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Autore: BlueRon    29/07/2014    2 recensioni
“La felicità, mio caro Watson, non è l’euforia per un caso nuovo o il timido sorriso di una vedova in cerca di risposte. No, la felicità è qualcosa che resta, e io ho lei. Perché un giorno voi ve ne andrete, e saremo io e la mia cocaina, in eterno.”
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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I need my friend.

 
 
“La felicità, mio caro Watson, non è l’euforia per un caso nuovo o il timido sorriso di una vedova in cerca di risposte. No, la felicità è qualcosa che resta, e io ho lei. Perché un giorno voi ve ne andrete, e saremo io e la mia cocaina, in eterno.”
 

Ricordavo chiaramente le parole di Sherlock, lui che cercava qualcosa di complicato solo per divertimento e che si abbandonava alla morfina solo per smettere di pensare. Un anno fa lo avevo trovato, dopo un lungo periodo senza casi, riverso a terra in overdose, l’ago ancora infilato nel braccio. Così avevo preso dalla mia valigia da medico una siringa di adrenalina e avevo abbassato lo stantuffo solo dopo aver puntato dritto al cuore, dandogli la forza di pompare il sangue e non collassare.
Sherlock Holmes era sempre stato un uomo fuori dagli schemi, ma l’etichetta di psicopatico suicida che gli avevano affibbiato quelli di Scotland Yard, aveva dato l’ultima spinta a Sherlock, già a rischio di crollare.
 
La carrozza mi lasciò proprio davanti la porta della mia vecchia casa, salii i pochi gradini e bussai, ma la signora Hudson non venne ad aprirmi, così cercai le mie vecchie chiavi e aprii con quelle.
Chiamai la signora, un altro paio di volte prima di salire verso l’appartamento del detective.
Aprii la porta e non vidi niente, le tende dovevano essere ancora chiuse, intravidi la sua sagoma sul divano.
“Sherlock, come vi sentite?”
Lui alzò un braccio in alto, verso il soffitto, ma questo ricadde malamente sul suo addome.
“Si guardi, per l’amor di Dio, è ridotto a uno straccio! Come pensa di poter lavorare in queste condizioni?”
“Mh, chi ha bisogno di lavorare quando si ha l’eroina?” rispose lui, con un soffio.
Non capivo più nulla. Lui, sempre così attivo, una delle menti più brillanti del nostro secolo, ridotto a vivere come il fantasma di se stesso. Il vero Sherlock Holmes, quello con cui vivevo a Baker Street era ancora lì, soffocato dalla droga che pulsava nelle sue vene.
Tutto quello che voleva era dimenticare. Lasciarsi alle spalle la sua genialità per vivere come un cittadino comune. Ma Sherlock Holmes non era così, non è così. Non è un uomo reso apatico dal lavoro in fabbrica, non è un cocchiere stanco del dondolio della carrozza.
Uscii di casa, sotto la fredda pioggia londinese, per schiarirmi la mente. Non sopportavo di vedere il mio amico ridotto così. Era stata Mary a pregarmi di fare qualcosa dopo le ultime, preoccupanti, lettere della Signora Hudson.
Una carrozza mi passo vicino, schizzandomi i pantaloni di fango. Per un momento fui tentato di alzare il braccio e fermarla e fuggire lontano. Lontano da Londra, dal fumo delle ciminiere e da lui. Scappare dalla sua dannata dipendenza.
Ogni volta che arrivava una nuova lettera dalla Signora Hudson, pregavo che fosse l’ultima, speravo di leggere, tra quelle righe, della morte di Sherlock, non potevo sopportare la sua autodistruzione.
I sensi di colpa, risvegliati da quei pensieri, mi fecero tornare sui miei passi e rientrare nella mia vecchia abitazione al 221B.
 
“Dottor Watson… John… Posso chiedervi un parere sulla salute del Signor Holmes?” mi chiese Miss Hudson, quasi in un sussurro.
La guardai negli occhi, poi abbassai lo sguardo sulle mie mani, che stringevano la tazza del tè con tanta forza che le mie nocche erano sbiancate.
“Signora Hudson, io non saprei. Sherlock è sempre stato imprevedibile, molto probabilmente domani si sveglierà e andrà al porto a cercare un caso su cui lavorare…” risposi, con un sorriso forzato.
“Dottor Watson! – esclamò lei adirata, battendo un pugno sul bracciolo della poltrona – Si rende conto che è la stessa cosa che mi disse il mese scorso? E quello prima ancora e quello…” s’interruppe bruscamente. La rabbia si era ora tramutata in pianto. Un pianto triste, quasi infantile, che le faceva sussultare le spalle come in preda a spasmi.
“Signora Hudson, la prego, si calmi… – dissi, allungandole il fazzoletto di stoffa che tenevo nel mio taschino – Sa bene che la situazione con Holmes è delicata e molto complicata. Io ero un medico di guerra, non so trattare con queste cose. Mi dia una ferita da arma da fuoco, un corpo ustionato da una mina, questo. Questo è quello che sto fare io.”
Lei spalancò gli occhi, “Voi non siete solo un medico di guerra! Voi siete il suo unico amico!” disse, quasi urlando.
Quelle parole così sincere mi fecero tremare. Io ero suo amico, il suo unico amico, come potevo lasciarlo solo, in balia dell’apatia che lo logorava.
Dovevo aiutarlo, ero l’unico che avrebbe potuto fare qualcosa.
Mi alzai si scatto dalla poltrona. Miss Hudson mi guardò da sopra il fazzolettino con cui si stava tamponando le lacrime.
“Grazie” sussurrò mentre mi avvicinavo alle scale.
 
Entrai senza bussare. Sherlock era ancora sul divano, la stanza era al buio, ma lui fissava catatonico lo specchio sopra il camino.
“Sherlock” lo chiamai. Tentativo inutile, non diede nemmeno cenno di avermi sentito.
Mi avvicinai e posai la mia mano sulla sua spalla, coperta solo da una logora vestaglia.
“Sherlock – ripetei, guardandolo negli occhi – amico mio. Sono qui per voi, per aiutarvi, quello che è successo non è colpa vostra, noi non siamo i soli padroni del nostro futuro, facciamo parte di un disegno più grande…” m’interruppi, vedendo che l’uomo aveva girato il viso verso l’alto e ora mi stava guardando negli occhi.
“Mio caro Watson, deduco dalle vostre parole che avete parlato con Miss Hudson. Non dovete preoccuparvi per me. Mi dica, piuttosto, come sta vostra moglie Mary?”
“Sherlock, voi siete mio amico, io sono suo amico. Si guardi allo specchio, vi prego, da quanto tempo non fa un bagno?”
Lo sentii sospirare, una stinga di luce filtrava dalla tenda e moriva ai suoi piedi, lasciando così il viso in ombra.
“Usi la logica John, chi ha più bisogno di un consulente detective di  questi tempi?”
Mi sedetti sul divano e lo guardai, “Lestrade, forse non ha più bisogno di un consulente detective, ma io ho bisogno del mio migliore amico.”
 
FINE
   
 
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