino a quelle come “Ma ucciditi, le balene grasse come te non le vuole nessuno”, seguito da risatine, e minacce di morte. Nonostante tutto, manteneva il sorriso. Sembrava sempre imperturbabile. Sembrava.
Guardo la prima foto: siamo Amèlie ed io all’asilo. Siamo sullo scivolo nel cortile della scuola, e ci stiamo divertendo un mondo con gli altri bambini. Lei con gli occhi chiusi, ridente, le guance paffute, il cappotto rosso, un paio di jeans, e le scarpe luccicanti; io con lo sguardo assonnato, un mezzo sorriso, la t-shirt azzurra, un paio di jeans strappati, e delle scarpe tutte sporche di fango.  
Avremmo avuto circa quattro anni. Io, un bambino sempre imbronciato, disobbediente, ma vivace, gli occhi azzurri sprizzanti di energia e curiosità infantile, i capelli castani, non ancora tinti, le guance costantemente rosse; lei, un’adorabile bambina piuttosto irascibile, che quando capitava faceva a botte con i bambini più grandi, e sì, vinceva sempre lei. I capelli castani raccolti in mille codini e pinzette, i grandi occhi del medesimo colore che fulminavano chiunque la guardasse; nonostante quest’apparenza, era una bambina molto divertente: aveva un’amica immaginaria, Julie, rideva in continuazione, ed era gentile con tutti. Certo, con tutti quelli che le stavano simpatici.
Non so spiegare con esattezza come diventammo amici, all’asilo non parlavamo molto, ma si sa, i compagni dell’asilo non si ricordano più, una volta iniziate le elementari.
Ricordo come se fosse ieri il primo giorno di prima elementare.
-Ciao! Tu sei Niall, giusto? Niall Horan! Io sono Amèlie Lawrence, ti ricordi di me? Eravamo in classe insieme all’asilo!- esclamò Amèlie tutto d’un fiato. Parlava parecchio veloce, sì.
Era abbastanza cambiata dall’asilo: i suoi capelli erano cresciuti, ed erano raccolti da una semplice coda. Era diventata anche più alta (ovviamente) e molto più loquace. All’asilo parlava pochissimo.
Passo alla seconda foto: è la foto di classe di terza elementare. Tutti i nostri compagni hanno delle facce serie o stanno in posa, tranne Amèlie e me. Lei con un sorriso sbarazzino, i capelli raccolti in due codini che si posano delicatamente sulle spalle, t-shirt bianca con la faccia di un orsetto stampata, gli onnipresenti jeans, le scarpe da ginnastica bianche. Io con un sorriso furbetto, la lingua da fuori, che faccio le corna da dietro a una bambina che mi stava poco simpatica. La t-shirt bianca coperta dal giubbino di jeans, i pantaloni neri, e scarpe da ginnastica blu elettrico.
Durante quei cinque anni ci conoscemmo meglio, ma non diventammo grandi amici.
Io ero un bambino normale, che “studiava” poco (per quello che si può studiare alle elementari), non faceva i compiti… devo ammettere che non ero molto brillante. Anche il mio comportamento non era dei migliori: ogni volta che un insegnante mi faceva una domanda, me ne uscivo con una canzone, o semplicemente alzavo le spalle e non lo guardavo neanche in faccia. Andavo abbastanza d’accordo con i miei compagni di classe.
Amèlie invece era una bambina allegra, abbastanza silenziosa, che cercava di essere amica di tutti. Studiava il minimo indispensabile, ma era quella che si comportava meglio in classe; purtroppo era presa in giro per la sua robustezza, cui lei rispondeva con profondi sospiri.
 
Terza foto. È stata scattata quando andavo in prima media. Sono da solo seduto sulle scale di casa mia. Ho la faccia seria, più che altro cerco di fare il duro. Sono piuttosto abbronzato perché quell’estate avevo preso parecchio sole. Indosso una felpa blu, un pantalone più scuro con il cavallo basso, e delle scarpe da ginnastica grigie. Ricordo che quell’anno mi tinsi i capelli di biondo, e fino a qualche anno fa lo facevo ancora.
In prima media Amèlie ed io non andavamo nella stessa classe, ma ho “preso in prestito” una foto dal suo album di fotografie.
Ha i capelli lunghi e castani che le cadono sulle spalle, le guance rosse in contrasto con il viso pallido, una giacca di pelle nera, un jeans scuro, e degli stivaletti neri. Sul suo volto non c’è traccia dell’allegria che ero abituato a vedere alle elementari, ma solo degli occhi cupi, gelidi, e delle labbra neutre, senza l’accenno di un sorriso, o di un’espressione qualsiasi. Solo labbra rosse e gonfie che non lasciano trasparire emozioni.
Non ho dei bei ricordi della prima media. Frequentavo ragazzi che facevano a botte per qualsiasi cosa, ragazze che prendevano un “Ciao” per un “Vuoi venire a letto con me?”, la mia condotta era pessima, rischiavo di essere bocciato.
Una volta i ragazzi del mio “gruppo” ebbero l’idea di fare uno scherzo ad Amèlie. Non ci facemmo scrupoli, poiché era presa di mira da tutta la scuola: dopotutto, lei era la grassa secchiona che non diceva mai parolacce, no? Così la vedeva tutta la scuola. E beh, sì, anch’io.
Toccava a me farle lo scherzo. Avevo già in mente qualcosa. “le mie idee sono sempre le più geniali”, pensavo. “Che cosa penserebbe tutta la scuola se sapesse che la santarellina andasse a letto con me?” pensai “Però non ci voglio andare a letto davvero. Che schifo!” ancora oggi mi vergogno dei miei pensieri.
Dopo la scuola tornava a casa a piedi, così, decisi di seguirla.
-Heilaà- le corsi vicino.
-Oh, ciao- mi guardò di sfuggita accennando un debole sorriso.
-Ti va di andare a mangiare qualcosa insieme?- le proposi senza tanti giri di parole.
Spalancò gli occhi e mi guardò come se fossi un pazzo maniaco assassino appena uscito da un manicomio.
-N-no grazie, devo tornare a casa- farfugliò.
Ma che diavolo…? Nessuna mi ha mai detto di no!” pensai stupito.
-Ehi, guarda che non ti mangio mica- allargai le braccia con tono ovvio.
-Lo so, lo so, ma… non posso- accelerò il passo.
Arrivammo in un vicoletto isolato.
-Cavolo! Tu abiti qui?- le chiesi.
-Sì- rispose in tono distaccato. Poi si fermò e si girò verso di me –ma tu che ci fai qui?-
-Voglio conoscerti- le sorrisi.
-Ah- alzò un sopracciglio.
-Che c’è? Non mi credi?-
-Non è questo… è che ora non ho tempo- mi guardò.
Era uno sguardo profondo, in un certo senso triste ma spaventoso allo stesso tempo.
-Va bene, allora me ne vado- dissi senza rendermene conto.
Che cosa ho appena detto?” pensai.
Il tempo di guardarmi intorno, ed Amèlie era già sparita.
Ero arrabbiato con me stesso: “Perché l’hai lasciata andare via così?” mi chiedevo.
Così mi incamminai nervoso e stizzito verso casa.
Che cosa dirò adesso ai miei amici?” pensai. “Se dico loro che non ho fatto lo scherzo a quella ragazza, mi prenderanno per uno sfigato!”.
Allora ebbi un’idea. La trovavo decisamente brillante. Che idiota che ero.
Il giorno dopo, fuori scuola, mi presentai prima del solito. Entravo sempre alla seconda o alla terza ora. Non che mi importasse delle lezioni.
-Ehi!- urlai avvicinandomi a Amèlie.
Lei si voltò verso di me e sbiancò.
Le misi un braccio intorno alle spalle come se fosse stata la mia ragazza.
-Ci siamo proprio divertiti ieri sera, eh?- le rivolsi un sorriso malizioso, facendole un occhiolino.
Che attore che sono” pensai orgoglioso di me stesso.
Un gruppetto di ragazzi che ci osservavano, ci guardavano maliziosamente, ridacchiavano, facevano commenti poco carini. Proprio quello che volevo accadesse.
Guardai Amèlie: da pallida era diventata rossa come un peperone, sembrava stesse per scoppiare a piangere da un momento all’altro.
Un po’ per continuare la “recita”, un po’ per davvero, le misi una mano sotto il mento.
-Non essere timida, tesoro- le sussurrai.
Si voltò verso di me. Aveva un’espressione tranquilla e confusa allo stesso tempo, indecifrabile.
-Scusami- sbatté le palpebre pettinandosi con le dita i lunghi capelli –io non ti conosco-
-Ma come?- recitai io –non ti ricordi di me? Ieri sera, tu ed io…- non mi lasciò finire la frase.
-Ieri sera io ero a fare cose più importanti- sospirò.
Alzai un sopracciglio.
-A studiare- alzò gli occhi al cielo con tono ovvio, facendo scoppiare a ridere il gruppetto di ragazzi che ci osservava.
Nessuno è più bravo di me a recitare” mi dissi intanto, cercando di autoconvincermi
Stavo per dire qualcosa ad Amèlie, ma suonò la campanella e lei sgattaiolò nella scuola.
Aveva vinto lei, dovevo riconoscerlo.
Teneva alla sua dignità di ragazza innocente più di quanto io avessi potuto immaginare
 
Sospiro. Quanto ero stupido? Mi passo una mano tra i capelli e prendo un’altra foto. È quella di seconda media.
Quell’anno Amèlie cambiò classe: non ce la faceva più a sopportare quei ragazzi, era stanca di quelle persone.
Per sorteggio(e per mia fortuna) capitò nella mia classe.
Quella che sto guardando è la foto di classe. Amèlie è in piedi(era la più bassa della classe), io vicino a lei. Lei con un completo di jeans, mezzo sorriso(un po’ inquietante) stampato in faccia, i capelli lunghissimi che le arrivano alla vita. Ha il viso meno pallido rispetto l’anno prima, le labbra che tendono al rosa, ma comunque gonfie. Io invece indosso una maglia verde con su scritto “I’m better”, un paio di jeans strappati, e delle blazer blu. Ho una faccia abbastanza seria.
Quell’anno per me fu un anno di cambiamento radicale.
 
-Ehi, ma tu sei la sfigatella!- esclamai non appena Amèlie mise piede in classe.
Non mi aspettavo una sua reazione, infatti si limitò a sospirare, per poi andarsi a sedere in un banco vuoto.
Qualche giorno dopo l’inizio dell’anno scolastico, la prof di matematica decise di farmi sedere accanto a quella ragazza.
Questa è pazza. Non mi siederò mai vicino ad una sfigata come quella” pensai con cattiveria.
Protestai molto per quel posto, sì. La professoressa era convinta che Amèlie mi avrebbe portato sulla “buona strada”. Non smetterò mai di ringraziare quella donna. Non per le lezioni di matematica, sia chiaro.
Dopo circa un mese di protesta, mi arresi.
E va bene, conosciamo questa Amèlie” mi dissi.
-Senti- le parlai con tono scocciato –a me non piace stare vicino a te, mi piacerebbe essere altrove, ma siccome la prof mi costringe a stare qui perché è convinta che tu riesca a portarmi sulla buona strada, beh, cerca di renderti utile-
Lei sollevò le sopracciglia.
-Scusami- mi disse in tono pacato –se tu per primo non vuoi migliorare, io non posso fare niente- alzò le spalle e si girò dall’altra parte.
Ridussi per un momento gli occhi a due fessure.
-In che senso?- chiesi fingendomi disinteressato.
-Io posso aiutarti, spiegarti quello che non capisci, anche mille volte se vuoi, ma devi essere tu a studiare, non posso farlo io al posto tuo- s’interruppe –non sempre, almeno-
-Sarà difficile?- la guardai con aria di sfida, ma lei sembrò non notarlo.
-Beh, sì- ammise –ma dovrai abituartici, un giorno o l’altro- sospirò.
Sembrava che quel “discorso” che mi stava facendo fosse più complicato di quanto sembrasse.
-Ci proverò- sospirai, sentendo la mia stessa voce addolcirsi.
Fu strano sentire la mia voce così tranquilla, paziente, e non dura e arrogante come solitamente la sentivo.
Mi guardò come intenerita.
Avrà notato anche lei il cambio del tono della mia voce?” pensai mentre i suoi occhi color cacao mi fissavano timidamente.
Rivolsi lo sguardo verso di lei, che mi sorrise dolcemente, per poi voltarsi verso il professore di lettere che continuava a spiegare “La Divina Commedia”, davvero convinto che qualcuno lo stesse ascoltando.
Decisi di imitarla, cercando di capire cosa effettivamente il prof stesse dicendo.
Mi resi conto che in fondo non era tanto brutto ascoltare il professore spiegare.
Oh no! Che mi sta succedendo? Non starò diventando un secchione come lei, spero!” pensai.
-Senti- mi rivolsi a lei con tono deciso.
Si voltò verso di me.
-Sì?-
-Io non voglio diventare un secchione come te. Non voglio essere preso in giro da tutti- la guardai di traverso, cercando di dare effetto alla frase.
-Allora è per questo che non studi- si mise una mano sotto il mento, squadrandomi dalla testa ai piedi.
-Cosa?-
-Tu pensi che studiare sia una cosa da sfigati. È per questo che non lo fai. Dico bene?-
Abbassai lo sguardo. Che cosa avrei potuto dire?
-Fai così per essere accettato- continuò –eh già. Questa è la società. Quelli che studiano sono degli sfigati, mentre quelli che non lo fanno… sono fighi- sospirò –o almeno vengono definiti così-
La guardai confuso. Nessuno mi aveva mai parlato così, neanche mia madre.
-Non puoi far sempre parte della massa. Devi distinguerti in qualche modo- scrollò infine le spalle.
-E tu?- le chiesi all’improvviso.
-E io cosa?- mi guardò.
-Perché studi? Per distinguerti?-
Quella domanda sembrò spiazzarla. Sollevò la testa, come per cercare una risposta, che a quanto pare non trovò.
-No- rispose semplicemente con un tono distaccato. Si girò verso il professore –non lo faccio per distinguermi-
Avrei voluto chiederle “allora perché lo fai?”, ma decisi che era meglio lasciar stare.
Non so perché tra tutti gli episodi che sono successi in seconda media con Amèlie, vi sto raccontando questo. Cosa diavolo c’entra lo studio con la storia tra me e lei? Abbastanza, credo.
 
Nel corso dell’anno, io e lei diventammo grandi amici, cosa che non avrei mai pensato possibile. Le insufficienze erano sempre di meno, e io mi sentivo diverso. Stavo diventando diverso. Ma diverso in senso positivo. Amèlie mi stava cambiando: ero più gentile con tutti, non facevo più a botte con i ragazzacci delle altre classi.
 
In terza media ero proprio un bravo ragazzo. Devo tutto ad Amèlie: grazie a lei scoprii che comportarsi da persona civile non è una cosa da sfigati, anzi. Ciò che mi aiutò di più furono i suoi incoraggiamenti. Adoravo quando mi sorrideva e diceva “Sono fiera di te, continua così” o “Ce la puoi fare, non scoraggiarti”. Non ho mai ricevuto incoraggiamenti simili, neanche dalla mia famiglia.
Certo, non fu solo lei a cambiare me, ma anch’io riuscii a fare la mia parte. Sono abbastanza sicuro di averle impresso un po’ di fiducia in se stessa, anche se non so come.
Decidemmo di iscriverci entrambi al liceo scientifico.
“Pessima scelta” ci dicevano i nostri compagni di classe, guardandoci come delusi dalle nostre scelte.
Ma a noi non importava più di tanto, perché stavamo seguendo le nostre passioni, ed eravamo entrambi felici di esserci iscritti alla stessa scuola. Da questo punto di vista, cosa potevamo chiedere di meglio?
 
Giro la pagina dell’album, e trovo una foto del primo liceo: c’è lei, capelli sempre più lunghi, la felpa blu con la scritta “Free Hugs” che le regalai al suo tredicesimo compleanno, i jeans scuri e aderenti, le converse blu elettrico. Poi ci sono io; un sorriso sghembo stampato in faccia, una camicia color menta, un pantalone pistacchio, e le blazer verdi.
Eravamo una strana accoppiata di studenti.
Durante l’intero anno scolastico, credo di non averla mai vista senza almeno un libro in mano. Prendeva tutto molto sul serio. Certo, anch’io facevo del mio meglio per ricevere buoni voti, ma non riuscivo a stare al suo livello.
Fino al quarto anno, i rapporti tra noi erano più che ottimi: ormai eravamo migliori amici; studiavamo, mangiavamo, scherzavamo insieme. Qualche volta dormivamo persino nello stesso letto. Dormivamo solo, non ci sfioravamo neanche, al massimo lei mi stringeva a sé quando c’erano i forti temporali, i quali mi spaventavano tantissimo. Erano rassicuranti le sue braccia che cingevano il mio corpo, e la sua spalla contro cui rifugiavo il mio viso. Lei invece non aveva paura di niente. Almeno così sembrava.
All’inizio del quarto anno andava tutto liscio; poi arrivò il mio diciottesimo compleanno.
Diedi una grande festa nel ristorante di famiglia: invitai nonni, zii, cugini lontani e vicini. Amèlie era l’unica non parente a essere stata invitata; ricordo che arrivò con due ore di anticipo, e mi aiutò a organizzare e preparare il ristorante.
 
Era un fresco e piovoso martedì di settembre. Qualcuno entrò nel ristorante, nonostante la scritta “Chiuso” sulla porta d’ingresso.
Intravidi una persona con l’impermeabile blu, un jeans chiaro, e una grande busta in mano, quindi esclusi che potesse essere qualcuno invitato alla mia festa.
-Chi è? Il ristorante è chiuso…- avanzai cercando di capire chi fosse quella persona.
-Niall… sono io- rispose la mia migliore amica abbassando il cappuccio.
-Amèlie!- esclamai non appena la riconobbi.
-Niall- mi sorrise dolcemente, come solo lei sapeva fare.
-La festa è alle nove, e adesso sono... - guardai l’orologio da polso in acciaio che lei stessa mi aveva regalato un anno prima –le sette! Che ci fai qui ben due ore prima della festa?- le chiesi con aria sorpresa.
-Voglio aiutarti a preparare la festa- sul suo viso comparve un leggero rossore, tipico di quando riusciva a pronunciare più di tre parole.
-Amèlie…- la guardai intenerito –non devi. È la mia festa-
-Non sei mai stato bravo con i preparativi, vero Horan?- m’interruppe, mettendo le mani sui fianchi.
Le sorrisi. Adoravo quando mi chiamava per cognome. Anzi, adoravo il suo modo di parlare, così calmo, tranquillo. La sua voce era così rilassante, abbastanza roca, e allo stesso tempo dolce.
-Niall?- mi chiamò.
Accidenti, ero rimasto a fissarla senza rendermene conto.
-Stai bene?- si avvicinò a me.
-Sì- alzai la testa sorridendo –mi aiuti ad apparecchiare i tavoli?- le chiesi per cambiare argomento.
-Certo- sorrise, togliendosi l’impermeabile blu, scoprendo così una felpa rossa da college.
-Sei sempre la solita- ridacchiai.
-Perché?- chiese facendo l’offesa.
-Solo tu puoi indossare jeans e felpa a un compleanno di diciotto anni- risi.
-Oh- sembrò ricordarsi di qualcosa –dopo mi cambierò- sorrise indicando la grande busta che aveva portato.
-Ah- annuii.
Non riuscivo a immaginare Amèlie con un vestito elegante. L’avevo sempre vista con jeans o pantaloni addosso, non sapevo davvero cosa aspettarmi.
 
Circa un’ora e mezza dopo, finimmo i preparativi per la festa.
-Grazie mille- la abbracciai, noncurante del sudore che faceva appiccicare i miei capelli alla fronte.
-Siamo sudati- ridacchiò –e puzziamo come due calzini-
Scoppiai a ridere.
Notai qualcosa accendersi nei suoi occhi, come una luce, uno scintillio, qualcosa che brillava. Ma fu questione di un secondo.
-I calzini di tutte le persone normali- rispose infine ridendo.
-Se lo dici tu- sciolsi l’abbraccio –se vuoi puoi usare il bagno di sopra-
-Grazie- esclamò salendo di corsa la rampa di scale che portavano alla porta d’ingresso di casa mia.
Accidenti! Ma anch’io mi dovrei cambiare! Non posso mica accogliere tutti in jeans e camicia? Speriamo che Amèlie si sbrighi!” mi ricordai.
Dopo circa un quarto d’ora qualcuno scese le scale.
-Amèlie? Sei tu?- mi voltai.
-No, sono io- la voce di mia madre.
-Mamma? Che ci fai qui? Non dovresti essere di sopra a cucinare?- le chiesi alzando un sopracciglio.
-È quasi tutto pronto- incrociò le braccia al petto.
-C’è qualcosa che non va?- chiesi titubante.
-Che ci fa Amèlie nel bagno, di sopra?- stavolta fu lei ad alzare un sopracciglio.
-Mi ha dato una mano a preparare la festa, e adesso si sta dando una sistematina…- le risposi scrollando le spalle.
Alzò gli occhi al cielo.
-E tu? Non penserai mica di presentarti conciato così, vero?- mi guardò minacciosa.
-No, mamma, infatti, non appena Amèlie uscirà dal bagno, andrò di corsa a prepararmi-
Poi sentii dei passi. Qualcuno stava scendendo dalle scale. Chi poteva essere se non lei?
-Niall, ho finito!- esclamò fermandosi in un punto della scala in penombra.
-Va bene. Scendi, dai, Amèlie!-
-Non posso! Scenderò più tardi… tu intanto vai a prepararti, qualche invitato è già arrivato!- esclamò prima di risalire le scale e sparire nell’ombra.
Decisi di seguire il suo consiglio senza pensarci troppo: andai di sopra e mi preparai per accogliere i parenti.
Dopo circa un quarto d’ora, scesi nel ristorante: l’atmosfera era completamente cambiata.
Familiari che parlavano, si sedevano, ridevano, si rincontravano dopo tanto tempo.
-Niall, finalmente!- mia madre corse verso di me –ti stavamo aspettando tutti!-
Annuii, per poi fare il giro dei parenti, che a turno mi fecero gli auguri e mi porsero i loro regali.
Notai una ragazza che non avevo mai visto, seduta accanto a mia cugina; “Sarà una sua amica” pensai scrollando le spalle.
-Niall!- mi chiamò mia cugina –vorrei presentarti qualcuno!- esclamò facendomi segno di avvicinarsi a lei.
Mia cugina Lilly era una ragazza alquanto popolare nella sua scuola, per questo aveva tanti “amici”. Era bassina, gli occhi color nocciola e i capelli ramati e corti. Non abbiamo mai avuto un bel rapporto, ma ci sopportavamo, anche perché non ci vedevamo quasi mai.
-Sì? Cosa c’è?- mi rivolsi a lei cercando di sembrare interessato.
-Questa è la mia migliore amica: Chantal. Voleva tanto conoscerti…- la ragazza sospirò indicandomi l’amica.
Guardai meglio la ragazza: aveva i capelli abbastanza lunghi e biondi che si poggiavano sulle piccole spalle, due occhioni azzurri acquamarina; aveva una corporatura minuta, ed era abbastanza alta. Era truccata con un leggero ombretto blu, che s’intonava con il vestito, mascara, matita, eyeliner neri, un rossetto rosa, e un fard troppo a contrasto con la pelle “vera”.
-Sei proprio elegante, lo sai?- mi disse Chantal con voce sensuale, facendomi un occhiolino.
Mi diedi un’occhiata: avevo un semplice smoking nero, una camicia bianca e una cravatta dello stesso colore dello smoking. Sembrava che stessi andando a un matrimonio.
-Grazie- le sorrisi.
-E io? Come ti sembro?- sorrise a trentadue denti per cercare di sembrare più attraente.
“Sembri un pagliaccio uscito da un film horror” le avrei risposto volentieri, ma me ne uscii con un
-Stai bene anche tu-
-Niall!- una voce familiare mi chiamò.
Mi voltai.
C’era una ragazza con un vestito nero, un corpetto pieno di brillantini, la gonna a balze di velluto, e una cintura con un fiore alla vita. Le maniche erano di tulle trasparente, con delle decorazioni nere.
I lunghi capelli castani che le arrivavano alla vita, la bocca sorridente, gli occhi color cacao più luminosi che mai.
-A-Amèlie…- la fissavo a bocca aperta.
-Tutto bene, Niall?- si avvicinò a me con la testa abbassata e le mani dietro la schiena.
Annuii senza riuscire a parlare.
Alzò le spalle e mi porse un regalo.
-Amèlie, non dovevi…- abbassai lo sguardo su di lei.
-Oh, andiamo, è il tuo diciottesimo compleanno! Aprilo, su- sorrise mettendomi il regalo tra le mani.
Scartai con cautela il regalo, e vi trovai un profumo. Era una boccetta blu a forma di catenaccio, con un tappo rettangolare. Eau de Secret. Questo era il nome del profumo.
Aprii la boccetta per sentirne il profumo: aveva un odore forte e leggero allo stesso tempo; ricordava un po’ il mare.
-Grazie- la abbracciai forte.
Era in quei momenti che mi sentivo davvero me stesso. Nulla era più rilassante del suo respiro contro il mio petto mentre ci abbracciavamo. Eh sì, Amèlie era piuttosto bassa.
-N-Niall…- sentii la sua voce a malapena.
-Cosa?- sciolsi l’abbraccio per guardarla.
-Ci stanno guardando tutti…- i suoi occhi erano spaventati, e mi fissavano come in cerca di sicurezza.
Mi guardai attorno. In effetti ci guardavano tutti.
-Dimmi che quella è la tua fidanzata, ti prego!- esclamò mia nonna.
Seh, ci mancava solo che si mettesse a correre per il ristorante urlando “Niall e Amèlie otp!”” direbbe Amèlie. In effetti…
 
Guardai la mia migliore amica spalancando gli occhi. Lei arrossì violentemente.
-N-no nonna… lei è la mia migliore amica- balbettai.
-Oh, andiamo!- la nonna incrociò le braccia al petto.
-Dai mamma, lasciali in pace- le si avvicinò mio padre per portarla via mentre borbottava qualcosa.
 
-Scusa, non volevo metterti in questa situazione così… imbarazzante- abbassai la testa.
-Non importa…- sospirò.
-Hey Niall- qualcuno mi chiamò.
Ancora Chantal. Ma cosa voleva quella ragazza?
-Sì?- mi voltai verso di lei.
-Davvero quella ragazza è la tua migliore amica?- mi chiese alzando un sopracciglio.
-Sì, perché? C’è qualche problema?- incrociai le braccia al petto.
-Figurati, non m’importa un fico secco di quella specie di orso nano- ridacchiò.
Quell’affermazione mi urtò non poco.
Guardai Amèlie per assicurarmi che non avesse sentito niente.
Era dietro di me, con la testa bassa a guardare il pavimento. Accidenti, l’aveva sentita.
-Senti un po’- ridussi gli occhi a due fessure –io non permetto a nessuno, e dico a nessuno di insultare in questo modo la mia migliore amica. Io non ti conosco, non ti ho mai vista in vita mia- rivolsi uno sguardo a mia cugina –e tu perché diavolo l’hai portata qui?-
-Ha insistito lei per venire- scrollò le spalle quella.
-Apprezzo il pensiero- sospirai –ma evita di offendere Amèlie- dissi mettendo un braccio intorno alle spalle della mia migliore amica.
-Che razza di ragazza. Non si sa neanche difendere da sola. Che pena che mi fa- si alzò dalla tavola –io non ho niente a che fare con voi. Me ne vado-
Così dicendo, uscì dal ristorante sbattendo la porta.
-Scusa Niall- sospirò mia cugina mettendo la testa fra le mani.
Alzai le spalle.
-Adesso se n’è andata. Va tutto bene- dissi ad Amèlie, dandole un bacio sulla testa.
-Niall, la torta!- mi chiamò mia mamma.
-Arrivo!- le risposi –andiamo Amèlie...- la presi sottobraccio e la portai vicino alla torta.
La festa proseguì nel migliore dei modi: spensi le candele, mangiammo la torta, ci divertimmo molto. Eppure avevo la sensazione che mancasse qualcosa.
Quando tutti i parenti se ne furono andati era circa mezzanotte. Ci ringraziarono per la bella serata, chi un po’ ubriaco, chi completamente. Alla fine eravamo rimasti solo io ed Amèlie nel ristorante. I miei genitori erano saliti di sopra, e le luci erano tutte spente. L’unica fonte di luce era quella della Luna.
Amèlie era seduta su uno scalino, ed io accanto a lei. Stava osservando la Luna, pensando a chissà cosa.
-Amèlie, ti sei divertita?- le chiesi per distrarla.
Mi guardò. C’era qualcosa di malinconico nel suo sguardo. “Sarà la stanchezza” pensai.
-Sì, è stato divertente. I tuoi parenti sono così simpatici!- sorrise.
Il mio pensiero andò subito alla nonna.
Dimmi che quella è la tua fidanzata, ti prego!” aveva esclamato.
Arrossii al solo pensiero, e Amèlie se ne accorse.
-Cosa c’è?- mi chiese alzando un sopracciglio.
-Ti ricordi cos’ha detto oggi mia nonna?- la guardai sottecchi.
-Cosa?-
-Pensava che tu fossi la mia fidanzata-
Anche se c’era poca luce, il suo volto rosso le si vedeva benissimo.
-S-sì- bisbigliò.
-Noi siamo solo due amici. Due migliori amici- la guardai –vero?-
In quel momento lei alzò di scatto la testa e mi fissò.
-Sì- sorrise –siamo amici-
In realtà non sapevo neanch’io cos’eravamo. Eravamo praticamente cresciuti insieme, e ci consideravamo a vicenda migliori amici. Ma sentivo che in fondo, eravamo più che semplici amici. Non sapevo spiegare cosa provassi per lei, ma sicuramente non l’avevo mai provato prima.
-Amèlie…- sussurrai avvicinando il mio viso al suo.
-N-Niall…-
I nostri nasi si sfioravano, i miei occhi guardavano quelle meravigliose pozze di cioccolata calda che erano i suoi. Non avevo mai avvertito un impulso così forte; l’impulso di avvicinare le mie labbra alle sue, di baciare quelle labbra che sembravano di seta rossa, così gonfie, così…
-Niaaall!- una voce fastidiosamente familiare.
-Mamma- sospirai alzando la testa.
Non la vidi. “Mi avrà chiamato da sopra” pensai.
-Che c’è?- alzai la voce per farmi sentire.
-Non fare troppo tardi!- mi disse.
-Non ti preoccupare- le risposi.
Poi sentii i suoi passi allontanarsi sempre di più.
Tornai a guardare Amèlie. Mi guardava con gli occhi spalancati, il labbro inferiore leggermente all’infuori, le mani chiuse in una morsa a torturarsi.
-Credo che dovrei andare…- sussurrò abbassando la testa.
-Vuoi che ti accompagni?-
-No, grazie- rifiutò alzandosi.
Feci lo stesso, accompagnandola alla porta.
In quel momento decisi di doverglielo dire.
Ora o mai più” pensai.
-Amèlie- pronunciai il suo nome piano.
Si girò verso di me.
-Sì?-
Presi tutto il coraggio che avevo in quel momento e lo dissi.
-Sei bellissima- le sorrisi.
Divenne rossa come un peperone, abbassò lo sguardo e sorrise timidamente.
-Grazie- sussurrò.
Le sorrisi, e delicatamente le baciai una guancia.
-A domani- le sorrisi.
-A domani…- mi salutò.
Dopodiché, si chiuse la porta di vetro del ristorante dietro di sé, ed iniziò a correre.
-Che strana ragazza- sospirai –a volte non la capisco proprio-
 
Quella notte non dormii molto. Avevo davvero desiderato baciare Amèlie? Stavo davvero per mandare all’aria anni di amicizia? E se lei non avesse ricambiato i miei sentimenti? Il nostro rapporto non sarebbe stato più come prima.
Decisi allora che non potevo restare in quelle condizioni per sempre.
Basterà semplicemente trovarmi una ragazza, dimenticherò i sentimenti per Amèlie che vanno oltre l’amicizia, e tornerà tutto come prima” mi dissi.
 
 
Era un freddo venerdì di dicembre quando i rapporti tra me ed Amèlie iniziarono ad incrinarsi. Per colpa mia, oltretutto.
Fino ad allora non avevo mai preso in considerazione l’idea che qualcuno potesse interessarsi alla mia Amy. Insomma, era una bella ragazza, ma non aveva mai ricevuto tante attenzioni da parte dei ragazzi. Loro pensavano che lei fosse semplicemente quella che faceva copiare i compiti ai compagni, che alzava sempre la mano per intervenire, che andava sempre bene ai compiti in classe e alle interrogazioni. Nessuno aveva mai pensato a lei come una ragazza con dei sentimenti, con una vita normale.
Chissà se le è mai piaciuto qualcuno” pensai.
Mi sentii improvvisamente, incredibilmente stupido. Ero il suo unico migliore amico, l’unico a cui confidava tutto. Eppure non mi aveva mai parlato di nessun ragazzo. Possibile che non fosse stata mai attratta da nessuno?
Mi guardai intorno: vidi un gruppo di ragazze che chiacchieravano tra loro; facevano commenti su ogni ragazzo che passava, parlando di cosa avrebbero fatto se fossero state da sole in una stanza da letto con il povero malcapitato. Anche se cercavano di tenere il tono basso, i gridolini acuti e le voci da oche le tradivano tremendamente.
Ultimamente Amèlie aveva conosciuto una ragazza del quinto anno: Sarah. Quest’ultima era alta, aveva gli occhi color nocciola e i capelli biondi e lunghi. Più volte avevo cercato di farmi stare simpatica quella ragazza, ma con scarsi risultati. Non potevo sopportare il fatto che qualcun’ altro si intromettesse nella nostra amicizia. Dovevamo essere solo io e lei.
-Niall!- mi chiamò la piccola Amèlie mentre ero sovrappensiero.
La guardai mentre correva verso di me, e dietro di lei la sua amica.
-Scusami se sono arrivata in ritardo!- disse con il fiatone, guardando a terra.
-Perché non sei venuta con me, come tutti i giorni?- le chiesi freddamente.
-Sono venuta con Sarah- mi guardò –mi sono dimenticata di dirtelo, scusa!-
Alzai le spalle.
-Anche domani verrai con lei?- le chiesi, mettendo le mani in tasca.
-In realtà abbiamo deciso di venire tutti i giorni insieme!- s’intromise Sarah.
Guardai Amèlie per una spiegazione.
-Se vuoi possiamo organizzaci tutti e tre e…- iniziò Amèlie.
-No- la interruppi –non fa niente. Posso benissimo venire da solo- alzai le spalle.
-Sicuro?- mi chiese Amy con tono preoccupato.
Suonò la campanella.
-Forza Amèlie, dobbiamo entrare!- Sarah le prese la mano e la tirò dentro l’edificio, lasciandomi lì come un idiota a fissarle. Dopo un po’ decisi di entrare anch’io.
Quella ragazza mi aveva portato via Amèlie come se niente fosse. Era inaccettabile.
Decisi di parlare ad Amy.
 
Una volta entrati in classe, mi sedetti vicino a lei come di consueto.
Decisi di parlarle durante la lezione di matematica.
-Amèlie- la chiamai sottovoce.
-Sì?- alzò lo sguardo dal quaderno.
-Da quanto sei amica di quella… Sarah?- le chiesi.
-Oh- mi sorrise –lei è la mia migliore amica dalle elementari. Ci eravamo un po’ perse di vista, ma ci siamo ritrovate!-
La sua migliore amica. Sarah era la sua migliore amica da molto prima di me. Non potevo crederci.
-E… non me ne hai mai parlato?- le chiesi con esitazione.
-No- scosse la testa, per poi abbassare lo sguardo sul quaderno.
Perché non me ne hai mai parlato? Avrei voluto chiederle spiegazioni, ma quello non era né il luogo, né il momento giusto. Avrei aspettato un po’. Anzi. Lo avrei chiesto direttamente a Sarah.
All’uscita da scuola, qualcuno mi prese per mano e mi trascinò dietro l’edificio. Non dovetti faticare molto per capire chi fosse: Sarah.
-Che cosa vuoi da me?- le chiesi con tono brusco.
-Parlarti- incrociò le braccia al petto.
Alzai un sopracciglio.
-Niall- sospirò –è così che ti chiami, vero?-
Annuii.
-Ascolta. Si vede da un miglio che sei geloso di chiunque si avvicini ad Amèlie-
Rabbrividii. Si notava così tanto la mia gelosia?
-Forse pensi che ti piaccia, o di esserne addirittura innamorato… ma non è così. Tu ne sei ossessionato. Scommetto che pensi sempre a quella povera ragazza. Non può essere solo tua, questo lo capisci, vero?-
In quel momento riuscii solo ad annuire.
Aveva ragione su tutto. Avevo pensato di provare qualcosa per Amèlie, ma era solo ossessione. Ogni cosa che succedeva la collegavo a lei.
-Non sono pazzo- balbettai.
-Lo so, non sto dicendo questo- parlò con tono comprensivo.
-Cosa dovrei fare?- la guardai.
-Trovati altri amici- sospirò –esci, divertiti. Ma la tua vita non può girare sempre intorno a quella ragazza. Lo dico per te, e anche per lei. Staccati un po’ da Amèlie-
-Ma lei è la mia migliore amica…-
-Appunto- mi guardò seria –fallo per Amy. Non ti sei mai accorto della pressione che eserciti su di lei? Di quanto soffra sapendo che dovrà sempre scegliere fra qualcun altro e te?- incrociò le braccia.
Scossi la testa.
Che razza di amico sono” pensai stringendo i pugni
-Grazie Sarah- abbassai la testa –ora so cosa fare- dissi in tono stanco.
-Di nulla- sorrise –è un piacere dare consigli, quando si può-
Dopo averla salutata, me ne tornai a casa. Ora sapevo qual era il problema. E sapevo anche come risolverlo.
 
Quel pomeriggio, mentre stavo studiando, squillò il mio cellulare.
-Pronto?- risposi con tono distaccato, senza vedere chi fosse.
-Niall… sono Amèlie- la sua voce dolce e roca sembrò rimbombare.
-Amèlie- sospirai –dimmi-
-Ascolta… ti andrebbe di… vederci? Sai, è da un po’ che…- c’era insicurezza nella sua voce.
-Amy- la interruppi –ascolta… so di essere stato, e sono ancora tutt’oggi un pessimo amico. Mi dispiace...-
-Niall, ma cosa stai dicendo? Tu sei il mio migliore amico! Insomma…- parlò con un tono di voce abbastanza alto, e questo era molto strano.
-Amèlie- la interruppi nuovamente –penso che non dovremmo sentirci per un po’. Farà bene a entrambi- parlai con tono freddo.
-Niall, ascolta…- la sua voce ora era più roca del solito.
E attaccai.
Non pensavo di esserne capace, eppure l’avevo fatto.
Andiamo Niall, è per il bene di entrambi” cercai di autoconvincermi.
 
Per tre giorni cercai di non pensare a lei, e per tre giorni fallii.
Non rispondevo né alle sue telefonate, né ai suoi messaggi.
Solo la domenica sera riuscii a scriverle un semplice “Per favore”. Fu l’unica cosa che riuscii a scriverle, ma sembrò funzionare; infatti non mi chiamò più, né mi mandò messaggi.
 
Il lunedì, fuori scuola, ero proprio curioso di vedere cosa avrebbe fatto.
La vidi seduta su una panchina insieme a Sarah ed altre ragazze. Lei era in silenzio ad ascoltare cosa dicessero le altre. Ogni tanto rideva, sorrideva, annuiva. L’amica cercava di farla inserire nel gruppo in ogni modo possibile, e lei sembrava iniziare ad ambientarsi.
Annuii. È così che le cose dovevano andare.
Sarah mi guardò, ed io le sorrisi; forse non era tanto male quella ragazza.
Suonò la campanella, ed entrammo all’interno dell’edificio.
Fui il secondo ad entrare in classe, dopo Amèlie, e mi sedetti in un banco vuoto.
Mi guardò per un istante, poi abbassò lo sguardo sul banco.
-Buongiorno, Horan- disse in tono freddo.
-Buongiorno Lawrence- farfugliai.
 
Quando entrarono gli altri, furono davvero stupiti di vederci seduti in banchi lontani, ma non dissero niente; una ragazza dai capelli lunghi, mossi e castani e gli occhiali si sedette accanto ad Amy, mentre un ragazzo dai capelli neri si sedette accanto a me. Non avevo mai avuto molto a che fare con dei ragazzi al liceo, quindi colsi subito l’occasione. Si chiamava Michael, ma non ricordo il cognome.
Quel giorno giocai a calcio dopo tanto tempo, e mi divertii, oh sì.
 
In quei giorni feci amicizia con molti ragazzi della scuola. Non mi consideravano più uno sfigato.
Mi stavo piano piano convincendo di non provare niente per Amèlie, se non una sana amicizia, e che il consiglio di Sarah fosse servito a molto. Rivalutai quella ragazza.
 
Tutto andava per il meglio, fino a che, un giorno…
-Hey Niall- mi chiamò Michael durante una maledetta lezione di latino.
-Dimmi- lo guardai.
-Dì un po’, è amica tua quella ragazza, non è vero?- indicò una ragazza seduta all’ultimo banco.
Raggelai. Amèlie.
-Sì- annuii freddamente.
-State insieme?- mi chiese fissandola.
-No- scossi la testa –siamo solo buoni amici-
-Potresti farmela conoscere?- chiese voltandosi verso di me.
-Va bene- sospirai –fuori scuola vedo cosa posso fare-
-Sei sempre il migliore, bro’- mi diede un pugno affettuoso sulla spalla.
Riflettei un attimo su quello che avevo appena fatto: il mio compagno di banco mi aveva esplicitamente detto che gli interessava Amèlie, ed io… avrei dovuto essere contento per lei.
Guardai Michael.
Massì” pensai “è un bravo ragazzo, Amèlie starà bene insieme a lui
 
All’uscita da scuola, presi coraggio e parlai ad Amy per la prima volta dopo mesi.
Ma non potevo certo rivolgermi a lei come una volta, insomma, sarebbero crollati tutti i muri di carta che avevamo costruito per evitarci…
-L-Lawrence- la chiamai.
Era insieme a Sarah e alla sua compagna di banco, Rose. Anche se Sarah aveva finito la scuola un anno prima, accompagnava regolarmente Amèlie, e la veniva a prendere.
-Horan- si voltò verso di me con aria perplessa –quanto tempo-
Sarah mi rivolse uno sguardo severo.
-Cosa c’è, Niall?- incrociò le braccia al petto.
-C’è… un mio amico… che ti vorrebbe conoscere- guardai Amèlie cercando di sembrare più naturale possibile.
-Oh- sgranò gli occhi –e… chi sarebbe?-
-Io- Michael spuntò da chissà dove.
Amèlie si fece piccola piccola. Lo guardava dal basso verso l’alto come se fosse stato un gigante.
Il mio amico mi guardò.
-Grazie fratello- mi rivolse un sorriso sghembo –ci penso io ora-
-Vuoi che vada a casa o…?-
-Sì, vai- mi guardò –poi ci sentiamo-
Gli diedi una pacca sulla spalla, e confuso me ne andai.
-Hai fatto la cosa migliore che potessi fare- Sarah mi rivolse uno sguardo divertito.
 
Ora non ricordo con esattezza tutto ciò che accadde dopo quell’evento; ricordo che Amèlie e Michael iniziarono ad uscire insieme, ed io e Rose iniziammo a frequentarci. Quella che però era più contenta di tutto questo era sicuramente Sarah: lei era convinta che dimenticandoci a vicenda, e vivendo le nostre esperienze con altre persone, saremmo stati entrambi più felici.
 
Continuo a sfogliare l’album: c’è una foto di Amèlie e me seduti sulle scale della scuola; siamo entrambi sorridenti, lei indossa una salopette di jeans con delle converse abbinate, io un jeans, una maglia e delle scarpe bianche. La foto fu scattata il quinto anno.
 
Era un fresco sabato sera di marzo, ed io e Michael decidemmo di portare Amèlie e Rose in discoteca.
-È la prima volta per lei, cerca di non farla esagerare- dissi cercando di sembrare disinteressato.
-Sta’ tranquillo, amico- scrollò le spalle Mike –con me è al sicuro-
 -Hey Niall- Rose si era letteralmente aggrappata al mio braccio –andiamo a bere qualcosa?-
-Va bene- la guardai divertito.
Andammo al bancone; io presi una birra piccola, mentre lei si scolò subito una vodka.
Alzai un sopracciglio.
-Ti prego, dimmi che reggi l’alcol- la guardai.
-Certo! Ti sembro una che non regge l’alcol?- esclamò con la voce acuta, per poi scoppiare a ridere.
-No, non lo reggi- alzai gli occhi al cielo.
Quella ragazza era simpatica, provavo un certo affetto per lei; ma era qualcosa che si limitava all’amicizia, niente di più.
-Vado in bagno- si alzò barcollando –aspettami qui-
Annuii cercando di non ridere.
Nel frattempo, cercai con lo sguardo Michael e Amèlie: erano seduti ad un tavolino, e parlavano serenamente.
Già, come una volta lei parlava solo con me” pensai, con una fitta allo stomaco.
Mi diedi un colpetto alla testa. Come potevo pensare ancora a lei?
Guardai l’orologio. Era passata circa mezz’ora, e Rose non era ancora tornata dal bagno; decisi di andare a controllare.
Quella zona della discoteca era l’unica ad essere illuminata di bianco; trovai Rose su una panchina appena fuori dal bagno.
-Niall…- mugolò.
-Rose, che succede?- mi avvicinai a lei.
-Non… mi sento… tanto bene…- cercava di alzare la voce, ma era tutto inutile.
-Vuoi che ti accompagni a casa?- le chiesi preoccupato.
-Sì…- cercò di rimettersi in piedi, ma sembrava troppo debole…
-Aspetta- sospirai, prendendola in braccio.
Cercò di dire qualcosa, ma non riuscii a sentire nulla. Mi feci largo tra le persone che ballavano e mi avvicinai a Michael e Amèlie, che si erano spostati in un luogo più appartato.
-Fratello…- chiamai Mike.
Lui si voltò verso di me, lanciandomi un’occhiataccia.
-Cosa c’è?- borbottò.
-Michael, io accompagno Rose a casa, non si sente bene- dissi con voce calma.
Qualcosa guizzò nello sguardo del mio compagno.
-Va bene, va bene… qui rimaniamo io e Amèlie. Tu accompagna pure la ragazza a casa- disse con tono divertito.
Annuii, diedi un ultimo sguardo ad Amèlie, e uscii dal locale.
-Niall- la voce di Rose era appena udibile.
-Rose. Come stai?- la guardai.
-Beh…- prese una boccata d’aria –meglio-
-Mi fa piacere- sospirai, poggiandola delicatamente a terra.
-Ascolta- mi guardò –ho visto come guardi Amèlie. Non puoi ignorare i tuoi sentimenti, Niall-
-C-cosa intendi?-
-Prima eravate così amici… cos’è successo?- sembrava davvero preoccupata.
Così le raccontai della conversazione avuta l’anno prima con Sarah.
-E così… non vi parlate per uno stupido consiglio di Sarah?- sembrava stizzita.
-Non è stato proprio stupido, visto che adesso Amèlie è felice- guardai a terra.
-Felice? Amèlie? Ma la vedi?- spalancò gli occhi.
-Sarah la conosce molto meglio di me, e…-
-Sarah può sbagliare. E poi… chi ti dice che non sia gelosa?- incrociò le braccia al petto.
-Sarah… gelosa? No. Lei…-
-E io ti dico di sì, Niall- sembrava più convinta del dovuto.
-Rose, io…-
-Niall- mi guardò con apprensione –tu e Amèlie siete due brave persone. Non meritate di soffrire per colpa di Sarah. Non darle retta, okay?-
Ci fu un lungo silenzio.
-Mi accompagni a casa?- sospirò.
Annuii e la feci salire in macchina.
Dopo averla accompagnata, decisi di tornare a casa; mi feci una doccia ed andai a dormire.
Doveva essere circa l’una, quando squillò il cellulare.
Mi svegliai di soprassalto, e risposi subito.
-Chi è?- chiesi in tono brusco.
-Niall!- l’inconfondibile voce di Amèlie risuonò attraverso l’apparecchio.
Ero confuso. Mi aveva chiamato “Niall” per la prima volta dopo… un anno?
-A-Amèlie…?- risposi con voce tremolante.
-Niall, ti prego, aprimi!- urlò con il fiatone. Stava correndo.
-Sei… sei…- mi affacciai alla finestra –fuori casa mia?- esclamai –ma cosa diavolo...?-
-Ti prego! Ti spiegherò dopo! Adesso aprimi, per favore!- aveva un tono disperato.
Sospirai e andai ad aprirle.
Ebbi un tuffo al cuore quando la vidi: aveva i capelli scompigliati, i vestiti luridi, e il volto pieno di lacrime.
-Amèlie, cosa diavolo…- cercai di dire.
Lei corse verso di me e mi abbracciò. Ero senza parole, riuscivo a malapena a respirare.
Niall, cosa fai? Lasciala andare!” insisteva il mio cervello.
Ma decisi, contro ogni logica razionale, di stringerla forte. Le accarezzai i capelli.
Lei singhiozzava contro la mia spalla, e io mi sentivo impotente.
-Amèlie… hei… che succede?- le sussurrai.
Continuava a piangere e singhiozzare. Non riusciva a dire una parola.
-Vieni…- sussurrai.
La portai in camera mia, e ci sedemmo per terra.
Si era calmata un poco.
-Vuoi un po’ d’acqua?- le chiesi.
Scosse la testa.
-Amèlie… se non mi dici cosa sta succedendo non posso aiutarti…- la guardai.
Era la stessa Amèlie di sempre. Quella innocente, insicura, che doveva essere protetta da tutto e tutti. Ma soprattutto, che io dovevo proteggere.
-Michael…- sospirò con voce rotta –lui… voleva…- si guardò i vestiti.
No. Non potevo crederci. Il mio compagno non poteva aver fatto una cosa del genere.
-Era ubriaco…- balbettò.
-Amèlie…- le accarezzai una guancia –non posso vederti così- feci un respiro profondo –fa male-
Mi guardò, e mi abbracciò di nuovo, forse addirittura più forte.
-Niall, scusami- sussurrò –per qualsiasi cosa io abbia fatto, scusami- mi strinse –ti prego, perdonami. Farò tutto quello che vuoi, ma… ti prego… io ti voglio vicino a me. Non posso sopportare che ci trattiamo come due estranei, io… non ce la faccio, Niall. Ti prego, dimmi che tornerà tutto come una volta. Io non riesco a stare senza di te. Non posso-
Sciolsi l’abbraccio.
-Niall, io…- mi guardò con gli occhi rossi dalle lacrime.
La guardai. Ma non guardai com’era fuori, no. Per un lunghissimo istante potei vedere dentro di lei. Vidi tutto il male che aveva accumulato e sopportato, vidi il suo piccolo volto inondato dalle lacrime, mentre le braccia cercavano di sorreggere il grave peso di tutto ciò che avrebbe voluto urlare a tutti. Poi vidi il suo viso sorridente pieno di crepe. Era come una maschera che stesse per rompersi. E ad un tratto lo fece: si frantumò in tante piccole schegge, che si dissolsero toccando la sua pelle. Riuscii finalmente a vedere cosa ci fosse dietro a quella maschera: un viso cereo, un’espressione neutra, ma allo stesso tempo la più triste che io avessi mai visto. Non c’era traccia della Amèlie che conoscevo. Che fosse la vera lei, quella che stavo vedendo? Vidi la sua mano tesa verso di me, aspettando che la tirassi fuori da tutto quel male.
Allora, senza nessuna esitazione, lo feci: allungai una mano verso di lei e l’attirai verso di me; la guardai intensamente, per poi poggiare delicatamente le mie labbra sulle sue.
All’inizio fu tutto lento e delicato, ma ben presto si trasformò in un bisogno, in un qualcosa di vitale importanza; era come se io fossi un’ancora di salvezza, la sua ancora di salvezza. E, in un certo senso, lei era la mia. Avevamo bisogno l’uno dell’altra, era ormai innegabile.
Io avevo solo avvicinato le mie labbra alle sue, ma poi aveva fatto tutto lei. Mi mise le braccia intorno al collo, e mi strinse a sé. Ammetto che all’inizio non sapevo come avrebbe preso il bacio, ma poi mi resi conto che era quello che lei stava aspettando tanto.
Ci staccammo lentamente, guardandoci negli occhi.
-Amèlie, i-io…- balbettai con voce rauca.
Lei mi guardò con i suoi grandi occhi.
-Io mi sono… innamorato di te- ammetterlo era più difficile di quanto pensassi –me ne sono accorto troppo tardi. Mi dispiace, Amy- abbassai lo sguardo.
-E Rose?- mi guardò alzando la testa.
-Lei è solo un’amica- scrollai le spalle.
-Ah- voleva sembrare dispiaciuta, ma non ci riuscì.
-E tu, allora? Non ti piace nessuno? Non c’è nessuno che…- le stavo per chiedere.
-No- scosse la testa.
-Non c’è mai stato nessuno? Insomma…-
-Niall- sorrise, mettendomi una mano sulla guancia –ci sei sempre stato tu-
Tremai.
-S-sempre?- le chiesi, guardandola.
-Sempre- sorrise –sei sempre stato tu quello che ho scelto, che ho preferito agli altri, anche se non sapevo il perché. Sei sempre tu quello che mi fa sentire speciale, che mi fa sentire sicura, anche solo con il tocco di una mano. Sei sempre tu quello di cui mi fido ciecamente- sorrise –sempre e solo tu-
Rimasi senza parole.
-A-Amy- abbassai lo sguardo –sai che io non sono per niente bravo con le parole, però…- la guardai –t-tu sei… sei…- mi mancavano le parole. Le mie solite figure infelici.
-Io sono?- sembrava stesse per scoppiare a ridere da un momento all’altro.
-Ehi, mi sto impegnando!- incrociai le braccia al petto, facendo finta di essermi offeso.
-Lo so- mi guardò divertita, alzando le spalle –ma non fa niente. So di essere un disastro- disse con tono plateale.
-Se ti aspetti che ti dica cose come “Sì, sei un meraviglioso disastro”, beh, aspetta e spera, cara- la guardai divertito.
-Ma io non voglio che tu lo dica- disse divertita.
-Ah no? E cosa dovrei dire?-
-Non devi per forza dire qualcosa- alzò le spalle.
-Hai ragione- annuii.
Presi un cuscino e glielo tirai, colpendola in pieno viso.
-Idiota!- scoppiò a ridere, tirandomi indietro il cuscino.
Scoppiai a ridere a mia volta.
 
Non era semplicemente tornato tutto come una volta: eravamo entrambi consapevoli dei sentimenti che provavamo l’uno per l’altra.
Quella notte dormimmo insieme. Lei si era accoccolata tra le mie braccia. Sembrava così piccola…
Si era addormentata in fretta, con la testa appoggiata al mio petto.
Io invece non riuscivo a dormire. Sentivo che dovevo dirle qualcosa.
Ma cosa ? Faccio schifo con le parole. A quest’ora, poi…” pensai.
Proviamo. Tanto non mi costa niente, no?
-Amèlie- sussurrai.
Non si svegliò. Dovevo comunque dirglielo, non resistevo.
Avvicinai le mie labbra al suo orecchio.
-Amèlie- sussurrai.
Non si svegliò. Era comprensibile, era stanchissima.
Ma non m’importava, dovevo dirglielo, era più forte di me.
-Sai, dicono che per ognuno di noi ci sia colui o colei che meritiamo- abbassai lo sguardo su Amèlie –ma io… io non ti merito. Insomma, tu sei… speciale. Sei la ragazza più intelligente che conosca. Sei coraggiosa, gentile, dolce, divertente…- avrei potuto continuare all’infinito –tu sei troppo per me. Io non so fare niente. Non ho nulla di speciale-
Poi immaginai la mia vita se non ci fosse stata Amèlie: probabilmente sarei rimasto il ragazzino nullafacente, ignorante e bullo che ero in prima media. In effetti dovevo molto a quella ragazza.
-Nessuno è abbastanza, quando è solo, Niall- sentii la sua voce bassa contro il mio petto –ma quando siamo insieme a qualcun altro, quando siamo insieme alla persona giusta, siamo abbastanza. Questo è perché ci completiamo a vicenda-
-Davvero lo pensi?- la guardai.
-Non solo lo penso. È così-
-Quindi io e te siamo come due pezzi che si completano a vicenda…?-
-Sei vuoi metterla così- alzò le spalle –però a me non piace tanto come definizione-
-Ah no? E che definizione ci daresti?- la guardai.
-Noi due siamo come…- alzò la testa verso di me –il cucchiaio e la Nutella-
-Cosa?- spalancai gli occhi.
-Come la mangi la Nutella senza cucchiaio? E se un cucchiaio non è stato mai immerso nella Nutella, che senso ha?- mi guardò, seria.
-Il cucchiaio che si immerge nella Nutella…. Amèlie, ma che diavolo dici?- scuotevo la testa sempre più confuso.
-Oh, andiamo…-
-Amèlie- la guardai –dormi-
-Uffa, e va bene- sbuffò, gonfiando le guance in modo buffo.
Ridacchiai.
Ci addormentammo così, l’una accoccolata all’altro, sereni e ormai coscienti dei nostri sentimenti.
 
Il lunedì, fuori scuola, vidi Amèlie con le sue amiche. Sembrava davvero felice. si voltò nella mia direzione, e corse a salutarmi.
-Ciao Niall- sorrise.
-Ciao Amy-
Le sue amiche mi rivolsero un’occhiata curiosa.
-Che succede qui?- Sarah alzò un sopracciglio.
-Succede che io e Amèlie ci vogliamo tanto bene- sorrisi sornione.
-M-ma come…? Cosa…?-
-Sarah- Amèlie aveva un tono calmo –io e Niall stiamo insieme-
-Oh mio Dio!- esclamò la bionda, facendo voltare verso di noi tutta la scuola.
Amy abbozzò un sorriso impacciato, mentre io guardavo divertito Rose che urlava “La mia otp! La mia otp!
Guardai Amèlie.
-Cos’è un otp?- le chiesi curioso.
-Cose da fangirl. Tu non puoi capire- mi sorrise.
-Beh, fammi capire- alzai un sopracciglio.
-Un’altra volta, magari- scrollò le spalle, avviandosi verso l’ingresso della scuola.
 
Entrato in classe, mi sedetti accanto ad Amèlie. Ovviamente tutti lo notarono.
-Ehi Niall- una voce roca mi chiamò. Michael.
-Mike- lo guardai.
-Mi spieghi cosa diavolo sta succedendo? Perché sei seduto vicino ad Amèlie?-
-Beh, diciamo che ci siamo… riavvicinati- guardai Amèlie.
-E io adesso dove mi siedo?- incrociò le braccia al petto.
-Al primo banco, vicino a me- disse la prof con voce secca, entrando.
Il moro sbuffò, e si allontanò dal nostro banco.
-Com’è?- Amy mi guardò.
-Com’è cosa?- mi voltai verso di lei.
-Stare seduto di nuovo accanto ad una ragazza-
-Beh… normale. Insomma, sei tu. Non potrei chiedere niente di meglio- alzai le spalle.
-Oh… capisco- abbassò lo sguardo prendendo un libro dalla borsa.
-A proposito… ma Rose?-
-Lì- Amèlie indicò un banco nella seconda fila a sinistra; vi erano seduti Rose ed un ragazzo. Mi pare si chiamasse Alexander.
 
Usciti da scuola, vedemmo Sarah seduta su una panchina in giardino; forse non se n’era mai andata.
-Amèlie- la chiamò –Amèlie, puoi venire un attimo? Devo parlarti…- disse con tono serio.
Non appena vide che mi stavo avvicinando anch’io, aggiunse:
-Da sola, per favore-
-Mi aspetti?- mi chiese Amy guardandomi.
-Certo- alzai le spalle, per poi vederla andare nella direzione di Sarah.
 
-State insieme, vero?- chiese Michael, spuntato da chissà dove.
-Sì, stiamo insieme- annuii, voltandomi verso di lui.
-Fantastico- disse in tono sarcastico –è quello che dovrei dire, no? Non dovrei tenere conto del fatto che tu, nonostante sappia che mi piaccia Amèlie, e del tempo che ho impiegato per conoscerla, me l’abbia portata via, vero?- mi rivolse uno sguardo truce –perché Niall? Perché l’hai fatto?-
-Sabato sera…- sospirai –Amèlie è venuta da me. Mi ha detto che ti sei ubriacato, e che hai tentato di farle del male-
Sembrò spiazzato.
-I-io…- rivolse lo sguardo verso di lei –è così, eh? È da te che è andata quando è scappata via. Pensavo che fosse quello che volesse anche lei… pensavo che… fosse la cosa giusta-
-Mi dispiace, Michael, davvero- lo guardai.
-Non fa niente, amico- alzò le spalle, e sospirando se ne andò.
Gli rivolsi un ultimo sguardo, per poi posare gli occhi su Amèlie e Sarah. Amy sembrava stupita, e l’altra aveva un’aria fredda.
Dopo un po’, le ragazze finirono di parlare, e Amèlie si avvicinò a me.
-Cosa è successo?- le chiesi.
-Perché non me l’hai mai detto, Niall?- mi guardò lei.
-Cosa non ti ho mai detto?-
-Della conversazione con Sarah, un anno fa. È stata colpa sua se non ci siamo parlati per un anno, vero?- mi guardò dal basso con sguardo accusatorio.
-Lei… lei mi aveva detto che sarebbe stato meglio così… per il tuo bene…- abbassai lo sguardo.
-E tu le hai creduto?- c’era un pizzico d’incredulità nella sua voce.
-Lei ti conosceva meglio di me, così ho pensato che…-
-Non fa niente- sospirò interrompendomi.
-Davvero?- la guardai.
Annuì, prendendomi la mano.
-Però la prossima volta dimmelo, okay?-
-Va bene- le sorrisi, scompigliandole i capelli.
Così, mano nella mano, ce ne tornammo a casa, più sereni che mai.
 
Sorrido. Quella per noi fu una piccola vittoria. Avevamo dimostrato, in qualche modo, che quello che provavamo l’uno per l’altra era vero.
Passo all’altra foto: è quella del diploma. Lei si diplomò con il massimo dei voti, io con un po’ di meno. Siamo entrambi in jeans, lei con una maglia a mezze maniche rossa, con delle zampe stampate, e un paio di converse dello stesso colore, io con una polo e vans blu. Siamo abbracciati, e guardiamo verso l’obbiettivo della fotocamera.
 
Appena usciti da scuola, ci incamminammo verso il parco.
-Sei un genio, Amèlie- mi complimentai mentre camminavamo.
-Come no- rise.
-Sul serio!- insistevo.
-Anche tu sei andato bene- sospirò lei ridendo.
-Sì, dai- alzai le spalle.
-Ora però, basta parlare di scuola. È finita, adesso rilassiamoci- si sedette sulla fontana al centro del parco, chiudendo gli occhi.
-Hai ragione- ammisi annuendo.
La guardai, e le misi una mano tra i capelli, accarezzandoglieli. Le arrivavano oltre la vita, ed erano bellissimi.
Guardai il cielo. C’era uno stormo di uccelli che volava su di noi.
Che bello” pensai.
Uno di loro, però, decise di lasciarmi un ricordino; non so come, lo vidi, e mi scansai, buttandomi all’indietro. Caddi però, rovinosamente nella fontana, seguito a ruota da Amèlie, che aveva i capelli ancora tra le mie mani.
-Niall!- esclamò lei spalancando gli occhi –cosa ti è saltato in mente?-
-L’uccello…- indicai il cielo, accorgendomi però che lo stormo era ormai abbastanza lontano.
-Andiamocene, altrimenti rischiamo un raffreddore- disse alzandosi.
Mise un piede fuori dalla fontana… e ci scivolò di nuovo dentro.
-Ce la fai?- risi.
-Non ridere- mi fulminò.
-Va bene- alzai le spalle, e mi avvicinai a lei.
Mi guardò, sporgendo il labbro inferiore.
Accarezzai la sua guancia paffuta, e le spostai una ciocca di capelli dalla faccia.
Dopodiché, la baciai dolcemente.
-Ma che piccini!- esclamò una voce familiare.
Ci staccammo imbarazzati, e ci voltammo verso la persona che aveva parlato.
-Rose!- esclamò Amy.
-Cosa ci fate qui?- rise l’altra.
-Siamo venuti a rilassarci un po’…- scrollai le spalle voltandomi verso di lei.
-Nella fontana?- continuò a ridere.
-Colpa sua- Amèlie mi indicò.
-In realtà è colpa di uno stupido uccello- replicai.
-Va bene, va bene- ridacchiò la ragazza, aiutandoci ad uscire dalla fontana –vi va di venire con noi a prendere un gelato?- chiese.
-“Noi” chi?- chiese la mia ragazza.
-Io e lui- Rose indicò un ragazzo con i capelli castani e disordinati appoggiato ad una moto.
Alexander. Si erano messi insieme da poco, ma erano molto… affiatati.
-State sempre insieme?- domandò Amy divertita.
-In questo periodo sì- annuì l’altra.
-Andiamo?- proposi.
Entrambe annuirono, e ci avviammo nella direzione di Alexander.
-Ehi, Alex, ti dispiace se vengono anche loro?- chiese lei al ragazzo, mettendogli una mano sulla spalla.
-Non c’è problema- scrollò lui le spalle, mettendo un braccio intorno alla vita di Rose.
Dopo che la ragazza ebbe dato un bacio a stampo ad Alexander, ci avviammo verso la gelateria.
 
Giro la pagina dell’album, e con mia grande sorpresa trovo le nostre foto di laurea. Amèlie si laureò in medicina, io in psicologia.
Ricordo che fummo separati per diversi anni. Ci trasferimmo in due città lontane; ogni tanto ci scrivevamo o ci telefonavamo, ma non ci siamo mai visti per un lungo periodo.
Mi laureai un anno prima di lei, ma per questioni di affitto, dovetti rimanere ancora un anno in quella città.
Scattai io la foto che ho nell’album.
 
Quel giorno faceva terribilmente caldo, non c’era neanche una nuvola in cielo. Non le avevo detto che sarei venuto alla sua laurea, sarebbe stata una sorpresa.
All’inizio non la vidi, ma quando ci fu il lancio dei cappelli, riuscii a riconoscerla: rimasi di stucco.
È strano dirlo, ma era dimagrita tantissimo. Aveva però le stesse guance paffute di quando aveva tre anni, gli stessi occhi color cioccolato, le stesse labbra rosse e carnose. Aveva tagliato i capelli, adesso le arrivavano alle spalle. Ma era sempre bellissima.
Quando mi vide, corse verso di me e mi abbracciò fortissimo.
-Niall!- esclamò –santo cielo, potevi dirmi che saresti venuto!- sciolse l’abbraccio, guardandomi dalla testa ai piedi.
-Volevo farti una sorpresa- sorrisi.
-Accidenti! E io che speravo di diventare più alta di te- ridacchiò guardandomi dal basso.
-Sei una nana, non è colpa mia- alzai le spalle.
La presi in braccio, e presi a baciarla con foga. Era passato troppo tempo, mi mancavano troppo le sue labbra.
-N-Niall…- disse il mio nome in un sospiro.
-Mi sei mancata, Amèlie- la guardai negli occhi.
-Anche tu, Niall- mi sorrise.
La poggiai delicatamente a terra.
-Vieni con noi al ristorante, Niall?- mi sorrise.
-Se ti fa piacere-
-Certo che mi fa piacere!- alzò gli occhi al cielo –vieni, su- mi prese per mano e mi trascinò nella sua macchina.
Ero al settimo cielo. Nonostante gli anni di distanza, non si era dimenticata di me, e i suoi sentimenti non erano cambiati.
 
Quella sera, dopo la festa al ristorante, Amèlie mi accompagnò a casa.
-Vuoi entrare?- le chiesi.
-Perché no?- sorrise alzando le spalle.
Scendemmo dalla macchina ed entrammo in casa.
-È qui che è iniziato tutto, ricordi?- sussurrai entrando in camera mia.
-Sì… ero in lacrime. Per colpa di Michael- ridacchiò.
-Già- sospirai –Michael-
-Beh, però se non fosse stato per lui, probabilmente non sarebbe iniziato niente, non credi?- abbozzò un sorriso.
-Amèlie…- la guardai.
-Niall?-
M’inginocchiai.
-Niall, cosa fai?- aveva un tono tra lo stupito e il preoccupato.
Ora o mai più” pensai.
-Amèlie Lawrence- mi morsi il labbro inferiore, prendendo il cofanetto di velluto blu che avevo in tasca.
-N-Niall, tu…- sembrava stesse per scoppiare a piangere da un momento all’altro. O magari svenire.
-Mi… vorresti sposare?- dissi tremando, aprendo il cofanetto contenente l’anello.
-Niall… io…- la sua voce già debole si spezzò all’improvviso.
E poi svenne.
 
-Amèlie! Amèlie!- la chiamavo, ma non accennava a riprendersi.
La poggiai sul mio letto.
Forse ho sbagliato” pensai. “Forse è troppo presto, siamo troppo giovani, oppure…
-N-Niall- la voce debole di Amy interruppe i miei pensieri.
-Hei- mi avvicinai a lei –come ti senti?-
-B-bene- sussurrò.
-Ascolta- sospirai –forse quello che ti ho chiesto è assurdo, forse siamo troppo giovani, o magari non sei pronta…-
-Niall- pronunciò il mio nome con tono duro.
La guardai.
-Sì- disse.
-“Sì” nel senso che vuoi…-
-Sì, Niall- si alzò dal letto –voglio sposarti-
Spalancai gli occhi. Aveva detto di .
 
Durante gli anni di lontananza avevo pensato continuamente al matrimonio tra me ed Amèlie. Avevo pensato a come comportarmi se avesse rifiutato, a tutti i pro e i contro. Avevo pensato anche al fatto che fossimo entrambi giovani, forse troppo giovani.
Ma apparentemente ad Amèlie non importava. Era innamorata, ed era solo questo che le importava.
 
Sospiro e giro la pagina. Ecco, questa foto occupa entrambe le pagine dell’album: è la foto del nostro matrimonio.
 
Quella mattina mi ero svegliato prestissimo. Mia madre irruppe in camera mia, con la sua voce squillante.
-Niall, svegliati! Oggi è il grande giorno! Non vorrai fare tardi!- urlò.
-Buongiorno anche a te, mamma- borbottai.
Velocemente feci colazione, e mi preparai per la cerimonia: indossai un elegante smoking nero con una camicia bianca. Mia madre aveva insistito tanto per farmi mettere la cravatta, e alla fine cedetti.
-Niall, non sporcarti, mi raccomando!- mi ripeteva ogni cinque minuti.
Avevo voglia di urlare forte quella mattina, ma il pensiero di Amèlie in abito da sposa mi impediva qualsiasi nervosismo.
Dopo aver completato tutti i preparativi, i miei genitori mi accompagnarono in chiesa. C’era molta gente lì fuori: avevamo invitato anche Sarah, Michael, Rose ed Alexander; questi ultimi due si sposarono qualche anno dopo.
Salutai tutti gli amici e familiari che si trovavano lì, mentre alcuni erano già entrati in chiesa.
-Dov’è Amèlie?- chiesi a sua zia.
-Arriverà- sorrise –devi avere pazienza-
Annuii.
Non resistevo più, dovevo vederla.
-Tra quanto inizia?- chiesi impaziente.
-Manca poco- rispose qualcuno.
Mi voltai verso la persona che aveva parlato.
-Hei Sarah- la salutai.
-Niall- mi salutò con un cenno del capo.
-Stiamo aspettando tutti la sposa, eh?-
Annuì.
-Ascolta, Niall… so che vi ho creato diversi problemi in passato. Vorrei scusarmi…- disse abbassando la testa.
-Sarah- la guardai –qualsiasi cosa tu abbia fatto in passato, non importa. Non fa niente. E poi, il passato è passato, non credi?-
Annuì nuovamente.
 
Le campane della chiesa suonarono: era ora di entrare.
Mi diressi verso l’altare, aspettando con ansia l’arrivo di Amèlie.
La musica partì.
Le porte si spalancarono.
Un raggio di sole entrò dalla finestra.
Ed io la vidi.
Entrò in chiesa circondata da luce. Sorrideva più che mai, sembrava un angelo venuto apposta per me. Era l’unica persona che vedevo. Era come se nessuno fosse in quella stanza, solo io e lei.
Indossava un vestito molto semplice: un corpetto a maniche corte in pizzo, la gonna ampia in tulle, il velo che partiva dalla testa, le copriva le spalle, e continuava qualche altro metro.
Aveva un bouquet di fiori in mano, e avanzava piano verso di me, con due damigelle dietro che lanciavano petali di fiori, e un paggetto che portava gli anelli su un cuscinetto.
Seguivo con lo sguardo i passi di Amèlie, incantato da quella meravigliosa creatura che, passo dopo passo, si avvicinava a me.
 
E fu così, che Amèlie Lawrence divenne mia moglie. L’amavo, oh sì, l’amavo più di quanto amassi chiunque altro. E l’amo tutt’oggi, più di quanto l’amassi ieri, e meno di quanto l’amerò domani.
 
Questa era l’ultima foto del mio album. Del nostro album.
E ora sono qui, su questo divano, con i capelli bianchi, la pelle rugosa, e 85 anni sulle spalle.
Prendo la foto di Amèlie che si trova sul tavolino accanto al divano, e la guardo: è piuttosto recente, con i capelli del mio stesso colore, il viso segnato dalle rughe. Nonostante questo, gli occhi color cacao, il viso paffuto, l’espressione da bambina, rimangono immutati.
-Amèlie…- mugolo guardando la foto –la mia fine è vicina, Amèlie. Ma non sono triste, né insoddisfatto. Sono soddisfatto della mia vita, perché ci sei stata tu, a colmare ogni attimo di essa con la tua essenza, il tuo calore, la tua purezza. E sono soddisfatto, Amèlie, perché ho amato tanto, e soprattutto, ho amato una persona come te. Ti amo, Amèlie. Non sono per niente triste, amore mio, perché so che sto per incontrarti di nuovo, e stavolta staremo insieme per sempre. Mi hai sempre detto che non avrei dovuto piangere quando te ne saresti andata. Ho lottato, Amèlie, ho resistito, contro le lacrime, contro il dolore insopportabile, contro il vuoto incolmabile che ha lasciato la tua assenza. E ricordo ancora il tuo ultimo respiro, il nostro ultimo sguardo, il nostro ultimo bacio, mentre io stringevo le tue mani, e tu mi dicevi che mi amavi, che mi avresti sempre amato, e mi ringraziavi, perché avevo reso speciale la tua esistenza. Ti ricordi cosa mi hai detto prima di andartene? “Ti amerò sempre Niall, finché morte non ci separi. Ed oltre”. Dentro di me, nel mio cuore, tu non te ne sei mai andata. Ti amo-
Appoggio la foto sul tavolino, e sento il mio corpo più leggero. Chiudo gli occhi. Sto arrivando, Amèlie, aspettami.
Eccomi.
 
Spazio autrice
Salve a tutti! Per prima cosa, vi ringrazio per aver letto la mia one shot. Non so come sia venuta, ma ho fatto del mio meglio! Spero che vi sia piaciuta almeno un po’, alla prossima. ♥
   
 
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