Anime & Manga > Lupin III
Ricorda la storia  |      
Autore: ThiefOfVoid    28/07/2014    2 recensioni
"Due giorni più tardi, senza che Ruster lo sapesse, mi presentai da Gavez, dicendo che era stato lui a mandarmi per saldare il debito. Avevo lasciato il lavoro, ma tenni il tesserino dell’ospedale. Era da un anno che avevo coronato, ad una giovane età, il sogno di essere il capo reparto di diagnostica al Mercy, e avevo anche un buon team. In quel momento mandai all’aria anni di studio, ma non me ne pento. [...]Sono fiera di questa nuova vita criminale, non sarò obbligata ad uccidere, finalmente ho trovato una vita sì criminale, ma con principi. Potrò vivere una vita spericolata ed elettrizzante senza dover per forza ammazzare qualcuno."
One shot nata per caso in un momento in cui, come al solito, la mia mente vaga mentre ascolto musica. Spero che possa essere di vostro gradimento.
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jigen Daisuke, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Ci siamo, è la fine. Sono tutti armati di mitra e mi hanno appena circondata. Non posso nemmeno sparare, mi hanno sparato ad una spalla sfiorando l’arteria e forse la pallottola mi ha anche danneggiato i nervi. Gavez è riuscito a ricostruire il suo gruppo mafioso da cinque anni. Non so come diavolo siano riusciti ad uscire di prigione. Si dice che siano usciti per buona condotta e che il sovraffollamento delle carceri gli abbia dato una mano. Non credevo che Shade fosse ancora vivo, avevo sentito dire che fosse morto in un esplosione. Sto per morire ai piedi della statua della Libertà, nello stesso luogo e nelle stesse modalità con cui è morto mio padre…non male vero? Faccio fatica a stare cosciente, capisco poco delle cazzate che mi sta dicendo Gavez sulla fedeltà per il proprio boss. Ma che cazzo me ne frega a me, manco volevo essere fra i suoi sicari. L’ho fatto solo per proteggere il caro vecchio Ruster, possa la sua anima riposare in pace. Era sopravvissuto al cancro, poi arriva un figlio di puttana componente dei Tre Massoni e lo fa fuori. Lo avevo conosciuto al Mercy, quando era ricoverato ad oncologia e io ero ancora una tirocinante che aveva la mezza idea di specializzarsi per entrare in quel reparto…meno male che alla fine ho scelto diagnostica, per essere oncologi ci vuole un coraggio e uno spirito altamente distaccato che non credo di avere. Ruster era indebitato con la mafia fino al collo in quel periodo, non aveva modo di pagare. Un giorno in cui i suoi sicari sono venuti a rompergli le scatole ero con lui a chiedergli un consiglio paterno, come spesso facevo. Avevo la magnum di mio padre con me quel giorno, ero appena stata al poligono e avevo ancora delle munizioni. Sapevo sparare, ma ancora non avevo incontrato la persona che tirò fuori da me tutto il mio talento. Stavano per uccidere la mia terza figura paterna (dopo il mio defunto padre e un amico di famiglia), che altro potevo fare? Avevo caricato la pistola. Sparai alla spalla del braccio con cui ogni sicario sparava, così da neutralizzarli sul momento e per qualche giorno a venire. Solo uno di loro evitò i miei colpi, e solo uno di loro è stato capace di mettermi in difficoltà. Non provò neanche a spararmi, mi teneva la pistola puntata addosso e basta, sperando che questo mi bastasse per riconoscerlo. Non sapevo il suo nome, ma la sua magnum e il suo solito cappello nero calato molto basso erano e sono ancora inconfondibili. Avevo sentito parlare di lui in tutta New York. Tutti dicevano che era il miglior tiratore della malavita. Chi sapeva di più diceva che era finito nel giro già a diciassette anni. Però non mi lasciai intimorire, non avevo alcuna intenzione di lasciare la pistola e di arrendermi. Stavo anche per sparare, eppure lui non dava l’impressione di voler fare lo stesso. Ordinò ai suoi di uscire, e anche se sembravano seccati nel doverlo fare, gli ubbidirono. Ero tesa, lo ammetto. Poco prima che premessi il grilletto Ruster mi diede una spinta, deviando così il proiettile alla parete.

“Che diavolo stai facendo!?”

“Lascia la pistola, non è pericoloso”

“Non è pericoloso!? Ruster è uno di loro, lavora per l’assassino di mio padre, te ne rendi conto!? Magari sanno anche chi sono e vogliono farmi fuori per aver fatto sbattere dentro alcuni dei loro che come dei cretini sono venuti a chiedere aiuto proprio a me al pronto soccorso” 

“Sì, sappiamo chi sei, ma il capo ha progetti diversi per te” capii fin da subito che era un tipo molto freddo, e anzi nella sua voce c’era anche un tono bastardo, accentuato alla fine della frase. Rimise la pistola nella fondina e si accese una sigaretta. La sua estrema impassibilità mi dava quasi sui nervi. Visto che però non aveva la pistola in mano rimisi in borsa la mia, non volevo sembrare troppo sgarbata. “Non mi sarei mai portato dietro questi simpaticoni, ma Gavez mi ha obbligato a rincarare la dose, sei in un ritardo mostruoso e quel bastardo ha sempre fame di soldi” Ecco, ora notavo un po’ d’espressività sia nella voce che sul viso. Sembrava seccato, come se avesse voluto uccidere il suo capo.

“Lo so che sono in ritardo, ma sono in una brutta situazione…”

“Se la cosa dipendesse da me sai benissimo che ti lascerei tutto il tempo che ti serve, per questo non ti sparo come farebbero gli altri. Ma il capo insiste, sono certo che se non paghi in fretta verrà personalmente ad ucciderti. Oppure…”

“Oppure cosa?”

“Gavez ha dei progetti per quella ragazza, non so di che tipo. Se tu la portassi da lui potrebbe anche decidere di estinguere il debito”

“Bene…quindi Ruster? Non vuoi estinguere il tuo debito e vivere in pace? Portami da quel figlio di puttana e non se ne parla più”

“Scordatelo. Potrebbe volerti uccidere…e se invece ti avesse messo gli occhi addosso?”

“Semplice, gli romperò un polso, che problema c’è?”

“Non credo che sia per questo che la vuole in casa. Quando dice di avere dei progetti per qualcuno di solito intende dire che vuole quella persona fra i suoi sicari, del resto ne so qualcosa. Magari ha intenzione di vendicarsi di quella soffiata alla polizia obbligandola a lavorare per lui” mi osserva per un momento. Sembra che stia valutando cosa potrei offrire alla mafia o che stia cercando di capire che intenzioni ho “Ha l’aria di una donna che ha intenzione di sacrificarsi, se fossi in te la terrei d’occhio se non vuoi che si unisca a noi” Se ne andò come se niente fosse, ma riuscivo a percepire dell’amarezza in lui, anzi, forse del dispiacere.

Capii che Ruster conosceva quest’uomo da un po’, ma non chiesi niente sul suo conto. Due giorni più tardi, senza che Ruster lo sapesse, mi presentai da Gavez, dicendo che era stato lui a mandarmi per saldare il debito. Avevo lasciato il lavoro, ma tenni il tesserino dell’ospedale. Era da un anno che avevo coronato, ad una giovane età, il sogno di essere il capo reparto di diagnostica al Mercy, e avevo anche un buon team. In quel momento mandai all’aria anni di studio, ma non me ne pento. Già, in quegli anni in cui ho vissuto come collaboratrice di un mafioso che sapeva di aver distrutto la sua carriera da medico ho incontrato un’altra persona che ha segnato la mia vita per sempre. Alla fine Jigen, quel sicario a cui all’inizio avrei sparato, mi ha impedito di impazzire, mi ha impedito di diventare come Gavez e i suoi assassini per dedizione. Alla fine quell’uomo che credevo un bastardo senza un briciolo d’anima è diventato all’inizio come un fratello, poi con il tempo ho perso la testa…un pezzetto dopo l’altro ogni giorno. Neanche lui era lì per sua volontà, ma cercava di non farlo vedere, così è diventato lo stronzo che tutti credono che sia. Ma ora credo che dovremmo parlare d’altro. Quel mondano di Gavez ha finito di dire le sue cazzate. Ha il coraggio di concedermi un ultimo desiderio, mi viene naturale scoppiare a ridere. Mi accorgo solo ora che c’è ormeggiato un motoscafo. Se ho fortuna chiunque ha ormeggiato qui potrebbe tornare da un momento all’altro, se mi trovano in tempo potrei anche salvarmi se schivo qualche pallottola…anzi no, è improbabile, se ne schivo da un mitragliatore ne ricevo da altri due come minimo. Come ho detto prima…è la fine. Mi pento solo di non essere riuscita a rintracciare Jigen dopo tutti questi anni di lontananza. E’ vivo, di sicuro. Farlo fuori è pressoché impossibile. Ho sentito dire che sia un complice di Lupin III…chissà dov’è ora. Chiudo gli occhi, e lascio che gli avvenimenti e il destino mi travolgano, facendo di me ciò che vogliono. Ormai sono incosciente, però mi rendo conto che la cosa si sta facendo troppo lunga. Cerco di riesumare da questa sottospecie di coma per capire cosa succede intorno a me. Sento due diverse pistole sparare, e credo di aver intravisto una katana. Mi sembra di sentire una voce familiare ora, ma forse sto delirando.

Mi sveglio con lo sguardo rivolto ad un comodino. Dimentico quasi subito il dolore alla spalla quando vedo un pacchetto di Pall Mall super long vicino alla lampada. Sono le sue sigarette preferite, spesso non aveva nemmeno da accendere, anche se sono anni che non lo vedo continuo a tenere un accendino nella tasca interna, nella speranza di doverlo usare di nuovo. Non credo che molti qui a New York comprino delle Pall Mall super long, ormai si può dire che quasi tutti i pacchetti in circolazione siano Marlboro. Pian piano che mi sveglio fuori mi rendo conto di avere addosso una camicia bianca, c’è un leggero odore di tabacco nell’aria e sento delle voci, e una di queste è molto familiare. Mi concentro per cercare di capire cosa dicono.

“Quindi è lei la ragazza che cerchi da tutto questo tempo e di cui mi hai parlato tanto”

“Già…credevo che quella notte fosse morta per proteggermi, ma una parte di me ha sempre sperato che se la fosse cavata, come ogni volta”
“Ora capisco perché avresti voluto una pausa già all’inizio della nostra collaborazione”
“Altro che pausa, l’avrei cercata per tutta New York. Alla fine non ho insistito solo perché speravo che fosse viva e ricoverata in ospedale o viva e rifugiata da Ruster”

“Certo che da come me ne hai parlato è tosta, ma un po’ nervosetta”

“Ci puoi scommettere…è incorreggibile”

Scoppio a piangere in silenzio dalla felicità. Non posso credere che dopo tutti questi anni sia riuscito a ritrovarmi e che non abbia mai smesso di cercarmi. Sapevo fin dall’inizio che teneva a me, ma non immaginavo fino a questo punto. Me ne frego del fatto che non è solo, esco da quella che si direbbe essere la sua stanza e gli butto le braccia al collo. Non è cambiato di una virgola, anzi, forse è anche più sexy che in passato. Una cosa di sicuro non è cambiata, il suo abbraccio è rassicurante come sempre.

Ho un nodo in gola, ma cerco di schiarirmi la voce “Mi sei mancato”

Mi stringe un po’ più forte, come per dire che non mi lascerà più andare “Benvenuta nel mio mondo”

La nostra è una storia con alti e bassi. Tutto è cominciato la sera stessa in cui sono stata per così dire arruolata. Gavez mi aveva affiancata a Jigen chiedendoci di andare da Ruster, voleva fargli sapere che la prossima volta non gli sarebbe andata così bene. Cercai di nascondere la mia preoccupazione. Non sapevo come Ruster avrebbe reagito, e avevo paura che la cosa lo avrebbe ferito. Riuscii a gestire il tutto fino a che non arrivammo da lui, ma davanti a casa sua ebbi come una specie di mancamento. Mi girava la testa e non riuscivo a fare un passo di più, avevo un nodo allo stomaco. Jigen era ormai alla porta, mi sbloccai solo quando stava per aprire.

“Aspetta…”

“Che c’è?”

“Puoi dargli gli avvertimenti di Gavez anche da solo no?”

“Fammi indovinare, Ruster non ti ha davvero mandata da noi”

“Bingo…non credo di essere pronta per sentire ciò che avrà da dirmi. Come minimo mi manderà a quel paese. Ma d’altronde cosa si aspettava che facessi? E’ come un padre per me” avevo ancora i capelli lunghi fino alle spalle. Distolsi lo sguardo e portai tutti i capelli sulla destra, tentando di nascondermi. Facevo sempre così per cercare di nascondere il fatto che stavo per piangere, ora che ho i capelli corti non ho più nessun metodo. Ma avevo comunque la voce rotta dalle lacrime che stavano per arrivare. Lo intravedevo, e mi stupii del fatto che sembrava quasi dispiaciuto per me. Allora non credevo ancora che avesse un’anima, come una cretina credevo alle voci che giravano su di lui. Proprio per questo non volevo sembrare debole davanti a lui, credevo che se mi avesse creduto tale mi avrebbe reso la vita un inferno, come se non fosse già un inferno così com’era. Mi girai di scatto sentendo la sua mano sulla mia spalla e poi cercai inutilmente di togliermi dalla faccia il mascara colato, senza successo tra l’altro.

“Sembri più giù di una a cui hanno sparato al padre. Ah è vero, lo hanno fatto” non mi ero fatta nessun scrupolo, gli tirai uno schiaffo, non me ne importava niente del fatto che potesse uccidermi senza fatica se avesse voluto. In quel momento ancora non credevo che fosse capace di pentirsi “Scusa, non volevo offenderti, ho esagerato”

La sua reazione mi colpii parecchio, ma si sa, porto rancore. “Allora sei stronzo proprio come si dice in giro”

Mi resi conto che ciò che avevo detto doveva averlo ferito nel profondo, ma sul momento non mi importava. Ora so che ha reagito così perché doveva essere ciò che non voleva essere, e il fatto che pensassi che fosse come in realtà non era quasi lo spaventava. Me ne stavo andando verso la casa di Ruster, ma mi bloccò prendendomi per un braccio. Non c’era traccia di rabbia o odio in lui, anche se la sua stretta era forte e decisa…ma allo stesso tempo gentile. Fin dal primo momento è stato un coesistere di opposti “Lo so che sarà difficile, ma devi affrontare la cosa, devi avere il coraggio di dirgli tutto, perché è da te che vorrebbe sentirlo. Se dovesse andare male poi ci parlo io con Ruster”

Non sono mai stata molto aperta, ma quando mi abbracciò non mi tirai indietro, anzi, mi lasciai andare. Lasciai che la tristezza e la paura che reprimevo nel profondo venissero fuori, e scoppiai in un pianto isterico. In quel momento mi strinse un po’ più forte, mi sembrò quasi di sentire tutta la sua comprensione e il suo sostegno. Mi sentii in colpa per avergli dato dello stronzo con così tanta cattiveria, perché una piccola parte di me stava già cominciando a cambiare idea sul suo conto. In più cominciai a chiedermi da dove derivasse tutta questa comprensione per me, cominciai a chiedermi se la sua storia non fosse simile alla mia in qualche modo. “Non vorrei essere qui, non avrei mai voluto dover lasciare il mio lavoro, avevo davanti a me una brillante carriera da diagnosta. In più non sono nemmeno così brava a sparare, potrei difendermi da una singola persona che ha a sua volta una pistola, ma non da più persone magari armate di mitra…ho paura e sono sola ad affrontare tutto questo”

“Non sei sola…se ti va, io ci sono. E poi non te la sei cavata male oggi, basta solo che migliori un po’ e potrai affrontare chiunque”

Mi lasciò il tempo di riprendermi e poi entrammo in quella casa. Appena mi vide insieme a Jigen Ruster capì subito come stavano le cose. Mi chiese se aveva ragione a dire che lavoravo per Gavez, ma rimasi in silenzio. Jigen si mise a parlare di ciò che dovevamo dirgli, così da distrarlo. Non so se lo fece apposta, ma mi diede il tempo di pensare e di prepararmi per il dialogo che di lì a poco sarebbe cominciato.

“Te lo chiedo di nuovo, ho ragione?”

“Sì…ma che avrei dovuto fare secondo te!?”

“Avresti dovuto starne fuori, ecco cosa avresti dovuto fare”

“E lasciare che ti uccidessero!? Non ti ho convinto a riprendere la chemio qualche anno fa per poi lasciare che un figlio di puttana qualunque ti facesse fuori”

“Quella che si farà uccidere qui sei tu. Col carattere vendicativo che hai combinerai senz’altro qualcosa per cui Gavez vorrà mandarti all’altro mondo”

Non sapevo come rispondere, aveva ragione da vendere, era proprio questo che mi faceva più paura “Se è questo il problema allora ci penso io, la terrò d’occhio, e appena provano a torcerle un capello li riempirò di piombo”

Infondo non andò così male, anche se non voleva ammetterlo Ruster era grato per ciò che avevo fatto per lui. Ogni tanto passammo insieme da lui quando la mafia non ci chiedeva di ammazzare gente o cose del genere. Non tornammo subito da Gavez come avremmo dovuto, mi disse che come sua protetta avrei dovuto essere anche io una menefreghista impassibile come lui, giusto per divertirsi di più a far incazzare il capo e Shade. Eravamo nei pressi di Time Square, mezzi imbottigliati nel traffico e le prime insegne al neon cominciavano ad accendersi. Si prese una sigaretta, ma non aveva da accendere, questa fu la prima di tante volte in cui il mio accendino tornò utile.

Hei socio, è occasionale la cosa o sei sempre così poco organizzato?”

Mi sorrise porgendomi un pacchetto di Pall Mall super long “Ti va una sigaretta?”

“Chiedo venia ma non fumo, in questo senso sono la pecora nera di famiglia”

“Allora perché diavolo vai in giro con un accendino?”

“A volte usufruivo ingiustamente del fornelletto della saletta di chirurgia se non avevo voglia di andare in mensa. Forse è anche per
questo che mi odiano, mi piaceva infastidirli invadendo i loro spazi e sottraendogli pazienti”

“Certo che sei strana”

“E ancora non hai visto niente…ti auguro buona fortuna, non sono affatto normale” scoppiammo a ridere e andammo avanti per un minuto scarso, sembravamo già due vecchi amici “Comunque scusa per prima, ero fuori di me, non penso davvero che tu sia lo stronzo che tutti dicono”

“Me la sono cercata. Sai, quello schiaffo mi ha fatto capire che non siamo tanto diversi io e te”

“Che vuoi dire?”

“Vogliamo entrambi sembrare diversi da ciò che siamo, o almeno nascondere una parte di noi. La cattiveria che hai messo anche in quella frase mi ha fatto capire che sì, sei forte e indipendente, ma dietro questa parte di te ci sono un’infinità di demoni che ho intenzione di scoprire”

“Ti renderò la vita facile raccontandoti tutto, solo se tu farai lo stesso”

“Non ho dei demoni”

“Davvero? Vuoi farmi credere che lavori volontariamente per Gavez? Si vede lontano un miglio che lo odi a morte”


“Perché invece non parliamo della morte di tuo padre e di come poi tua madre sia sparita nel nulla e ti abbia scaricato a tuo nonno a Tokyo?”

“E tu come diavolo fai a sapere che mi ha abbandonata per andarsene chissà dove!?”

“A quanto pare Gavez ha amici in Giappone”

“Va al diavolo…non so cosa mi stia trattenendo dal mandarti a fanculo” da questo momento in poi guardai fuori dal finestrino fino a che non ci fermammo, da una parte volevo conoscerlo, ma dall’altra aveva tirato in ballo argomenti che non volevo trattare e la cosa mi aveva fatto arrabbiare così tanto che avrei quasi voluto dirgli che lo odiavo, anche se non era vero.

“Puoi mandarmi a fanculo quanto ti pare, ma ultimamente sono l’unico amico che hai”

“Sta zitto”

Stavo per piangere di nuovo, il pensiero del mio passato in quel momento difficile mi stava uccidendo. Osservare New York, sempre pullulante di vita, mi distraeva un po’, ma forse non abbastanza. Ci fermammo davanti al Jazz Club a Time Square, quello che poi è il suo locale preferito a New York. Ai tempi ci ero stata solo due volte e non mi era dispiaciuto, ma col tempo lo adorai anche io. Quella notte ero di malumore e come ogni giornata no presi degli scotch doppi, ma esagerai. Ero ubriaca fradicia, era improbabile che riuscissi a tornare a casa mia. Ero a Time Square e dovevo tornare sulla 24esima…impossibile che potessi arrivarci da sola. Jigen però non sapeva dove abitavo…e non era nemmeno lucido. Bello eh? Per farla breve, la mattina dopo mi svegliai con un mal di testa terribile…a casa sua…nel suo letto…con addosso solamente le mutande e la sua giacca.

Lo vidi rimettersi la camicia e per un attimo un dubbio atroce si insediò nella mia testa “Ti prego dimmi che non abbiamo fatto niente”

“Mi dispiace deluderti ma…eravamo partiti tutti e due e…”

“Oddio allora quei falshback che ho in testa sono veri…sono pessima”

“Non mi dirai che hai messo le corna a qualcuno!?”

“Grazie al cielo no, ma sono comunque pessima…ci conosciamo da meno di ventiquattr’ore, non so praticamente niente di te e tu non sai praticamente niente di me…non riesco nemmeno a capire se ti odio o se potresti piacermi e che faccio!? Finisco a letto con te…altro che principi, sono una sgualdrina assatanata”

“Bhe se sei una troia nemmeno io ho tanti principi. Siamo una coppia abbastanza simile, no? E comunque sei partita dopo quatto giri di scotch, non potevi essere cosciente ieri notte, sei giustificata”

“Per quel che mi riguarda non del tutto, ma ok” per un attimo il mio sguardo ispezionò ogni centimetro della sua pelle scoperta dalla vita in su. Mi fermai all’altezza delle spalle “Ma quante diavolo di cicatrici hai!?”

“Una per ogni donna che mi ha amato” mi chiesi se la sua era solo una frase fatta tanto per fare il figo, però l’amarezza che c’era nella sua voce mi fece capire che diceva sul serio.

Una parte di me cambiò umore all’improvviso, ero nervosa, come se avessi voluto dire a quelle quattro tizie che ora era il mio turno…sì ero gelosa, ma ancora non ci trovavo un motivo logico. Poi capii un’altra cosa: tutte e quattro alla fine lo hanno tradito e hanno tentato di ucciderlo. Alla fine capii che tutte e quattro avevano sicuramente sfruttato il suo talento per arrivare al loro scopo. Sì magari provavano qualcosa, ma era qualcosa che non doveva essere davvero sincero. Ancora oggi non ho capito cosa mi stesse succedendo, ma fui pervasa da parecchia dolcezza nei suoi confronti. A quanto pare una parte di me già stava perdendo la testa. Non so perché, ma continuavo a sfiorare un paio di cicatrici vicino alla clavicola che mi sembravano le più recenti. Continuavo a chiedermi come si potesse avere il coraggio di fare una cosa simile. Ora che ci penso ho paura che gli sia accaduto ancora, non mi stupisce il fatto che non si fida delle donne. Infatti mi sorprende che si fidasse e che ancora si fidi di me. Per quello che ne sapeva lui avrei potuto essere una come tante, un’approfittatrice come altre con cui ha avuto a che fare. Restai in silenzio per un po’, persa nei miei pensieri.

“Ti hanno tutte usato, è questo che vuoi dirmi?” avevo la voce rotta. Non mi era mai capitato di essere così dispiaciuta per qualcuno che conoscevo così poco

“A quanto pare attraggo le persone sbagliate”

Lasciai scivolare un po’ la mano, sentii che era leggermente tachicardico, la cosa mi agitò un po’, non sapevo come giustificare la tachicardia se non con la nostra vicinanza. “Magari la prossima non lo farà, magari farà di tutto per non farsi ammazzare e lo farà per te…” in quel momento la mia razionalità andò a farsi benedire e mi lasciai trasportare da non so quale sentimento. Mi avvicinai al suo viso con un po’ di esitazione, quando le nostre labbra si sfiorarono ricordo di aver sentito un brivido percorrermi la schiena. Mi sembrava di avere il cuore in gola, e a giudicare dalla tachicardia doveva essere lo stesso per lui. Sinceramente non sapevo cosa stavo facendo, fino alla sera prima credevo di odiarlo, e la mattina dopo mi ritrovai in questa situazione. Lo baciai, all’inizio rimase parecchio stupito. Credo che mi stesse considerando lunatica o qualcosa del genere. Fu una cosa molto dolce, è uno dei migliori ricordi che ho dei miei primi giorni da criminale. Ormai dimenticai il mal di testa, sembrava quasi essersi alleviato dopo tutto questo affetto.

“Io non…non so cosa mi è preso”

“Sono troppo bello forse?”

“Ti piacerebbe”

“Non lo hai smentito del tutto”

“Finiscila o finiremo come ieri sera”

“Non sarebbe male” sinceramente non mi aspettavo una risposta del genere, credevo e speravo che non fosse abbastanza lucido da ricordare e da pensare

“Non possiamo semplicemente dimenticare?” mi fu difficile dirlo, perché una parte di me non voleva farlo…in realtà non era questo che volevo dirgli, ma non so perché uscì fuori la parola ‘dimenticare’.

“Fa come vuoi, per me ha significato qualcosa. Evidentemente per te no”

Il tempo di mettersi la cravatta e se n’era andato. Se l’era presa parecchio, e la cosa mi faceva male, ma non me resi subito conto. Avevo ancora la sua giacca, in cui erano rimaste le sigarette, un accendino scarico…e le fottute munizioni. Mi prese un colpo quando le sentii nella tasca interna a destra. Potei solo sperare che ne avesse anche in tasca e che non gli accadesse niente. Mi rivestii e cercai di capire dove mi trovavo. Non ero molto lontana da Time Square, neanche dieci minuti a piedi. Presi un taxi e mi approfittai del traffico infernale per scrivergli qualcosa…già, viaggio con un blocco e una penna nella borsa. Non mi tolsi la sua giacca anche se avevo leggermente caldo, profumava lievemente di tabacco…lo so che per molti non è il termine giusto, ma è un odore familiare per me visto che quasi tutti nella mia famiglia fumano, così famigliare che per me è come un profumo.
So che ora ti sembro una stronza, e forse lo sono anche. Sono stata un’insensibile egoista, per questo non voglio giustificarmi con queste parole. Nelle ultime ore non sto capendo più niente, non capisco come sto o cosa provo. Figuriamoci se riesco a capire quando dovrei tenere il becco chiuso. Però sto una cosa la sto capendo: non voglio dimenticare, o almeno non vorrei. Una parte di me vuole finalmente cominciare a vivere, ma l’altra ha sempre paura di ciò che non è strettamente razionale e prevedibile. Ed è questo il problema, perché quello che mi sta succedendo ora mi sembra parecchio irrazionale. Ti conosco da meno di un giorno…eppure credo che mi sto già innamorando. Già, non lo so nemmeno io, perché ti conosco così poco e…davvero non so cosa mi stia succedendo. Comunque mi dispiace che tu abbia frainteso…anzi, mi dispiace che io abbia usato un termien che non volevo affatto usare. Non voglio dimenticare, ma non ne voglio parlare, almeno per un po’. Devo trovare un po’ di chiarezza, devo stabilizzarmi in questa nuova realtà. Ho paura e ho bisogno di te, perché hai ragione quando dici che ultimamente sei l’unico amico che ho. Quindi, se ti è possibile, scusami per stamattina. 
Gli lasciai il biglietto insieme alle sigarette. Quel giorno Gavez ci chiese di fare da supporto al gruppo di Shade, gli ridetti la giacca solo in macchina. Come pensai si prese subito una sigaretta. Non lesse subito il biglietto, ma trovandolo mi guardò per una manciata di secondi. Ci chiesero di fare da palo, bisogna ammettere che sprecarono il nostro talento così. Anche se era mattina stabilimmo i turni, avremmo fatto un ora e mezza per uno. Cominciai io e ogni tanto controllai velocemente se leggeva ciò che gli avevo scritto, ma niente. Non parlammo, nemmeno una parola per tre lunghe e strazianti ore, praticamente ci stavamo ignorando. Dovetti fissare più volte un punto qualsiasi per cacciare indietro le lacrime. Non credevo possibile che la sua indifferenza potesse farmi così male, eppure era ciò che stava accadendo. Guardandolo in quei momenti cominciai a chiedermi come fosse possibile dargli del bastardo. Aveva già l’aria di uno che ne aveva passate di tutti i colori, e poi non voleva parlarmi per ragioni che credo si possano definire di cuore. Il fatto che mi fosse difficile capire cosa provava e che avesse quell’aria di mistero che il cappello sempre così calato gli dava me lo faceva trovare (e me lo fa trovare ancora oggi) parecchio affascinate, oserei dire irresistibile. Ormai mi resi conto che stavo iniziando a perdere la testa, ma non immaginavo ancora che questo, in confronto a ciò che venne dopo, era niente. Una parte di me, per un momento, pensò che l’unico modo per dimostrare che le mie parole erano vere era quello di baciarlo di nuovo, ma non ne ebbi il coraggio e non mi sembrò nemmeno il caso. Ero così immersa nei miei pensieri che Jigen dovette chiamarmi due volte prima che tornassi alla realtà. Risalimmo in macchina e tutto sembrava tranquillo, fino a che non ci spararono ad una gomma nei pressi del porto. Noi due, Shade e un tizio a caso riuscimmo ad uscire dalla macchina e a non farci uccidere dai mitra del copioso gruppo di sicari al servizio del nemico numero uno di Gavez. L’altra auto sbandò e si schiantò contro un edificio, credo che fosse un condominio abbandonato, i quattro all’interno del veicolo morirono sul colpo…credo che non ci fossero dubbi in merito. Ero nel bel mezzo di una sparatoria, e ancora non sapevo sparare come si deve. Rimasi nascosa dietro alla nostra macchina per qualche secondo, ero in preda al panico. Ero così messa male che mi tremavano le mani, ci stavo mettendo un’eternità per caricare. Non so dove trovai il coraggio di farlo, ma dopo aver riacquistato un po’ di sanità mentale mi buttai nella mischia. Rimasi esposta mentre ricaricavo, questo fu un grande errore che fortunatamente imparai in fretta a correggere. Quando alzai lo sguardo ormai era troppo tardi e da sola non avrei mai evitato quella pallottola. Jigen mi afferrò e finimmo entrambi a terra. Se non fosse stato per lui a quest’ora sarei morta con un buco in testa, lo ferirono di striscio al braccio sinistro. Certo, poteva comunque sparare, ma dava comunque fastidio. Il tizio a caso che era con noi si fece ammazzare come un cretino e i nostri ‘amici’ erano troppi. Sparai un caricatore intero per disarmare quelli più immediatamente vicini a noi e poi ci dedicammo ad una ritirata strategica. Avevo un foulard bianco con me, mentre eravamo nascosti lo usai per fare una fasciatura di fortuna per il suo braccio. Shade stava chiamando rinforzi mentre ero occupata a fare un nodo che fosse abbastanza stretto da non disfarsi ma che allo stesso tempo non facesse sentire dolore a Jigen. Appena ebbe finito di imprecare, rischiando anche di farci trovare, si mise a rompermi le scatole facendomi salire il crimine.

“Non mi sarei fatto sparare, sono migliore di lui. Solo un cieco si sarebbe fatto sparare così. E’ un idiota, non perderei nemmeno tempo a curarlo”

“Intanto l’idiota, come lo chiami tu, mi ha salvato la vita. E per giunta non ha rischiato di attirare l’attenzione, contrariamente a te…ti credi tanto figo vero? Ti dirò una cosa, sei praticamente inutile” sentii dei passi dietro di me. Quel tipo non fece nemmeno in tempo a pensare di premere il grilletto, si trovò una mia pallottola in fronte prima.

Anche se quel tipo non riuscì a dirlo agli altri ci pensò il mio colpo di pistola a far capire dov’eravamo. Dovevamo scappare, e invece me ne stavo lì paralizzata dallo stupore di ciò che avevo appena fatto. Anche se per autodifesa avevo pur sempre ucciso una persona. Ero consapevole che prima o poi avrei dovuto farlo, ma non ero ancora pronta. Ero scossa da problemi pratici e da problemi emotivi e il mio cervello era troppo incasinato per occuparsi di due cose così importanti insieme. In quel momento avrei dato un calcio nelle palle a Shade, ciò che disse a Jigen mi fece incazzare parecchio e in più ci aveva fatto trovare. Se fosse stato per quel cretino mi avrebbe lasciato lì senza tentare di farmi tornare in me. Jigen invece cercò di riportarmi alla normalità e per poco non si fece ammazzare a costo di portarmi via da quel vicolo. Alla fine, dopo aver disarmato o fatto fuori un paio di tipi, mi prese per un polso e cominciò a correre. Dovetti seguirlo per forza, e questo mi riportò alla realtà. Non potevamo correre per sempre, e grazie al cielo dopo non molto tempo arrivarono i rinforzi. Non sparai nessun colpo, contrariamente a tutti gli altri. Per quello che mi riguardava i nostri col mitra erano a sufficienza. Non volevo saperne di sparare a qualcuno almeno per il resto della giornata. Grazie al cielo arrivai a sera senza aver di nuovo bisogno di impugnare la pistola. Appena potei andarmene mi rifugiai al poligono di tiro, volevo migliorare la mia mira, così da non essere obbligata ad uccidere la gente se potevo limitarmi semplicemente a disarmarla. Fui distratta sentendo uno dei dipendenti parlare.

Sta dimenticando le cuffie”

“Non ne ho bisogno”

Stranamente volevo starmene da sola, invece Jigen era a due passi da me “Che ci fai qui? Mi hai seguita per caso?”

“Giuro che smetto di stalkerarti se vuoi, se vuoi dimenticherò anche quello che è successo ieri notte…anche se mi sarà difficile farlo…comunque accetto le tue scuse. Ecco, ora mi sento bene come se mi avessi baciato” sinceramente non mi aspettavo quella punta finale di dolcezza…lo ammetto, rimasi parecchio stupita

“Come ti ho già scritto a me basta che non ne parliamo almeno per un po’, credo che dimenticare non sia possibile”

Mi girai e tornai con lo sguardo fisso sulla sagoma da tiro. Mi demoralizzai vedendo che miravo istintivamente o alla testa o al cuore, come al solito sperai che qualche ciocca di capelli potesse nascondere la cosa. Sembrava che non ci fosse verso di nascondere niente a Jigen, capiva (ed è così tutt’ora) sempre come stavo, non capivo se ero io ad essere palese o lui sensibile ai minimi cambiamenti di espressione di una persona.
“Bisogna dire che chi ti ha insegnato a sparare dev’essere una persona che va dritta al punto” appoggiai la pistola, esasperata “Stai bene?”

“Jigen ho ucciso un uomo, come pensi che dovrei stare? Lo so che è stata autodifesa ma…sono più portata a salvare delle vite, non ad interromperle”

“Lo avrei fatto anche io! Non devi sentirti in colpa…e poi è meglio che sia morto lui rispetto a te”

“Ti dispiace offrirmi una sigaretta?” mi stupii anche io per ciò che gli chiesi

“Ma hai detto che non fumi…”

“C’è una prima volta per tutto, e poi non ti conviene discutere con una donna che ha i nervi a pezzi”

Quella fu la prima sigaretta della mia vita. Dopo averla finita e rilassato i nervi cominciò a ri-insegnarmi a sparare, mi aiutò a migliorare mira e velocità, combinandole in maniera efficiente per la vita che stavo iniziando a fare. Alla fine passammo lì così tanto tempo che dovettero quasi buttarci fuori dal poligono. Non è colpa mia, fu lui a farmi perdere la cognizione del tempo. Morivo ogni volta che mi correggeva la mira o la postura, rimase tutto il tempo alle mie spalle e quando c’era da sistemare qualcosa mi prendeva le mani, sempre rimanendo alle mie spalle. Mi ritrovavo fra le sue braccia ogni volta, per questo non volevo smettere di allenarmi…lo so, sono pessima. Comunque è grazie a lui se oggi sparo ad una velocità di tre secondi e tre e ho una precisione quasi come la sua. Era parecchio tardi quando lasciammo il poligono, sarà stata mezzanotte.

“Vuoi un passaggio fino a casa?”

“Non preoccuparti, faccio un giro per Time Square e poi prendo un taxi”

“Come vuoi…se cambi idea sai dove trovarmi”

Passarono al massimo venti minuti prima che lo raggiungessi al jazz Club. Girai un po’ di negozi, ma in realtà mi concentrai sulla libreria e sulla fumetteria, sperando di trovare un buon libro o un nuovo manga da seguire. Già, è facile vedermi con un libro o con un manga in mano, sono due mie grandi passioni, insieme alla musica jazz e blues. Sfortunatamente non trovai niente che potesse interessarmi, forse anche perché non ero concentrata sapendo che potevo raggiungere Jigen in qualunque momento.

“Sei già qui? Non ce la fai proprio a starmi lontana a quanto vedo”

“Non farti troppe illusioni”

Passammo le nostre giornate così, legando sempre di più. Lo persi di vista la notte in cui decise di collaborare con Lupin. Era con le spalle al muro e lo avevano ferito, per evitare che lo ammazzassero sparai a molti dei sicari di Gavez, ecco perché mi vuole morta.
 
Sono passati due giorni da quando ho ritrovato Jigen. Li abbiamo passati girando per la città, ripercorrendo i luoghi più importanti della nostra storia. Mi sono mancati tantissimo i nostri lunghi dialoghi sul ponte di Brooklyn. Per la cronaca dormo con Jigen, sul divano sto scomoda. Con la scusa del dovermi proteggere si può dire che non mi ha mollato un secondo, ma tanto non mi dispiace la cosa. Stamattina mi sono svegliata presto e non riuscendo più a riaddormentarmi mi sono data alla cucina e ho preparato pancake in abbondanza. In realtà ho fatto anche un salto alla starbucks e ho preso tre caffè…solo tre, tanto Goemon non vorrà favorire. Non so se partecipare al colpo che Lupin sta organizzando qui a New York. La spalla non si è ancora ristabilita, in teoria non posso sparare. Ma potrò pure essere utile in qualche altro modo no? Bhe questo sta a loro deciderlo. Di certo non me ne andrò e probabilmente li seguirò a Tokyo e quando potrò sparare di nuovo potrò finalmente rendermi utile sul vero senso della parola. Non sarò la nuova Fujiko, che sta lì a fare praticamente niente e poi se ne va con tutto il bottino. Tra l’altro la odio, ci prova con chiunque abbia soldi o capacità, una volta ci ha più o meno provato anche con Jigen, come minimo le avrei dato una gomitata nello stomaco. Passa la sua vita a troieggiare, e poi pensa solo ai soldi, mi dà sui nervi.

“Sei un tipo mattiniero eh?”

“Si vede che non la conosci, prima delle nove non si sveglia mai”

“Jigen ha ragione, ma stamattina non riuscivo a dormire, così mi sono resa utile. Piuttosto, quand’è il colpo?”

“Come facciamo a fidarci di te? Sei qui da soli due giorni” Goemon parlerà anche poco, ma quando lo fa è quasi fastidioso

“Non c’è da dubitare di lei, preferirebbe farsi ammazzare piuttosto che tradire gli amici, e poi se mi fido perfino io c’è da stare sicuri. Comunque è fra tre giorni, al Museum of Modern Art”

“Che!? Siete specializzati in furti impossibili per caso?”

“Gli ho già detto che è una pazzia, ma è raro che mi ascolti”

“Niente è impossibile per me, vi ricordo che sono Lupin III”

“Sarà, secondo me sei completamente fuori di testa”

“Già, ma da ciò che mi ha detto Jigen nemmeno tu sei tanto a posto. Davvero non ti interessa un furto di questa portata? Avremo dietro tutta la polizia di New York e buona parte dell’Interpol, Zenigata compreso. Tra l’altro mi risulta che sia un amico della tua famiglia e che considerasse tuo padre come un fratello. Il caro vecchio Zazà sarà più volenteroso del solito con la tua presenza, vorrà sicuramente riportare la sua cara ‘nipote’ sulla retta via”

Jigen non gli avrebbe mai rivelato questa parte della mia storia, infatti anche lui è sorpreso quanto me sentendo le parole di Lupin “Già, hai ragione, non posso resistere, l’adrenalina scorre a fiumi in questo caso. E comunque quella buon anima di Zenigata vuole riportarmi sulla retta via da anni ormai, diciamo che il fatto che abbia lavorato per l’assassino del suo migliore amico, ossia di mio padre, non gli è mai andato giù. Come se non bastasse disapprova il fatto che dopo l’arresto dell’intero clan non ho nemmeno tentato di tornare alla mia vecchia vita, ma cosa pretendeva? Il Mercy di certo non riassume personale con la fedina penale che grida vendetta, e poi i miei metodi sono sempre stati poco ortodossi”

“Allora parteciperai? O è qualcosa di troppo grande per te? Anche Gavez è interessato al nostro futuro tesoro”

“Certo che accetto, non c’è niente di troppo grande per me ormai…e poi potrò finalmente rendermi utile”

“Con la spalla ridotta in quella maniera? Scordatelo. Se non ti farai arrestare ti farai ammazzare”

“Jigen fa il premuroso…la cosa è molto più seria di quello che immaginavo”

“A volte mi chiedo cosa mi trattenga dallo spararti in testa”

Sto facendo di tutto per trattenere le risate, ma sono dettagli. “Ora mi serve solo che due di noi entrino nel museo e mi procurino le ultime informazioni riguardo al sistema di sicurezza” è dalla sua battuta di prima che ride come uno che insinua senza sosta

“Perché ci guardi ad intermittenza con quella faccia da pesce lesso?”

“Potreste andare tu e Jigen…così vi lasciamo un po’ da soli anche sul lavoro”

Non facciamo caso alla battuta di Lupin, usciamo e saliamo in macchina come se niente fosse. Ci infiltriamo fra gli addetti alla sicurezza del museo e riusciamo a copiare i file e gli schemi di cui abbiamo bisogno su una chiavetta USB. Al ritorno parliamo della mia partecipazione al colpo e giungiamo ad un compromesso, se potrò già sparare ci sarò, altrimenti parteciperò al prossimo. Mi sembra abbastanza democratica la cosa, al massimo farò da palo, meglio di niente. Mi sembra di essere tornata ai vecchi tempi, ci prendevamo cura l’uno dell’altra, siamo entrambi cocciuti e se fosse per noi combineremmo casini anche da feriti, per questo ci teniamo a freno a vicenda. Sono contenta che non sia cambiato niente da allora. Mi è mancato ogni aspetto di lui e del nostro rapporto, e se qualcosa fosse cambiato l’avrei presa sicuramente molto male. Giro stazioni radio a caso, fino a che non ne trovo una che mi piace. Mi fermo su una stazione di jazz e simili. Fortunatamente vuole che stia passando He’s Gone di Michiko Kihara, mi sto fissando con quella canzone, è meravigliosa e fa al caso mio. E sarebbe perfetta per un lento. So a memoria solo la parte in inglese…non so come ho fatto quei cinque anni in cui ho vissuto a Tokyo con mio zio, capisco poco o niente di Giapponese, il bello è che sono in parte giapponese. Mi farò aiutare da Jigen, è giapponese, anche se non si direbbe. Quando arriviamo nel nostro nascondiglio in zona porto il sonno arretrato mi sta uccidendo, sono mezza addormentata. Fortunatamente è quasi ora di pranzo, il cibo mi sveglierà. Sto in pace fino a circa metà pasto, sorseggiando una birra fino a che Lupin per poco non mi fa strozzare con una notizia che mai mi sarei aspettata.

“Sai Alexis, ho ricevuto una notizia da un mio uccellino segreto, hai mosso il freddo cuore di un mio vecchio amico. No tranquilla, con vecchio non intendo dire di due secoli. Chissà la sua gelosia quando tu e Jigen siete rimasti da soli nel museo. Avete per caso avuto una sveltina nel bagno?”

“Noi lavoriamo, mica come te che perdevi tempo andando dietro a Fujiko Comunque che tipo è questo tuo vecchio amico?”

“Bhe è giapponese, con un passato misterioso, piuttosto taciturno, sempre sovrappensiero, sempre serio. Se dicessi di più capiresti di chi si tratta, quindi ora sta a te fare i tuoi calcoli”

Sia Jigen che Goemon corrispondono alla descrizione di Lupin. Ovviamente spero nella prima soluzione, la più probabile. Non credo di essere il tipo di persona per cui Goemon potrebbe provare interesse, certo, tutto è possibile ma…sarebbe così assurdo. “Sai se si farà vivo?” la curiosità e l’ansia che ho sono facilmente percettibili nella mia voce.

“E’ probabile, so che vuole parlarti prima della nostra partenza da New York”
 
Dopo pranzo faccio un giro per la città per schiarirmi le idee. Se è Jigen non c’è problema, ma se è Goemon che faccio? Insomma, come gli potrei dire che per me non è lo stesso senza ucciderlo? Non per altro, ma non conviene dare ad un samurai una ragione per ucciderti, soprattutto ad uno con le sue capacità e che combatte con la spada onnipotente. Credo che in una maniera o nell’altra capirà. Faccio un salto nel mio appartamento per prendere i miei vestiti e ciò che voglio assolutamente portarmi a Tokyo. Quando torno trovo una rosa con biglietto sopra la mia pistola, che non mi sono portata perché è un momento della giornata piuttosto tranquillo. Leggo il biglietto e comincio a fangirlizzare.
So che forse sai chi sono dopo che quel demente di Lupin te ne ha parlato. Non voglio dilungarmi in discorsi sdolcinati perché tu moriresti d’infarto e io ci metterei delle ore per pensare come esprimere ciò che ho dentro. E della seconda mi importa di più…ok, non so mentire. Comunque…se vuoi sapere con certezza chi sono vieni fra tre giorni al Jazz Club, a mezzanotte e trentacinque. Mi riconoscerai subito, sarò accanto a te e prenderò uno scotch doppio con ghiaccio. Lo so che è strano e che potresti pensare che tutta questa faccenda è una follia, ma non riesco più a tenere per me ciò che provo. 
O è Jigen che si è tradito con il locale e con i dettagli o e Goemon che vuole depistarmi. Ok, sono fuori fase. A cena mangio piuttosto poco e passo una notte quasi in bianco, questa storia ma sta facendo uscire di testa.

Sono passati tre giorni. Sarà una notte piena, prima il colpo verso le undici e poi l’appuntamento dopo mezzanotte. Lupin è estremamente egocentrico, ha dato l’annuncio del furto al direttore del museo, ai giornali…perfino all’Interpol e al mio caro zietto. Sono già pronta per stasera, se avessi dovuto anche pensare a come vestirmi subito dopo il colpo sarei arrivata sicuramente in ritardo. Ho deciso di tirare fuori dal mio armadio dopo anni il mio abitino azzurro a spalline sottili e lungo fino a metà coscia…è leggermente troppo aderente per i miei gusti, ma mi hanno sempre detto che non è esagerato come credo io, tacchi in tinta e guanti bianchi lunghi fino al gomito…anche questi non li tiravo fuori da un po’, in questo caso un tocco di classe ci sta. Per finire make up leggero, una mano di mascara e un filo di ombretto azzurro pallido. Sono ansiosissima per tutto, ma soprattutto per l’appuntamento. Non ci sono problemi per il colpo, il gruppo si fida di me, l’influenza di Jigen mi aiuta parecchio, qualcosa mi dice che farò qualche cazzata. Forse un problema c’è...Zenigata potrebbe vedermi, si incazzerà tantissimo, lo so già. Ma l’appuntamento determinerà in maniera più importante il mio futuro, capirò se sono ricambiata oppure no e se è un sì smuoverà la situazione di parecchio…è elettrizzante e terrificante allo stesso tempo. Visto che posso sparare di nuovo sfogo la mia ansia rendendo delle lattine ad un colabrodo, ma dopo non molto tempo, mezz’ora al massimo, la faccio finita. Mi dà ancora leggermente fastidio il contraccolpo, mi sembra il caso di risparmiare energie per stanotte. Dopo ore di attesa ansiosa è finalmente arrivato il momento di entrare nel museo. Jigen rimane fuori nel caso ci sia bisogno di aprirsi la strada fra una marea di sbirri, Lupin Goemon e io entriamo. Disattivo il sistema di sicurezza e la video sorveglianza mentre i ragazzi si liberano dei sorveglianti.  Quando entriamo nella sala che ci interessa noto subito alcuni cecchini di Gavez. Sparo e colpisco il primo di loro in piena fronte, ora scoppia l’inferno. Lupin prende il quadro e noi lo compriamo, ci nascondiamo tutti e tre dietro delle colonne appena possiamo. Quando siamo tutti pronti annientiamo quelli più vicini a noi e poi cerchiamo di uscire dal museo. Appena fuori dalla porta il numero impressionante di lampeggianti della polizia che si vedono dirigersi qui quasi mi spaventa. Ci sono anche dei sicari qui fuori, sembra l’apocalisse. Mi occupo dei tizi, diciamo così, a terra mentre Jigen pensa ai cecchini. Arrivo alla fine con il braccio leggermente dolorante, non credevo che ci sarebbe stata così tanta gente. Uno degli ultimi che ho colpito è ancora vivo, spara a tradimento a Jigen, mentre è concentrato su un cecchino che sembra quasi più veloce di Goemon. Fortunatamente, se così si può dire, viene preso alla spalla. Stavolta sono io a spingerlo per evitare che una pallottola gli spappoli il cervello. Lo copro per un paio di minuti, fino a che non mi fa una proposta assurda

“Corri. Hai un appuntamento no? Devi far felice il tuo spasimante”

“Scordatelo, hai il braccio destro fuori uso e ci saranno minimo una ventina di auto della polizia dirette qui, non lascerò che ti arrestino o che ti succeda di peggio”

“Vattene prima che arrivi Zenigata, stai arrancando, e quado arriverà ti renderà la vita impossibile”

“Ma posso ancora sparare, tu invece…”

“Vai e basta, sai benissimo che me la caverò come sempre”

Non so come ci sia riuscito, ma mi ha convinto. Sono ormai lontana quando la polizia arriva al museo, riesco a sentire Zenigata al megafono fino a qui. Corro più veloce che posso, e dopo aver preso un taxi mi rifugio per l’ultima volta nel mio appartamento sulla 24esima. Cerco di rilassarmi, sfogando tutta la mia preoccupazione mista a rabbia contro un cuscino del divano e quando sono sufficientemente calma mi preparo. Prendo la metro e passo tutto il tempo a picchiettare leggermente e nervosamente con i tacchi. Forse non è stata una cattiva idea quella di mettere nella pochette un pacchetto di Pall Mall super long e l’accendino…sì ogni tanto fumo e si sono fissata anche io con le Pall Mall super long, ma che ci posso fare, sono le uniche sigarette che abbia mai provato. Comunque credo di essere l’unica persona sulla terra a cui un pacchetto basta per un mese intero. Me ne fumo una con calma prima di entrare nel Jazz Club, così da distendere ancora un po’ i nervi. La band ricomincia a suonare solo quando arrivo. Oltre a loro c’è solo il proprietario.

“Ma dov’è la gente?”

“Bhe, questa è una specie di festa privata, con una sola invitata”

Mi dirigo timidamente al bancone e mi prendo uno scotch. Chiunque mi abbia voluto qui ha voluto l’intero locale tutto per noi, e avrà dovuto sborsare parecchio visto che qui non si fanno mai feste private. Questo mi rende più nervosa di prima…dovrei come minimo fumarmi un’altra sigaretta, ma è meglio lasciar perdere, a questo punto credo che non servirebbe a niente. E’ così strano vedere il locale vuoto. Dopo aver suonato i miei sei pezzi jazz preferiti la band lascia il locale, non so davvero come interpretare la cosa. All’improvviso sento l’ordinazione pronunciata con la voce che speravo di sentire.

“Come hai fatto a…?”

“Se ti riferisci all’essere qui è tutto merito di Goemon. Se ti riferisci al locale vuoto, bhe, il proprietario mi doveva un favore”

Improvvisamente passo dallo stupore alla rabbia mista a preoccupazione “Mi vuoi morta!? O peggio vuoi che tu muoia!? Sei un idota senza alcun ritegno per te o per me. Giuro che se non muori per quella ferita ti uccido con le mie mani” comincio a piangere senza rendermene conto, e ora vediamo se il water proof funziona davvero o se è una leggenda metropolitana “Quella pallottola ti ha sfiorato un’arteria, dovresti riposare almeno fino a domani mattina…potevi darmi buca, non me la sarei presa, avrei capito”

“Mantengo le mie promesse, seppur anonime, e lo sai”

“Perché dovevo innamorarmi di un incosciente?”

Si avvicina al mio viso così tanto che per poco le nostre labbra non si sfiorano, ho il cuore in gola “Perché lo sei anche tu…te l’ho detto fin da subito, non siamo tanto diversi io e te”

Sospiro esasperata…è quasi detestabile il fatto che abbia sempre la risposta pronta “Nonostante quello che sto per fare rimani comunque un idiota”

Lascio scivolare via la preoccupazione, proprio come alcuni anni fa mando al diavolo la razionalità e lo bacio. Era da tanto che volevo che ricapitasse, forse è per questo che sono così agitata. Ci spostiamo su quella che si potrebbe definire la pista da ballo. Rimango al centro, come stupita, stordita e sognante. Mette “He’s Gone” di Michiko Kihara al jukebox e si avvicina tendendomi una mano. Dire che non capisco più niente mi sembra riduttivo. E’ come se stessi sognando…se è così allora non voglio essere svegliata per nessuna ragione. E’ così irreale, tutta questa fortuna dopo anni di tempesta, mi sembra così strano che qualcuno organizzi qualcosa di così bello per una come me, sensibile come un carro armato, sopportabile come una pallottola nel braccio e gradevole come un eterno single acido e frustrato. Gli prendo la mano, non senza agitazione ovviamente. Sembra che mi legga nel pensiero, visto che è da davvero tanto tempo che vorrei ballare un lento con lui con questa canzone…insomma, è semplicemente perfetta. Lascia che si diffonda un po’ di atmosfera prima di parlare, ma per quel che mi riguarda ce n’è già abbastanza. Il cuore mi martella nel petto, mi sembra di essere una scolaretta al suo primo ballo di fine anno con il ragazzo che le piace. Certo, mi ha fatto preoccupare a morte con la storia della spalla, ma sta rimediando alla grande

“Non credevo al colpo di fulmine prima che ti incontrassi”

Mi prendo un paio di secondi prima di parlare…diciamo che mi ha appena mandata in tilt “Certo che sei sfortunato, ho un carattere pessimo”

“Non è possibile, ancora non ti rendi conto di quanto puoi offrire”

In un attimo mi torna alla mente una domanda che mi faccio da quando ci siamo ritrovati qualche giorno fa “Com’è possibile che dopo tutto questo tempo tu non mi abbia dimenticata? Com’è possibile che non sia cambiato niente per te?”

“Perché sei come me. Certo, con mezzo secondo in più per sparare, più ansia e la gonna, ma sei come me. E poi sai come sono fatto, non mi piace perdere. E questo vale sempre”

“Piano con le parole! Sono scesa a tre secondi e tre. Comunque…non ci credo, ti ho ferito l’orgoglio quella mattina!?”

“Bhe non hai ferito il mio orgoglio, ma il mio cuore. Non nel senso letterale…ok sto divagando, è chiaro che non mi riferivo al senso letterale” non posso fare a meno di sorridere in questo momento, se non inserisce un po’ di ironia in queste occasioni non è contento “Comunque, se pensi che per farmi innamorare di te hai dovuto ferire il mio orgoglio allora se staremo insieme potrai farlo a pezzi”

Mi lascio travolgere dalla dolcezza di questo momento e appoggio la testa sulla sua spalla sana. Ho la voce tremante, quasi rotta “Non credevo che tenessi così tanto a me…per questo ho usato il termine orgoglio. Non mi fraintendere, non è che non te ne credo capace, ma non sono mai stata così importante per qualcuno, per questo ho dubitato. Comunque, per quel che mi riguarda, non sono più single da quando sei qui…e non ti preoccupare, non succederà niente al tuo orgoglio”

Passiamo la successiva manciata di minuti a ballare su pezzi diversi che adoro con tutta me stessa…non credevo ci fosse qualcosa di adatto per una salsa in questo jukebox, eppure c’è. Non sono mai stata così bene fra le braccia di un uomo. In questi anni ho incontrato persone, e per alcune ho provato più o meno interesse, ma nessuno di loro è riuscito a portarmi oltre l’interesse. Anche se conoscevo qualcuno, ogni giorno, ilo mio sguardo ricadeva sempre almeno una volta su una polaroid che ho sempre con me. Ce l’aveva scattata Ruster quando avevo trent’anni, in un momento piuttosto raro in cui io ero disattrezzata e Jigen mi accendeva una sigaretta. Forse lui ha la versione di pochi minuti dopo in cui così, senza un motivo, mi stava dando un bacio sulla fronte. Non ricordo se ero ancora un po’ giù dal giorno prima per qualche strano motivo. Comunque…appena sentivo dire che la banda di Lupin III avrebbe colpito qui a New York avevo come un sussulto, mi sembrava ogni volta che per un secondo che il mio cuore smettesse di battere. Ogni volta uscivo e passavo anche giornate intere fuori casa con la speranza di incontrarlo per caso, ma non lo trovavo mai. Passavo giorni interi a rivivere ogni momento. Ripensavo alle nostre divergenze occasionali che mi facevano ricordare ogni volta quanto tenessi a lui. Non riuscivo ad arrabbiarmi con lui, e ora che ci penso lui non riusciva ad arrabbiarsi con me. E poi erano discussioni così insignificanti che non ci chiedevamo nemmeno scusa, semplicemente a fine giornata ci ritrovavamo al Jazz Club come ogni giorno, ordinavamo scotch o bourbon e magari facevamo una partita a biliardo. Per noi era sufficiente, non avevamo bisogno di parlare. Ripensavo alle volte in cui l’ho medicato e mi stupivo di come riuscissi a rimanere professionale, alle volte in cui si addormentava in macchina mentre avremmo dovuto fare da palo a Shade o essere vigili per garantire l’incolumità fisica di Gavez, alle rare volte in cui per qualche motivo non aveva il cappello e potevo perdermi nei suoi occhi scurissimi. Però i ricordi che più amavo e amo rivivere sono quelli in cui la sua dolcezza celata veniva fuori per abbattersi su di me. A volte capitava che fossi io ad essere così stanca da non riuscire a stare sveglia nei turni notturni in auto. Non solo restava sveglio anche per me, ma spesso quando mi svegliavo mi ritrovavo fra le sue braccia. Come ha detto prima sono sempre stata più ansiosa di lui, quando le cose si facevano difficili mi raggiungeva e ci liberavamo dei sicari a noi avversi o della polizia schiena contro schiena, è una cosa che mi ha sempre fatto sentire sicura, non so spiegare come. In qualche strano modo, standomi vicino, riusciva a trasmettermi la sua impassibilità. Parlando di tutte queste belle cose ho dimentico di continuare a dire che succede. Sono quasi le due di notte e abbiamo lasciato il Jazz Club venti minuti fa. Siamo sul ponte di Brooklyn ora. Spesso siamo venuti qui per dimenticarci per un po’ di tutto e di tutti. Ogni volta che ero giù di morale restavamo qui di più del solito. Spesso capitava anche che venendo qui sentissi leggermente freddo, ogni volta mi metteva la sua giacca sulle spalle, proprio come adesso. Amo la vista che si ha della città da qui, le luci che si riflettono sull’acqua in piena notte rendono tutto stupendo e anche romantico se devo dirla tutta.

“Sai, venire qui con te è una delle cose che mi è mancata di più in questi anni”

Arrossisco leggermente e lo guardo per un momento, poi il mio sguardo si perde all’orizzonte, fra i riflessi e la vera e propria città “Nonostante tutto l’inferno che ho passato qui New York mi mancherà”

“Adorerai anche Tokyo, credimi. Comunque torneremo a New York quando ci sarà possibile, ogni tanto ci meriteremo sicuramente un po’ di tranquillità e privacy lontani da quel rompiscatole di Lupin”

La sua considerazione su Lupin è troppo per me, mi è impossibile non ridere “Non mi è sembrato così tremendo in questi giorni”
“Sei stata fortunata, quando comincerai a conoscerlo capirai quanto può essere fastidioso certe volte” ridiamo un momento su questa sua considerazione “E se facessimo un salto a Central Park?”

“Ti devo ricordare che a quest’ora pullula di spacciatori?”

“Sono pesci piccoli, non ci creeranno problemi, e anche se ci provassero si troverebbero una magnum puntata alla testa”

“Sei sempre il solito, sei quasi più testardo di me”

“Hei, stiamo sorridendo…devi essere proprio cotta” adoro quel suo sorriso un po’ bastardo, se poi precede un bacio mi uccide.

Se devo essere sincera alla fine non arriviamo nemmeno a Central Park, ma finiamo nel mio appartamento. Vi dico solo una cosa…credo che i miei vicini saranno contenti del fatto che mi trasferisco a Tokyo.
Vengo svegliata dalla vibrazione del mio cellulare, quando mi rendo conto che è una chiamata di Lupin ormai sta già rispondendo Jigen. Riesco a sentire l’insinuazione di quel capitolino (scusate, sono troppo fissata con Hunger Games, ogni tanto devo fare delle citazioni) in giacca rossa: ‘come mai rispondi tu al suo cellulare? Deduco che ieri sera sia andata bene’ e con l’ultima frase alludeva proprio a ciò che sto pensando io e a ciò che state pensando voi. Ok, normalmente il fangirlizzamento per una serata come quella di ieri dovrebbe essere già finito, ma è gratificante svegliarsi e avere uno come lui a fianco. Quando ad un certo punto sento la parola aereo ricordo che alla fine ho preparato la valigia ma non l’ho più portata nel nostro nascondiglio…e mi rendo anche conto in una manciata di secondi che siamo in un ritardo mostruoso per l’aereo e che una colazione con pan cake e cioccolata me la sogno. Non so come diavolo ci riesca, ma Jigen spiega a Lupin come diavolo arrivare qui mentre si riveste…lo ammetto, non sono capace di stare al telefono e vestirmi allo stesso tempo, mi è troppo complicato. Prendo velocemente qualcosa dalla valigia…perché ho messo in cima quel top piuttosto corto, perlinato sul fondo e attillato che non metto mai? Per rimediare tiro fuori anche il paio di jeans con la vita leggermente più alta (anche se non rimedio molto, ho comunque la vita scoperta), la giacca di un tailleur che ho fatto modificare nel mio stile così che la sfruttassi più spesso e i tacchi più comodi che ho. Ho fatto un mezzo casino e devo anche trovare il modo di farci stare il vestito e i guanti in maniera che non si sciupino…e Lupin e Goemon saranno qui a minuti se non si perdono, perfetto vero? Non so come sia possibile, ma sono così veloce che mi avanza anche il tempo di struccarmi e darmi una sistemata ai capelli in modo che non dicano al tutto il mondo ‘Hei, non ero sola ieri notte!’.

Tra l’altro se non lo avessi visto nello specchio Jigen mi avrebbe fatto saltare in aria

“Parliamo un secondo della tua coerenza…al Jazz Club mi dicevi che invece di essere con te avrei dovuto riposarmi, eppure siamo finiti da te, diciamo così, a divertirci da sobri. Come me la spieghi la cosa?”

“Non è colpa mia, sei tu che sei troppo…”

“Dolce? Carismatico? Sexy? Tutte e tre le cose messe insieme?”

“Perché ti ricordavo più modesto?”

Ma sa sorridere senza uccidermi o cosa? “Non ne ho la più pallida idea”

“Sembro un panda in coma etilico?”

“No, sembri una donna che nonostante la serata interessante che ha passato è bella sveglia”

Quando Lupin arriva sistemo un po’ il casino che ha fatto nel bagagliaio e trovo il modo di farci stare anche la mia valigia. Vi risparmio le cavolate con cui ci ha torturato sia in auto che per quasi tutto il viaggio. Non ve l’ho detto ma Gavez e la sua banda sono stati arrestati di nuovo, potrò vivere una vita ‘tranquilla’. Se non mi ficco in casini troppo grossi potrò vivere una bella storia con Jigen, finché uno dei due non si farà ammazzare…ok no, è una visione troppo pessimistica. Sono fiera di questa nuova vita criminale, non sarò obbligata ad uccidere, finalmente ho trovato una vita sì criminale, ma con principi. Potrò vivere una vita spericolata ed elettrizzante senza dover per forza ammazzare qualcuno. Se devo essere sincera però avrei voluto che Ruster potesse vederci…mi avrebbe sicuramente detto che aveva ragione lui quando diceva che sarei stata insieme a Jigen prima o poi. Credo che se può vederci, dovunque lui sia, ora starà festeggiando, non solo perché ha ragione ma anche perché sperava da tanto tempo di vederci insieme non più da amici. Do un ultimo sguardo alla ‘bella signora’, Ruster chiamava così la Statua della Libertà. Nonostante mio padre sia morto ai piedi della statua mi mancherà, come mi mancherà New York intera nonostante l’inferno agrodolce che ho passato qui. Ma devo ammettere che se non avessi preso quella pazza decisione mi sarei persa Jigen. Parliamoci chiaro, se non avessi dovuto lavorare con lui non avrei mai pensato di tentare di conoscerlo, visto che lavorava per l’assassino di mio padre avrei subito pensato di non potermi fidare di lui, avrei subito pensato che era un essere spregevole proprio come Gavez, e ora non sarei qui…magari avrei qualche cicatrice in meno, ma infondo le cicatrici sono una figata. Mi mancherà soprattutto Time Square con il suo meraviglioso Jazz Club, che nelle sue quattro mura custodisce ricordi a me molto cari. Bhe, spero che la mia storia non vi abbia annoiato troppo, ora se non vi dispiace mi prendo un po’ di relax, perdendomi nelle sonorità del jazz e del blues. 

__________________________________________________________________________________________________________________________

Angolo dell'autrice

Lo so, in questa one shot ho riutilizzato l'idea del padre della protagonista ucciso da Gavez...è così che ho concepito questa storia, non posso farci niente. E' stata un'idea lampante, nata a caso mentre ascoltavo della musica. Già, quando asolto muscia la mia mente vaga ed ecco che succede. Poi adoro l'episode 0, per questo è nata una one shot 'missing moments'. Spero che possa piacervi anche questa storia c: 
  
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Lupin III / Vai alla pagina dell'autore: ThiefOfVoid