Disclaimer: NANA
appartiene Ai Yazawa. Purtroppo, anche Naoki! ;__;
“Winter Sleep” è cantata da
Olivia, alias Reira *_*
Roads crashed into the ocean
It keeps coming back to me
I remember this pain
It spreads across my eyes
Everything is dull
Erano
poche le cose che Takumi amava; c’era la chitarra, la giacchetta di pelle di
suo padre, l’odore d’arancio, e di tanto in tanto qualche passione passeggera.
In là con gli anni, avrebbe amato anche le sigarette.
Solitamente
trovava in ogni cosa un pregio e un difetto, mantenendo perfettamente
bilanciato l’affetto che vi metteva. Una di queste cose, ad esempio, era
l’oceano, quella grande, immensa distesa di acqua verdastra che si estendeva
per chilometri a pochi minuti da casa sua: incostante e capriccioso, con regole
proprie che andavano al di là della immaginazione del ragazzino.
Però
doveva ammettere che aveva un fascino tutto suo; bagnato e salmastro, attirava
l’attenzione di tutti sebbene non facesse che bagnare placidamente qualsiasi
spazio toccasse.
Questo
pensava, fissando la superficie frastagliata che faceva da sfondo alla corsa
spericolata e ridente di Reira.
La
bambina si volse indietro, regalandogli un gran sorriso, fermando un attimo il
suo volteggiare sulla sabbia, già rovinata da decine di impronte che si
mischiavano l’una sull’altra, in un’accozzaglia informe e priva di significato.
Proprio
come quel piccolo paese; piccolo, monotono, insignificante.
Takumi
aveva dieci anni e sognava di fuggire da quel mondo fatto di famiglie borghesi,
sorrisi di cortesia e negozi d’alimentari in cui, di tanto in tanto, si trovava
qualche novità della metropoli, quei dolci colorati ed super-zuccherati
che si scioglievano sulla lingua, facendogli percepire quel qualcosa di spaventoso, ma
irresistibile, che si nascondeva al di là delle strade del suo quartiere.
Forse,
a fargli nascere quel pensiero così estraneo alla mentalità dei compaesani era
stato proprio l’oceano, con le sue promesse di città lontane e viaggi che non
aveva mai fatto, se non nei racconti malinconici che strappava di bocca a
Reira.
Reira
era, per lui, l’icona di quel mondo distante.
Vedeva
qualcosa di irresistibile nella piega della sua bocca – un po’ smaliziata, un
po’ innamorata – nei suoi boccoli biondi – così fini, che tra le sue dita erano
inconsistenti come fantasmi – e negli occhi caldi, scintillanti come le mille
luci di una metropoli.
Era
un mondo estraneo e affascinante, quello che aveva portato Reira.
Gli
era bastato difenderla da un gruppo di monelli e lei lo aveva accolto con il cuore
aperto, sincero, e Takumi sapeva che sarebbe stato così per tutta la vita –
calda ed effimera.
Semplicemente,
Reira lo amava. E l’amava anche lui, in un modo contorto e ben lontano da
qualsiasi cosa avesse mai sperimentato, lontano, anche, dagli amori che avrebbe
avuto in futuro.
Ma
il bambino Takumi ancora non sapeva della gelosia, del desiderio, del possesso.
Takumi
al momento si limitava a sorridere, in quel modo gentile, appena accennato, che
la bambina trovava irresistibile, mentre osservava i lunghi capelli di Reira che
si confondevano con il moto impetuoso delle onde alle loro spalle, con l’acqua
che ricadeva pesantemente sul bagnasciuga, sommergendo i piccoli piedi scalzi
della bambina.
*
Everyone’s smiling, they’re smiling
It pushes me far, far away
I can’t understand
Everything is blue
Can you hear me out there?
Reira
era raggomitolata su se stessa, le ginocchia strette sul petto e la testa boccolosa appoggiata sul pavimento.
Tirò
sul col naso, respirando forte per fermare i singhiozzi e non farsi scoprire
dai camerieri che, sicuramente, sua madre aveva mandato in giro per la villa a
cercarla.
Un’altra
delle noiosissime feste della mamma.
Ormai
erano così frequenti che Reira poteva prevederne una a distanza di una decina
di giorni: il lavoro nelle cucine raddoppiava, iniziavano i preparativi per il
salone, le pulizie generali, e lei veniva vestita, truccata, acconciata come
una bambolina, senza che avesse diritto di scelta nonostante avesse undici anni.
I complimenti per la sua bellezza, ormai, non servivano più a rabbonirla, e le
cameriere impazzivano per cercarla in tutta la casa, come ora.
Provò
un po’ di pena per le servienti, ma fu qualcosa di passeggero, che svanì non
appena gli arrivò all’orecchio il rumore di passi.
Si
strinse nel suo cantuccio, nascosta nel capanno degli attrezzi del giardino
sotto ad un grosso tavolo.
Premette
le mani sulla bocca, nel caso le scappasse un grido, e mosse gli occhi
irrequieta alla ricerca dei possibili aggressori.
Ma
non vide in tempo l’ombra di Kyoko-san la bambinaia
che, lesta, la prese per il polso e la trascinò a forza fuori dal nascondiglio.
«
Signorinella, cosa le è saltato in mente?! Lo sa che sua madre…!
»
« …si arrabbierà. Appunto per questo scappo!
» rispose irrispettosa Reira, tirando il braccio verso di sé, sperando di
riuscire a fuggire.
Kyoko-san
sospirò e la mise in piedi, sistemandole velocemente il vestito coi merletti,
che le creavano prurito le braccia, e i lunghi capelli ricci che si erano
aggrovigliati disordinatamente sopra la fronte alta.
«
Signorina, » gemette la cameriera, con tono disperato. « Rischiamo il posto ad
ogni sua uscita, lo sa? Perché non più essere più indulgente? »
Reira
sbuffò, ma non tentò di scappare quando Kyoko la
liberò dal proprio abbraccio.
«
L’ho già fatto milioni di volte. Ma prima c’era papà per cui farlo. » In lei
c’era ancora la sincerità dolorosa dei bambini, e la loro testardaggine. Kyoko sospirò pesantemente.
« Ma signorina…
»
«
Voglio solo scappare! Questo posto non mi piace… non
è il mio. » spiegò con una logica
strabiliante e il tono più serio e meno capriccioso con cui si fosse mai
espressa, a memoria della bambinaia. « C’è qualcosa di diverso per me, là fuori. E
io voglio trovarlo. »
Reira
respirò a fondo, chiudendo le palpebre leggermente argentate.
Cercò
di concentrarsi su quello che le piaceva, ma c’era una parte così larga di
mondo che non sapeva decidere; poi, nelle orecchie, il rumore placido del mare
e di una chitarra, che accompagnava la sua voce. Reira sorrise, nelle narici la
salsedine.
«
Ok, Kyoko, io vado a quel noioso party, però voglio
che tu mi faccia un favore. »
Kyoko annuì, rassegnata e
agitata, guardandosi intorno con circospezione. « Non è una cosa che farà
arrabbiare Madame, vero? »
Reira
alzò le spalle, con un sorrisino. « Qualsiasi cosa mi renda felice la farà
arrabbiare, per cui sì. » Kyoko la guardò
severamente.
« Non dovreste
dire– »
«
Non vuoi sapere cosa dovresti fare? Il tempo scorre, sa, Kyoko-san?
»
La
bambinaia si irrigidì e rimase in silenzio, per ascoltare gli ordini della
padroncina. Reira si avvicinò al suo orecchio, sussurrò qualcosa, e poi scappò
nel giardino verso la villa, lasciando la cameriera perplessa nel capanno.
Sua
madre si arrabbiò, come previsto, ma non osò dirle nulla, per via degli ospiti
che ancora gremivano le sale.
Vedere
il viso rosso di rabbia, visibile nonostante il fondotinta pesante, della
madre, le causò una scarica di adrenalina che la fece ridacchiare, mentre
trotterellava verso il portone.
«
Ehi, benvenuto! » esclamò allegra, ignorando i borbotti alle sue spalle.
Takumi
fissò gelidamente la folla che chiacchierava e gli lanciava occhiate
incuriosite, e le offrì il braccio, che Reira accettò ridendo, radiante come
una stella.
Lei
sarebbe stata La Stella, quella sera, a dispetto di sua madre.
«
I tuoi hanno avuto qualcosa da ridire? »
Takumi
alzò leggermente le spalle, facendosi spazio tra la folla con un’austerità che
lo faceva sembrare molto più adulto della sua effettiva età.
«
Mio padre è ambizioso, ne è stato solo felice. » rispose laconicamente,
avvicinandosi verso il buffet.
«
E… tu? » chiese esitante, stringendo il braccio che
le aveva offerto.
Takumi
piegò le labbra in un accenno di sorriso, posando gli occhi cobalto scuro su di
lei. « Sono qui, no? »
Reira
rise, appoggiando la testa sulla spalla di Takumi.
*
Will you hold me now (Hold me now)
My frozen heart
I'm gazing from the distance and
I feel everything pass through me
I can’t be alone right now
« Reeeiraaa~!
»
« Takeeeruuu~!
»
Due
ragazzi si abbracciarono stretti, ridendo l’uno sulle spalle dell’altra, e
viceversa. Le lattine di birra tra le loro mani si scontrarono, e un rumore
metallico sfondò il suono della chitarra che suonava ininterrotta dalle nove di
quella sera, animando la festa in spiaggia organizzata dal Consiglio Studentesco.
«
E Yasu dove lo hai lasciato, bellissima? » ridacchiò Takeru Ayase,
masticando un po’ la frase, la bocca impastata da qualche alcolico di troppo.
Reira
accarezzò la base del collo di Takeru, imbronciata. « Quel cattivone
del mio ragazzo se n’è andato non so dove! » sbuffò, premendo la guancia contro
il petto del compagno di classe.
«
Ma non sa che un fiore così bello viene sciupato se trascurato? » il ragazzo le
prese il viso tra le mani, osservandola con un mezzo ghigno distorto dalla luce
del falò. « È un vero peccato, sai
Reira? »
Lei,
che ancora rideva per il paragone col fiore, si tranquillizzò un po’ e cominciò
a prendere coscienza della situazione in cui si trovava, racchiusa nei palmi di
un ragazzo di cui non voleva conoscere nulla se non quale cibo preferisse. Un amico, insomma. Anche se del suo
migliore amico lei desiderava anche sapere se la trovava minimamente attraente
perché lei – oddio, era così
sbagliato pensare in quel momento a Takumi!
C’era Yasu. Y-A-S-U.
…a dire la verità, sopra di
lei, in quel momento c’era solo Takeru che si faceva più vicino.
«
Oh my God! » saltò in piedi di colpo, e il cervello cominciò
a ronzare per colpa dello spostamento troppo brusco, in confronto con il
precario equilibrio del suo corpo intorpidito dall’alcol. « Takeru! Sono fidanzata, per l’amor di– ! »
Takeru
arricciò le labbra, e si sdraiò sulla sabbia, sospirando. « Beh, ci
ho provato. Sai Reira…
» si fermò, indugiando a guardare le stelle, quella sera stranamente
scintillanti. « Credo di essermi innamorato di te da molto tempo e non sono
l’unico, sai? »
Reira
si mosse a disagio, ma decise di risedersi accanto a Takeru, confidando nelle
sue buone intenzioni. « Perché mi dici questo? » sussurrò, gli occhi nascosti
dalla lunga frangia.
Takeru
sorrise. « Forse perché a me farebbe piacere sapere di essere amata, di tanto
in tanto. Scommetto che né Yasu né Takumi siano granché affettuosi. »
Reira
arrossì e voltò il capo verso destra, prendendo nella mano destra un pugno di
sabbia.
« Perché
hai parlato proprio di Takumi? »
« Non è ovvio?
»
Non
c’era scherno nella voce di Takeru, solo una tristezza strana, pungente come il
freddo della notte. Reira rabbrividì, e seguì il fuoriuscire lento della sabbia
dalle dita. Si sentì, improvvisamente, vuota.
Non è qui con me.
«
Oh! » si tirò in piedi, l’espressione stupefatta. « Takumi si è allontanato! E
io con chi vado a casa?! » cominciò a piagnucolare, entrando in un panico
semi-isterico che strappò una risatina a Takeru.
«
Dai, ti accompagno a cercarlo. »
Reira sorrise.
«
Arigato. »
Lo
trovarono in un angolo lontano dalla festa, con la mano sotto la gonna di una
ragazza che Reira non riconobbe al buio (ma nemmeno le interessava sapere chi
fosse).
Reira
sentì le gambe cederle per un attimo, e una sensazione di vuoto all’altezza
dello stomaco, come quando andava sulle montagne russe e c’era quell’attimo di
panico proprio prima della lunga e ripida discesa.
Improvvisamente
divenne apatica; era insensibile alla musica, che le risuonava nelle orecchie
come un ronzio, ai soffocati sospiri della ragazza, al tocco confortante di
Takeru, che le sbarrò la vista premendola sul petto contro di sé, con una forza
che avrebbe potuto schiacciarla.
Reira
non avvertiva nulla se non un antipatico, fastidioso torpore.
Di
sottofondo, lontano da tutte quelle immagini che si articolavano nella sua
mente, di colpe e speranze spezzate, l’oceano quietamente continuava ad
infrangersi sulla costa con la stessa indifferenza di Takumi verso mille,
migliaia di cose – anche lei stessa, forse. Non l’aveva mai capito. Però sapeva
che lei era esattamente il contrario, appassionata al mondo, ai dolci, alle
poesie (null’altro che parole, no? parole, parole, parole e basta).
Reira
tirò su col naso e abbracciò forte Takeru, pregandolo di riportarla a casa.
Il
ragazzo annuì, senza far commenti; la sorresse finché giunsero a una vecchia
auto un po’ ammaccata, e la fece accomodare nel sedile del passeggero, dove
rimasse immobile fino a casa sua, fissando con aria assorta il paesaggio al di
là del vetro e canticchiando silenziosamente (nient’altro che suoni, no? e
parole).
Quasi
si addormentò sulle piccole poltrone di pelle color panna, che sapevano di
cuoio e tabacco, e di salsedine, un odore stagnante che permeava tutta la
città.
«
È stata una serata piacevole. »
Reira
non poté evitare un’espressione sorpresa, a quell’osservazione. Sapevano
entrambi che era una bugia formale, senza spessore, che non avrebbe fatto altro
che inaridire l’atmosfera già di per sé smorta.
Ma
Takeru aveva fatto lo sforzo di rompere il silenzio.
Non
si voltò a guardarlo.
«
Lo avviso che sono sana e salva. »
Si
ritrovò a sorridere tristemente, con le lacrime agli occhi, osservando la
mascella indurita di Takeru.
«
Sì. »
Avvisò
Takumi via messaggio, ringraziò Takeru quando posteggiò l’auto e, tornata a
casa, si buttò sul letto, fissando con sguardo piatto il soffitto.
Pensò
a Yasu, a Takeru, ma non sentì nessun conforto nell’essere amata.
Oh,
era così meschina, lei!
Un
bussare prepotente al suo vetro le fece voltare la testa. Takumi la fissava da
dietro al vetro, i capelli lunghi spettinati e la camicia sbottonata.
Reira
sorrise – anche se gli occhi bruciavano – perché sapeva sin dall’inizio che Takumi
sarebbe arrivato subito a controllare come stava, ad accettarsi che Takeru non le
avesse torto un capello.
Oh,
come era viziata, lei!
L’ho usato.
Promise
di portare un bento a Takeru mentre apriva la
porta-finestra a Takumi.
*
But it gets me, but it gets me
I wish I could understand how I
Could make it disappear, make it disappear
Anyone out there hear me now?
« Cosa vuoi veramente? »
Reira
premette la fronte nel cuscino, strofinandovi il volto, per tentare di
soffocare le parole di Yasu che le riecheggiavano nella testa, provocatrici.
Ci siamo lasciati,
ragionò tentando di essere razionale, normalmente
una ragazza in questo caso dovrebbe piangere e accusare di qualcosa il suo
fidanzato – cioè, ex-fidanzato.
Si
convinse che fosse la cosa più giusta da fare, e cominciò a elencare tutti i
difetti di Yasu, in ordine alfabetico (doveva essere un momento difficile per
lei, no?).
A come…
come… apatico. B come… come…
Partiamo dalla P, che è più
facile. P come Pelato. Q come… che razza di aggettivo
trovo che inizia per Q?!
Sbuffò
scoraggiata e si voltò di lato, fissando la copertina di una rivista posata sul
comodino.
Non
riusciva a star male come vorrebbe. Non che desiderasse morire di dolore – non
era masochista! – ma non soffriva come le succedeva quando ascoltava una musica
particolarmente struggente.
…giusto!
Un
lampo di realizzazione la fece scattare in piedi, correre verso il lungo
scaffale ripieno di CD e afferrarne uno con un gesto
sicuro. In pochi minuti nella stanza risuonava vigoroso il suono della
chitarra, e la voce piena e vibrante di Eric Clapton.
Reira
sospirò ributtandosi sul letto, mentre lunghe lacrime finalmente le scendevano dalle guance.
Così
il senso di colpa si sarebbe attenuato, almeno un po’.
Però
non riusciva proprio a capire se stessa. A lei piaceva seriamente Yasu, le era
piaciuto dalla prima sera in cui avevano parlato e lui l’aveva baciata, piano,
dolcemente.
Era
stato Yasu a mostrarle una parte di mondo che Takumi – involontariamente – le
aveva sempre negato; le aveva insegnato il calore di due mani intrecciate, il brivido
di un bacio inaspettato.
Eppure… eppure non sentiva
nulla. Non era triste, leggermente un po’ mesta per il peso del senso di colpa,
ma nulla di più.
Dov’era
il pianto che smozzava il petto? E i flashback malinconici, la mancanza dei
suoi abbracci?
Nulla.
Assolutamente nulla.
Aggrottò
le sopracciglia, palesemente irritata, e si sedette sul materasso, asciugandosi
affrettatamente gli occhi.
Era
proprio stupida.
Cosa
voleva ottenere riducendosi volontariamente come uno straccio?! Nessuna ragazza
l’avrebbe voluto, anzi! Perché ostinarsi se il suo ‘Io’ non si addolorava della perdita?
…il suo Io.
« Cosa vuoi veramente? »
Già… cosa voleva,
veramente?
Si
morse le labbra, meditando silenziosamente, quando sentì un rumore alla
finestra. Alzò gli occhi arrossati e vide Takumi che finiva placidamente la sua
sigaretta, spegnendola sul cornicione di pietra poco dopo.
Si
alzò cauta e camminò scalza fino alla porta-finestra, aprendola.
«
Ciao. » la salute lui, incolore.
Reira
alzò le sopracciglia, azzardando un’occhiata sospettosa in sua direzione. « Perchè sei
qui? » domandò, piuttosto seccata.
Takumi
alzò le spalle con noncuranza. « Pensavo avessi bisogno di me. »
«
Non ho bisogno di te ogni volta che sto male! » ribatté, piccata, richiudendo
la porta con un piccolo tonfo.
«
Signorina? » la voce che veniva dal fuori la irritò maggiormente. « Sta bene?
»
« Sì.
» sbottò seccamente. «
Vai a letto Kyoko, sarai stanca. » Il tono non fu
cortese come avrebbe voluto, ma la cameriera se ne andò senza aprire. Forse
aveva troppo sonno per controllare.
Takumi
intanto si era disteso al suo posto sulle lenzuola rosa antico, e i capelli
neri, tenuti lunghi, macchiavano di nero il tessuto infantile. Stonava lì sopra,
decise Reira.
Si
accorse che lui la stava fissando intensamente. Si mosse a disagio e prese una
sedia, sedendosi di fronte a lui.
«
Dovresti darmi il mio letto per
sedermi. » gli fece notare, tentando di tergiversare.
Takumi
chiuse gli occhi, senza risponderle.
« E NON TI ADDORMENTARE QUI! »
« Dio,
come sei noiosa. » Takumi aprì lentamente i piccoli occhi color mare, e Reira
si sentì rincuorata dal suo sguardo dolce. Era
come un abbraccio che le scivolava lungo il corpo.
« Posso
rimanere qui? »
« Come si
dice? »
Takumi sbuffò.
« Per favore?
»
«
Meglio. » accettò riluttante la ragazza, accucciandosi sopra la seggiola con le
gambe rannicchiate e il mento sulle ginocchia. « Che ci
fai qui? Sei venuta davvero per me? »
«
In realtà di avevo portato gli spartiti delle ultime canzoni, le dovremo
guardare prima della partenza per Tokio. »
Reira
storse le labbra, contrariata. « Sempre lavoro, tu! »
«
Ti porto nel mondo fatto per te. » Takumi prese tra le mani la sua sveglia a
forma di gatto, osservandola divertito. « Sei proprio
una bambina Reira! »
Arrossì,
ma ebbe la prontezza di voltare il viso per nasconderlo. « Non è vero! Io e
Yasu abbiamo– » si interruppe, capendo che aveva toccata un tasto dolente – per
lei.
Takumi
e Yasu non erano migliori amici, ma si stimavano e avevano parecchie cose in
comune. Ad esempio la terribile tendenza a toccarle i suoi adorati capelli o a
farla andare di matto. Che cosa ne avrebbe pensato Takumi? Sarebbe stato
indispettito? Indifferente? …felice?
«
Tu e Yasu? » la esortò Takumi, fissandola intensamente.
Reira
abbassò il viso e sospirò. « Non ora, ok? Concentriamoci sul lavoro. »
« Reira, tu stai male.
»
Rise
amaramente, colpita dall’ironia della frase. « No, davvero, sto anche troppo bene. Pensiamo alle canzoni,
ok? Ho bisogno di scappare da mia
madre e da tutto… questo. »
« …pensavo
ti piacesse questo mondo. »
Reira abbozzò
un sorrisetto. « Il mio mondo è… » esitò un attimo di troppo. « Lontano da qui, al
momento. Ma ora, ti prego, mostrami i testi! »
Senza
domande, lui tirò fuori dalla tasca dei jeans sgualciti dei fogli spiegazzati. Reira
li guardò attentamente, e cominciò a canticchiare. Con la coda nell’occhio, lo
vide rilassarsi impercettibilmente.
« Va bene così? »
« Più bassa sulle note iniziali. »
« Ok. »
Mentre
cantava, Reira si sentiva miracolosamente bene.
Il
suo posto era lì.
« Cosa vuoi veramente? »
*
Will you hold me now (Hold me now)
My frozen heart
I’m lost in a deep winter sleep
I can’t seem to find my way out alone
Can you wake me?
La
trovò che canticchiava sulla riva del mare, accanto ad una vecchia Mustang di
cui Takumi non osava immaginare la provenienza, con addosso uno di quei vestiti
larghi e bianchi che si indossano solitamente a primavera. Era come se lei
avesse anticipato i tempi, usurpando il posto delle Ninfe di risvegliare la
natura con il canto.
Le
si avvicinò cautamente. Gli stivali di pelle affondavano leggermente nella
sabbia biancastra della spiaggia, e il vento del nord portava qualche granello
e l’odore pesante, quasi fastidioso di salsedine. Eppure, così famigliare.
«
Pensavo fossi da tua madre. »
La
video sobbalzare appena, e ruotare la testa verso di lui. « Ci sono stata. Sai
quanto ami avermi a casa per potermi mostrare agli amici! » scherzò, ridacchiando
rocamente.
Takumi
si accorse che Reira aveva gli occhi stanchi.
«
Sei scappata. »
Non
c’era accusa nel tono, ma Reira capì ugualmente la sua irritazione perché
abbassò per un attimo gli occhi, colpevole.
« Avevo
bisogno di staccare. »
«
Potevi dirmelo. »
Lei
scosse la testa, e i capelli ricci si mossero ad onde sul capo. « Naah, dopo mi avresti seguito! Sono stati due giorni
intensi, sai? Sono andata a trovare tutti quelli che conoscevamo! Dovevi vedere
le loro facce! Ho incontrato Takeru, quello in classe con me, ti ricordi? »
Reira fissava l’oceano, sorridendo malinconicamente. « È diventato proprio un
bel ragazzo. È fidanzato e ha un lavoro con cui guadagna bene…
ma abita ancora con i suoi, è stato facile riconoscerlo. Poi, sai, mi ha fatto
vedere questa! » A questo punto, indicò la Mustang vivace su cui era
appoggiata. « È la stessa che aveva da ragazzo! L’ha conservata benissimo per
ricordo. » Reira sorrise. « Non è incredibile? Me l’ha anche prestata per
venire qui, fidandosi di me. Ha detto che così varrà di più, se l’ho guidata
Reira dei Trapnest! » ridacchiò, scoprendo la fila di
denti bianchissimi al sole pallido d’inverno.
Takumi
spalancò gli occhi e cominciò a ispezionare velocemente la macchina. Reira
sbatté le palpebre, stupita.
«
Che stai facendo? »
«
Quel cretino di Takeru! » imprecò Takumi, finendo di gironzolare attorno alla
vettura e tornando davanti alla ragazza, che inclinò il volto, incuriosita. « Reira
ricordi che giri ancora col foglio rosa, vero?! » ruggì lui, arrabbiato. « Cosa
sarebbe successo se fossi andata fuoristrada?! Ci pensi a quello che fai?! »
Reira
alzò le spalle. « Al ritorno guidi tu, no problem! »
«
Ma… tu…! » Takumi si portò la mano sulla fronte, digrignando i
denti. « Lasciamo perdere. »
Si
buttò accanto a lei, appoggiando le spalle contro la portiera arrugginita,
incurante. Reira rabbrividì, ma tenne lo sguardo fisso all’orizzonte.
L’odore
della sigaretta appena accesa si sommò a quello del mare. Reira ne inalò una
buona boccata.
«
Sai, Takumi… »
«
Mmh? »
Reira
tremò, ma per nasconderlo chiuse le gambe verso di sé, appoggiando il volto
sulle ginocchia.
«
In realtà sono venuta qui perchè… mi mancava il mare.
»
Takumi
inarcò le sopracciglia, perplesso. « Credevo odiassi questo posto. »
Lei
scosse la testa. « Non questa spiaggia! Seduta qui mi sembra di ripercorrere
tutta la mia vita. È strano, ma associo al mare tutto. Ho attraversato l’oceano
per venire in Giappone, qui ho imparato a nuotare, ho costruito il mio primo
castello di sabbia… sa di salsedine tutto ciò che amo
di più al mondo. » Gli sorrise timidamente. « Anzi, odora di salsedine il mio mondo. »
«
Stupidaggini romantiche da ragazzina. » la liquidò lui masticando la cicca
della sigaretta e incrociando le braccia dietro alla testa.
Reira
allargò gli occhi, umidi, ma si morse il labbro e non rispose. Takumi
l’osservava, incerto su cosa fare.
«
Perché dici così? Per me è importante. Da quando mi sono trasferita ho sempre
cercato un posto mio, dove stessi bene. E finalmente l’ho capito grazie a te. »
Takumi
alzò le sopracciglia, sorpreso. « A me? »
Lei
annuì con la testa. « Già. Quando ti sei sposato con Hachiko, sai… » Takumi si irrigidì. « No, non ti preoccupare, non
voglio più essere la tua amante! Solo… lasciami finire… quando ti sei sposato con Hachiko non capivo cosa
lei avesse in più di me. Davvero, non lo sapevo. Ma poi…
» Reira prese un bel respiro. « Ho pensato che una relazione tra di noi
creerebbe un disquilibrio, e probabilmente la fine dei Trapnest.
Sì, siamo già in cattive acque ma… se tra di noi ci
fosse qualcosa… il mondo dei Trapnest
crollerebbe definitivamente. » gli lanciò un sorriso pallido. « Non voglio che
il tuo mondo cada a pezzi, Takumi.
Per cui ho deciso che mi occuperò delle altre cose che sanno di salsedine. »
« Reira… »
«
Ssh. Lasciami ascoltare le onde. »
Rimasero
lì, in silenzio, appoggiati ad una macchina che non apparteneva a loro, dove le
impronte si mischiano e l’acqua cancella, nascondendo lo struggimento con visi
di plastica.
« Reira… »
« Uhm?
»
«
…ti sei accorta che siamo sommersi dall’acqua?! »
« CHEEE?! È impossibile!
»
« Altamarea,
cretina! Ho tutti i vestiti bagnati!
»
« Oddio,
Takumi, scusami, io… - oddio, l’acqua sta ribaltando la Mustang! »
« COSA?! Spostati
cretina! »
«
Ma è di Takeru! Perché mi hai spostata?! »
« Umph.
» Uno sbuffo di sigaretta. « Reira… »
« Cosa
ancora!? »
« La tua
voce per me sa di salsedine. »
Will you hold me now (Hold me now)
My frozen heart
Kiss my lips and maybe you can take me to your world for now
I can’t be alone right now
Will you hold me now (Hold me now)
My frozen heart
Please make it all go away
Am I ever gonna feel myself again?
I hope I will
* *
* *
Due
noticelle: Questa fanfic partecipa al concorso multifandom indetto da Lisachan,
“Dall’immagine alla storia.” L’immagine da cui prende spunto è un album dei
Placebo.
Ma
non è altrettanto lineare la fanfic; forse è un po’ più complessa del mio
solito, molte cose le ho lasciate celate, alcune somiglianze con gli episodi
precedenti – tutti pre-Trapnest – ma spero che il
succo si sia capito. È volutamente velata, perché credo che tra Reira e Takumi
non ci sia un’esplicitazione dell’amore che li unisce; un amore che mi intriga
tantissimo, e penso sia diverso dai soliti. Vi spiego: per me Takumi non
protegge Reira dal mondo, ma da lui stesso. È un amore che non ha a che fare
con matrimonio, sesso (anche se il manga…), è più… qualcosa di empatico. Boh. non so come spiegare, non è
chiaro manco a me! Ò_ò
Un,
due possibili contraddizioni nella fanfic che, spero, non pesino. Primo: so
perfettamente che l’alfabeto giapponese non è come il nostro, ma Reira è
Americana, quindi può darsi che ragioni con il nostro alfabeto. Altra cosa, non
sono sicura che “la patente” in Giappone funzioni come da noi. questa è, uhm,
una licenza da fanwriter! XD Ecco!
E
poi volevo anche puntare sull’importanza della musica, per entrambi. Ecco. ^^
Descriverli
è stato un vero piacere. È la mia coppia preferita. (L)
Complimenti
a tutti voi che siete arrivati sani e salvi alla fine della fan fiction, so che
non è stato facile! :)
Che
ne direste di lasciami un parere? Mi fareste molto felice! *_*
Bye,
Kaho
PS= la storia è
stata ispirata da un bellissimo video di YouTube
sulla coppia. Vi lascio il link, ma siete avvisati: contiente
spoiler! ù_ù Guardatelo, è bellissimo! *_*
à http://it.youtube.com/watch?v=i1A98a98tjc