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Autore: Mala Mela    19/09/2008    8 recensioni
NejiHina
And I miss you when you’re not around
I’m getting ready to leave the ground
Oh you look so beautiful tonight
In the city of blinding lights.
{City of Blinding Lights - U2}
Neji arrestò la sua corsa e si appoggiò al muro, ansante.
Istintivamente si portò una mano alla milza, maledicendo mentalmente se stesso, Hinata, tutta la famiglia Hyuuga, Tokyo, il Giappone e tutto il resto del mondo. Si morse le labbra e per qualche secondo non sentì altro che il vuoto rimbombare della disperazione.
Doveva trovarla, doveva farlo presto.
Dei cupi rintocchi in lontananza gli ricordarono l’ora: le ventitré.
Dannazione.
Genere: Romantico, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hinata Hyuuga, Neji Hyuuga
Note: Alternate Universe (AU), Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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A Tya.

Perché non le ho fatto nessun regalo di compleanno.

Perché mi capisce quando dico che Sasuke mi piace ma lo vorrei uccidere.

Perché la sto portando al lato oscuro del NaruSasu. Anche se lei non lo sa.

Perché (attenzione, parentesi melensa) le voglio bene <3

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tokyo - City of Blinding Lights

 

.City of Blinding Lights.

 

 

I’ve seen you walk unafraid

I’ve seen you in the clothes you made

Can you see the beauty inside me?

What happened to the beauty I had inside of me?

 

And I miss you when you’re not around

I’m getting ready to leave the ground

 

Oh you look so beautiful tonight

In the city of blinding lights

 

Ti ho vista camminare senza paura

Ti ho vista nei vestiti che ti sei fatta

Puoi vedere la bellezza dentro di me?

Cosa è successo alla bellezza che avevo dentro di me?

 

E mi manchi quando non sei qui

Sono pronto per lasciare la terra

 

Sei così bella stanotte

Nella città delle luci accecanti

 

[City of Blinding Lights - U2]

 

 

 

Hinata se n’era andata.

Nel senso letterale del termine.

 

Neji arrestò la sua corsa e si appoggiò al muro, ansante. Istintivamente si portò una mano alla milza, maledicendo mentalmente se stesso, Hinata, tutta la famiglia Hyuuga, Tokyo, il Giappone e tutto il resto del mondo. Si morse le labbra e per qualche secondo non sentì altro che il vuoto rimbombare della disperazione.

Doveva trovarla, doveva farlo presto.

Dei cupi rintocchi in lontananza gli ricordarono l’ora: le ventitré.

Dannazione.

Era fuori di casa da più di quattro ore e di lei nemmeno l’ombra. Non solo quella stupida ragazzina aveva firmato la condanna per la propria morte, ma l’aveva trascinato con sé, senza possibilità di redenzione.

Digrignò i denti irato e con movimenti nervosi riprese la sua ricerca. Stupida mocciosa, si ripeteva, dovevi proprio andartene in quel modo?

Rabbrividì al solo ricordo di Hiashi che, furente, spalancando la porta non aveva trovato la figlia in camera.

La finestra aperta e un biglietto:

“Me ne vado”. Lapidario, chiaro ed esaustivo.

Suicidata. Questo fu il primo pensiero che gli aveva attraversato la mente, ma si era visto costretto a scacciarlo. Dall’armadio mancavano dei vestiti, dal cassetto soldi e documenti. No, non era morta.

Neji aveva tirato un sospiro di sollievo, pensando che lo zio avrebbe chiamato la polizia o qualcosa di simile. Beata ingenuità.

Pochi istanti dopo Hiashi si era voltato verso di lui, livido e con il volto trasfigurato dalla rabbia.

“Trovala”. Non una richiesta: un ordine che non ammetteva replica.

Il rispetto di Hiashi era un’arma a doppio taglio; quando gli oneri superavano i dolori difficilmente non ci si lasciava schiacciare.

La sola idea gli fece tornare l’amaro in bocca, insieme ad un sapore ferruginoso terribilmente simile a quello del sangue.

Tokyo era sconfinata, caotica. A Tokyo ci si perde, ci si confonde, si rimane abbagliati dalle sue luci e sopraffatti dalla sua unicità.

Lui non avrebbe mai trovato Hinata, non aveva alcuna speranza.

Svoltò nell’ennesimo vicolo, superando le lampeggianti insegne dei negozi aperti ventiquattr’ore su ventiquattro, oltre a quelle di alcuni locali di dubbia moralità. Si disse che non sarebbe stato quello il posto dove avrebbe ritrovato la cugina, ma non poteva tralasciare nulla.

Si fermò esausto al primo incrocio, sentendo i capelli sfuggirgli dalla fascia e ricadergli sulla faccia scompostamente. Li spostò con un gesto sbrigativo e prese in mano il cellulare. Selezionò il numero di Hinata dalla rubrica ed avviò la chiamata.

Naturalmente avrebbe avuto il cellulare spento. Naturalmente non sarebbe stata raggiungibile.

Naturalmente.

Segreteria telefonica. La informiamo che il telefono della persona chiamata potrebbe essere spento o momentaneamente non raggiungibile. La preghiamo di riprovare più tardi, grazie.

Neji imprecò coloritamente scaraventando il telefono a terra, esasperato. Rimase in silenzio a contemplare le componenti elettroniche sparse lungo il marciapiede, passandosi entrambe le mani sulla faccia. Sto impazzendo, fu il suo primo pensiero, sto proprio impazzendo.

E perché diavolo stava facendo tutto quello, poi?

Si focalizzò sull’immagine della cugina. L’aveva odiata, un tempo. Ancora prima aveva pensato che fosse molto carina.

…e ora?

Ora la malediva.

Nonostante tutto non biasimava il suo gesto, ma nemmeno la giustificava. Poteva solo lontanamente immaginare come si fosse sentita per tutta la vita: una famiglia talmente prestigiosa da opprimerla, un padre pieno di pretese, una sorella ambiziosa, un cugino scontroso. Neji.

Ed ora Hinata se n’era andata.

Più la lancetta dei secondi correva nel quadrante dell’orologio, più quella questione, per Neji, diventava personale. Doveva trovarla.

Si guardò attorno febbrilmente, in cerca di una persona apparentemente sobria a cui chiedere indicazioni. Tutti sembravano aver fretta -o fin troppa calma- e nessuno sembrava accorgersi della sua presenza.

Fermò un passante, cercando di non apparire troppo scortese.

“Scusa” disse sbrigativo, nascondendo l’avanzato stato di esasperazione “sto cercando una ragazza carina, mediamente alta, con lunghi capelli neri e occhi bianchi, dovrebbe indossare un abito elegante di color-”.

L’uomo rise sguaiatamente, interrompendo la sua descrizione. Neji aggrottò le sopracciglia, perplesso.

“Beh, se la trovi chiamami!” lo prese in giro “non sei l’unico a cercare una ragazza, sai moccioso?”.

Neji strinse violentemente i pugni, mormorando stizzito un poco gentile “cazzone”. Fece per attraversare la strada, quando sentì la mano dell’uomo sul braccio. Si voltò.

“Che cosa hai detto?” gli chiese, dimostrandosi così più sveglio delle apparenze.

Il ragazzo valutò in silenzio il da farsi.

“Ho detto che sei un cazzone” decretò infine con veemenza “e a quanto pare sei anche sordo”.

La prima cosa che vide fu il pugno destro dell’uomo colpirlo sullo zigomo, esperienza che classificò come ‘mediamente dolorosa’. In un istante si ritrovò a terra, con una mano si teneva lo stomaco e con l’altra controllava lo stato del proprio labbro. Sanguinava.

La folla li aggirava, fingendo di non vederli, al massimo lanciava qualche sguardo schifato al liquido rossastro finito sull’asfalto, nulla più.

Si alzò traballante, assottigliando gli occhi. Tutta la faccenda si stava facendo surreale.

Hinata. Non era lì, ma tutto l’universo gravitava intorno a lei. Hyuuga ma non come loro, reale e irreale.

Senza pensarci due volte Neji si avventò sull’uomo, scaricando tutta la frustrazione accumulata nel corso della sua vana ricerca. Lo colpì ripetutamente al volto fino a farlo cadere a terra, poi lo prese a calci. Si fermò soltanto quando udì qualcuno urlare un disperato “chiamate la polizia!”.

L’uomo giaceva a terra, dolorante. Assalito da un senso di nausea e vertigine Neji si portò una mano sporca di sangue -…suo?- alla bocca, cercando di non vomitare. Poi, districandosi tra la folla che si era improvvisamente creata lì attorno, ricominciò a correre, questa volta in preda al panico.

Corse disperatamente, più di quanto aveva fatto fin ora, per poi accasciarsi senza forze sul fondo di quella che pareva una strada a fondo chiuso. Non seppe dire per quanto tempo rimase lì, seduto a terra con le palpebre abbassate e le labbra sanguinanti, ma credette di aver definitivamente mandato a puttane la sua ricerca… almeno fino a quando una voce non lo riscosse da quello strato di trance auto-indotta.

Neji”.

Un mormorio, poco più di un sussurro, ma comunque riconducibile ad una sola persona.

Alla fine era stata lei a trovare lui.

Neji alzò la testa, fino ad incontrare lo sguardo della ragazza. Due paia di occhi bianchi si fissarono a lungo.

Hinata era di fronte a lui, i capelli neri leggermente scomposti, l’elegante abito color lavanda che indossava quella stessa mattina e un pesante borsone a tracolla.

“Ti stavo cercando” annunciò deciso, rialzandosi e spazzolandosi via la polvere dai pantaloni in un'ultima, disperata ricerca di dignità. “Hiashi-sama vuole che ti riporti a casa. Forza, seguimi” detto questo la superò, precedendola.

“No” fu la semplice risposta di Hinata.

“Non essere stupida” sibilò Neji infastidito, afferrandola per un polso e trascinandola sulla via principale.

“Io non tornerò a casa con te, Nii-san” protestò Hinata pacatamente “queste… queste non sono decisioni soggette a ripensamenti”.

“Perché?” ringhiò il ragazzo, rafforzando la stretta sul polso “perché devi fare così?”.

Hinata abbassò gli occhi, forse per paura, forse per non vedere il volto tumefatto del cugino.

“Tu sai il perché”.

Neji tacque, ignorando il sapore amaro che gli tornava prepotentemente alle labbra.

“Non importa” rispose atono “semplicemente non ha importanza”.

“Si che ne ha!” esclamò Hinata guardandolo dritto in volto con gli occhi lucidi e la voce spezzata “quando il tuo cognome è talmente splendente da eclissare il tuo nome, da eclissare te a me importa. Hanno sempre detto che non sono degna di far parte della famiglia: avevano ragione. Io non voglio far parte della famiglia. Gli Hyuuga sanno solo nascondersi dietro una facciata di ipocrisia e risolutezza”.

Un dolore acuto lo colpì, probabilmente il senso di colpa, alla bocca dello stomaco. Aveva quella domanda sulla punta della lingua, voleva uscire a tutti costi, ma da ore Neji lottava per trattenerla. Aveva digrignato i denti, li aveva stretti, si era morso le labbra fino a farle sanguinare. Ma la domanda era ancora lì.

È anche colpa mia?

Nii-san, non è colpa tua” lo rassicurò, rispondendo così alla domanda che non era andata oltre le sue labbra.

“Cos-?”.

“Come ti sei fatto quei lividi?”.

Neji si portò istintivamente la mano sotto l’occhio. Sembrava stupido, ma aveva quasi finito per dimenticarsene.

“Non è niente” biascicò evasivo “non importa”.

Non importa, non importa possibile che tu sappia dirmi solo questo?” mormorò Hinata avvicinandosi al cugino. “S-so di essere l’ultima persona al mondo autorizzata a dirti una cosa simile, ma penso che tu debba r-reagire”.

“Reagire?” le domandò perplesso. “Reagire? Hai idea del tempo che ho perso per cercarti? Tokyo non è esattamente il luogo più facile per trovare qualcuno, se non te ne fossi accorta”.

“Ma perché l’hai fatto?!” ribatté aggrappandosi alla sua maglietta. “Sei qui perché te l’ha chiesto mio padre, o perché eri sinceramente preoccupato?”.

“Questo non-”.

“Sì che importa!” urlò improvvisamente Hinata, sentendo le lacrime scorrere lungo le guance. “Tu non sei come loro… io non sono come loro!” continuò “e abbiamo sempre dovuto sopportare tutto questo, perché?”.

“Quali prove hai per affermare che io non sono come loro?” le chiede amaramente. “Tu sei diversa, è vero. Sai cosa ti dico? Sei fortunata. Io invece non posso dire altrettanto, mi spiace”.

Hinata scosse il capo, asciugandosi gli occhi.

“Io lo so. Certe cose si sentono e basta” aggiunse con un filo di voce.

Entrambi tacquero, immobili su quel marciapiede.

“Che cosa mi è successo, allora? Perché mi sento così?” domandò Neji stringendo i pugni, conficcandosi le unghie nella carne. “Io voglio che tu torni, ti rivoglio indietro, capisci?”.

Fece un profondo respiro.

“Sono come loro perché sono egoista. Vedo il tuo disagio ma… non voglio che tu te ne vada”.

N-Nii-san…”.

“Tu credi che anch’io sia diverso” aggiunse distogliendo lo sguardo. “Sei l’unica a crederlo, per questo ho bisogno di te”.

…e se venissi con me?” gli propose.

“Non posso” rispose Neji categorico “Hiashi-sama…”.

“Lascia perdere mio padre, per una volta” lo supplicò, stringendosi a lui. “Ti prego Nii-san. Ti prego”.

Istintivamente la cinse con entrambe le braccia e affondo il volto nei suoi capelli, sentendo svanire l’angoscia che lo attanagliava da ore.

Cosa doveva fare?

“Sì” mormorò dopo qualche istante. “Sì”.

“Sì cosa?” gli chiese Hinata dubbiosa, rimanendo immobile.

“Io resto con te”.

Luci al neon e insegne luminose turbinavano intorno a loro in un folle caleidoscopio.

Hinata sorrise.

C’erano loro e c’era Tokyo, la città delle luci accecanti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

______

Bene, eccoci qui <3

Questa sarà una raccolta dedicata di oneshot che avranno come comune denominatore Tokyo –la città delle luci accecanti- e le canzoni dei mitici U2. Ho iniziato a scriverla per un concorso, ma settimana scorsa mi si è rotto il pc e ho potuto collegarmi soltanto la sera, con il portatile di mio padre L (faccina orrenda) ergo la pubblicherò ora, molto lentamente perché incompiuta ^^

Spero vi piaccia!

Hasta luego!

 

 

Mela

 

   
 
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