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Autore: Larryx    21/08/2014    1 recensioni
“Signor Miura, abbiamo un nuovo incarico per lei. Ci serve un'idea fresca e originale. Ha tempo tre mesi per portare a termine il primo numero di un nuovo fumetto. Non avrà aiuti esterni questa volta, nessun'idea, dovrà fare tutto da solo.”
La mia mente si focalizzò solo su una cosa: disegnare.
Nel bel mezzo della notte, quando la mia mente era nel pieno della sua creatività, mi capitava di saltare giù dal letto, afferrare la matita e posizionarmi davanti alla scrivania, tra scartoffie varie e schizzi di ogni genere. Lei scorreva veloce sul foglio, indomabile, precisa e puntuale; tracciava le linee guida dei miei protagonisti, per poi arricchire i vari disegni con tanti particolari che andavano a migliorare di molto la qualità del mio operato.
Genere: Angst, Drammatico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Wiped out

 

Tutto sommato, sono sempre stato un ragazzo come tanti; la ragazza, gli amici, la discoteca, le feste, la mamma...

Eh, sì; anche la mamma.

Ognuno di noi ne ha una, io sono sempre stato fin troppo legato a lei, le ho sempre voluto un bene dell'anima; da piccolo le promisi perfino che un giorno l'avrei sposata.

Con il passare del tempo e degli anni, mi sono accorto che la mia vera passione non era quella di passare ore intere davanti a un televisore per giocare ai videogames, come invece credevano i miei amici più stretti, ma disegnare; me la cavavo anche abbastanza bene!
Già dall'età di sedici anni, ogni pretesto era buono per scarabocchiare qualcosa e lo facevo davvero ovunque! Sui fogli, sui quaderni, i libri, i muri, le finestre... Beh, sì, alla fine la mia camera era diventata il mio covo personale: un insieme di scarabocchi fatti a matita, colorati con le tinte più vivaci che potessi trovare; rappresentavano tutti il mio mondo. Con il passare degli anni, i miei gusti cambiavano, altri disegni andavano ad aggiungersi a quelli vecchi, ma mai nessuno veniva mai cancellato; erano parte di me.

Mia madre apprezzava? Certo che no, ma a lei non piaceva frenare la mia creatività, perciò, a patto che io rimanessi dentro i lugubri confini della mia povera camera, mi lasciava il permesso di sfogare il mio genio creativo.

I miei amici, scoperto il mio talento, avevano iniziato a farmi le più sfrenate richieste, costringendomi a stare rinchiuso in casa per pomeriggi interi solo per soddisfarle; a volte mi capitava addirittura di trascurare lo studio per dedicare più tempo a quella mia passione.

Ritratti da una parte, caricature dall'altra, quadri da appendere alla parete del salotto... Di tutto!

Non riuscivo a dirgli di no, erano i miei amici! Non stavano facendo nulla di male, per di più mi aiutavano a migliorare e io mi divertivo davvero tanto.

Perciò, mentre loro si laureavano in psicologia, lettere o ingegneria, io frequentavo un'accademia di disegno.

« Sono solo soldi sprecati! » Dicevano i miei parenti, ma mia madre mi appoggiava in tutto e per tutto, come la mia ragazza, Kin.

Ogni volta che le chiedevo di farmi da modella, accettava senza alcuna esitazione; rimaneva lì, stesa sul letto o in piedi davanti alla tela, per ore intere, mentre io ero intento a sfiorare i suoi dolci lineamenti con il pennello, cercando di mettere in ogni tratto sempre più amore.

Quelli erano i miei capolavori; non mi stancavo mai di ritrarla, lei non si stancava mai di assecondare i miei capricci.

Eravamo felici, la nostra relazione andava a gonfie vele.

Finita l'accademia, inviai il mio curriculum a tante agenzie e da quel momento la mia vita cambiò, in bene e in male.

Il disegno stava lentamente diventando il mio mondo, il mio modo di vedere le cose stava cambiando.

 

Signor Miura, abbiamo letto il suo curriculum e preso visione dei lavori che ci ha inviato, la contatteremo al più presto per darle direttive sul suo prossimo lavoro, lei è stato assunto.”
 

Non riuscivo a credere a ciò che mi era stato riferito. Iniziai a saltare per tutta la casa, abbracciando mia madre, mio padre, il cane, la vicina; insomma, ero al settimo cielo!

Kin mi spinse ad uscire molto più spesso per festeggiare la dolce notizia, ma dopo qualche settimana mi resi conto che non potevo sprecare il tempo a mia disposizione in festini e uscite varie, dovevo lavorare.

Lentamente mi allontanai dai miei amici; rifiutai molte uscite, mi aggregavo a loro solo nei momenti in cui sentivo di dover staccare dal lavoro e quando Kin non era disponibile per passare la serata con me, fino ad arrivare al punto di rottura. I miei “amici” iniziarono a chiamarmi solo per convenienza.

« Amico, mi serve un quadro, puoi? »
« Devo fare un regalo alla mia ragazza, potresti farle un bel ritratto? »
Fu così che mi buttai alle spalle gli amici e mi concentrai sul lavoro, sull'amore e sulla famiglia; non avevo bisogno d'altro.

Avevo un incarico da compiere, uno stipendio da portare a casa, non potevo deludere i miei datori di lavoro, dovevo portare qualcosa di fresco all'ordine del giorno, dovevo trovare il modo per coinvolgere i lettori.

Era stressante, ma amavo il mio lavoro.

Ci stavo mettendo anima e cuore, cercando di non trascurare niente e nessuno; i miei rapporti con il resto del mondo erano sani e salvi, mentre il mio lavoro continuava a procedere a gonfie vele.

E vedevi lì, la mia matita, su quella scrivania, prendere possesso del mio corpo per essere guidata su quel foglio immacolato e creare qualcosa di diverso e originale.

Una volta portato a termine l'incarico, iniziò il mio periodo libero, uscivo quasi ogni sera con Kin e mi divertivo tanto, passavo anche molto tempo in famiglia per compleanni, festività varie o, più semplicemente, per fare una visitina, di tanto in tanto.

Il tempo passava, la mia relazione con Kin sembrava quasi indistruttibile, con o senza lavoro; mia madre era fiera di me, la mia vita sembrava perfetta; fino a quel giorno.

Ormai erano passati due anni dal mio primo incarico.

 

Signor Miura, abbiamo un nuovo incarico per lei. Ci serve un'idea fresca e originale. Ha tempo tre mesi per portare a termine il primo numero di un nuovo fumetto. Non avrà aiuti esterni questa volta, nessun'idea, dovrà fare tutto da solo.”

La mia mente si focalizzò solo su una cosa: disegnare.

Nel bel mezzo della notte, quando la mia mente era nel pieno della sua creatività, mi capitava di saltare giù dal letto, afferrare la matita e posizionarmi davanti alla scrivania, tra scartoffie varie e schizzi di ogni genere. Lei scorreva veloce sul foglio, indomabile, precisa e puntuale; tracciava le linee guida dei miei protagonisti, per poi arricchire i vari disegni con tanti particolari che andavano a migliorare di molto la qualità del mio operato.

In quei momenti l'universo sembrava girare attorno a me e al mio piccolo angolo di paradiso, attorno a quella scrivania logorata dal tempo, sulla quale erano ancora visibili i segni inesperti di un ragazzino che, spesso, finiva per bucare il foglio con la matita per la troppa forza e graffiava la superficie, un tempo levigata, della scrivania; tutto il resto non contava.

E i miei personaggi prendevano vita, quasi per magia.

Il problema fondamentale rimaneva la trama.

In qualche modo riuscivo sempre a cavarmela, ma era la parte più ardua per me. Avevo una fervida immaginazione, avrei potuto creare migliaia di personaggi senza rimanere a corto d'idee, ma quando si parlava delle loro storie, la situazione si faceva differente.

« Un nano, un elfo, un mago e... Ah, no! » Puntualmente accartocciavo il foglio e lo gettavo nervosamente alle mie spalle, per poi prenderne uno pulito e ripartire da zero, fino a creare montagne di fogli accartocciati sul pavimento.

Passavo le notti ricurvo su quei fogli, ad assaporare l'amarezza della mia incapacità nel buttare giù due righe che avessero un senso compiuto.

Verso le sette del mattino, puntuale come un orologio svizzero, Kin mi chiamava.

« Amore, non sarai rimasto in piedi tutta la notte a disegnare come al solito? » Sempre la stessa domanda.

Quando interrompeva il mio lavoro, la sua voce finiva per diventare tanto fastidiosa da farmi alzare gli occhi al cielo; la sua voce, quella che tanto amavo, o almeno credevo così.

In risposta riceveva solo versi, nulla più.

Ogni mattina, mi faceva perdere infiniti minuti di lavoro per colpa del suo fastidioso chiacchiericcio, la qualità dei miei disegni finiva per rimetterci brutalmente e l'ispirazione del momento volava via, come cenere sparsa nel vento; quindi mi alzavo, mi preparavo come meglio potevo e uscivo di casa, solo per incontrare lei.

 

***

 

Un mese alla consegna.

 

I giorni passavano, il tempo tiranno volava via, il mio lavoro non sembrava voler continuare e, ovviamente, il fumetto non si sarebbe scritto da solo.

La consegna era fissata per il 10 luglio, mancava solo un mese e io passavo più tempo a girovagare per le strade della città con la mia ragazza che a casa in compagnia dei miei amati disegni.

Dovevo darci un taglio.

Le afferrai un braccio, lo strinse abbastanza forte da richiamare la sua attenzione e, con un tono d'indifferenza, sputai la mia sentenza.

« Dobbiamo smettere di frequentarci. »

Lei mi fissò con gli occhi spaesati di un bambino colto alla sprovvista, da una parte terrorizzato, dall'altra alquanto sorpreso.

Prese un sorso del frullato che aveva comprato qualche minuto prima in uno dei chioschetti che avevamo incontrato ai lati della strada e mi rivolse la parola; cercava di nascondere la rabbia che cresceva dentro di lei, ma non ci riusciva molto bene.

« Come? »
« Io devo lavorare. »
Mi voltai e, ignorando le urla che fuoriuscivano dalla bocca di colei che mi stavo lasciando alle spalle, mi allontanai.

L'amavo, ma amavo molto di più il mio lavoro.

Arrivai di corsa a casa, spalancai la porta e mi precipitai in camera mia per continuare il mio lavoro incompleto.

Un mese di tempo.

Potevo farcela.

Dovevo farcela.

 

***

 

Tre settimane alla consegna.

 

Sedevo alla scrivania con la matita in mano.

La trama stava finalmente prendendo il suo corso, le cose sembravano andar bene, il fumetto stava per vedere la luce.

Non dormivo, non mangiavo, non mi lavavo; indossavo la stessa maglietta sudaticcia da una settimana, ormai.

Il mio gatto avrebbe potuto morire di fame, se non fosse stato per la mia vicina di casa.

A me non importava, non più.

La matita iniziò a scorrere più spedita delle altre volte, imbrattava il foglio di linee nere rese imperfette dal passaggio della mia mano su di esse, ma lei era perfetta, la mia protagonista era perfetta, unica, meravigliosa.

Prima di prendere il pennello ed iniziare ad inchiostrare, alzai il foglio in contro luce per ammirare il mio lavoro a fondo.

L'amavo, l'amavo davvero.

Con gli occhi sognanti, poggiai il foglio sulla scrivania, afferrai il pennello e ripassai minuziosamente ogni linea che definiva il corpo di quella ragazza, per poi passare ai lineamenti del suo viso e alle ombreggiature che le avrebbero dato un carattere ancora più unico.

Tutto era perfetto.

Troppo perfetto.

Il telefono squillò.

« Tesoro mio, stasera vengo a trovarti. »
Era mia madre. Non mi diede il tempo di rispondere e attaccò il telefono.

Lei era sempre stata così, come dire, impulsiva; sembrava avere un tornado dentro di se, sebbene non fosse più una ragazzina.

Non potevo, non in quel momento; ma dovevo.

Sbuffai, posai il pennello al suo posto e mi alzai.

Necessitavo una doccia rinfrescante, dei vestiti puliti, una rasatura con i fiocchi e... Qualcosa da preparare per cena, la dispensa era completamente vuota.

Corsi fuori di casa per fare la spesa, girai per tutta la città e, fortunatamente, prima che mia madre arrivasse, ero riuscito a mettere in piedi una cena decente; non era né troppo, né troppo poco.

Lei arrivò, mi salutò come sempre e si accomodò a tavola.

« Kin non ci fa compagnia stasera? » Aveva il sorriso sulle labbra.

Aveva imparato ad apprezzare Kin, sebbene i primi tempi non fosse tanto felice che io avessi trovato una fidanzata, ma credo che la cosa fosse normale per una madre che vedeva il figlio di sedici anni andare a spasso con una ragazzina che nemmeno conosceva, sapendo che tra di loro avvenivano costanti scambi di saliva; non ne feci mai un dramma.

Dopo averla conosciuta, però, si era affezionata tanto a lei; passavano ore a chiacchierare del più e del meno. Se ci ripenso credo che qualche volta abbiano sparlato un po' di me, ma poco male.

Con indifferenza la guardai negli occhi e le risposi.

« L'ho lasciata. »
« Come? » Spalancò gli occhi, incredula.

Io mi limitai ad annuire.

« Perché?»
« Mi portava via tempo prezioso, io devo lavorare. »
Da quel momento non parlò più, la sua espressione cambiò notevolmente, il silenzio era imbarazzante e la cena proseguì accompagnata solo dal rumore delle stoviglie che sbattevano accidentalmente tra di loro, finché arrivò l'ora per mia madre di tornarsene a casa.

Non mi salutò, prese le sue cose ed abbozzò un « Ciao » freddo prima di richiudersi la porta alle spalle.

Non feci nulla per fermarla e salutarla come si deve.

Stavo perdendo anche lei, ma in quel momento non me ne resi conto.

 

***

 

Due settimane alla consegna.

 

Il lavoro procedeva a gonfie vele.

I miei personaggi sembravano prender vita e farmi compagnia durante le lunghe ore del giorno, non mi era rimasto più nessuno.

Mia madre aveva iniziato a chiamarmi sempre più di rado, Kin aveva provato a ricontattarmi, ma ogni suo tentativo era stato vano; avevo preso una decisione ed ero ostinato a portarla avanti.

L'universo, per me, non valeva più nulla; vivevo in un mondo tutto mio, fatto di disegni, personaggi immaginari e battutine sarcastiche buttate lì, di tanto in tanto, per spezzare l'atmosfera.

Il mio povero gatto non tornava a casa da cinque giorni, ma io non ci avevo fatto caso.

Avevo iniziato a parlare con loro, con i miei “amici” di grafite, probabilmente stavo impazzendo.

Mangiavo e bevevo molto poco, il minimo indispensabile, non uscivo più di casa, se non per comprare del cibo ogni qual volta che finiva, il che accadeva di rado.

Avrebbero potuto tranquillamente pensare che fossi morto; in un certo senso lo ero, non ero più io.

La mia anima stava uscendo dal mio corpo per catapultarsi in un mondo tutto diverso, voleva impossessarsi di uno dei personaggi che avevo creato e prendere vita in un mondo che ai miei occhi sembrava perfetto.

Dormivo molto poco, avevo un sonno agitato, pieno di incubi; mi svegliavo con la certezza di dover rimettermi al lavoro, non mi fermavo mai.

Forse fu quella la causa delle allucinazioni che iniziai ad avere.

Iniziai a parlare con i personaggi, quasi fossero persone vere.

Quando mangiavo, preparavo una porzione anche per loro, qualsiasi cosa facessi la facevo in loro compagnia; lentamente la mia mente stava logorandosi, il mondo attorno per me equivaleva ad una massa informe di oggetti che si muovevano senza una logica ben precisa, mentre quello che accadeva dentro di me, dentro la mia mente era tutto perfetto, io l'avevo reso tale.

Tutto era parte di un fumetto; tutto seguiva una logica ben precisa: la mia logica.

 

***

 

1 settimana alla consegna.

 

Avevo finito il mio lavoro una settimana in anticipo.

Non sapevo più che fare.

Iniziai a crogiolarmi nel mio universo immaginario, m'inventai un sequel di quella storia, un sequel completo; ricordo perfettamente di averlo vissuto interamente nella mia testa, senza mai buttare giù mezza riga.

La mia mano non ne poteva più di disegnare e inchiostrare, inchiostrare e disegnare.

Gridava pietà, non teneva più salda la matita, era imbrattata di grafite fino alla nausea, ma io la ignoravo.

Era uno degli strumenti più preziosi che io avessi mai adoperato, come le mie matite, ma in quel momento nulla aveva più senso per me.

Gettato su quel divano, lasciavo che il tempo scorresse via, in attesa che gli anni divorassero le mie membra.

Chiusi gli occhi e un vago ricordo di felicità mi tornò alla mente.

 

***

 

« Mammina, cos'è questo suono che viene da quell'albero? » Mia madre posò una mano sulla mia testa e iniziò a carezzarmi dolcemente.

« Sono gli uccellini affamati che chiamano la loro mamma. »
« E perché non arriva? » Lei mi sorrise dolcemente.

« Perché sta cercando la pappa per i suoi figlioletti. »

Rimasi ad osservare l'albero per qualche minuto ancora, poi chiusi gli occhi e, lentamente, mi feci trasportare nel mondo dei sogni dal dolce movimento di quelle carezze e dalla voce armoniosa di mia madre.

 

***

 

Un abbozzo di un sorriso apparve sul mio volto.

Ero in grado di far sorridere i personaggi in modo naturale, ma avevo perso l'abilità di far sorridere me stesso.

Un senso di malinconia mi riempì il cuore.

Voci lontane attraversarono la mia mente.

 

***

 

« Mammina, tu sei bella come le principesse dei cartoni animati, anzi, di più! »
Lei sorrideva ogni volta che le facevo un complimento; non era un sorriso qualunque, era un sorriso vero, dolce, compiaciuto.

« Io sarò il tuo principe e ti sposerò! »
 

***


Una lacrima tentò di rigare la mia guancia destra, ma io arrestai subito il suo moto.

Non sapevo più dove stessi andando, cosa stessi facendo, che senso avesse la mia vita ora che avevo allontanato anche mia madre.

Lei aveva continuato a chiamarmi, anche se di rado, e io avevo continuato a liquidarla in fretta, quasi come se la sua voce mi desse fastidio; ma io l'amavo.

In un mese la mia vita si era ridotta a un cumulo di macerie inutili: fogli accartocciati e buttati nel cestino, pasti mangiucchiati, giorni interi passati a scarabocchiare.

E pensare che serve così tanto tempo per costruirsi una vita completa e così poco per distruggere tutto e far crollare quel castello di carte costruito con tanta maestria e puntigliosità.

Amavo disegnare, lo amavo davvero.

Ma in quel preciso istante capii che quello che avevo fatto fino a quel momento era stato ingiusto.

Avevo allontanato tutti da me, loro avevano cercato di restarmi vicino, ma io li avevo ignorati come s'ignora la presenza dell'aria: nessuno pensa mai a quanto questa sia importante, ma lei c'è; se non ci fosse saremmo tutti morti, eppure nessuno le dà il giusto peso.

Era quello che avevo fatto io con tutto quello che mi era più caro al mondo.

Mi preparai in fretta e andai a consegnare il frutto di lunghe settimane di lavoro e isolamento.

Il mio capo mi fece i complimenti per aver consegnato in anticipo.

Ma quella lode che prezzo reale aveva avuto? Un prezzo troppo alto, almeno per i miei gusti.

Io non potevo fare più nulla ormai, la vita mi stava scivolando via dalle mani, non sapevo trovare una strada per tornare indietro.

 

E il fato fece il suo corso.

 

Ricordi due fari, un clacson, i miei occhi chiusi per la paura, poi il buio.

 

Non li ho più riaperti da quella volta. Sono passati tanti anni, non li conto più.

 

Sono entrato in coma e non penso che riuscirò ad uscirne.

 

Ho escluso il mondo dalla mia vita, il mondo ha finito per escludere me.

 

Sono solo un essere in stato vegetativo, con tanti anni da vivere senza una vita vera. Mi ritrovo qui, a girovagare in un universo immaginario, lo stesso in cui mi crogiolavo anni fa nell'illusione di poter vivere giorni migliori dopo aver raggiunto il successo grazie ai miei piccoli capolavori.

Ma il prezzo è stato davvero troppo alto.

 

È stato quasi come se una gomma sia passata sulla mia vita, decidendo di cancellarne il seguito. Sono stato spazzato via.

 

Non potrò più vivere la mia vita, non potrò più abbracciare mia madre, non potrò più guardarla negli occhi.


So che non potrò, me lo sento.

 

Scusami tanto, mamma. Sono stato uno sciocco.

 

Avrei solo voluto dirti un'ultima volta quanto io ti ami, mamma.

 

Potrai mai scusare il tuo bambino?

Cosa mi è successo? Riportami indietro, mamma.

 

Ho fatto uno sbaglio e me ne accorgo solo ora che non posso fare più niente.

 

Sono solo uno sciocco.

 

Voglio ancora essere il tuo principe.

 

 

  
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