Facciamo
qualche doverosa precisazione.
Questa
shot, come sempre inutilerrima,
ha luogo in un ipotetico futuro in cui l’Akatsuki è già
stato sconfitto da lungo tempo, in modi che non ho inteso approfondire
(perché non sono Kishimoto, purtroppo). Quel
che conta sapere per comprendere è che in quell’occasione Sasuke
ha fatto un po’ (come potrebbe venirgli seriamente in mente di fare, a
mio avviso) da diversivo, perché a Konoha il ragazzo ci tiene, e teneva
i suoi piedini da fesso in due scarpe.
Questo
è quanto.
Per
favore, niente sassate. ^__^
Suni
(ringrazio
juliette per la consulenza nipponica)
Teme, ti
scrivo…
Crepuscolo
su Konoha. Il cielo si tinge delle sfumature di rosso carminio del tramonto,
pallide linee rosate che annegano nel porpora. Le strade del villaggio sono
invase dai cittadini in festa, in
un turbine di festoni colorati, abiti sgargianti e scrosci di risate. Il
palazzo dell’Hokage è ancora circondato dalla folla, che esita a
disperdersi dopo la cerimonia. La musica della festa invade ancora
l’aria, accompagnando le ultime danze tradizionali.
È
una giornata come ce ne sono poche a Konoha. Gli shinobi, abbandonato il loro
ruolo abituale, ciondolano sull’ampia spianata chiacchierando e ridendo.
Qualcuno leva i calici in un brindisi, altri parlottano con espressioni
gioiose: questo pomeriggio il nuovo Hokage ha ricevuto e l’investitura e
i suoi uomini sanno che condurrà il villaggio con ardimento e giustezza.
Qualcuno, come Haruno Sakura, lancia pigre occhiate
alle finestre dell’ultimo piano del palazzo, laddove Naruto si è
ritirato poco fa per prendere possesso del suo nuovo spazio, presumibilmente
esultando tra sé.
Lassù
la musica fatica ad arrivare. La finestra dell’ufficio dell’Hokage
è socchiusa per lasciar entrare la brezza serale e soltanto qualche
accenno di melodia e le risate più vivaci raggiungono la stanza
silenziosa.
I
ripiani e gli scaffali sono ancora spogli, svuotati delle cose di Tsunade hime e ancora non
occupati da quelle di Naruto, accumulate in un paio di casse abbandonate
accanto al muro che ancora non sono state aperte. Anche l’ampia scrivania
in legno massiccio è ancora vuota; c’è soltanto un foglio
bianco disteso nel centro della superficie piana. Davanti ad esso è
seduto il nuovo Hokage, che stringe in mano una penna ad inchiostro nero.
Naruto
si è liberato del mantello bianco indossato durante la giornata e
sfoggia, come sempre, un’improbabile mise
sui toni dell’arancio. È appollaiato sul suo scranno in maniera
scomposta, con una gamba piegata, il piede incastrato sotto di sé. Lo
sguardo ceruleo è fisso sul foglio, assorto e distante. La mano che
stringe la penna ondeggia nell’aria, sembra esitare: si avvicina al
foglio, si trattiene, torna verso il busto e poi riprende il movimento.
Ha
l’aria stanca, Naruto: la giornata è stata ricca di emozioni,
perché da molto tempo sognava questo momento e viverlo per davvero
è stato straordinario. Ma se, contrariamente a quanto supposto da Sakura
e dagli altri, Naruto non sta festeggiando in solitaria, se è seduto, silenzioso e immobile,
alla sua scrivania, è perché qualcosa, a distanza di anni, turba
ancora quella perfezione.
Sospira
profondamente una, due volte. Poi la piega delle sopracciglia si arcua, le
labbra si serrano con espressione risoluta: è fatta, la mano scatta in
avanti e il pennino, finalmente, prende a scivolare rapido sulla pagina immacolata.
Scorre con sempre più foga, mentre la testa di Naruto si avvicina sempre
più alle righe, quasi dovesse tuffarcisi
dentro. Le dita si serrano intorno alla penna, il viso concentrato è
attraversato da smorfie involontarie mentre scrive, scrive e scrive ancora, via
via più immerso nel fiume di parole che
sgorgano dalla sua mente. Il cielo si fa sempre più scuro, il sole
sparisce silenzioso dietro la cresta delle montagne e la poca luce della
stanza, che Naruto non ha illuminato per la notte, dovrebbe essergli
insufficiente per continuare a scrivere. Ma Naruto evidentemente non ci bada,
perché prosegue l’opera con invariata alacrità.
Un
osservatore, se qualcuno lo potesse vedere ora, penserebbe che il documento che
sta stilando sia di capitale importanza, perché la sua attenzione non si
distoglie nemmeno quando una serie di leggeri colpi contro la porta indicano il
sopraggiungere di un visitatore. L’Hokage non se ne accorge neanche:
scrive. Scrive e sul suo volto morbido continuano a scivolare le emozioni,
sembra quasi – ma forse è un gioco di luce che dà
l’impressione sbagliata – che a un certo punto gli occhi gli si
appannino di lacrime. Quando finalmente pone, con uno svolazzo, la sua firma in
calce emette un gemito rauco e sfinito, tali erano l’impegno e il
coinvolgimento emotivo dell’opera.
Naruto
scorre con lo sguardo le pagine, senza rileggerle. Le osserva serio, il volto
compreso e quasi malinconico, per qualche secondo, poi solleva lo sguardo verso
la finestra e gli occhi gli si colmano di sorpresa: è buio pesto. Dalla
strada non provengono più i suoni della festa, soltanto il silenzio
notturno del villaggio addormentato.
Si gratta la scompigliata testa bionda con perplessità: non si era
accorto di aver scritto così a lungo. Esita per qualche secondo, si alza
e si affaccia alla finestra. Konoha è un mare scuro di calma e quiete, i
tetti svettano nella notte con rurale eleganza e lui sorride tra sé:
quello è il suo villaggio, che ha protetto e proteggerà a costo di
qualunque sacrificio. Rimane immobile e placido per un paio di minuti, poi i
suoi occhi hanno un guizzo, torna veloce alla scrivania e aggiunge un paio di
righe in fondo all’ultimo foglio; lo infila sotto gli altri e li piega
con un gesto risoluto. Con la medesima decisione si muove, arriva alla porta e
la fa scattare, affacciandosi nel corridoio buio; in fondo c’è una
porta socchiusa da cui filtra la luce e Naruto si dirige lì, bussando
leggermente.
“Iruka?” chiama incerto. “Sei tu?”
C’è
un tramestio all’interno, poi un breve silenzio.
“Naruto
sama,” lo apostrofa la voce del suo antico maestro. “Finalmente,
entra.”
Il
giovane Hokage fa capolino con un sorriso: lo shinobi è davanti allo
scrittoio, tra le mani ha alcuni documenti.
“Disturbo?”
chiede lui distratto.
“No,
affatto,” lo rassicura l’altro con un sorriso affezionato.
“Portavo avanti il lavoro aspettando che finissi. Prima ho provato a
bussare, ma non hai risposto,” osserva, vago.
Naruto
sgrana gli occhi chiari con sorpresa e sogghigna a mo’ di scuse.
“Non
ti ho sentito. Stavo facendo una cosa importante,” spiega vago. “Ma
ho finito, vado a casa.”
Iruka
annuisce, sistemando i documenti con alcuni colpi delle mani, poi si alza.
“Vengo
anche io,” afferma, afferrando la giacca.
“Ah,
abbiamo delle buste?” esclama Naruto, guardando i fogli tra le proprie
mani, con improvvisa urgenza. “Nel mio ufficio…”
“Ma
certo,” conferma Iruka, spalancando un
cassetto. Fruga per un secondo e gli allunga una busta bianca, candida. Naruto
la afferra e, con minuziosa attenzione, fa scivolare i fogli al suo interno e
la chiude accuratamente, sotto lo sguardo curioso dell’altro. Finge non
notare quell’indiscrezione e sventola l’involto con noncuranza,
sorridendo.
“Andiamo,”
esclama Iruka, comprendendo la sua reticenza.
Marciano
nei corridoi scuri e muti fino all’ingresso, senza dire altro. Di tanto
in tanto si sorridono, contenti. La notte, all’uscita, li accoglie fresca
e tranquilla.
“Ti
accompagno, Naruto sama?” propone Iruka con
premura.
Il
giovane si stringe nelle spalle, con un sorriso lontano.
“Faccio
due passi,” diniega senza guardarlo. “Ci
vediamo domani.”
Iruka
esita per un istante. Sembra sul punto di parlare, ma poi sorride facendo
spallucce.
“D’accordo,
a domani,” conferma mite. “Buona notte, Naruto. Sono fiero di
te.”
Il
giovane allarga il viso in uno dei suoi trascinanti sogghigni, trionfale.
Ridacchia quasi imbarazzato e poi, con un ultimo cenno, si allontana nella
penombra della strada.
Cammina,
solitaria ombra scura, lungo le vie in cui nessuno si sta più attardando,
illuminate da una debole luna nuova e da qualche timido lampione. Si guarda
intorno senza fretta, come se stesse visitando un luogo di sacrale, infinita
bellezza. Ad un angolo di via, due ritardatari nottambuli, riconoscendolo, si
profondo in inchini e congratulazioni mormorate, cui lui replica con uno
sfolgorante sorriso e un sentito ringraziamento. Soltanto quando li vede
sparire nella strada laterale si avventura nel luogo che era il suo obiettivo
dall’inizio.
Quel
quartiere è diverso dagli altri: la sua notte è più buia,
i palazzi sono usurati non solo dal tempo, ma da un’incuria che
s’indovina essere di lunga data. Alcune finestre sono rotte, le pareti
incrostate, ma si intuisce un’opulenza dimenticata, su cui troneggiano i
segno dell’abbandono. Le imposte si riconoscono essere non chiuse per
proteggere il sonno degli inquilini, ma bloccate per segnalarne
l’assenza. Naruto avanza con lenta sicurezza, percorrendo un cammino che,
risulta chiaro, gli è familiare e consueto. Prosegue fino a raggiungere
la più ricca e imponente di quelle case vuote e finalmente, solo allora,
si ferma.
È
una magione elegante, austera nella sua grandezza. A differenza delle altre
sembra essere stata lasciata in un momento qualunque, come se il proprietario
fosse partito per una vacanza e, da un momento all’altro, dovesse fare
ritorno. Le persiane, al piano rialzato, sono state lasciate aperte e spingendo
lo sguardo all’interno s’intravedono stanze perfettamente
abitabili, ordinate a dispetto della polvere.
Naruto
si trattiene per un momento soltanto, muovendo gli occhi su e giù per
quei muri come se li accarezzassero. Poi allunga la mano che non ha mai
lasciato la busta e, fluido e sicuro, si china e la spinge sotto la porta
chiusa della casa, finché non è scivolata del tutto all’interno.
Si rialza, accennando un sorriso senza allegria.
“Buonanotte,”
sussurra a nessun interlocutore.
Si
volta, e se ne va com’è arrivato.
Teme,
ti scrivo perché questo è un
grande giorno per me. Direi che, in effetti, questo è il più gran
giorno della mia vita e ci tenevo a farti partecipe dello straordinario evento
che mi ha visto come protagonista. So che, leggendo, storceresti il naso e
proclameresti il tuo assoluto disinteresse per la mia persona e tutto quel che
la riguarda, diresti che non ti importa un tubo di quel che succede a un idiota
come me. Ma dicevi tante cose che non pensavi, soltanto per convincerti che la
strada intrapresa era quella che dovevi percorrere, l’unica possibile.
Ti ho capito, sai. Non ho mai creduto
davvero a quelle sparate sul destino, le scelte e le direzioni obbligate.
Perché ho capito una cosa, teme, e sono sicuro che l’avevi capita
anche tu: i legami non si spezzano. Esistono, sono lì e se anche li
neghi, li smentisci e li nascondi rimangono, senza che si possa davvero decidere
di eliminarli. I legami non sono cose, non li butti via come una radio rotta e,
che ti piaccia o meno, te li porti appresso dal momento in cui nascono fino a
quello della tua morte. Cambiano, si intensificano, si allentano e si
travestono, ma resistono a qualunque cosa.
Altrimenti mi avresti ucciso, sai. Ne hai
avute di occasioni, ma nonostante quel che dicevi non lo hai mai fatto.
Non sto parlando di legami per darti torto
(ma anche sì, in effetti, sorcio presuntuoso) ma perché, se ben
ricordo, stavo dicendo che fingeresti di trovare questa lettera molto seccante.
Ma sarebbe una delle tue mascherate da duro. Avevi così tanta voglia di
sentirti solo e non facevi che dire che di legami non ne avevi, ma non era
vero.
Perciò lasciamo perdere questa finta
del disinteresse, vuoi? La notizia è davvero superstragrandiosa
e non perderò altro tempo per dartela: oggi io, il grande Uzumaki
Naruto, sono diventato Hokage!
Guarda che parlo sul serio.
È la verità, baka!
Adesso faresti una smorfia e, disgustato,
commenteresti che non è possibile che un simile imbecille diventi
l’Hokage di Konoha. Beh, mi spiace smentirti, caro il mio arrogante
borioso, ma invece è così. E per inciso, smentirti non mi
dispiace affatto. Se ben ricordi l’ho sempre detto che sarei diventato
Hokage. Sei tu, testa di marmo, che non mi davi mai retta, e facevi male. Da
ciò si dimostra che ti sono superiore, tiè.
Oh, Sasuke.
Sarebbe bello davvero se questa
conversazione avesse luogo. Io comincerei a urlare che cerchi sempre di
sminuirmi e che nemmeno una volta diventato Hokage mi dai un briciolo di
soddisfazione, e tu faresti tutte quelle tue smorfie sprezzanti, mi daresti
dell’idiota e fingeresti di non considerarmi. Forse ipotizzeresti che
c’è stato un errore, che era un altro che volevano nominare Hokage
ma hanno sbagliato a scrivere il nome. Io andrei su tutte le furie e,
probabilmente, finirebbe a pugni.
Però non avresti tutti i torti a dire
che un tipo come me non può essere Hokage. Il Naruto che conoscevi tu,
del resto, aveva quindici anni ed era un ragazzino scemo. Ma sono cambiato. D’altra
parte, sai, se uccidi il tuo migliore amico non sei più lo stesso di
prima. Forse lo intuivi anche tu e per questo non lo hai fatto. Vorrei aver
avuto la stessa possibilità di scelta, ma non me l’hai lasciata.
Sei sempre stato molto egoista, dopotutto.
Ad ogni modo, sono il Rokudaime
Hokage. Sai quanto ci tenevo e puoi immaginare come mi senta estasiato in
questo momento, come il mondo mi sembri un posto ancor più bello del
solito. Però c’è una cosa che rende questa giornata un
pochino meno perfetta, e visto che sei il mio migliore amico te la racconto,
tanto per buttarla fuori.
È che alla fine, comunque, dopo aver
fatto a botte ed esserci stancati come somari ci fermeremmo, seduti da qualche
parte senza fiato, e senza controllarti sorrideresti. Mi hai sorriso poche
volte, teme, avresti dovuto farlo più spesso. Io ti sorridevo sovente, a
parte tutte quelle pose bellicose che assumevo quando competevamo per qualcosa,
ma non te ne accorgevi.
Avresti dovuto farlo più spesso, perché
mi piaceva. Gli amici non dovrebbero far altro che sorridersi, e sai
perché? Perché l’amicizia fa sorridere. Quando penso a te,
ancora adesso, io sorrido. È un sorriso un po’ doloroso, viste le
circostanze, ma è sincero.
Mi sorrideresti. Non ti congratuleresti,
perché non sei il tipo da slanci di tale portata (ti sto prendendo in
giro, sappilo e offenditi) ma non ce ne sarebbe bisogno. Non avevi capito una
cosa importante, Sasuke, e la colpa è anche nostra perché non te
l’abbiamo detta. A noi stavi bene così. Non era importante che
parlassi poco e stessi sempre sulle tue, non ci facevamo caso. Per questo un
sorriso mi basterebbe, perché saprei quel che sta a dire. Sta a dire
“ben fatto, Naruto, sapevo che ci saresti riuscito, sono contento per
te.”
Ecco, questa è la cosa che mi rende
meno perfetta la giornata: che sono stato privato di quel sorriso. Mi
spetterebbe di diritto, dopo tanta fatica e tanti sforzi, invece non lo
riceverò. E la colpa è tutta tua, razza di stronzo. Sei tu che
hai fatto quel casino, e non è giusto che non ti sia fermato. Ti abbiamo
inseguito per mari e monti, te l’abbiamo ripetuto fino alla nausea.
Perché non mi hai mai ascoltato? Eppure era così semplice quello
che dicevo, sarebbe bastato starmi a sentire per un attimo e sarebbe stato
tutto chiaro. Non eri da solo, non lo sei mai stato. Non lo sei nemmeno adesso
che sei morto, non lo eri quando ti ho ucciso. Non sei nemmeno morto, da solo,
perché egoista come sempre ti sei portato una parte di Naruto con te,
una di Sakura e anche una di Kakashi. Ma la mia, non per fare
l’esibizionista come mi accusavi sempre, è la più grossa,
perché sono io che l’ho fermata, la tua vita. Anche se poi ho
capito quello che stavi facendo: stavi tradendo di nuovo, ma questa volta non
noi, bensì quel mostro di tuo nonno e i suoi compari, però ti sei
curato di fare in modo che non si comprendesse, che non restasse comunque
possibilità se non ucciderti.
E sì, mi piace dirmi che è
stato Kyuubi, ma Kyuubi fa parte di me. Non fa differenza agli occhi di nessuno,
né a quelli del resto del team, né degli abitanti di Konoha;
forse soltanto ai tuoi, ai tuoi occhi che vedevano più a fondo di tutti
ma solo nella direzione in cui volevi guardare. E allora diciamo che io e te lo
sappiamo che Kyuubi ti ha voluto uccidere mentre Naruto, lui, avrebbe tanto
desiderato che ci fosse un’altra soluzione. L’ha cercata
fervidamente, l’ha implorata, ma non c’era; anche perché non
hai voluto che ci fosse. E l’altra cosa che mi piace pensare, anche se
è una cosa triste, è che dopotutto volevi morire per mano mia, e
soltanto mia. Non è così, teme?
Non volevi forse che fosse il tuo migliore
amico, a darti pace?
Ecco, è tutto. Sono Hokage e, in
qualche modo, ti ho lasciato dietro di me. Si perdono tante cose, nella vita, e
certe volte si perdono gli amici. Ma i legami, quelli rimangono. Lo puoi vedere
in ogni lettera tracciata su questi fogli, perché ciascuna parola
è intrisa della mia amicizia. Non vale molto, non farà di te un
uomo ricco e non ti riporterà in vita, ma alla fine, Sasuke, noi siamo
quello che contiamo per gli altri. E allora, idiota, tu sei tuttora
l’uomo più importante del mondo, anche da morto, agli occhi
dell’Hokage di Konoha. E scusa se è poco.
Suona bene UZUMAKI NARUTO, ROKUDAIME HOKAGE.
Non trovi?
Sì, è in stampatello per darti
fastidio. Per cosa, sennò?
Ti saluto, amico mio. Vado a fare di questo
villaggio un posto migliore, se posso. Un posto in cui, se possibile, non ci
siano più bambini che crescono soli come te e me, in cui un altro Naruto
e un altro Sasuke siano amici in santa pace, senza pregiudizi, senza stragi e
senza niente del genere. Così il prossimo Sasuke non annoierà
tutti con la storia della vendetta e se ne resterà buono al villaggio a
fare lo shinobi normale.
Bello, no? È il mio nuovo nindo.
Ti abbraccio, ovunque tu sia.
Con affetto,
Uzumaki Naruto,
Rokudaime Hokage
Ecco, vedi: questa è la mia prima
sera come Hokage, tutto il villaggio ha festeggiato e io ero qui alla scrivania
a scriverti. Eppure, se ci penso, questo sì che è perfetto: non
avrei voluto trascorrere questa serata con nessun altro che te.