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Autore: northerntrash    15/08/2014    7 recensioni
Bilbo non riusciva a capire, perchè qualcuno dovrebbe entrare ogni giorno, ordinare della torta, e poi non mangiarla?
| Bagginshield Coffee-shop AU | Si un'altra traduzione | Storia originale su Archive Of Our Own
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bilbo, Thorin Scudodiquercia
Note: AU, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Note della Traduttrice
Sono una drogata, l'ho fatto di nuovo. E credo continuerò a farlo. *si picchia perchè ha da fare altro*, perchè adoro questi due idioti.
Come sempre, se avete appunti da fare sulla traduzione per favore scrivete al mio account principale. Potete invece leggere la storia in originale qui.
Enjoy!

 


 

Wasteful

by Northerntrash
traduzione di KuroCyou
 

Bilbo lanciò un'occhiata all'orologio dietro il bancone, e senza fallo il campanello sopra la porta suonò; non alzò lo sguardo, ma non si fermò dal sorridere alla torta che stava tagliando attentamente.

L'uomo arrivava ogni giorno alle cinque e mezza, in punto.

Era sempre lo stesso, senza cambiamenti, e Bilbo probabilmente non avrebbe dovuto notarlo; il caffè-pasticceria era sempre un luogo affollato durante il giorno, e avevano molti clienti che ritornavano regolarmente nella settimana per una fetta di torta o uno dei loro panini. Non era un cliente loquace, a differenza di alcuni (di fatti Bilbo era abbastanza sicuro di non averci mai scambiato più dello stesso pugno di parole quando lo serviva) e non faceva nulla che lo avrebbe fatto notare.

Infatti, era l'opposto: l'uomo arrivava, ordinava, sedeva in silenzio, e poi se ne andava. A volte leggeva un giornale, o tirava fuori il suo laptop, ma la maggior parte del tempo fissava attraverso il caffè, come se stesse staccando per un po' alla fine di una lunga giornata.

Almeno, così era come Bilbo lo aveva sempre interpretato - vestiva sempre in giacca e cravatta, più o meno nell'orario in cui la maggior parte dei posti di lavoro chiudevano la giornata, e c'era qualcosa di pesante nella linea delle sue spalle che suggeriva fosse stressato per qualcosa. C'erano un sacco di uffici nel circondario, e loro avevano la loro quota di dirigenti stressati e impiegati dall'aria stanca, così non era impossibile che fosse uno di loro; se si fosse addormentato sul suo caffè, non sarebbe stata la prima volta da parte di un cliente, anche se riusciva sempre a rimanere sveglio.

Ma comunque, saltava all'occhio, e non solo a Bilbo

"È tornato," notò un collega mentre lui prendeva il suo solito posto in fondo. "Il tizio della torta."

Bilbo annuì, scivolando da dietro il bancone, per prendergli l'ordine

Andava sempre lui, ogni volta che poteva, e gli altri avevano fatto il callo a quanto la stranezza delle visite dell'uomo lo infastidiva, e lo lasciavano fare.

Era il mistero di Bilbo, e non preoccupava nessun'altro come lui.

Anche se era completamente riluttante ad ammetterlo a chiunque altro, era più del solo mistero che gli faceva prestare attenzione a questo cliente in particolare, più delle sole domande senza risposta che molti di loro finivano per discutere durante le pause. Più da vicino, si poteva apprezzare meglio il deciso contorno della sua bocca, l'impressionante intensità del suo sguardo, il fatto che il taglio del suo abito faceva poco per nascondere la sua corporatura solida e risoluta; Bilbo provava davvero a non fissarlo, ovviamente, ma era necessario guardare per un certo periodo quando prendeva l'ordine dell'uomo, e il contatto visivo era una parte necessaria ed amichevole del servizio ai clienti.

Ciò non era cosa si diceva, comunque, mentre si faceva strada verso l'uomo, zigzagando tra i piccoli tavoli. I suoi capelli scuri erano striati d'argento, e non era solo Bilbo a trovare la loro vista così attraente; aveva sentito molti dei suoi colleghi commentarli sussurrando ogni volta che entrava (e non solo le donne).

Non sorrideva molto, è vero, ma era abbastanza attraente anche con lo sguardo torvo, sebbene Bilbo si era ritrovato in più di un'occasione, mentre si appoggiava al bancone durante un turno pigro, a chiedersi come apparirebbe l'uomo con un sorriso sul volto. Quel pensiero normalmente lo portava ad alienarsi in qualche modo, comunque, così provava più che poteva ad evitare di pensare a lui.

Ma in ogni caso, questa non era esattamente la ragione per cui Bilbo si ricordava di lui; avevano più di qualche cliente incredibilmente attraente dopo tutto, e nessuno di loro gli si era conficcato in testa come questo qui.

Raggiunse il tavolo, e Bilbo gli rivolse un sorrise: e se era forse un po' più riservato di quelli che i clienti ricevevano di solito, non erano fatti di altri a parte lui.

Poteva sembrare sorprendente, data la sua (effettivamente ancora tenuta segreta) attrazione per l'uomo, ma Bilbo aveva le sue ragioni per mantenere le distanze.

E per la maggior parte, avevano a che fare con il suo ordine.

L'uomo annuì di rimando, e Bilbo sfilò la matita da dietro l'orecchio, i suoi ricci ribelli rimbalzando nel loro solito modo indisciplinato, aprendo il taccuino come se stesse per prendere nota di quello che l'uomo voleva.

Erano mesi che non si dava la pena di scrivere l'ordine.

"Il solito?" chiese.

L'uomo gli rivolse una leggera smorfia della bocca, qualcosa che non costituiva propriamente un sorriso ma non poteva essere descritta in altro modo, e annuì in risposta. L'uomo si appoggiò allo schienale della sedia, allentando il nodo della cravatta, e Bilbo ritornò al bancone per evitare che i suoi occhi seguissero il lento movimento della gola dell'uomo quando deglutiva, la leggera linea scura dei peli del petto appena visibile quando slacciava il primo paio di bottoni della camicia.

Dio, certe cose non dovevano essere permesse.

L'ordine era sempre lo stesso, e di per sé andava bene; non era uno difficile o complicato, e molte persone ordinavano sempre la stessa cosa. C'era l'anziano uomo dagli occhi vivaci che ordinava sempre lo stesso sandwich e cappuccino; la donna bionda dallo sguardo torvo che prendeva solo il latte alla nocciola e un macaroon; il giovane studente dai capelli arruffati che veniva per una camomilla e un panino al tonno.

L'uomo voleva sempre un caffè, servito nero ma con un piccolo ricciolo di panna sul lato. Qualche volta ne prendeva poco, qualche volta tanto: sembrava dipendere da quanto fosse stanco, ed era come se non si fidasse di nessun'altro per dosargli la caffeina.

Il caffè andava bene.

Il caffè era normale.

Era la torta il problema.

Faceva il caffè, versava la crema, e posava la fetta di torta su uno dei piattini delicati decorati con il simbolo della pasticceria; andava tutto sul vassoio,e poi di nuovo al tavolo. L'uomo sembrava notare a stento il suo ritorno, lo sguardo perso per il caffè come se avesse totalmente staccato la spina. Bilbo alzò lo sguardo verso di lui mentre spostava l'ordine dal vassoio al tavolo, prendendo nota dei cerchi scuri sotto i suoi occhi, l'incavo degli zigomi appariva persino più evidente nella luce sopra la sua testa. Si chiese pigramente come quelle macchie e contorni scuri potessero sembrare sotto una luce più delicata - forse la morbida lampada del suo salotto, o una delicato lume di candela su un tavolo apparecchiato.

Ma poteva bastare così, pensò tra sé e sé infilando il vassoio sottobraccio, rivolgendo all'uomo un altro piccolo mezzo sorriso.

"Lunga giornata?" chiese, come faceva ogni pomeriggio, e l'uomo annuì.

"Abbastanza" rispose, una delle risposte comuni che dava, rivolgendo una breve occhiata a Bilbo.

Lui dovette resistere l'impulso di chiedere all'uomo se tutto andava davvero bene (ed era anche quella un'urgenza abbastanza regolare, sfortunatamente). Aveva l'aria sempre più stanca ultimamente, come se stesse lavorando troppo, o se aveva molto per la testa. Ma non era compito di Bilbo chiedere, e non erano fatti suoi, così non lo fece.

L'uomo rimaneva sempre per circa quaranta minuti, raramente più o meno.

Bilbo non lo guardò, nemmeno il tavolo, finché l'uomo non si alzò per andarsene.

"Lo ha fatto ancora?" chiese il suo collega, mentre Bilbo si muoveva verso il tavolo che l'uomo aveva appena lasciato vuoto.

La tazza di caffè era vuota, la crema finita a metà - la giornata non doveva essere stata troppo brutta allora.

E c'era il piatto.

E la fetta di torta alla fragola.

Quella che ordinava sempre, ogni volta che entrava, senza dubbio.

Ancora lì, intatta.

Non la mangiava mai. La ordinava sempre, e non la mangiava mai.

Ogni singolo fottuto giorno.

E vedete, non si sarebbe dovuto infastidire così tanto, lo sapeva: non avrebbe dovuto prenderla così sul personale, ma lo infastidiva veder il cibo sprecato, ancora di più quando era stato lui a prepararlo. La pasticceria era famosa per le torte, e quella alla fragola era una sua ricetta personale - arrivava al lavoro la mattina presto per farle, ed era ricompensato: tutti le amavano, gli facevano i complimenti, guardava il modo in cui le persone sorridevano prendendo il primo morso, e gli dava una grande soddisfazione sapere che c'era questa piccola cosa che poteva fare per rendere la giornata di qualcuno anche solo un po' migliore con una passata di glassa, un pizzico di cannella e un pezzo di frutta.

E poi quest'uomo, questo incomprensibile uomo, aveva l'ardire di ordinare la sua torta e non mangiarla mai.

Gli bruciava.

Non aveva senso in alcun modo - perché fare lo sforzo di ordinare e pagare una torta ogni giorno se non ti preoccupavi mai di mangiarla? Una volta o due era comprensibile, ma di continuo?

Si tirò via, e il suo collega roteò gli occhi alla vista del piatto.

"Non capisco" Bilbo disse mentre rovesciava la torta nel cestino dell'immondizia - che spreco, che fastidio - "Perché farlo, ogni giorno?"

Il suo amico alzò le spalle. "Non ogni giorno, ma è strano."

"Ok, non viene spesso nel weekend" Bilbo acconsentì "ma comunque."

"Nemmeno il giovedì viene mai."

Bilbo fece spallucce. Non avrebbe potuto saperlo.

Non lavorava di giovedì.

Sarebbe potuto essere un po' meno irritante se chiunque altro che lavorava lì non avesse colt ola stranezza. Alcuni lo avevano soprannominato il "tizio della torta" e il nome era rimasto - se lo menzionavi con quel particolare epiteto tutti immediatamente sapevano di chi stavi discutendo, senza ulteriori spiegazioni. La sua fama era cresciuta al punto che anche certi regolari sapevano di lui e della sua stranezza, avendo sentito i camerieri spettegolare: un gruppetto di persone lo guardavano con la coda dell'occhio quando entrava, tutti riflettendo. Bilbo era solo un curioso in più tra tutti loro.

Ovviamente, parecchi clienti avevano commentato quando veniva sentito chiedersi il perché, poteva semplicemente chiedere.

Almeno avrebbe risolto il mistero suppose, ma l'idea di farlo era mortificante.

"Mi scusi, mi chiedevo, perché ordina la torta se non la mangia?"

"È una specie di dieta, tentarsi solo per testare il suo autocontrollo?"

"Sta sul serio cercando di offendermi o non si rende conto di quanto strano si comporta?"

Le cose erano rese decisamente peggiori dall'innegabile attrazione che Bilbo provava per l'uomo, perché non c'è nulla che aumenti il tuo imbarazzo come una cotta, a prescindere di quanti anni tu abbia e quanto inappropriato il termine "cotta" cominci ad essere. Ed era diventato un certo problema; riusciva a non incespicare nelle parole o arrossire quando parlava con l'uomo, ma si era ritrovato a sognare ad occhi aperti più volte di quanto sia probabilmente appropriato o normale per un uomo della sua età.

Ci si avvicinò, un giorno, quando stava pulendo un altro tavolo e capitò che alzasse lo sguardo per vedere l'uomo prendere la fragola sopra la torta - nient'altro, ma più di quanto abbia mai fatto, e prima di potersi fermare stava guardando l'uomo in faccia, cercando una reazione.

L'uomo stava guardando nella sua direzione, e si accorse dello sguardo, e i suoi occhi avevano guizzato con qualcosa di breve ma intimo; Bilbo aveva persino aperto la bocca per chiedere.

Ma poi aveva esitato, perché non poteva essere sicuro di quale domanda sarebbe finito per far uscire dalla bocca, e non era completamente sicuro che non avrebbe finito per essere incredibilmente maleducato per sbaglio, e non era che Bilbo e l'uomo si conoscessero - non erano amici, erano a malapena conoscenze. Diamine, l'uomo probabilmente non si era neanche reso conto che era Bilbo a servirlo sempre quando entrava. Era consapevole che la maggior parte delle persone a malapena guardavano i camerieri, e non li avrebbero nemmeno riconosciuti sulla strada al di fuori del ristorante e del grembiule, fuori dal contesto in cui li vedevano giornalmente.

A volte si stendeva sul letto e rimuginava su come avrebbe potuto porre la domanda, se c'era una maniera giusta di farlo, nel caso quel momento intimo si fosse mai ripetuto, anche se era un'abitudine mai ammessa a nessuno; sembrava un po' strano, e ossessivo, pensare al cliente molto dopo che il lavoro era finito ed era tornato al comfort della sua casa.

E le persone con cui lavorava già pensavano che fosse un po' strano preoccuparsene così tanto.

"Chiedi semplicemente" aveva proposto Prim "cosa ha intenzione di fare?"

"Tu chiedi" aveva ribattuto, e lei gli aveva roteato gli occhi affettuosamente.

"Non sono io che vuole saperlo così tanto" aveva risposto con esasperante onestà.

"Bugiarda" aveva rimbrottato lui, ma era una risposta debole ed entrambi lo sapevano. Lei era ritornata semplicemente a preparare i panini, e lo aveva lasciato rimuginare.

C'erano giorni in cui si sente in grado di domandare; giorni in cui è stanco o infastidito o non aveva dormito bene, e consegnare quel piatto di torta fa brillare in lui il un certo coraggio, che gli fa pensare che forse potrebbe pretendere una risposta. Ovviamente, pretendere non è forse la parola giusta - sarebbe stato educato, non accusatorio: voleva semplicemente sapere.

Ma all'ultimo momento succedeva sempre qualcosa che lo fermava.

A volte c'era una fretta inaspettata, tavoli che si riempivano senza avvertimento, e non aveva il tempo tra gli ordini e le pulizie; altre volte gli capitava di essere nel retro quando arrivava e un altro collega gli prendeva l'ordine. Spesso, però, era semplicemente lo sguardo torvo dell'uomo a dargli i nervi, l'inconfondibile aspetto furioso di un uomo che ne aveva avuto abbastanza del mondo per una sola giornata, un'espressione esausta e arrabbiata, come se portasse più peso di quanto qualunque uomo dovrebbe fare. Era il tipo di espressione di un uomo che passava la maggior parte delle sue giornate con persone che facevano esattamente quello che lui ordinava, uno sguardo dominante.

Ma ancor di più, era dannatamente intimidante, come sguardo, uno che non lasciava Bilbo alcun dubbio sul fatto che l'uomo non avrebbe apprezzato che qualche cameriere scortese gli chiedesse perché sceglieva di non mangiare la sua torta.
Dopo tutto, non sarebbero dovuti essere fatti suoi.

E poi arrivò il giorno in cui effettivamente pianificò di farlo.

Cambiò solo leggermente la ricetta della torta alla fragola: non di molto, ma abbastanza da provocare commenti da vari clienti. Aveva sostituito la crema normale con una alla vaniglia, rendendo l'intero piatto più ricco e dolce; aveva mischiato fragole essiccate in polvere con la farina per un ulteriore sapore e colore. Aveva un aspetto più carino, e aveva cambiato anche la decorazione di glassa, per renderla un po' più delicata, più europea. Ne era fiero. E voleva davvero, davvero, che lo strano uomo se ne accorgesse (aveva da tempo smesso di provare a spiegare ai suoi amici perchè voleva le attenzioni dell'uomo così tanto, come se potesse a stento capire lui stesso il bisogno di accettazione e lodi da parte di uno sconosciuto).

L'uomo era entrato il giorno prima, e Bilbo lo aveva perfino visto punzecchiare la fetta quando aveva notato la tinta rosata al pan di spagna, scrutando i cambiamenti un po' sospettosamente, come se forse Bilbo stesse cercando di rifilargli un'altra torta.

Non che fosse importante quale torta gli veniva data, perché comunque non aveva mangiato la dannata cosa.

Era indicibilmente frustrante.

Perché cavolo non la assaggiava?

E così Bilbo si era preparato a chiedere, finalmente: solo che l'uomo non era ritornato il giorno successivo.

Ad essere onesti probabilmente sarebbe stato ancora abbastanza su di giri da chiederglielo il pomeriggio successivo, solo che per la prima volta da quando era apparso qualche mese prima, l'uomo non era venuto da solo.

Era un cambiamento senza precedenti, e diede via ai pettegolezzi tra quelli che lavoravano al caffè-pasticceria, un'ondata di interesse si era sparsa tra loro e quei clienti che si erano accorti della peculiarità del "tizio della torta", occhi puntati al solito tavolo (la maggioranza con discrezione, qualcuno con nessuna).

E Bilbo si sentì cuore sprofondare.

Perché appeso ad un braccio c'era un sorridente bambino biondo, e seduto sull'incavo dell'altro braccio c'era un secondo bambino più giovane, i capelli dell'aspetto di quelli che erano potuti essere quelli dell'uomo prima che si fossero striati d'argento. A prima vista l'uomo non sembrava meno irritato del solito, ma ad un'ispezione più attenta c'era qualcosa di tenero nel modo in cui gli angoli degli occhi si increspavano quando li guardava, qualcosa di delicato nel modo in cui depositò il primo bambino e poi l'altro sulle sedie del suo solito tavolo solitario, ai suoi fianchi.

Il bambino più giovane, che poteva avere solo quattro o cinque anni, immediatamente scivolò via dalla sua sedia, schizzando attraverso i tavoli fino al bancone delle torte, fissando attraverso il vetro la varietà di torte con occhi spalancati.

Prim rivolse un sorriso al bambino quando l'uomo lo chiamò.

"Kili, vieni a sederti."

Bilbo non era sicuro se era stato suo padre o Prim a far arrossire leggermente il bambino e correre indietro alla sua sedia, con la velocità inumana che solo i bambini piccoli sotto la tua responsabilità riescono a raggiungere. Ma in ogni caso si ritrovò a seguire con lo sguardo fino al tavolo il bambino dagli occhi vivaci, involontariamente aggrottando un leggermente la fronte.

Prim lo guardò andare, facendo una smorfia.

Divertente, Bilbo pensò distrattamente mentre sfilava la matita da dietro l'orecchio. Non aveva davvero diritto di essere deluso che l'uomo era ovviamente impegnato - dopo tutto, non si erano scambiati più della stessa manciata di parole fin'ora, e non aveva fatto nulla per lasciare intendere a Bilbo che potesse avere qualche interesse in lui. Non erano nulla di più di un cameriere irritato e un cliente con una strana peculiarità riguardo le torte.   

Non aveva nessun diritto di dare peso alla cosa in un modo o nell'altro.

Ma lo faccio, si corrucciò. Lo faccio.

Andò al tavolo, sorridendo distrattamente ai bambini quando loro gli rivolsero un gran sorriso, l'entusiasmo evidente sui loro volti. Riusciva a cogliere la somiglianza, ora che era più vicino: la linea del naso del biondo, la curva della bocca del bambino più piccolo; echi dell'uomo in entrambi, le increspature genetiche sparse su una generazione. I suoi figli erano bellissimi, proprio come lui.

Smettila, si disse. Comportati da persona matura, per grazia di Gesù.

Alzò lo sguardo, e c'era quel leggero aggrottamento intorno agli occhi dell'uomo quando gli rivolse il solito mezzo sorriso, come se avesse notato qualcosa che non andava nell'approcciarsi di Bilbo. Forse gli ci era voluto un po' troppo per arrivare, ed era un po' impaziente nella compagnia dei ragazzi. Forse se lo stava solo immaginando.

"Il solito?" Bilbo chiese, e l'uomo annuì.

"E cosa vorreste voi due ragazzi?" chiese, il suo sorriso forse un po' più autentico. Era difficile non provare un qualche affetto immediato per bambini vivaci e allegri come questi due; già il biondo aveva piegato il tovagliolino di carta a forma di cigno, un talento che Bilbo stesso avrebbe voluto avere da bambino.

I due si guardarono, e poi si rivolsero a Bilbo.

"Umm…" disse il più giovane - Kili, fornì la sua mente, così l'aveva chiamato il padre - i suoi occhi castani spalancati (dovevano essere della madre, Bilbo pensò distrattamente; gli occhi dell'uomo erano di quella strana e attraente gradazione di blu che condivideva con il bambino biondo) e poi si nascose il viso tra le mani.

L'uomo sospirò con affetto, e gli arruffò i capelli, ma fu il biondo che rispose, anche se non poteva avere più di due o tre anni più di Kili; certamente non poteva avere più di otto anni.

"Cioccolata calda?" chiese.

"Ma certo" Bilbo rispose. "Anche tuo fratello la vuole?"

Il bambino biondo annuì "Si" disse, e un colpo di tosse di suo padre lo fece arrossire un po'. "Per favore" aggiunse velocemente.

Il bambino più piccolo sbirciò da dietro la barriera delle sue braccia, e Bilbo gli fece una veloce linguaccia, ridacchiando quando il bambino si nascose di nuovo.

"Nient'altro?" Torta, panini, una focaccina?

Il bambino si girò all'uomo, occhi spalancati e interrogativi.

"Possiamo, Zio?"

Bilbo sbatté le palpebre, aprendo leggermente la bocca, prima di cercare immediatamente di riportare la sua espressione a qualcosa rassomigliante l'indifferenza. Non i suoi figli, i suoi nipoti. Bene. Pestò sotto i piedi l'immediata ondata di sollievo che gli passò attraverso - dopo tuto, non erano davvero fatti suoi, e non aveva il diritto di provare nulla nei confronti di questa rivelazione. Il loro zio annuì, una mano ancora nei capelli del nipote più giovane.

"Non ditelo alla mamma"

Il biondo sorrise, il sorriso raggiante di un bambino a cui veniva offerto qualcosa che i genitori non avrebbero approvato: la gioia più grande nella vita di un bimbo.

"Che tipi di torte avete?"

La sua voce era temprata da educazione ben impartita, ma era impossibile ignorare l'eccitazione nel suo tono. Bilbo rise allora, affascinato.

"Al cioccolato, caffè, carote e fragola oggi" rispose "quale vorreste voi due?"

"Kee prende quella al cioccolato" il bambino gli disse seriamente, come cercando di sottolineare a Bilbo l'importanza della torta. "e posso avere quella alla fragola, per favore?"

Sorrise.

"Certamente" rispose "Quella alla fragola è la preferita di tuo zio."

Il bambino biondo aggrottò la fronte mentre Bilbo si rinfilava la penna dietro l'orecchio.

"A zio non piacciono le torte." Disse a Bilbo. "Non gli piace nessuna cosa dolce."

Bilbo spalancò decisamente la bocca allora, e l'uomo lo fissò di rimando, con l'aria ugualmente presa dai riflettori dal commento del nipote. Ci fu un lungo momento di silenzio mentre il duo si guardava semplicemente, i ragazzi spostavano lo sguardo tra i due in confusione, finché Bilbo si riscosse con un cenno e un piccolo, falso sorriso, ruotando su sé stesso per ritornare al bancone. Ci fu un breve grattare di gambe di una sedia sul pavimento, come se qualcuno avesse pensato di alzarsi e poi avesse cambiato idea all'ultimo, ma cercò di non soffermarcisi.

Prim lo scrutò con curiosità, ma lui assunse un'espressione indifferente mentre serviva velocemente la torta, esitando solo un momento alla seconda fetta di quella alla fragola.

Valeva davvero la pena dargliela?

"Non gli piacciono le torte" sibilò alla sua amica, che lo fissò a bocca aperta.

"Cosa?"

"Ecco perché non la mangia mai: non gli piace neanche un fottuto po'."

Tagliò corto marciando di nuovo al tavolo, il vassoio in mano, depositando le tazze e i piatti con un sorriso per i bambini prima di ritirarsi in silenzio, togliendosi il grembiule mentre riprendeva posto dietro il bancone.

"Ho bisogno d'aria" le disse, "è tranquillo, ti va bene se esco un attimo fuori?"

Lei lo scrutò attentamente, il viso aggrottato come se stesse cercando di capire qualcosa, prima che si distese e alzò le spalle.

"Certo che no," rispose. "Prenditi tutto il tempo che vuoi."

Lo fece, perché Prim non lo avrebbe detto se non parlava sul serio; per quando rientrò, l'uomo e i suoi nipoti se ne erano andati.

Il giorno dopo era giovedì, quando non lavorava, e passò la giornata cercando di capire esattamente perché l'intera situazione lo infastidiva così tanto. Quando la risposta non gli arrivò, cucinò una torta di semi e la mangiò tutta, guardando male la finestra nel frattempo.

L'uomo non venne di venerdì, e non nel weekend, anche se quello non era raro; le cinque e mezza arrivarono senza di lui di lunedì, e la sua solita puntualità fecero assumere a Bilbo che non sarebbe venuto per niente. Forse che il suo gioco - qualunque fosse - fosse stato scoperto lo aveva imbarazzato tanto da mandarlo via per sempre. Bilbo si sentì quasi apatico mentre serviva un cliente, stranamente malinconico per qualcosa che non era mai stato perso.

Il campanello sulla porta suonò alle sei meno cinque.

Prim gli diede una gomitata, e lui alzò lo sguardo dal caffè che stava versando.

Una sedia raschiò, e una figura familiare si sedette al suo solito tavolo.

"Perché?"

Bilbo non ricordava completamente di essere andato al tavolo, e certamente non aveva avuto intenzione di appoggiare le mani a palmi in giù sulla sua superficie, in modo accusatorio. L'uomo lo fissò di rimando, sbattendo le palpebre lentamente, chiaramente (e comprensibilmente) preso alla sprovvista dalla piuttosto improvvisa e aggressiva domanda. Si appoggiò allo schienale della sedia per un momento, come per provare a ritrarsi dal cameriere irato davanti a lui.

Bilbo accigliò quando nessuna risposta immediata venne fornita.

"Non c'è bisogno che chieda cosa ordinerai perché lo so già; vuoi un caffè e una fetta di torta alla fragola, ma lo sai che sono io a fare quella torta? Arrivo qui ogni giorno alle sette del mattino e preparo quelle torte e sbatto la crema e taglio la frutta e la gente le ama, finiscono ogni giorno perché sono bravo nel mio lavoro e sono fiero del mio lavoro, e voglio sapere perché non è abbastanza buona per te; perché la ordini ogni giorno così che io la debba buttare via? Perché?"

L'uomo lo fissava.

Bilbo lo fissava a sua volta.

Un bollente rossore crebbe sui suoi zigomi mentre se ne stava lì, sempre più consapevole del silenzio che era calato sulla stanza, la presenza degli occhi di ciascuno lì dentro sulla sua schiena quando si girarono verso di lui: non stavano origliando, piuttosto, Bilbo aveva parlato così forte - quasi urlando - che tutti avevano sentito che lo volessero o no.

"Oh, dio," l'uomo riuscì a rispondere, la sua voce profonda e bella e Bilbo stava decisamente arrossendo ora, furiosamente, e la mortificazione stava filtrando nell'irritazione mentre improvvisamente si rendeva conto di quello che aveva fatto e oh mio dio cosa stava facendo.

"Dio" l'uomo ripeté, e per orrore di Bilbo c'era l'ombra di un rossore alla base della gola dell'uomo, essendo stato preso anche lui dall'imbarazzo, "Solo… davvero non mi piacciono le torte."

Nessuno stava nemmeno facendo finta di non ascoltare ora: tutti si erano girati sulle loro sedie verso loro due, gli occhi spalancati. Anche se Bilbo non poteva vederla, Prim li fissava a bocca aperta, la tazza che stava per mettere su un vassoio ancora in mano.

"Perché la ordini allora?" chiese Bilbo, con la voce un po' più strozzata di quanto intendesse.

"Io..." l'uomo esitò, le sue mani si chiudevano a pugno e si rilassavano ritmicamente, "volevo solo una scusa per vederti ogni giorno, ad essere onesto."

Bilbo lo fissò.

Qualcuno lasciò cadere una forchetta, che tintinnò sonoramente nel silenzio.

Aprì la bocca, ma nulla ne uscì fuori.

Qualcuno tossì.

L'uomo lo fissava di rimando.

Poi i suoi occhi scesero sul tavolo, e le conversazioni ripartirono, troppo rumorose perché la gente cercava di compensare il silenzio, facendo finta di non aver sentito l'intera cosa. Bilbo si raddrizzò, rimuovendo le mani dal tavolo con cura, incapace di guardare l'uomo negli occhi.

L'uomo si schiarì la gola, alzando velocemente lo sguardo per guardarlo prima di spostarlo sui suoi pugni.

"Mi chiamo Thorin, comunque."

Bilbo era abbastanza sicuro che a quel punto avrebbe dovuto presentarsi, ma sfortunatamente il suo cervello era ancora in corto circuito, e non era completamente sicuro di ricordarselo attraverso il suo disagio.

"Quindi tu fai la torta?"

Bilbo fece un passo indietro, aprendo e chiudendo la bocca.

"Ah… si."

Parole, si, pensò. Ben fatto Bilbo, usa le parole.

L'uomo - Thorin - annuì.

Bilbo provò a dire qualcosa, ma le parole non gli funzionavano bene, bloccandosi in gola. Era un po' spaventato che ci si potesse effettivamente strozzare, oppure che si potesse  dimenticare di respirare.

"Potrei avere il solito?"

Annuì, e in qualche modo riuscì a rispodere.

"Si... e, si, scusa per quello."

Thorin annuì, la bocca tirata in quello che poteva essere un sorriso, ma probabilmente non lo era.
"Va bene."

Non andava bene. Bilbo si ritirò dietro al bancone, poco convinto che il suo viso non stesse per andare a fuoco. Riuscì ad evitare di guardare i clienti, ma Prim riuscì a farsi notare, gonfiando le guance e sgranando gli occhi in un'esagerata espressione di sconcerto. Versò il caffè in una specie di stordimento, e posò la fetta di torta sul piatto.

"Glie la porti tu?" sibilò a Prim, e dopo averlo guardato per un momento lei annuì, prendendo il vassoio da lui mentre finiva.

Più di tutto, Bilbo voleva scappare e nascondersi, ma sfortunatamente non pensava di potersela cavare se saltava due turni in una settimana, così invece riportò l'attenzione alla macchinetta del caffè, il che significava convenientemente che aveva la schiena rivolta al resto della stanza e nessuno poteva vedere l'acceso rossore sulle sue guance. Spense completamente il cervello mentre armeggiava ritmicamente con ogni filtro e sezione, risciacquando e pulendo, sostituendo i filtri e lucidando l'involucro cromato fino a farlo brillare nel tentativo di ritardare l'inevitabile.  

Per quando si girò il tavolo era vuoto, e l'uomo se ne era andato.

C'era qualcosa di diverso stavolta però

Bilbo fissò il tavolo, e la tazza di caffè, e la caraffa di crema, ma non stava realmente guardando nessuna di queste cose.

Era il piatto.

Era vuoto.

Fu solo quando Prim parlò che realizzò che era arrivata dietro di lui.

"Almeno ora sappiamo perché non viene mai di giovedì" commentò, osservando attentamente la sua reazione.

Bilbo non disse nulla.

Non era completamente sicuro di quello che avrebbe potuto dire.

Il turno finì, fortunatamente senza altri interludi drammatici, e la settimana successiva arrivò e passò senza nulla che interrompesse i normali affari giornalieri del posto. Bilbo faceva le torte, serviva il caffè e i panini, e lentamente cominciò a rimpiangere di non aver detto niente l'ultima volta che Thorin era stato lì, perché da quel pomeriggio non era riapparso.

Bilbo non poteva davvero dargli torto; se ci doveva essere una cosa che ti allontanava da un caffè, doveva davvero l'essere umiliati davanti ad una stanza piena di membri dello staff e clienti.

Il suo umore peggiorò regolarmente dopo che altri giorni passarono senza una visita di Thorin, e fu almeno due settimane dopo che lo vide ancora. Era strano come aveva finito per sentire la mancanza di qualcuno con il quale aveva a stento scambiato più di una manciata di parole, ma si era così abituato alla sua presenza giornaliera che percepiva con acutezza ogni volta che il campanello non suonava alle cinque e mezza.

"Ti piace," commentò Prim, non una domanda perché aveva già dedotto la verità.

Bilbo continuò a pulire il bancone, e non alzò lo sguardo.

"Piace chi?" chiese, il tono neutrale.

"Il tizio della torta" disse lei, e anche se Bilbo non poteva vederla sapeva che aveva appena roteato gli occhi.

"Non capisco cosa intendi."

Prim rise. "Certo."

"Seriamente," disse Bilbo, girandosi a guardarla accigliato. "Lascia stare."

Prim fece spallucce. "Va bene, va bene, se davvero vuoi."

Bilbo tornò al bancone, spazzando via alcune briciole. Prim strascicò i piedi.

"Anche se suppongo che se davvero non t'importasse allora non ti interesserebbe il fatto che è appena passato."

Bilbo ruotò su sé stesso così velocemente che si preoccupò un po' di essersi fatto venire il torcicollo.

"Cosa?"

Prim ghignò, e alzò un pollice alla porta.

"Vai, scemo. È andato a sinistra."

Bilbo si tirò via il grembiule mentre correva alla porta, abbandonandolo con noncuranza su una sedia. La porta tintinnò sopra la sua testa e guardò la strada, a sinistra, una figura altra era solo leggermente lontano.

"Hei!" chiamò, e l'uomo si girò.

Cercò veramente di non correre mentre Thorin si bloccava, fissandolo con qualcosa che era un po' confusione, e un po' paura, ma comunque non proprio entrambe.

"Hei" ripeté mentre si avvicinavano. "Umm… è un po' che non vieni."

Thorin si schiarì la gola, lanciando sguardi imbarazzati intorno a loro.

"Ah, no."

Bilbo annuì.

"È... beh, intendo, sono certo tu sia occupato."

Thorin fece un suono vago, e Bilbo cominciò improvvisamente a sentirsi un po' in imbarazzo.

"Sono Bilbo." Disse, ricordandosi di non essersi mai presentato davvero.

"Lo so" rispose l'uomo, immediatamente sospirando alla sua risposta. Si passò una mano tra i capelli e mormorò un'imprecazione. "Intendo, ho visto il tuo nome sul badge. Non è che sono un-" tagliò corto, alzando lo sguardo al cielo in frustrazione. "Intendo, ciao."

Beh. Quello era stato sorprendentemente dolce.

"Mi chiedevo," Bilbo chiese dopo una pausa, "perché non hai semplicemente ordinato il caffè, e non la torta."

Thorin lo fissò ammutolito per un momento, quasi valutandolo con lo sguardo dopo che lo shock iniziale fu scemato, come se stesse cercando di capire se stava venendo preso in giro o no. Quando rispose aveva l'aria quasi addolorata.  

"La prima volta che sono entrato ho detto di si alla torta, e la volta successiva tu hai chiesto se volevo lo stesso, e ho detto di si ancora senza pensare. È diciamo… partita da lì."

Bilbo lo fissò.

"Intendi che hai sprecato una fetta di torta ogni giorno perchè non potevi dire 'no, solo il caffè oggi, grazie'?"

Thorin non disse nulla, e Bilbo si agitò un po'.

Il suo imbarazzo stava scemando ora alla luce di Thorin stesso; c'era qualcosa di stranamente confortante nel sapere di non essere l'unico ad essersi sentito a disagio. Realizzò ora che aveva un momento per assimilare bene i lineamenti di Thorin che era un sollievo vederlo ancora.

"Quindi… perché hai detto di si la prima volta?"

Il rossore che comparve di nuovo sul collo di Thorin fu una cosa sorprendentemente gloriosa da osservare, e Bilbo dovette calmare velocemente la carrellata di pensieri che portavano a chiedersi quanto quel rossore si estendeva sulla base della sua gola e il petto. Thorin sembrò improvvisamente a disagio.

"Io…" biascicò, e Bilbo alzò  le sopracciglia in una domanda, senza l'intenzione di lasciar correre.

Ci fu un lungo, intenso momento, e poi Thorin fece un basso, esasperato suono.

"Non so che dire."

"Comprensibile" disse Bilbo, il tono completamente serio anche se un sorriso minacciava di comparirgli sulla bocca. "È un po' ridicolo."

Thorin sembrò momentaneamente affrontato, prima che le sue spalle si afflosciassero un po', e la sua bocca si storse in una smorfia di accettazione.

"…forse" disse infine.

"Davvero era quello il perché tu continuavi a venire, comunque?" chiese, e Thorin guardò di nuovo su al cielo grigio, stringendo i denti.

"Si" borbottò.

E Bilbo sorrise, decentemente stavolta.

"Beh…" rispose, "è un bene."

Thorin lo guardò, sorpreso.

"Bene?"

Bilbo annuì. "Bene. Ti andrebbe bene se ti baciassi ora? Ho pensato di farlo per mesi, e preferirei non aspettare ancora ora che so che non era una vendetta personale contro le mie torte."

Desiderò quasi di avere una macchina fotografica per rubare uno scatto dell'espressione di Thorin, anche se dubitava che sarebbe stato abbastanza veloce da catturare lo shock che velocemente si trasformò di nuovo in sospetto, chiaramente si stava chiedendo ancora se stava venendo preso in giro in qualche modo.

Bilbo roteò gli occhi, afferrò la giacca di Thorin, e lo tirò giù.
 

   
 
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