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Autore: screaming_underneath    10/08/2014    1 recensioni
"«Come dei piccoli Signori del Tempo che tastavano ogni cosa a loro disposizione, eh Dottore? Me li immagino così» dice lei e se chiude gli occhi, vede ditina tozze e piedini che corrono per il TARDIS, sfiorando leve e bottoni e ridendo della stessa felicità dei bambini di quel parco.
Senza sapere che è andata talmente vicina alla realtà da far tremare le mani del Dottore."
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A Glass Heart.
Genere: Angst, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Doctor - 9, Rose Tyler
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Burning up a sun just to say goodbye'
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You talk all the time
(but you don't say anything)



Spesso c'è soltato il desiderio di tornare sulla Terra.
Dopo mille pianeti diversi, tutto quello spazio e il tempo, è sempre all'Azzurro Pianeta che aspirano tornare. Rose poiché, in fin dei conti, è il pianeta su cui è nata è cresciuta; Il Dottore perché, in novecento anni, è l'unico posto al di fuori di Gallifrey dove abbia mai potuto davvero sentirsi a casa.

Non atterrano quasi mai nelle città; di solito sono campagne, montagne, spiagge: nel silenzio totale, lasciano riposare le membra, guardando le nuvole in cielo rincorrersi o la Via Lattea risplendere, infinitamente piccola e ristretta una volta lasciato la TARDIS. 
A volte si siedono nei parchi e guardano i bambini giocare, finché non diventa sera e madri apprensive richiamano in casa i propri figli, senza sapere che, fin quando il Dottore è presente, nulla in agguato nel buio potrebbe far loro del male.
«Hai mai desiderato bambini, Dottore?» chiede Rose una sera. C'è una bimba piccolissima sull'altalena, poco distante da loro. Ha i capelli rossi al vento e ride, mentre un maschietto, altrettanto piccolo, la spinge da dietro. Rose crede che se qualcuno volesse catturare in un ritratto la Felicità, quella vera, dovrebbe immortalare quella scena. Magari con gli acquarelli, per creare quel senso di eterea e inafferrabile bellezza che solo le vite appena iniziate possono davvero regalarti.
Il Dottore sorride, ed è un sorriso triste ma Rose non lo sa.
Non lo sa perché lui parla sempre, ma non dice mai niente; può raccontarle di pianeti, e stelle e galassie e alieni dalle mille forme e strane abitudini alimentari, e di cani senza naso e uccelli grandi quanto uno dei bus a due piani di Londra per intere giornate, ma è difficile che racconti qualcosa di sé, perché fa male, fa dannatamente male. Se chiude gli occhi, può sentire echi di risate, non provenienti dal parco, ma da quella parte della sua mente dove i ricordi rimangono, celati, mentre il vuoto nel suo petto si allarga ancora un po'.
Così mente. 
Il Dottore mente un sacco a Rose, e non sa spiegarsi perché lo faccia, vista la franchezza con il quale lei gli parla di qualsiasi cosa. Sa solo che è geloso del modo in cui lei affronta la vita, positiva e sorridente fino in fondo, con un'innocenza che è di poco differente da quella dei piccoli umani che giocano davanti ai loro occhi. Lui non ci riesce più. Ha visto... fatto cose che rimarrano per sempre marchiate sulla sua pelle; al suo nome.
Ciò che è
(scelto di diventare)
diventato gli ha precluso qualsiasi opportunità di redimersi, persino adesso che è tornato a viaggiare in compagnia, persino adesso che colei che ha al suo fianco riesce a vedere di nuovo cose che lui non è più capace di apprezzare veramente.
«Ci ho pensato, sì. Una volta, un tempo fa, c'è stata la possibilità. Qualcuno... sai, in cui riconoscermi dentro». E ha in mente volti, risate, voci, manine che abbracciano e tirano capelli ma questo non lo dice. È il Dottore segreto, questo, quello che esisteva sotto un nome diverso, quando ancora il cammino delle scelte sbagliate non era stato intrapreso.
Rose sorride, si sposta un ciuffo di capelli dal volto e torna a posare gli occhi sul parco. Adesso capelli-di-fuoco e il suo amico non ci sono più, rimpiazzati da una bimbetta bionda con le ginocchia macchiate d'erba. «Come dei piccoli Signori del Tempo che tastavano ogni cosa a loro disposizione, eh Dottore? Me li immagino così» dice lei, e se chiude gli occhi, vede ditina tozze e piedini che corrono per il TARDIS, sfiorando leve e bottoni e ridendo della stessa felicità dei bambini di quel parco.
Senza sapere che è andata talmente vicina alla realtà da far tremare le mani del Dottore. «E tu, Rosie?» chiede lui, cercando di non far vacillare anche la voce, con gli echi di quel tempo passato che ancora devastano la sua mente.
Potrebbe semplicemente cambiare discorso. Potrebbe mettersi a blaterare di come quel pezzo d'Inghilterra sia bellissimo durante l'autunno, con le foglie che cadono rosse e gialle e arancio e coprono il manto stradale e gli scivoli e le altalene ma lei capirebbe, e non vuole turbarla. Così chiede, ed è il prezzo da pagare per non far soffrire
(mai, mai più)
un'altra persona.
Rose scuote la testa, alza le spalle. È indecisa. «È capitato. Ero... più giovane. Anzi, diciamo più ingenua, perché sembra che siano passati così tanti anni... e invece sono soltanto pochi mesi. Avevo un milione di fantasie, sai? L'uomo perfetto, un lavoro migliore, una casetta. Una famiglia mia di cui prendermi cura, qualcuno o qualcosa che mi prendesse per mano e mi scuotesse e cambiasse la mia vita una volta per tutte. E poi...» Lascia la frase incompleta, lo guarda negli occhi e sorride più apertamente. Qualcosa nel suo sguardo fa capire al Dottore che no, non è riuscito veramente a convincerla, ma sa bene che non sarà lei ad insistere, non stavolta. Arriverà il momento, come tutte le cose, e lei glielo tirerà fuori dalla bocca
(dal cuore)
come tutto il resto, e farà male; ma forse dopo, una volta confessato, riuscirà persino a vedere le cose un po' più come deve vederle lei. Ingenua, ha detto, e il Dottore sa che quella frase sospesa ha un solo possibile finale, un unico (terribile) senso.
È ciò che lui fa alle persone che ama.
«Poi cosa?» chiede, e già conosce la risposta.

«Poi sei arrivato tu».
   
 
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