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Autore: alessiacroce    13/08/2014    12 recensioni
"Riemersi con la testa e presi di nuovo fiato, ma Harry era pesante, non ci riuscivo. Mi chiesi se sarebbe stato meglio non averlo mai conosciuto. Tutto questo sicuramente non sarebbe mai successo. Adesso non starei per morire. Adesso lui non starebbe per morire."
Genere: Dark, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Trailer ufficiale:
 http://www.youtube.com/watch?v=w8YIoKs97YQ

Capitolo 14
 


Stropicciai gli occhi, guardandomi intorno. La luce fioca del sole filtrava tra le tende, illuminando la stanza. Camera mia.
Mi sollevai, spostando le coperte. Dio, avevo solo fatto un brutto sogno, bruttissimo. Ero a scuola e all’improvviso una segretaria mi aveva convocato, dicendomi di avere una chiamata in attesa. Avevo risposto e mia madre in singhiozzi mi aveva detto che Liam era morto. Sospirai, scendendo dal letto ma notai all’improvviso mia madre china ai piedi del materasso, con la testa tra le mani. Impallidii all’instante. Che ci faceva messa così mamma? Solo allora mi accorsi di indossare ancora l’uniforme scolastica. Le lacrime sgorgarono, fitte. Non era stato tutto un sogno.
Balzai in piedi e mi affiancai a mia madre.
 
“Mamma! Mamma, che è successo?!” urlai, scuotendola.
 
Lei sembrò svegliarsi e alzò il viso verso di me. Gli occhi erano rossi e gonfi, contornati da pesanti occhiaie scure, le labbra screpolate si mossero appena in un singhiozzo. Sembrò essere invecchiata di una decina di anni. La guardai tra le lacrime. La vista mi si offuscò.
 
“Mamma, ti prego, parla! Dov’è Liam?! Non è morto, l-lui…” la voce mi morì dentro.
 
Lei continuava a guardarmi, piangendo. Mi accarezzò i capelli, avvicinandomi a sé.
Io mi alzai velocemente e corsi fuori dalla stanza. Feci per scendere le scale quando notai un ammasso di gente in soggiorno. Patrick sedeva con la testa tra le mani sul divano e affianco stavano due poliziotti, uno con un taccuino in mano, l’atro con una mano sulla spalla del mio patrigno. All’entrata un gruppo di uomini in uniforme parlottava tra loro, un uomo in giacca e cravatta, invece, parlava animatamente al telefono.
Era tutto vero. Lui se n’era andato, per sempre.
Le gambe cominciarono a tremarmi e, incapace di sostenermi, caddi con un tonfo all’inizio degli scalini. Tutti si girarono contemporaneamente, Patrick compreso.
 
“Less” sussurrò.
 
Lo guardai con occhi velati, la vista si fece annebbiata.
 
“Andatevene tutti fuori, ora!” ordinò il mio patrigno, alzandosi dal divano.
 
I poliziotti provarono a ribattere ma lui li zittì e li fece uscire.
Poi, lentamente, salì le scale, faticando ad ogni gradino.
Io rimasi immobile dov’ero, le lacrime che continuavano a scorrermi lungo il viso.
Patrick si sedette affianco a me, senza dire una parola. Affondai il viso nel suo petto e mi sfogai.
 
***
 
“Secondo la dinamica dell’accaduto, vostro figlio sarebbe uscito molto presto questa mattina, più o meno verso le 7 in punto, senza dire che intenzioni aveva. Alle 13:45 circa è stato trovato il suo corpo nei pressi di St. Florence Avenue, deceduto più o meno un’ora prima, secondo l’autopsia, a causa di un overdose di medicinali. È stata confermata l’ipotesi di suicidio. Ora, secondo voi, vostro figlio avrebbe avuto motivo per suicidarsi? Si era comportato in modo strano nell’ultimo periodo? Avete notato qualcosa di diverso in lui?” appuntò un uomo in uniforme sul suo taccuino.
 
Mia madre e Patrick si guardarono, gli occhi ormai vitrei.
 
“I-io non ho notato niente di strano in lui… era un po’ cambiato, forse era diventato più riservato da quando era tornato dall’America” riuscii a rispondere mia madre.
 
“È stato in America?” chiese l’uomo, scrivendo velocemente ciò che aveva appena sentito.
 
“Si, con me. Abbiamo passato sei mesi in America, lui aveva frequentato un college” mormorò Patrick.
 
“Capisco, e avete notato un cambiamento evidente in vostro figlio dopo il ritorno?” investigò di nuovo l’uomo.
 
“Niente di rilevante” rispose mia madre.
 
“Bene, se questo è tutto, vi faremo sapere al più presto il resoconto completo dell’autopsia. Mi dispiace molto per vostro figlio. Accadono spesso cose del genere, non potete nemmeno immaginare a quanti casi di suicidio sono andato incontro in solo quest’anno. Le persone, a volte, decidono di farla finita, così, senza un motivo preciso. Sono stufi di tutto e…”
 
“I-io ho da dire qualcosa” lo interruppi, entrando in cucina, dove erano sistemati i miei genitori, uno affianco all’altro, e l’investigatore, davanti a loro.
 
Mi fissarono tutti e tre con occhi sorpresi.
L’uomo mi invitò a continuare.
 
“Liam era cambiato molto dopo il suo ritorno dall’America. Voi, probabilmente non l’avete notato, ma io si. Era diventato più scorbutico, più distaccato, più silenzioso e riservato. Non era più il solito Liam che io conoscevo, si era trasformato in uno sconosciuto per me. Tutto iniziò quando…” e raccontai di quando mio fratello picchiò James, della sua fuga in moto, di quando in cui non era ritornato a casa per tutto il giorno, della sera in cui l’avevo visto in quel locale a luci rosse, ubriaco e fatto.
 
Mamma e papà mi ascoltarono con occhi sbarrati, sussultando ad alcuni particolari del mio racconto. L’investigatore, invece, prendeva appunti freneticamente.
Finito il racconto crollai su una sedia a poca distanza da me, singhiozzando. Mia madre mi portò un bicchiere d’acqua e me lo porse con mani tremanti. Bevvi un sorso, dopo di che lo poggiai sul tavolo.
 
“Voi non sapevate niente di tutto quello che ha appena raccontato vostra figlia?” chiese l’uomo, rivolgendosi a mamma e a Patrick.
 
Loro scossero la testa, abbassando gli occhi.
 
“Detto questo, vi assicuriamo che ci faremo sentire al più presto per novità. Condoglianze ancora, arrivederci” ci salutò l’investigatore, stringendo la mano a tutti e tre.
 
Poi se ne andò, lasciandoci soli.
Mamma e Patrick non alzarono lo sguardo e con un lieve cenno del capo salutarono l’uomo.
Mi alzai da dove pochi attimi prima ero sprofondata e mi diressi fuori dalla stanza.
 
“Less, dove stai andando?” sentii la voce di mia madre chiamarmi.
 
“Via da qui” risposi, senza voltarmi.
 
Spalancai la porta ed uscii, correndo sul vialetto di casa.
Sentii mamma e papà chiamarmi, urlarmi di ritornare indietro, ma li ignorai.
Corsi senza metà lungo la strada che portava al porto.
Corsi tra le lacrime, con la vista offuscata e un urlo straziante dentro di me. Le gambe stanche dolevano dalla fatica ma si ostinavano a correre, sempre più veloce. Non avevo un obbiettivo preciso, volevo solo andarmene da tutto, ma sapevo di non potere. Avrei solo peggiorato le cose facendo come Liam, lasciandomi tutto alle spalle e uccidendomi. Era solo un’idea stupida ma, forse, anche la più sensata. Era troppo da affrontare per me, sentivo che non ce l’avrei mai potuta fare, non sarei mai riuscita a superare tutto questo. Corsi con ancora più foga. Mrs Maxwell, l’insegnante di educazione fisica, sarebbe stata fiera della gambe, se solo mi avesse visto sfrecciare in quel modo.
Gli occhi continuarono a riempirsi di lacrime. Ormai ero sola, intorno a me non c’era nessuno. Mi diressi verso il portico che porta al vecchio capanno in riva all’oceano. Era una vecchia casa in legno appartenente a qualche pescatore ormai deceduto. Da anni nessuno più ci si avvicinava.
Cercai di asciugarmi le lacrime con il dorso della mano, tutto davanti a me era come avvolto nella nebbia. All’improvviso le gambe cedettero e inciampai, rovinando a terra tra i cespugli e gli arbusti secchi. Rimasi sdraiata lì, singhiozzando. Sentii un forte bruciore sul gomito e lungo la coscia. La caviglia mi faceva malissimo, non riuscivo a muoverla. Mi sentii così impotente. Non riuscivo nemmeno ad alzarmi. Come avrei fatto a ritornare a casa? Sarei stata a marcire su quell’umido terreno. I singhiozzi aumentarono di quantità e intensità. Avrei voluto solo addormentarmi e non svegliarmi mai più.
 
“Ehi, chi è là?” sentii una voce familiare domandare poco distante da me.
 
Proveniva dal capanno.
Sentii dei passi avvicinarsi, chiusi gli occhi e rimasi immobile, ad aspettare.
 
“Less?” avvertii la sua presenza affianco a me, il suono della sua voce roca.
 
Mi sfiorò la guancia con le dita morbide e lunghe, io rimasi con gli occhi chiusi sotto il suo tocco.
Percepii il terreno allontanarsi sotto di me e le sue grandi braccia possenti prendermi e stringermi al petto.
Quando aprii gli occhi mi ritrovai dentro il capanno, accomodata sopra un vecchio divano di pelle scura. Harry sedeva davanti a me, a braccia incrociate. Mi guardò con sguardo cupo e una ruga interrogativa si formò sulla sua fronte.
“Che ci facevi lì, sdraiata sul terreno e sanguinante?” mi chiese, fissandomi con i suoi grandi occhi smeraldo.
 
Dove prima le ferite aperte mi bruciavano ora erano state avvolte della fasce bianche. Feci per alzarmi ma ricaddi sul divano, lanciando un urlo. Un dolore lancinante mi prese la caviglia. Harry si alzò e si accovacciò su di me.
 
“Penso che tu te la sia leggermente slogata” affermò, toccandomi appena “ma niente di grave, nel giro di qualche giorno non ti farà più male”
 
“Grazie, Harry” mormorai.
 
Lui si voltò verso di me, un piccolo sorriso quasi impercepibile si formò sul suo viso.
 
“Mi racconti che è successo ora, dolcezza?” mi domandò, con tono affievolito.
 
“I-io… Liam, lui… ero disperata… è morto, si è suicidato… io non sapevo che fare… sono scappata e…” sussurrai, con voce spezzata, senza riuscire a costruire una frase di senso compiuto.
 
Harry spalancò lentamente gli occhi.
 
“Come sarebbe dire ‘morto’?”
 
“S-si è suicidato questa mattina” risposi e gli occhi, ormai ridotti a due fessure arrosate, si riempirono nuovamente di lacrime calde.
 
Harry rimase muto, mi prese le mani e se le portò al viso.
Le baciò delicatamente e poi le ripose sulle mie cosce.
 
“Mi dispiace molto, Less. Vuoi parlarne?” mi chiese dolcemente.
 
“E-era così strano, dovevo accorgermene. È stata tutta colpa mia” dissi, tra i singhiozzi che ricominciavano.
 
“Ehi, non è colpa tua se ha fatto quel che ha fatto” rispose lui, avvicinandosi a me.
 
Si sedette sul pavimento polveroso, avvolse le mie gambe tra le braccia e appoggiò il mento sulle mie ginocchia, fissandomi dal basso.
Passai le dita tra i suoi capelli, afferrai saldamente i suoi riccioli e poi li lasciai ricadere lungo la sua fronte.
Rimanemmo così per un tempo che mi parve infinito.
Dopo di che, Harry si alzò, aprii un piccola mensola dall’altra parte della stanza e ne tirò fuori una confezione di pane all’olio, la schiuse e prese una fetta, porgendomela. La mangiai anche se non avevo molta fame. Lui si sedette affianco a me sul divano con una fetta in mano.
 
“Non sapevo che questo capanno fosse arredato” mormorai, guardandomi attorno.
 
“Ti dirò un segreto” rispose Harry “io ci vengo sempre qui. Sono stato io a sistemare tutti i mobili, il divano e a mettere un po’ in ordine. È un po’ la mia seconda casa, se vuoi, può diventare anche la tua”
 
Lo baciai, prendendogli il viso tra le mani, e sentii le sue labbra vellutate curvarsi in un sorriso al contatto con le mie.
 
“Ti amo” sussurrò Harry.

 

Spazio Autrice.

Ciao a tutti, allora in molte sono rimaste sconvolte dalla morte di Liam, come ho visto dalle recensioni e dai messaggi.
eh già, è stata proprio una brutta sorpresa...
comunque ecco qui il quattordicesimo capitolo gente c:
per dire, è uno dei miei preferiti tra tutti quelli che ho scritto, boh mi piace, soprattutto l'ultima parte.
Spero piaccia anche a voi
grazie mille come sempre per le recensioni e i complimenti, ve se ama.
se avete bisogno potete contattarmi qui o su twitter, sono @aspettamiharry c:

un bacio x

-Alessia

  
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