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Autore: lawlietismine    29/07/2014    3 recensioni
“Non sei un tipo di molte parole” borbottò come se lo stesse spiegando più a se stesso, ma l’altro in risposta grugnì infastidito, iniziando a faticare con il peso che stava tirando su. Fu uno dei pochi segni di vita che gli rivolse.
Stiles si concentrò sul suo volto, per studiarlo un po’: gli occhi verdi erano ridotti a due fessure, i denti stretti per lo sforzo e il volto imperlato di sudore.
Seguì pensieroso con lo sguardo una gocciolina che gli percorse il viso dalla fronte fino al collo, i cui muscoli erano decisamente contratti.
Chissà quanto gli ci era voluto per farsi quel fisico, si chiese guardandolo oltre la maglietta bianca completamente aderita al petto da quanto aveva sudato.
Sterek ~ [College!AU]
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Derek Hale, Stiles Stilinski, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Best gift of fate - Sterek



Capitolo 2

 


Dopo qualche minuto in cui se ne era rimasto fermo lì su quel marciapiede per darsi una calmata, si era chinato per raccogliere tutte le sue cose e se ne era andato a casa.

Tornare a letto, quello era il suo obiettivo. La palestra avrebbe potuto aspettare.

O forse no?

Il telefono infatti squillò non appena si richiuse la porta dell’appartamento alle spalle, facendolo gemere quasi dalla disperazione.
Era tentato dal far partire la segreteria, ma non appena riconobbe il numero di colui che lo stava chiamando, scattò il più velocemente possibile e “Ci sono!” dichiarò in risposta, portandosi la cornetta all’orecchio.
Si resse con una mano il fianco e tentò di placare il fiatone per lo scatto improvviso: Stiles Stilinski non era un tipo granché atletico.
Dall’altra parte sentì un sospiro di sollievo “Meno male ti ho trovato” proferì Danny, cosa che gli fece capire che non era la prima chiamata da parte sua.
Prima o poi avrebbe controllato il cellulare.
   “Di che hai bisogno, amico?” gli chiese, passandosi una mano sul volto per la stanchezza di quella giornata decisamente poco positiva.
L’altro sospirò “Devo chiederti un grosso favore” e solo quello fece gemere di nuovo Stiles, che si trattenne mordendosi il labbro.
Rimase in silenzio per lasciarlo parlare “Il coach ha fatto casino con gli allenamenti” iniziò tanto per sottolineare che la richiesta che stava per fare, non era colpa sua “Coincidono con i miei turni al bar” aggiunse titubante, mentre Stiles iniziava a fare due più due, ma sperò di sbagliarsi con tutto il cuore.
   “Potremmo scambiarci? Tu il pomeriggio e io la mattina?” le sue speranze crollarono nel sentire quella domanda, tanto che si prese qualche secondo.
Non perché fosse una tragica richiesta, ma per come gli era andata la mattinata in generale, gli sembrava fatto apposta.
Tutti quegli avvenimenti in una volta sola non potevano essere un caso!
Ma lasciò perdere ben presto e “Sì…” rispose prendendo un bel respiro “Nessun problema”.
E dopo altre poche chiacchiere, i due si salutarono.


Facendo due calcoli, la mattina avrebbe potuto dormire un po’ di più (anche se sapeva che alla fine tanto si sarebbe alzato alla solita ora), poi avrebbe avuto l’università, poi il lavoro e infine sarebbe potuto andare in palestra più sul tardi, magari dopo cena.
Sembrava un buon programma.
E in quella giornata incasinata aveva davvero bisogno di un buon programma.

Perciò – ripensandoci – non sarebbe comunque potuto andare con l’amico in palestra, visto che quello la sera lavorava.
Non gli restava che inoltrarsi in questa avventura da solo, ringraziando chiunque avesse fatto di quel posto un centro di allenamento nazionale aperto ventiquattro ore su ventiquattro.
Avrebbe potuto farsi una sauna? Magari ci avrebbe provato.
Non ne aveva mai fatta una…
A interrompere il suo flusso incontrollato di pensieri fu il timer del forno: i suoi muffin al cioccolato erano pronti.
Cosa poteva esserci di meglio per addolcire un po’ la pessima giornata?
Prese al volo uno straccio da cucina e tirò fuori la teglia cercando di non bruciarsi: dopo tutte le insolite cose che erano capitate, non si poteva sapere! Ma la missione fu completata con successo e poco dopo si ritrovò una bella scorta, tanto abbondante da poter sfamare un branco intero di lupi.
   “Giusto in tempo” la voce dietro di lui gli face prendere un infarto, balzò come un petardo e si voltò di scatto verso la ragazza che aveva parlato.
   “OH CRIST––” si interruppe, incapace di placare l’ansia improvvisa mentre la fissava, lei si mosse tranquillamente verso la teglia e afferrò un muffin al volo, avvolgendolo con un pezzo di carta “Malia!” la sgridò Stiles, quasi completamente steso contro il ripiano in marmo “Potresti annunciare la tua presenza quando arrivi? Stavo per morire!” ma lei si limitò a una scrollata di spalle. Addentò il dolcetto, avvicinandosi all’altro.
Quando gli si fece troppo vicina, il ragazzo guardò altrove, cercando di spostarsi e quando la sentì sbuffare per quel suo comportamento, se la svignò, scivolando via.
Fece finta di non vederla alzare gli occhi al cielo.
   “Seriously?” borbottò dopo aver buttato giù un altro boccone bollente “Non ti voglio mica assalire, Stiles”
Lui e Malia erano stati insieme per un po’, o meglio, ci avevano provato.
La cosa era iniziata un po’ per caso e alla fine si erano lasciati andare, ma non aveva funzionato granché, nonostante lei continuasse a stuzzicarlo.
Stiles si era reso conto che aveva ceduto solo per alcune circostanze, visto che a quel tempo neanche si conoscevano molto, ma in fondo non provava niente di serio per lei.
Aveva avuto bisogno di un po’ per dirlo ad alta voce, visto che la tentazione di far finta di nulla e lasciar perdere era stata tanta, ma lui era sempre stato un ragazzo intelligente e sincero, perciò il desiderio maschile e l’audacia dell’altra, non erano riusciti e trattenerlo a lungo.
   “Anche se hai le chiavi, non vuol dire che tu possa entrare a tuo piacimento” l’avvertì, facendosi coraggio per lanciarle un’occhiata di rimprovero che le fece perdere parte del divertimento e il sorrisetto furbo.
Da parte sua, Malia non l’aveva presa così bene la sua decisione.
   “Ho bussato, non mi hai sentita” si difese, incrociando le braccia al petto e guardando altrove, ma stavolta fu Stiles ad alzare gli occhi al cielo: la solita bugiarda.
Continuava a dire che gliele aveva ridate e che lui le aveva perse.
   “Come vuoi” decise di non contestare “Per cosa sei venuta? Io dovrei uscire adesso” disse sincero, visto che lo aspettava il lavoro.
Malia sbuffò ancora, offesa da quel distacco e quella voglia di liberarsi di lei, peccato che non sapesse dello scambio di turni: inizialmente posò il muffin e fece per andarsene, ma poi cambiò idea, tornò indietro, lo riafferrò insieme ad altri due e poi allora se ne andò davvero da lì, lasciandolo sbigottito.
Prese un profondo respiro e si disse di lasciar perdere, probabilmente non sarebbe mai riuscito a capirla: le donne erano un dilemma irrisolvibile per lui.

Mezzora dopo era arrivato al bar sano e salvo, niente incidenti casuali per la via.
Si era dato il cambio con il collega di turno e si era messo a lavoro, infilandosi il grembiule e tutto il resto: a lui toccava per lo più la cucina, i suoi dolci erano miracolosi e unici, nessuno era mai arrivato a dire il contrario.
Si era organizzato al meglio: si era già portato dietro il borsone per la palestra, visto che avrebbe finito per l’ora di cena, avrebbe mangiato al volo qualcosa da lui sfornato –
giusto per non svenire alzando i pesi – e poi avrebbe cenato sul serio al ritorno a casa stimato per le undici.
Per questo alle otto e mezza, finito il suo turno, afferrò la piccola borsa-frigo che si era preparato e montò sulla sua amata jeep, dirigendosi subito verso la sua nuova meta.
In fondo era andata meglio di quanto avesse pensato, lavorare il pomeriggio non era poi così stancante ed era certo che dopo un po’si sarebbe abituato a quel ritmo.
Ma doveva andare in palestra quella sera, per quanto stremato dalla stramba giornata, sapeva che se non ci fosse andato in quel momento, alla fine non ci sarebbe andato mai più: doveva iscriversi subito.
Quando arrivò, ringraziò tutti gli Dei per il posto libero per la macchina proprio davanti all’entrata e – facendosi tanto coraggio – scese.
Isaac doveva aver già accennato qualcosa, perché lo spaventoso tizio pompato all’ingresso dopo poco gli chiese se fosse ‘il suo amico’ e quando ebbe annuito, l’altro gli sorrise dandogli una pacca sulla spalla che per poco non lo fece volare via: si chiese se non gliel’avesse per caso rotta, ma tornò subito a concentrarsi.
Si misero d’accordo e gli spiegò tutto su quel posto così enorme: avevano le piscine, i campi da tennis e quelli da basket o pallavolo, perfino qualcosa per il baseball e tanto altro e alla fine della lista Stiles non fu più tanto sorpreso della presenza dell’idromassaggio e della sauna. Firmò le sue scartoffie, mostrò il certificato medico che Isaac gli aveva detto di portare e finalmente fu libero di muoversi.
Il tipo gli aveva spiegato che di palestre generali ce ne erano due, una più vicina all’entrata, l’altra invece dopo il campo da calcio e quello per la corsa, più lontana e isolata.
Inizialmente si convinse ad andare nella prima, ma alla fine – sperando di non trovarci proprio nessuno vista la distanza – optò per l’altra, camminando nella poca luce dei lampioni per raggiungerla: da fuori la trovò molto illuminata ma silenziosa, pensò quindi che sarebbe stato solo, passò prima negli spogliatoi, si cambiò e poi entrò finalmente lì.
Come aveva pensato, infatti, non c’era anima viva, ma notò un borsone di fianco a un macchinario e un asciugamano bianco posato su di esso, perciò in fondo non doveva essere proprio così. Magari un fantasma dall’animo sportivo?  
Scrollò le spalle, iniziando a guardarsi intorno alla ricerca della cosa adatta a lui, finché non scelse di partire con un po’ di corsa: salì sul tapis roulant e lo attivò.
Inutile dire che dopo dieci minuti contati era già sul punto di smettere, prendere tutta la sua roba e andarsene: ma chi glielo aveva fatto fare?
Lo stava davvero per fare, quando però qualcuno entrò nella sala.
Fece finta di nulla, neanche si voltò e continuò a correre, lo stesso – dopo un attimo di spiazzamento – il nuovo arrivato, che si dette ai pesi: probabilmente era il tizio del borsone e dell’asciugamano.
Altri due minuti e Stiles pensò di morire, spense tutto il più velocemente possibile e decise di provare qualcosa di diverso, possibilmente di meno faticoso, non appena il suo respiro e il suo battito cardiaco si fossero dati una calmata.
Lanciò una veloce occhiata al tizio mentre si avviava verso un coso che suppose fosse per le braccia, ma prima di poterlo raggiungere, si pietrificò sul posto.
Quel tipo lo conosceva già, ne era certo, ma gli sfuggiva il come.
Quello – sentendosi fastidiosamente osservato – ricambiò l’occhiata il più freddamente possibile, ma sgranò incredulo gli occhi quando incrociò quelli dell’altro.

“Tu sei il tipo di stamani!” lo riconobbe improvvisamente Stiles, indicandolo.
“Tu sei l’idiota di stamani!” parlò allo stesso tempo lui, quasi in un ringhio.

Dopotutto gli aveva rovesciato addosso una bottiglia di succo e poi rotto la giacca.

Il giovane Stiliski, piano piano, si concentrò sulle parole dell’altro e l’esaltazione per la coincidenza scemò “Ehi…” borbottò “Questo non è affatto carino”.
Ma l’altro, apparentemente davvero sconvolto/irritato, grugnì “Non è possibile”.
Andava sempre lì a quell’ora per non trovarci nessuno, ma averci trovato proprio lui era ancora peggio!
Stiles non sembrò curarsene, anzi, sorrise alzando un angolo della bocca all’insù e gli fece un cenno con la mano “Sono Stiles” si presentò in imbarazzo, spostando subito dopo la stessa mano dietro la nuca per massaggiarsi e nascondere il gesto stupido.
L’altro, sdraiato sul piano inclinato e con le mani strette alla sbarra, alzò di botto le sopracciglia, fissandolo interdetto, prima di tornare a fare ciò che stava facendo, ignorandolo.

Bene – si disse Stiles – passare ogni serata così, sarà un piacere.



Stiles Stilinski non si era mai sentito più a disagio in vita sua, voleva dire mille cose ma ogni volta iniziava, notava il silenzio dell’altro e allora si zittiva, cercando qualcosa di meglio da dire per convincerlo a considerarlo.
Non sapeva nemmeno perché ci stesse provando, semplicemente dopo il primo incontro con lui di quella mattina e il secondo di quel momento, gli era partito il solito flusso incessante di pensieri, e non farli scorrere fuori dalla bocca era sempre stata una gran difficoltà per lui.
Poi c’era anche da notare il fatto che una persona normale avrebbe ricambiato con qualche chiacchiera, lui invece non lo guardava nemmeno, faceva finta di non sentirlo e continuava il suo allenamento come se fosse stato da solo: questo stuzzicava ancora di più la parlantina e la curiosità del più giovane, rendendolo maggiormente insistente.
In un modo o nell’altro era passata quasi un’ora e per quasi tutto il tempo – dopo i primi dieci minuti di tapis roulant e qualche tentativo con i pesi – Stiles se ne era rimasto seduto sulla cyclette a fissarlo.
   “Non sei un tipo di molte parole” borbottò come se lo stesse spiegando più a se stesso, ma l’altro in risposta grugnì infastidito, iniziando a faticare con il peso che stava tirando su. Fu uno dei pochi segni di vita che gli rivolse.
Stiles si concentrò sul suo volto, per studiarlo un po’: gli occhi verdi erano ridotti a due fessure, i denti stretti per lo sforzo e il volto imperlato di sudore.
Seguì pensieroso con lo sguardo una gocciolina che gli percorse il viso dalla fronte fino al collo, i cui muscoli erano decisamente contratti.
Chissà quanto gli ci era voluto per farsi quel fisico, si chiese guardandolo oltre la maglietta bianca completamente aderita al petto da quanto aveva sudato.
Stiles sapeva che non sarebbe mai arrivato a quel livello, a parte perché per il fisico che aveva, ci sarebbe voluto davvero molto tempo, e sotto sotto gli andava bene così.
   “Sai, due parole non ti uccider –-” parlò ancora, dondolando le gambe nel vuoto, ma stavolta l’altro lo interruppe “Giuro” fece in un ringhio sforzato “Che ti strappo la gola con i denti” e allora Stiles si zittì di nuovo, sentendo decisamente la gola secca.
“…Come non detto” aggiunse solo, prima di immergersi nel silenzio e limitarsi alla marea di pensieri mentre continuava a fissarlo. Che tipo… bizzarro? Decisamente.

Dopo un’altra ventina di minuti, Stiles si disse che era stato ignorato abbastanza e che era ora di andare: la sua prima giornata in palestra, era stata per metà un fallimento.
Ci avrebbe riprovato il giorno dopo.

Si cambiò, salutando l’altro con un “Allora alla prossima” che venne naturalmente snobbato, ripercorse tutto il campo, salutò con un cenno il gigante all’entrata e si avvicinò alla sua cara macchina.
Altri venti minuti li perse nel cercare le chiavi: non c’erano.
Mise il borsone sul cofano e lo spalancò, iniziando a frugarci dentro, tirò fuori ogni singola cosa in attesa di trovarle, ma la situazione si fece piuttosto complicata.
Smattò, buttando tutto all’aria, tanto che neanche si accorse del tipo di prima, che nel frattempo si era fatto una doccia, si era cambiato e ora stava salendo sulla macchina di fianco alla sua, una bella Camaro.
Quello gli lanciò di sfuggita un’occhiata perplessa, prima di mettere in moto.
Quando Stiles le trovò nella sua tasca dei jeans, alzò i pugni in aria in segno di gloriosa vittoria e si affrettò a rimettere tutto apposto, solo allora si rese conto del rumore che la macchina accanto stava facendo: probabilmente la batteria era a zero.
Chiunque ci fosse dentro, sbatté i pugni sul volante imprecando e il giovane Stilinski si fece avanti fino al finestrino. 
   “Hai bisogno di una…” si bloccò nell’incrociare lo sguardo infuriato dello sconosciuto “…mano?” terminò titubante, mentre l’altro nel vederlo prendeva un profondo respiro.
Gli ci mancava solo quella.
Lo vide passarsi una mano sul volto per calmarsi “No” rispose solo, tentando di nuovo di far partire la macchina inutilmente.
Stiles cercò di pensare a qualcosa, sentendo meglio il rumore doveva esserci un problema di benzina, non di batteria, perciò prima ancora di potersi fermare “Andiamo, ti concedo un passaggio” disse, sorridendogli sornione.
L’altro alzò stupito le sopracciglia, non per la sua gentilezza, ma per l’assurdità.
Eppure Stiles non sembrò cedere, perché lasciò una pacca sul tetto della macchina e si avviò verso la sua, in attesa.
Dopo cinque minuti di vuoto totale, il ragazzo si convinse amaramente di non avere altra scelta, perciò spense tutto, prese le chiavi, il borsone e andò verso l’altro con aria rassegnata e scocciata.
   “Biscotti?” gli propose il ragazzino quando lui si sedette al suo fianco, allungandogli con un sorriso una borsa-frigo aperta in cui intravide una marea di dolciumi, probabilmente fatti in casa.
Lo fissò privo di espressione per un attimo, poi poggiò il braccio sul finestrino e si limitò a guardare fuori, dicendogli la strada di casa sua e nient’altro.
   “Sai, sei davvero scorbutico” borbottò, uscendo dalla strada della palestra, e l’altro non sembrò toccato dall’affermazione, probabilmente c’era abituato, poi però Stiles continuò e “Nessuno rifiuta i miei biscotti” fece sembrando davvero deluso, tanto che a lui venne da inarcare un sopracciglio ancora più perplesso.
Quello alla guida si voltò un secondo verso di lui sentendo il suo sguardo scettico addosso e “Sono buoni” spiegò, lasciandogli un gran sorriso.
Un secondo dopo, con uno sbuffo quello immerse una mano nella borsa e ne prese uno come se fosse stato praticamente obbligato.
Lo addentò distrattamente, guardando la strada di fronte a sé e dovette trattenersi dal fare un’espressione stupita: era davvero squisito.
   “Allora?” Stiles sembrò impaziente di ricevere il suo parere, ma quello si limitò a sgranocchiarlo e “Normale” rispose asettico, buttandolo giù tutto.
Quando però ne prese un altro, il cuoco provetto sghignazzò soddisfatto.
 
   “Allora…” tentò di nuovo, dopo qualche attimo di silenzio “Ora posso sapere come ti chiami?” gli chiese, lanciandogli un’altra veloce occhiata di sfuggita, senza essere ricambiato.

Il silenzio che seguì gli fece pensare di aver fallito ancora, poi però quello prese un profondo respiro e “Derek.” disse solo, facendolo sorridere ancora.
E Derek si disse di averlo detto solo perché tanto sennò l’altro non si sarebbe più zittito e lo avrebbe tormentato tutto il viaggio, cosa che non avrebbe potuto sopportare.
Quando di sottecchi lo vide sorridere di nuovo, si chiese come fosse possibile visto come lo stava trattando, era davvero un tipo impossibile e strano.

   “Quindi, Derek” parlò ancora, sottolineando con una certa soddisfazione e enfasi il nome “Come mai vai così tardi in palestra?” chiese – oltre ogni aspettativa – fra tutti gli argomenti che avrebbe potuto tirare fuori.
Il diretto interessato si chiese se tornare a ignorarlo, farlo fermare e proseguire a piedi oppure se minacciarlo di nuovo, ma alla fine “Di solito non c’è nessuno” rispose, sottolineando con evidenza e scocciatura il ‘di solito’.
   “Ah…Uhm…” borbottò Stiles, cogliendo la frecciatina “Io invece perché un mio amico mi ha chiesto il cambio a lavoro, quindi al posto della mattina ci sono il pomeriggio al bar e allora ho solo la sera disponibile… Ah, no, avrei anche la mattina a questo punto, ma sarei troppo stanco e quindi non sarebbe possibile…” spiegò a raffica, rischiando di fargli venire il mal di testa, per poi bloccarsi, maledirsi mentalmente e tornare a concentrarsi sulla guida.

Derek scosse leggermente la testa, alzando gli occhi al cielo mentre prendeva un altro biscotto senza neanche accorgersene.

   “Sai…” provò ancora, ma prima che potesse completare, Derek si voltò verso di lui allibito, con le sopracciglia alzate e Stiles, incrociando quello sguardo, si decise ad ammutolirsi.

Quando arrivò nel posto che gli aveva indicato, Derek gli fece cenno di fermarsi di fronte a un grosso palazzo e poi scese, limitandosi a un cenno del capo in segno di saluto.
Stiles rimase con la bocca schiusa e uno sguardo perso: nemmeno un ringraziamento? Ma che ragazzo gentile ed educato! Prima che si potesse allontanare, però, si affrettò ad allungarsi sul sedile del passeggerò e “Derek!” lo richiamò, facendolo voltare con fare arrendevole.
Quando il diretto interessato lo vide sventolare qualcosa, lo fissò esasperato.

   “I biscotti!” e così dicendo, sventolò maggiormente la busta, cercando di allungarsi ancora di più.
L’altro lo ignorò, sbuffò e gli dette le spalle, incamminandosi di nuovo verso casa sua, ma “DEREK!” lo richiamò ancora più forte lui, facendolo bloccare di nuovo.
Quasi ringhiò, chiedendosi cosa avesse fatto di male per meritarsi un tormento del genere quel giorno, prima di tornare indietro, strappargli i biscotti di mano e andarsi finalmente a rinchiudere nel suo appartamento.

Stiles sorrise divertito per tutto il tempo e rimase lì anche quando il portone del palazzo si chiuse dietro le spalle del ragazzo, poi mise in moto e tornò a casa sua.


   “Hey” quando Scott lo salutò, sdraiato sul divano del salotto, sinceramente ne rimase sorpreso: non si sarebbe aspettato di trovarlo ancora sveglio, ma visto il suo tono assonnato e le occhiaie evidenti, gli sarebbe bastato arrivare cinque minuti dopo per trovarlo ronfante.

Sua madre e il padre di Stiles erano stati abbastanza titubanti quando i due avevano detto loro di voler andare via di casa, iniziando una vita da coinquilini, ma lui e Scott erano stati così entusiasti e già organizzati, che poi i due adulti non avevano potuto far altro che lasciargli provare quella esperienza nuova.
La convivenza andava avanti non proprio come si erano aspettati, ma in fin dei conti era tutto apposto: i ruoli del fratello maggiore e quello minore si scambiavano fra i due nelle varie situazioni, per esempio quando Stiles lo rimproverava mentre si occupava da solo delle faccende, quando gli preparava sempre lui i pasti visto che l’altro era praticamente un disastro in cucina, o quando lo vedeva pomiciare con Allison invece di studiare… No, in effetti il fratello maggiore era sempre Stiles, per quanto nessuno l’avrebbe mai detto senza conoscerli.

   “Oi” ricambiò lui con un cenno, posando stancamente il borsone e strascicandosi distrutto verso la sua camera, per poi appoggiarsi allo stipite della porta con la fronte.
   “Come è andata?” sbiascicò Scott, spegnendo la tv e alzandosi per imitare l’altro, che scrollò le spalle e rispose con un faticato “Una favola”.
Prima di uscire di casa gli aveva lasciato un biglietto – tenuto fermo da un muffin (gli altri li aveva nascosti) – in cui gli aveva spiegato tutta la situazione, facendogli pure uno schema di quello che sarebbe stato il suo programma d’ora in poi.
Era certo che Scott gli avesse solo dato un’occhiata, per poi accartocciarlo e buttarlo da una parte, limitandosi a mangiare il muffin.
   “Bene…” sbiascicò ancora il suo coinquilino.
   “Bene…” lo imitò Stiles, troppo stanco.
Poi con una scrollata di spalle, i due si dileguarono silenziosi nelle proprie stanze.
Fra tutte le cose successe, Stiles si dimenticò perfino di cenare. 


 
 

Ehilà ~ 
Eccomi con il secondo capitolo, che veramente comprende anche quello che doveva essere il terzo

Volevo pubblicarne direttamente uno più lungo, quindi li ho uniti... Ora sono alle prese con il quarto, che in realtà a questo punto sarebbe il terzo.
L'ho quasi finito di scrivere, più o meno è lungo quanto questo...
Prima di tutto volevo ringraziare tutte le persone che hanno già messo questa fanfic fra le seguite/preferite ^^ 
Poi... Ecco qui finalmente Derek e Stiles in uno scontro diretto! Beh è ancora solo l'inizio, ma per il mio animo da fangirl è bastata anche solo l'immagine di Derek impegnato con i pesi, mentre Stiles lo guarda. *Si nasconde in un angolo* 
Dico solo che nel prossimo capitolo ci saranno un po' anche altri personaggi ^^ Come anche in quello dopo.
In questo ho messo anche Malia, che spero di aver reso bene (?) Non mi sta molto simpatica, ma vabbé! 
....Avevo così tante cose da dire, eppure ora non mi viene in mente niente.
Vabbuò, spero che il capitolo vi sia piaciuto! 
Fatemi sapere cosa ne pensate ^^ Le recensioni alimentano la mia ispirazione!


Lawlietismine.
 


 
  
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