Anime & Manga > Lupin III
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Autore: Fujikofran    29/08/2014    5 recensioni
Lupin, Jigen e Goemon si trovano in Iowa(Usa) e stanno sfuggendo alla Sprechen Field, organizzazione criminale con idee filo-naziste, che ha sottratto loro dei diamanti. Ma Lupin e Goemon sembrano spariti, mentre Jigen, rifugiatosi in un fienile, crede di essere l'unico sopravvissuto. Ma si sbaglia di grosso. Brano da ascoltare durante la lettura: "Love, hate, love" degli Alice in Chains
Genere: Azione, Erotico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Fujiko Mine, Jigen Daisuke
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Ti odio, ma ti voglio'
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Iowa, Stati Uniti, settembre 1979

Stavano scappando. Non per codardia, né per mettere in atto chissà quale piano, ma solo per un motivo: la sopravvivenza. Lupin e la sua banda, infatti, erano inseguiti nel mezzo di un’area agricola estesissima e soprattutto deserta, dato che gli unici che la “abitavano” erano solo mostruosi spaventapasseri. Ma coloro che li inseguivano erano privilegiati, poiché si trovavano su un elicottero, dal quale sparavano senza sosta. A un certo punto Lupin sembrava essersi volatilizzato, forse era stato colpito, oppure era riuscito a nascondersi da qualche parte. Nemmeno Goemon si trovava, mentre Jigen correva a perdifiato per cercare di raggiungere quello che sembrava un piccolo fienile. Gli mancava poco per crollare per colpa dell’estrema stanchezza, sotto un sole mattutino quasi bollente. Non c’erano alberi nei dintorni. Mentre correva, Jigen notò del fumo, in lontananza, e non ci mise molto a comprendere che l’elicottero era precipitato. “Crepate, bastardi” pensò, mentre non smetteva di correre. Raggiunse il fienile ed entrò, talmente trafelato da sentire i propri battiti cardiaci perfino nel naso, sensazione orrenda accompagnata da una specie di rabbia, che lui sfogò iniziando a piangere, battendo un pugno su uno stipite, col rischio di spaccarsi la mano destra. Era stanco, stressato e nervoso, ma le lacrime lo avevano calmato. Anche il respiro gli era tornato regolare. Si tolse il cappello e la giacca e si sedette su una sedia che non sembrava molto resistente. Il fienile aveva la parvenza di essere abbandonato, sebbene ci fosse ancora del fieno, a mucchi. Si accese una sigaretta, il bisogno di fumare era davvero troppo e assumere nicotina era come tornare a vivere, ammesso che la sua si chiamasse “vita” e non “sopravvivenza”. Si guardò intorno,  quel piccolo fienile era spettrale, come se di punto in bianco dovessero spuntare dei fantasmi o dei killer sanguinari. “No, gli zombi non esistono” pensava Jigen tra sé e sé, mentre immaginava atmosfere da film dell’orrore. Fortunatamente c’era molta luce, che filtrava da ampie aperture ai lati e sul tetto, che si presentava semi-sfondato. La sua Pall Mall sembrava l’unica cosa che lo rassicurasse, in quel momento, dato che l’atmosfera del luogo gli aveva fatto gelare il sudore. Si tolse la giacca e si domandava che fine avessero fatto Lupin e Goemon. Di Fujiko non sapeva nulla da tempo, non aveva preso parte alla preparazione dell’ultimo colpo. Già, quel colpo che aveva fatto rubare loro una grande quantità di diamanti, ma che poi era finita nelle mani di una potente banda di killer dalle tendenze naziste, la Sprechen Field.  
Intorno a lui c’era un silenzio innaturale, inquietante, angosciante. Si tolse la cravatta e si slacciò un paio di bottoni della camicia, poi si accese un’altra sigaretta. Un senso di ansia lo colse, appena si rese conto di essere completamente solo, in quel campo deserto. Sentì il bisogno di urinare e, non appena fu fuori dal fienile, avvertì uno strano fruscio. Tiratosi su la zip dei pantaloni, estrasse la sua Magnum e, camminando lentamente, rientrò nel fienile. “C’è qualcuno” pensò “accidenti”. Temeva che qualche membro della Sprechen Field si fosse salvato e che lo avesse localizzato; sarebbe stata la sua fine o, almeno, la sua vita poteva essere in serio pericolo. Non si rimise la giacca né la cravatta né il cappello, rimase immobile, per il timore che un suo minimo movimento potesse essere udito al di fuori del fienile. Quel particolare fruscio aumentava, così come la tensione che Jigen non riusciva a non smorzare. “Adesso apro la porta e gli sparo”. Così cercò di fare, ma non sparò perché qualcuno gli aveva puntato subito una pistola addosso. Quel qualcuno lui lo conosceva bene: Fujiko Mine, che non aveva, però, un bell’aspetto; sembrava provata.

-Daisuke, che fai…hai paura di me?-
-Sei l’ultima persona che pensavo di poter vedere: tu non hai partecipato al colpo-
-E allora? Dovresti essere contento, almeno non sei solo come un cane in questo postaccio-
-L’unica cosa che mi consola della tua presenza è che al posto tuo non ci sia nessuno della Sprechen Field pronto a farmi un buco in fronte-
-Sempre simpatico con me, eh? Almeno stai bene?-
-Io sì. Tu non sembri in forma, sei piena di graffi e hai il vestito sgualcito, non è da te. Sei sopravvissuta a qualcosa anche tu?-
-Sì, ero sull’elicottero della Sprechen Field: mi avevano rapita per fare un torto a Lupin-
-E lui dov’è? E Goemon?-
-Non lo so. Io mi sono salvata perché mi sono liberata e gettata in tempo col paracadute, gli altri della Sprechen Field saranno sicuramente morti. O almeno lo spero-
Fujiko si sedette sulla sedia che prima era occupata da Jigen, che rimase in silenzio a fissare la donna che continuava a parlare. Si accorse poi di qualcosa di inaspettato: dalla borsa a tracolla di lei, poggiata a terra, uscivano fuori dei diamanti.
-E questi? Da dove li hai presi?- domandò Jigen, chinandosi a raccogliere alcuni diamanti.
Fujiko sembrò leggermente agitata.
-L-li avevo presi prima di buttarm…-
-Stai per dire una bugia colossale, lo sento. Ti conosco bene- la interruppe, puntandole la pistola sulla tempia.
-Metti giù quella pistola, stupido!-
-Non lo farò mai, se non mi dici la verità: ti eri associata alla Sprechen Field per avere i diamanti?-
Fujiko non rispose.
-Allora? Su, avanti, parla!- insistette Jigen.
-Se smetti di puntarmi la pistola lo farò, altrimenti non dirò una sola parola-
Jigen acconsentì.
-Sì, è così, ero entrata nell’organizzazione per prendere i diamanti, ma, credimi, l’ho fatto per me stessa, per poi far in modo di aiutare voi. Tutto qui-
-Stai mentendo di nuovo: ti sei associata a loro per fregarci, come sei abituata a fare, perché tu ami prenderci per i fondelli, ingannarci, buttarci via, per poi tornare sempre da noi-
-Appunto, io torno sempre da voi-
L’espressione che aveva Fujiko mentre pronunciava le ultime parole irritò Jigen, che le diede uno schiaffo sulla guancia.
-È vero, torni sempre da noi, quando sei in difficoltà, quando ti trasformi in vittima e ne approfitti di Lupin perché muore ai tuoi piedi, per non parlare di Goemon, che…va beh, lasciamo perdere-
-E tu?- disse Fujiko alzandosi in piedi –Tu sei sempre appiccicato a Lupin, è da quando fai il ladro che non sai fare altro che prendere i suoi ordini, senza avere un briciolo di iniziativa e questo perché, in fondo, non vali nulla. Essere ladri significa anche avere amor proprio e tu non ce l’hai minimamente!-
Un altro schiaffo risuonò sul volto della donna, che si toccò la guancia dolorante, prima di schiaffeggiare lui, quasi saltandogli addosso.
-Brutto bastardo, non ti permetto di toccarmi, sai!-
-Sai reagire come una sgualdrina, non potrei definirti diversamente-
A quelle parole Fujiko rispose con un pugno, che colpì Jigen dritto in faccia.
-Lurida tr…- mormorò toccandosi il labbro superiore leggermente sanguinante.
-Così la smetti di trattarmi come se fossi una di quelle donnacce che sei abituato a frequentare tu!-
Jigen prese nuovamente a schiaffi Fujiko, che urlò di smettere, ma lui non ne voleva sapere di farlo e, afferrandole i polsi, la spinse facendola cadere a terra.
-Ti odio- le disse poi.
-Anche io…Maledetto balordo, se non fossi finita sul fieno avrei anche potuto sbattere la testa e morire. Avresti il coraggio di ammazzarmi? Non credo, alla fine sei un codardo- Fujiko sembrava disperata –Avanti, sparami, se vuoi-
Jigen prese la sua Magnum, ma la gettò a terra.

-Ecco, avevo ragione, sei un vigliacco-

Jigen tese la mano, come se volesse aiutare Fujiko a rialzarsi, invece le afferrò un polso e poi anche l’altro, per spingerla di nuovo sul mucchio di fieno su cui era caduta. Lei lo attirò a sé, per graffiarlo sul collo e tirargli la barba, ma si rese conto di essere in svantaggio, perché lui le stava addosso e poteva farle ciò che voleva, come riprendere a schiaffeggiarla, oppure a pugni, fino a strangolarla, però non lo fece, poiché cercò solo di tenerle i polsi, per non farsi più colpire. Fujiko non poteva muoversi facilmente, ma non si divincolò, non solo perché temeva che Jigen potesse farle male fino ad ucciderla, ma anche perché si era accorta che il contatto fisico gli aveva provocato un’erezione che lei avvertì premere su di sé. I due si guardarono negli occhi, dissero entrambi di odiarsi, ancora una volta, per poi dirselo nuovamente, fino a quando le loro labbra non smisero di pronunciare parole, perché intente a sfiorarsi e a fondersi, poi, in un bacio che sembrava denotare tutto tranne che odio. Fujiko non era certo una che non conosceva le intenzioni di un uomo in una situazione come quella, ma non si allarmò, dato che la chimica stava avendo effetto anche su di lei. Iniziò, quindi, a slacciargli la camicia, mentre lui le sollevava il vestito e riprendeva a dirle che la odiava. Ma a Fujiko quelle parole non facevano più alcun effetto e, dopo aver finito di sbottonargli la camicia, passò alla zip dei pantaloni, mentre Jigen si liberò della cintura in un solo colpo. Senza alcuna esitazione entrò dentro di lei, senza darle alcuna possibilità di muoversi, perché faceva tutto lui e a quella donna, in preda a quel momento di estasi, non restava altro che sentire crescere il piacere assoluto dentro di sé grazie alle spinte che quell’uomo le somministrava in maniera sempre più frenetica, quasi violenta.




-È così che tu odi una donna, vero? È questo il metodo?- domandò Fujiko ironica –E se la ami? Non riesco a immaginare che cosa le faccia; non ci arrivo col cervello, davvero-
-Ognuno ha i suoi metodi- rispose Jigen, accendendosi una sigaretta.
-Perciò picchiarsi e poi fare sesso li trovi come elementi concatenati?-
-Nessuna cosa esclude mai l’altra, ma questo discorso vale per ogni aspetto della vita-
Per un istante regnò il silenzio, in quel fienile, Fujiko e Jigen se ne stavano sdraiati, l’uno accanto all’altro, fissando il soffitto. Erano circa le tredici e il sole che filtrava in quel posto era ancora più forte, ma, fortunatamente, non arrivava su di loro, che sembravano calmi, anche se l’atmosfera non sembrava totalmente rilassata. Il rumore delle ali degli uccelli che si affacciavano sul fienile o che giravano intorno, disturbavano quella quiete dal sapore metafisico. Jigen chiuse gli occhi, come se si fosse addormentato, ma non lo era. Fujiko si girò sul fianco sinistro e si mise ad osservarlo, poi lo prese per mano e lo baciò su una guancia.
-Sei bello, lo sai?- gli disse quasi mormorandoglielo vicino a un orecchio e lui aprì gli occhi.
-Che cosa intendi dire?-
-Mi pare di aver espresso un concetto semplicissimo e molto chiaro, non ci sono significati nascosti. Con quella banalissima frase non ti ho detto se mi sia piaciuto o meno quello che è appena successo tra noi. Però si sa che vuoi uomini, in genere, ci tenete a saperlo. Diciamo che…sì, mi è piaciuto, molto, sono anche venuta e… -
-…ti stai sbagliando, non sono affatto quel tipo di uomo. Non mi interessa sapere quello che ti è piaciuto o meno-
-Ah, no? Ti interessa solo il tuo, di piacere?-
-Non ti ho detto questo. Ho solo affermato che non penso a questi discorsi né mi pongo problemi di nessun tipo-
-Nel senso che per te passare da una violenta litigata a una scopata è qualcosa che ti suscita indifferenza?-
-Ancora una volta mi metti in bocca cose che non ho detto. Io non penso a nulla, non sto dietro a schemi, concetti e intenzioni. Non è la prima volta che succede qualcosa tra me e te, accade e basta, non penso al prima né al dopo e sono convinto che anche per te sia così. Non sei il tipo di donna che ronza intorno a due o tre principi del cavolo-
-Oh, sono commossa. Beh, almeno hai detto la verità e non hai sminuito la mia persona, per questa volta-
-Non ti ho mai mentito, ti ho sempre detto quello che penso di te-
-Nemmeno io ti ho mentito dicendo che sei bello. Questa pippa mentale di discorso è partito da qui. Però non ho ancora capito che cosa tu davvero pensi di me. Ammetti sempre di odiarmi, giusto?-
-Esatto. È proprio questa la ragione: che ti odio-
Dopo quest’ultima frase Jigen si girò verso Fujiko, mostrandole un sorriso beffardo e al contempo complice, lei gli si avvicinò e si baciarono, come se tale gesto fosse un modo per concludere definitivamente un discorso che aveva preso una piega troppo contorta. Ma, soprattutto, per i due non era importante definire nettamente la tipologia del loro rapporto, perché in quel momento sapevano che cosa volevano e lo desideravano più di prima.
-Ma non ti fa male il labbro?- domandò Fujiko, accarezzando quella parte su cui lei aveva prima tirato un pugno-
-Sì, mi fa ancora male, ma è un problema mio, non tuo-
-Beh, mi fa un po’ brutto sapere che provi dolore mentre mi baci-
-Il dolore non è un fastidio, quando ci sono sensazioni che riescono a superarlo-
Questa frase azzittì Fujiko e, ancora di più, risvegliò in lei la voglia di avere di nuovo quell’uomo così ricco di atteggiamenti contraddittori, grazie ai quali sapeva far impazzire le donne. Quei baci dolorosi per Jigen, ma anestetizzati dalla dolcezza travolgente che trasmettevano le labbra di Fujiko, proseguirono fino a quando i due non si ritrovarono nuovamente coinvolti in un’intimità diversa da quella che avevano vissuto poco prima. Questa volta tutto avvenne in maniera più graduale, l’istinto diede spazio al trasporto e il contatto fisico aveva un sapore diverso, dato che si erano privati completamente degli abiti. I loro corpi godevano all’unisono durante ogni movimento e dell’odio reciproco sembrava essere sparita ogni traccia.

-La sai una cosa?- intervenne Fujiko, appena ebbero finito –In tutti i momenti in cui ti ho baciato le labbra ho sentito il sapore del tuo sangue e devo ammettere che mi è piaciuto. Era come se stessi assaggiando un filtro magico-
-Oppure del veleno- rispose Jigen con aria sorniona –E se tu fossi una specie di vampiro, visto che ti piace il mio sangue?-
-Oppure un cannibale e ti mangerei tutto- rispose la donna baciandogli il collo, vicino all’orecchio.
Si assopirono e rimasero abbracciati, lei sotto di lui, mentre continuava a baciarlo e ad accarezzargli le spalle. Era pomeriggio inoltrato, presto sarebbe sopraggiunto il tramonto e, quando Jigen si destò, si sentiva ancora ebbro della pelle di quella donna che gli sembrava sempre più bella, meravigliosa come poche altre.
-Che faremo?- domandò poi a Fujiko, baciandola delicatamente sulla bocca.
-Ci rivestiamo e ce ne andiamo. Sta per fare buio e ho pure fame-
-Ah, ok, perfetto, ma non intendevo proprio ora. Cioè, sì, voglio dire, ora ok, ma…-
Non finì la frase, perché Fujiko voleva alzarsi e così fece, rivestendosi e toccandosi i capelli davanti al suo specchietto.
-Te l’ho detto: dopo esserci rivestiti ce ne andiamo da qui. Non vorrai trascorrere la notte in un posto del genere?-
A Jigen la risposta di Fujiko sembrò strana, forse vaga, come se tra loro due non fosse accaduto nulla. E se fosse lei a odiarlo, in fondo? Si rivestì, si accese una sigaretta e si alzò in piedi. La donna, invece, uscì fuori.
-Dove vai?- le chiese.
-Torno subito. Nel frattempo vorrei capire che strada potremmo fare per andarcene-
La odiava. In quel momento la stava odiando oppure no, non era odio ciò che provava ma un particolare risentimento, soprattutto perché sapeva benissimo qual era la realtà: lei non lo avrebbe amato mai, sebbene ne fosse sempre stata attratta e le piacesse fare l’amore con lui. D’un tratto sentì delle voci: Fujiko stava salutando qualcuno a voce. Prese la sua Magnum, uscì fuori e vide Fujiko correre incontro alle persone che lui aveva sperato di poter rivedere presto: Lupin e Goemon. Si salutarono tutti calorosamente, poi entrarono nel fienile, Lupin sottobraccio a Jigen e Fujiko abbracciata a Goemon.
-Accidenti, quella schifezza di localizzatore non voleva saperne di funzionare bene- disse Lupin.
-Localizzatore?- domandò Jigen.
-Sì, caro. Te lo avevo messo nella tasca della giacca. Purtroppo non è stato facile trovarti, ma alla fine ce l’abbiamo fatta. Fortunatamente Goemon è sempre rimasto con me. Che hai fatto al labbro? Ma soprattutto: Fujiko, che ci fai qui?-
­-Ehm…lei si era messa d’accordo con la Sprechen Field per rubare tutti quei cavolo di diamanti. Gliel’ho fatto confessare quando ho scoperto che alcuni è riuscita a prenderseli lei e abbiamo litigato. E mi ha pure tirato un cazzotto-
Mentre parlava, Jigen si girava a guardare Fujiko, ma lei non seguiva il discorso: si era estraniata per sbaciucchiarsi con Goemon.
-E poi? Che cosa avete fatto?-
-Beh, non valeva più la pena di litigare con una come lei e…-
-E avete fatto la pace,eh? Che bravi bambini-
Dopo la sua ultima frase, dal tono malizioso, Lupin diede una pacca sulla spalla all’amico, mostrandogli un sorriso quasi diabolico. Trascorsero la notte nel fienile, erano a digiuno e non volava una parola. Si erano sistemati tutti vicini, per dormire, ma Fujiko stava abbracciata a Goemon. Jigen non prese sonno.
 
New York, un mese dopo.

Un continuo tintinnio di bicchieri sovrastava un leggero sottofondo di musica jazz, al Whisky Alley, il bar preferito di Jigen, nel Bronx. Il barman serviva cocktail, birre e whisky al via vai di clienti che si appoggiavano al bancone del locale. Anche Jigen era lì, beveva il suo affezionatissimo bourbon e fumava le sue altrettanto affezionate Pall Mall. Era solo e, quando il bar iniziava a svuotarsi, Darren, il barman e padrone, era solito rivolgergli la parola, con consueta indiscrezione.
-Ehi, amico, non ci vediamo da un po’ e sei così silenzioso?- domandò Darren- Non hai nulla da raccontarmi?-
-Uhm…mi conosci e sai che la mia vita non riserva sempre belle cose da raccontare-
-Sei pensieroso…sei indeciso se voler morire di cancro ai polmoni o di cirrosi epatica? Stai bevendo e fumando troppo-
-Dovresti esserne felice: ti pagherò tutto, anche le sigarette di contrabbando che a volte mi passi-
-La tua salute va oltre i miei interessi economici-
-Ma che filantropo…un impiccione come te non poteva trovare scusa peggiore-
Jigen sapeva benissimo che alcool e sigarette erano gli amici più fidati, insieme a Lupin e Goemon, che però non vedeva da due settimane. Di Fujiko, invece, non aveva notizie da dopo la vicenda del fienile, forse era con Goemon, con cui aveva una storia che non sapeva nascondere. Pensava spesso a ciò che era successo tra loro, per lui era come una maledizione che lo portava alle soglie di una frustrazione difficile da debellare. Lui e Fujiko erano incompatibili, era chiaro, anche se fisicamente c’era una sintonia favolosa. E la odiava, quello sì, soprattutto da quando si era reso conto di essersene innamorato. Ma doveva smettere di pensarci e sentiva che ce l’avrebbe fatta. Forse. Poco dopo, gli si avvicinò una donna avvenente, dai tratti somatici un po’ ispanici; il Whisky Alley era spesso frequentato da prostitute e quasi tutte si avvicinavano a Jigen.
-Como estas, hermoso?- gli domandò la donna.
-No, scusami, non ti conosco, non ho voglia, non…-
Darren assistette alla scena con aria quasi divertita.
-Eh, devi fartene una ragione, caro Jigen – disse il barman –ormai in giro si sa che le fai venire tutte, le donne. Perciò dovrai accontentarla-
-Ma smettila…- gli rispose il pistolero, pagando il conto e facendo un cenno alla prostituta di andare via con lui.
Accettare di passare parte della notte con quella sconosciuta non avrebbe rappresentato gran che, nella sua dura esistenza, e si sarebbe sentito solo lo stesso, però era senza dubbio meglio che trascorrere l’ennesima notte in bianco a pensare alla sua vita, ai suoi “se,  ai suoi “ma” e a Fujiko. Quando uscì dal Whisky Alley si trovò faccia a faccia con l’ispettore Zenigata. In tutta New York proprio lì doveva incrociarlo? Che segugio!
-No, ispettore, questa volta mi lasci in pace, per favore. E poi non so dove siano Lupin e gli altri, glielo giuro.  Grazie e arrivederci- gli disse e Zenigata non proferì parola, vedendolo allontanarsi.
 
(c) Fujikofran 2014
          
 
 
 


 
 
   https://www.youtube.com/watch?v=xxrfRaEjAR8
   
 
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