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Autore: Mooshi    26/07/2014    1 recensioni
Futuro distopico dominato dalla religione piegato al mio immaginario hardcore porno
Genere: Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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L'umiditá pesante, retrogusto fiocchi d'avena e pasta sotto la lingua, saluta la mia uscita di scena.
Estromissione irrevocabile, cedo il ruolo di spettatore e personaggio principale. Io,
che fino a qualche tempo fa condividevo il dietro le quinte con attrici di secondo piano più o meno dal futuro radioso, così accalcate, imprecisate, indistinguibili nelle senza nome etichette preconfezionate da industrie dolciarie con le ciminiere che tirano giù agli angoli dei quattro venti quantitá di roba irrespirabile invischiata zuccherosa.
Ed erano tutte così bionde, così brune, rosse, alte, basse, magre, negre, asiatiche; libri di seconda e terza mano dalla copertina anonima, rilegati in abiti che ti facevano vedere quanto basta, punto; con la maggior parte delle pagine seviziate dalle mani avide di lettori incalliti e nevrotici, e le poche rimaste ormai annerite dai tratti pesanti della cosmesi più ardita.
Mi sono congedato da loro giá da un po' che quasi non le ricordo più.

Prima di indurmi sull'asfalto, trascinando la poca verve ossuta sulla ghiaia ai margini dei viali,
sotto lo sbrilluccichìo cupo a intermittenza dei lampioni, gli unici a tentare di smuovere le strade dal clima di grigiume generale, tra lo scoppiettìo vivace delle pire su cui si consumano le membra degli eretici - forme di intrattenimento sparso qua e là agli incroci delle viuzze e alle quali facevamo ormai da accaniti astanti-
mi imbattevo nel sentito dire lontano, nell'eco del mantra ripetuto dai credenti radunati in piccoli circoli liturgici davanti ai luoghi di culto, pronti a gridare all'Apocalisse ad ogni goccia di pioggia in più della media annuale e ad ogni mille gradi da deserto.
Con le lanterne accese.
Giubilanti nell' inglobarti e portarti alla festa domenicale con San Pietro, al barbecue di Dio e tutti i Santi.
E non esitano ad affibbiarti nomignoli confidenziali , prima di tirare fuori dalle tasche sempre improfumate di rituali 
le figurine dei loro beneamati per soffiartici il naso, per poi zelanti introdurti i valori del crocifisso,  inculcandoteli a fondo nelle sagrestie chiuse a chiave, più e più volte nei confessionali protetti dall'alone di misticismo cieco e sfrenato delle folle tronfie, ammansite dalla sottomissione alla politica aziendale dei Gran Capi col cappello a punta, con le facce stampate sui muri, sui manifesti e i volantini e dappertutto e anche sulle tazzine del caffè d'importazione dai luoghi delle cartoline.
E non facevo nemmeno in tempo a finire la riflessione che giá loro mi parevano spariti, rimasti indietro tipo Medioevo e dintorni, 
principi, duchi e marchesi, 
castelli, torri di Babele,  paggi e monarchie assolute

 e

io mi immaginavo avanti anni luce, 
tutto presidenti e sottosegretari,
bicameralismo perfetto e Costituzioni assortite, grattacieli e spread in salita verticale,
diffidente dei gran maghi che fanno fatture alle luce del sole, e non negli scantinati incrostati e ingialliti, o internati nei sottoscala a fare la nouvelle cousine chimica, a  intingere la salsa rosa negli alambicchi addensati.
Vedevo già accendersi  un imprecisato numero di sigarette tra le dita rivestite di lattice, tozze o affusolate, vissute, sproporzionate, di chi gioca a fare l'alchimista.
Di fila, in successione, effetto domino.
Io, osservatore molesto, mi prendevo il mio tempo prima di accendere la mia, stretta tra le due mani che funzionavano a pieno regime, e le altre otto paia che non riuscivo a muovere a mio piacimento, avendo esse vita propria,
muovendosi unticce, fresche sulla pelle. 

Appena tirate fuori dall'acqua, squamose.
Aderenti alle superfici, infaticabili, opprimenti. Marittime. 
Decise, ferme.
Risolute.
Spuntavano da tutte le parti.
E io che le contemplavo con lo sguardo più ebete che si possa immaginare, lasciandomi invasare da una tenera ma sempre crescente forma di venerazione, mi facevo dettare le scritture da incidere sulla pietra, stipulavo trattati di pace universale, facevo la guerra alle lobby, acclamavo gli artisti, poi mi afflosciavo nel formicolio come un soufflé. Collassavo in due occhi che diventavano quattro, otto, sessantaquattro e poi di nuovo due, con le pupille dilatate all'inverosimile, che diffondevano un nero violento ma malaticcio e questo  gradualmente assumeva  i contorni indistinti  d'un un naso e d'una bocca, lunghi fili di capelli e barba scura,  che prima di stabilizzarsi e mettersi a fuoco si presero almeno otto o venticinque minuti, per quel che importa, di movimenti ripetuti e cronometrabili da quegli orologi appesi vicino alle credenze dei vecchi che inveiscono per gli acciacchi e i malanni e la pensione e i tempi che corrono e la carne scotta,
con i numeretti e le lancette che piano piano si confondono scemando fuori dai contorni
lasciandoti nell'irrisolutezza di cui è intriso il limbo di chi non ha cognizione del tempo.
Intanto che lo sconosciuto andava formandosi, io venivo 'dolcemente' pressato su pavimenti scorbutici e frastagliati, con le mattonelle sottili, squadrate, incorniciate da righe che mi guardavo bene dal toccare, fino a che 
il credo e il nuovo Vangelo e le venute varie di Cristo e dei missionari non mi entrarono per bene nell'encefalo e si ramificarono tutto intorno nella circolazione, e io, dapprima in posizione fetale, sferzavo convulsamente nel rosso denso dei miei tessuti, strisciando per terra con la  bocca aperta e grondante saliva, pretendendo prodigi a destra e a manca, in pieno delirio mistico con gli occhi pieni del volto dello sconosciuto capellone, ma ancora serrati, oscurati dalle palpebre che tentavo di aprire con non poca fatica.
Quando vi riuscii tutto quello che mi ritrovai davanti erano fibre di seta scure, che mi impedivano di racimolare qualcosa di visivo da somministrare alle iridi.
Con le mani legate dietro la schiena e le guance rigate da un fiotto costante,
mi fecero alzare prima, e correre poi,
intimandomi: "diffondi la parola del Signore Dio tuo."
E io obbedii, riducendomi a un predicatore bendato e sanguinolento che corre non si sa bene dove.

E, a giudicare dai respiri affannosi che udivo, non ero solo, ma affiancato da altri corridori.
Uguali a me.
E correvano.
E correvamo
E si scontravano.
E ci scontravamo.

E andavamo non si sa bene dove.
Per quello che ne sapevamo, potevamo star benissimo correndo su di una ruota di quelle per i criceti.
Ma lo facevamo.
E continuavamo a farlo.
E lo facevamo da così tanto tempo che anche se mai un giorno la presa delle bende sui nostri occhi si fosse allentata, non saremmo comunque riusciti a vedere aldilà di esse.
E avremmo continuato a correre.
Anche se alla fine della strada ci fosse stato un baratro.

Poi c'è il lieto fine.

   
 
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