Autore: _Morgan [EFP],
Morgan_of_Nighfall [Forum]
Titolo:
Fall,
again
Fandom:
Hellsing
Personaggi:
Alucard,
Integra
Coppia:
AlucardxIntegra
[molto sottinteso]
Rating:
Giallo
Generi:
Introspettivo
Avvertimenti:
One-Shot
Canzone
utilizzata: What
if this storm ends? -
Snow Patrol
Introduzione:
“Ora ricorda cos'è
quel sapore amaro sulle labbra pregne di sangue, il fastidioso senso di
'fatalità' che l'ha colpito al cuore attraverso gli occhi;
la paura di cadere e farsi male che, nonostante il raziocinio e
l'imposizione, attraversa le membra prima d'impattare al suolo.
Sta per morire.
Sorride.
Davvero?”
NdA: Scritta per il “10
Songs Contest Reprise” di Frandra, sul forum di EFP.
Dunque, dunque, un paio di note random per i coraggiosi che vorranno
cimentarsi nella lettura di 'Questa Cosa': è stata scritta
mettendo in loop la canzone su cui dovrebbe basarsi, ovvero
What
if this storm ends dei
Snow
Patrol
quindi,
se leggendo avrete la percezione di essere precipitati all'interno di
un trip stile “Paradisi artificiali” di Baudelaire
[no, non mi paragono a lui...ma l'idea è quella], sappiate
che è lo stato in cui l'ho scritta, febbre compresa, Hashish
ed alcol esclusi.
È basata su quella decina di pagine del 10° volume
del manga in cui Alucard svanisce, i dialoghi li ho ripresi da
lì.
Sono sensazioni, riflessioni sugli eventi e su un legame –
quello fra Alucard e la sua padrona, Integra – che
è una delle basi di tutta la vicenda; magari l'unica cosa
che impedisce a Lui di liberarsi sono le sue catene e gli obblighi
verso la famiglia Hellsing, ma posso dire che, per me, Alucard la serva
per scelta e, se è tornato indietro alla fine, l'ha fatto
anche per lei.
“...Dovrò
restare fra le alte onde?
Dovrò giacere con la Morte, mia sposa?
Ascoltami, io canto:
“Nuota
verso di me, vieni a me,
sono qui, sono qui, che aspetto di averti”
[Stefano Benni, Margherita Dolcevita]
La luce dell'alba
gli ferisce la cornea, una miriade di piccoli aghi spietati che
gl'incendiano le mille iridi cremisi, mentre il dolore – come
la luce – si propaga attraverso i lembi oscuri,
sfilacciati, del suo corpo disgiunto; ha le labbra secche e pallide,
pregne d'un gusto amaro che non può essere sangue,
né ceneri, un sapore antico che credeva d'aver dimenticato.
Rassegnazione.
È stato davvero così stupido?
Nella
cecità di quell'eterno minuto, ove il tempo pare arrestarsi,
può quasi vedere la Scala
dell'Esistenza o Albero
della Vita incidersi nel cielo,
ove gli ori ed i rossi fendono nubi e notte come fossero la fulgida
spada di fuoco dell'arcangelo Michele, giunto a porre fine a quel
surrogato d'apocalisse abbattutosi su Londra;
i cerchi perfetti, undici come d'antica tradizione, ruotano come
ingranaggi d'un orologio, toccandosi appena attraverso i bordi ed
annullando le distanze imposte dalle linee, formando uno schema.
La struttura divina è modellata sul corpo umano ed ogni
mostro antropomorfo che abita questa dimensione dovrebbe rammentarlo;
ora ricorda cos'è quel sapore amaro sulle labbra pregne di
sangue, il fastidioso senso di 'fatalità' che l'ha colpito
al cuore attraverso gli occhi; la paura di cadere e farsi male che,
nonostante il raziocinio e l'imposizione, attraversa le membra prima
d'impattare al suolo, come ogni volta in cui, durante l'addestramento,
fu sbalzato da cavallo.
Sta per morire.
Sorride.
Davvero?
Sospeso nell'aria
immobile, scivolando verso il fondo d'un abisso in cui non vi
è Nulla oltre alla fine stessa, il vampiro mostra le lunghe
zanne perlacee al cielo e, attraverso la miriade di occhi
osserva il mondo dilaniato dalla tempesta, accumulando le infinite
prospettive d'una carneficina così diversa dalle due
precedenti, ma simile nell'insieme; sangue e cadaveri, fuoco e acciaio
ritorto.
Pian piano, come onde che si ritirano seguendo la marea, i ricordi di
infinite vite iniziano a rifluire lontano, spegnendosi poi come piccole
fiaccole private d'ossigeno; gli occhi iniziando a dolere,
a luce è troppo forte e la stanchezza inizia ad affaticare
la moltitudine di membra, sorgendo assieme ad altre sensazioni 'basse',
umane, che ormai credeva dimenticate.
Le Sefiroth compiono
un'ultima rotazione, Daat
e Keter
iniziano
a svanire.
Il Re ha perduto la propria corona, caduta nel fango dell'esistenza
materiale, fra le infinite possibilità d'un futuro dubbio
ove l'unica certezza è che perdere sé stessi
– la coscienza del mondo –
significa finire d'esistere; non avverte più il vento
fetido, appesantito dalle nere fumigazioni che si levano dalle braci
ancora calde, né l'odore intenso di sangue e cadaveri.
Non ode più il respiro di Walter, né gli occhi
bruciare a contatto con il sole; le Sefiroth
sono
svanite, dimenticate assieme ai ricordi e alle conoscenze d'intere vite
– una vita sola –
passata ad acquisire una stabilità che, ora lo comprende,
è effimera come una manciata di cenere lanciata nel cielo.
A cosa è servito accumulare tanto potere, tanta straziante
sofferenza, se poi non è immune ai travagli della vita
terrena?
What if this Storm ends?
La battaglia
è finita, c'è silenzio ora.
«Alucard! Non chiudere gli occhi! Riaprili, Alucard! È un ordine!»
Dio,
io non ho mai voluto la tua misericordia.
Dio, perché? Perché, pur essendo giunti alla fine
lei, ostinata, s'aggrappa alla vita con la folle forza di chi, ormai,
non ha più nulla da perdere?
Perché, nonostante la dispensi per mia mano, lei rifiuta
d'accettare la morte e di comprendere che, anch'essa, fa parte del
mondo?
Da dove viene quest'incoscienza, ragazza?
spingendolo verso un abisso di domandedi cui ha dimenticato la risposta.
Chi è Lui? Cos'è?
Non un uomo, altrimenti sarebbe dovuto morire da tempo, inginocchiato nel fango d'una terra il cui nome è un suono disarmonico trattenuto fra i denti, sulla punta della lingua, nell'incertezza
che possa essere sbagliato; non un Dio poiché, se così fosse, dovrebbe Esistere al di sopra d'ogni cosa, pure del caso e delle ipotesi, dovrebbe esistere perché “È“, senza il bisogno di vedere sé stesso per riconoscersi.
Esisterebbe e potrebbe ancora vederla, dall'alto della sua superiorità di razza, piccola e fragile come un qualsiasi altra creatura mortale, ma tanto – troppo – più forte di lui;
la vedrebbe lì dov'è ora, in piedi fra le macerie d'una sala computer ridotta in pezzi, circondata da metalli e schegge di vetro, con i capelli incendiati dai raggi del sole ed un'aureola incandescente a cingerle il capo,
intenta a maledire colui che l'ha ferita.
Anima e corpo.
È una donna strana, Integra Hellsing.
Troppo mascolina nell'aspetto per meritare l'appellativo “lady”,
troppo algida per venir intaccata dalla crudeltà degli
eventi e dai continui rovesci dell'esistenza, troppo concentrata ad
essere
la perfetta icona del Milites
Christi anglicano votato al
martirio per espiazione e consapevole della fine, per rendersi davvero
conto di come realmente sia; a farlo vacillare fra i flutti
dell'incertezza
è quella supplica mascherata da ordine, quelle
poche parole sbraitate con voce arrochita dal fumo e delicatezza da
caserma.
L'idea che solo ora, dopo tanti anni passati al suo servizio, quando
sta per prendere commiato e svanire, è riuscito a
comprenderla nella sua interezza lo colpisce come il lampo della
tempesta che ha devastato Londra poc'anzi, arrestando la sua caduta.
Per pochi istanti è
la volontà di Lei a vincere l'illogica esistenza di
Schrödinger, tesa come una catena in
tensione in balia dei flutti violenti, l'unico nodo di raccordo fra le
migliaia di frammenti
in cui s'è frantumato il suo essere.
Nella sua voce può udire ora la preghiera sussurrata a fior
di labbra di Wilhelmina ed il triste singulto della moglie folle,
lasciatasi cadere oltre le mura della Cetatea Poenari; è una donna
Integra,
e udendo il suo grido lui comprende da cosa derivi l'attaccamento alla
vita di lei: si nasce e si muore nel nome della Madre,
perché nel loro ancestrale ruolo di progenitrici, hanno in
sé la conoscenza dell'Oltre
che manca agli uomini e quella fede nella vita tipica di chi la
dispensa attraverso volontà e corpo.
Partorire, oltre che un
atto d'amore, è un atto di fede e nell'antichità
si credeva che le donne compiessero da sole la creazione d'una nuova
vita, come Gea generò il suo figlio e sposo; nozioni su
tradizioni precristiane ed antichi culti gl'attraversano la mente come
lampi sconnessi, disarticolati, mentre una nuova tempesta infuria
– una nuova guerra
-,
scuotendo l'inconscio; quel poco raziocinio che gli resta lo spinge a
sorridere,
perché l'idea di lei madre è più folle
dell'abisso in cui sta sprofondando.
È vergine, frigida come un pezzo di ghiaccio, crudele e
fragile, umana...allora perché Lui si inginocchia dinnanzi a
lei come mai ha fatto con uomini ed altari?
Non sono i vincoli impostigli da Van Helsing, né qualche
assurdo voto da mantenere a piegarlo, poiché ne ha
già infranti tanti – troppi-
e non teme le conseguenze; non è mai stato così
difficile con le altre,
né aveva mai avuto bisogno di discutere di
superiorità e gerarchie con mogli ed amanti.
A ben pensarci, nemmeno con lei.
Padrona.
«Alucard!»
Come fece Gea a generare
Ouranós sola?
Fu la volontà? Fu attraverso il desiderio o le parole?
Dio, Integra, sei ancora la mocciosa che
fuggiva spaventata dalle guardie dello zio aggrappandoti al mio
braccio; sei la ragazza che, impugnata la pistola, non ha esitato a
fare fuoco pur disprezzando la morte.
Sei davvero una cazzo di Madonna ed io, di nuovo, il cavalier servente
d'una dama dai fianchi stretti, secchi e androgini come quelli d'un
icona barbara.
Le signore non m'interessano, lo sai, ma quelle poche su cui ho posato
lo sguardo qualcosa di femminile l'avevano, mentre tu...
Perché? Perché non
vuoi accettare il destino e lasciarmi andare?
Perché ti aggrappi ancora al mio braccio, pur sapendo
d'essere in grado di sparare da sola?
Perché, Madonna...perché vuoi compiere
quest'ennesimo atto di blasfemia, imitando Dio?
Non è amore, quelli come noi non ne provano.
Cos'è allora quell'increspatura che agita il tuo animo?
«Non
sparire!»
L'eterno
minuto volge al termine, la forza delle sue parole, come lui temeva,
non è stata sufficiente.
Gli ultimi occhi si chiudono sul mondo e le infinite propaggini d'ombra
del suo corpo svaniscono nell'aria fresca del mattino, sotto un cielo
striato d'un azzurro sconvolgente, così simile alle iridi di
lei; avviluppato nelle cangianti spire dell'incertezza solo la sua
figura 'umana' ancora rimane in piedi, immobile, sotto i raggi
accecanti di quel sole post-apocalittico velato di fumo e, mentre l'eco
di memorie lontane sfuma lentamente, portandosi via l'ultimo brandello
della sua anima, le labbra esangui s'incurvano in un sorriso amaro.
«Mi dispiace, questo è un addio...»
Con
l'ultimo sguardo la vede distintamente ora, ed il dolore sul suo viso
imbrattato di sangue è la conferma a quel fiume di
supposizioni incoerenti formulate poco prima, sospeso fra la
volontà di rimanere al suo fianco e
l'ineluttabilità del fato, pensieri che ora non ricorda
già più.
Nonostante fatichi a rammentare il proprio nome, quello di lei
riecheggia nella sua mente come il rombo del tuono che preannuncia la
tempesta, seguito dai ricordi sconnessi, velati di fiamme e sangue,
degli anni – attimi – passati al suo servizio;
socchiude le palpebre in silenzio e mostra i denti come una fiera,
sibilando un'imprecazione quando la consapevolezza di ciò
che l'aspetta si fa più nitida della realtà
circostante.
Il potere di legarlo nuovamente alla vita, infine, Integra l'ha
utilizzato davvero, anche se le ci vorranno anni per rendersene conto e
quando accadrà sarà troppo tardi.
L'ultima battaglia è per te,
ragazzina dai mille nomi.
Sii paziente e lasciami cadere ora; lascia che di te rammenti solo il
'Ser' stronzo dalla voce roca, graffiante come unghie sulla lavagna e
fammi dimenticare la donna vergine, la Madonna dalla pelle bronzea
venerata sin dagli albori del tempo, la Grande Pute che –
ostinata – vuol concedermi la grazia d'una quarta vita.
Ne ho già buttate tre, cosa ti fa credere che il tuo dono
non andrà sprecato?
Combatterò per far ritorno, per
un'altra goccia di quel sangue santo che ti scorre in corpo,
perché infondo l'ho sempre saputo, dalla prima volta in cui
ho bevuto la tua essenza, che saresti stata il mio Graal e la mia Croce.
A te affido ora l'onere di accomiatarti da me con un'imprecazione, come
le donne in Romania cantano i Bocete per i loro defunti, senza
gl'inutili piagnistei di queste ultime, mi raccomando.
E spara un colpo in testa a quell'imbecille del Maggiore.
Puoi farlo senza il mio sostegno questa volta.
«...mia Signora.»
«Tu,
Maggiore, non sei per nulla un uomo
e Lui tornerà!»
E. N. D.