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Autore: Shurq Elalle    21/08/2014    0 recensioni
"Vidi le membra sparpagliate dei cadaveri, innocenti come neonati dalla pelle morbida e il sangue era dappertutto.
Stringevo qualcosa di duro e freddo in mano, qualcosa di terribilmente estraneo alle mie fragili dita.
L'aria odorava di fumo e di legno bruciato e il pavimento in cui giacevo era brullo e bagnato probabilmente dall'acqua."
Questa storia fu scritta quattro anni or sono, forse si vedranno le macchie di muffa da qualche parte, ma non fateci troppo caso.
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Vidi le membra sparpagliate dei cadaveri, innocenti come neonati dalla pelle morbida e il sangue era dappertutto.
Stringevo qualcosa di duro e freddo in mano, qualcosa di terribilmente estraneo alle mie fragili dita.
L'aria odorava di fumo e di legno bruciato e il pavimento in cui giacevo era brullo e bagnato probabilmente dall'acqua.
I miei piedi, liberi da qualunque futile rivestimento di fili di cotone, erano baciati dalla bianca luce degli astri luminosi di quel cielo notturno, nero come l'animo di fronte ad una strage di innocenti.
Mi alzai, con la testa pesante e gli occhi annebbiati come se fossero stati essiccati da quella nebbia di fumo.
Erano troppi: grandi, piccini, belli o brutti, alti o bassi, milioni di miliardi di esseri umani sfracellati dai corpi costellati da profondi crateri di sangue e pelle lacera, con le proprie membra perse chissà dove.
Io ero vivo in mezzo ai morti.
Io ero vivo in mezzo ai morti con un coltello in mano.
Io ero vivo in mezzo ai morti con un coltello in mano, insanguinato.
Gli occhi, che credevo ormai quasi essiccati, sbarrarono dall'orrore e rivoli di lacrime scivolarono giù oltre l'orizzonte delle mie guance.
Camminai tra i cadaveri in quel terreno brullo, cupo e scosceso, con la morsa allo stomaco che cresceva e l'inquietudine della consapevolezza che iniziava a far capolino nel mare in tempesta della mia mente.
Strinsi tra le mie dita il manico del coltello, ormai diventato bollente come la temperatura in quel piccolo grande istante.
E camminavo lento, senza poter fare a meno di osservare i particolari dei volti di coloro che erano ormai passati a miglior vita.
Il vento si alzò, quasi con cautela e moderazione, come se temesse, nel suo profondo, che quell'unica anima sopravvissuta a quel genocidio potesse decidere la sua sorte.
La polvere volò leggera in un' unica folata.
La mano, che stringeva il coltello lurido di sangue, non volle ammettere la sua colpevolezza.
Neppure la ragione credeva di essere complice di quello sterminio; non conservava nessun ricordo di simile orrore nei cassetti della sua memoria.
Ma il cuore, invece, emerso con un sussurro, affermò che il solo fatto di essere vivo faceva ragione, mano e cuore colpevoli di quel misfatto.
Ero io il colpevole.
Stringevo in mano un'arma, su cui, in vita mia, non ricordavo di aver mai posato gli occhi e che probabilmente avevo utilizzato per spegnare la luce vitale che popola ogni essere vivente.
E anche se non ero stato la folata di vento spegnitore di vite, ero comunque vivo e colpevole di non aver seguito quegli esseri umani nel mondo arcano dell'Aldilà.
Non meritavo, io, di proseguire la mia vita come se nulla fosse mai accaduto, come se non fossi stato mai, in vita mia, testimone di una strage di poveri innocenti.
Non potevo vivere col rimorso costante d'averli uccisi o di essere sfuggito a quel martirio.
La mia mano strinse, sempre più saldamente, quella lunga lama invitante.
Guardai quei cadaveri dai gelatinosi occhi sbarrati dalla morte.
Un corpo gelido penetrò in me.
Lo stomaco si ribellò di quel corpo estraneo e cercò di espellerlo, come un'anima che cerca di scacciare via la Signora con la Falce senza fin troppo successo.
Ma una lama di puro acciaio era assai più forte e resistente della flaccida carne di un essere umano.
Ero consapevole del mio atto come del sangue che, a fiotti inestinguibili, fuoriusciva dalla ferita che la mia incredula mano assassina mi aveva inferto.
Aveva eseguito quel compito freddamente come quelli che l' avevano preceduto e di cui avevo le prove in quel terreno brullo.
E il dolore lancinante mi invase il tutto il corpo.
Bruciavo dal dolore, ma mi sforzai di escluderlo dai miei pensieri.
Stavo per spegnermi, me ne rendevo conto.
Gli arti già non mi rispondevano più; la mano carnefice era ormai punita.
I piedi salutarono per l'ultima volta quel nero cielo stellato.
I respiri furono sempre più deboli, non reagivano più al dolore lancinante.
Fu la volta del cuore, colui che comprese tutta la verità, da vecchio saggio qual era, sapeva e accettava quello spegnimento totale, quel distacco eterno dalla realtà; il saggio cuore insensibile era ormai punito.
E la ragione lo seguì poco dopo. Si spense di botto, consapevole di quel accadeva, ma senza avere più la forza e la volontà di impedirlo. Si dichiarò innocente fino all'ultimo, ma non ebbe la possibilità di riferirlo per cambiare il suo fato; la fredda mente calcolatrice era ormai punita.
E il dolore si spense anche lui, come una fiammella al contatto con fuoco, come un'anima a contatto con la Nera Signora.
Il corpo s' irrigidì e mollemente si adeguò al terreno, consapevole che non avrebbe più preso moto.
Seguì, così, le altre anime in quel mondo arcano e sconosciuto ignoto ai vivi, colui che si autoproclamò omicida ma che fu soltanto una vittima della crudeltà della mente umana e del suo più atroce frutto: la guerra.
   
 
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