Capitolo 12
La
cena procedette senza intoppi, a parte gli occasionali dispetti di Mei.
Coglieva ogni buona occasione per criticare il cibo e la tavola, senza
il
minimo riguardo. Ma niente di preoccupante per la padrona di casa, che
non si
faceva ingannare dai suoi tiri mancini, restituendoli senza fatica.
Poi arrivò il momento tanto atteso: lo scambio dei regali.
Per ognuno c’era un
pensiero, fatto singolarmente o a gruppi.
Il primo fu Iori, che scartò il libro regalatogli da Rumiko.
La ragazza lo
conosceva poco, ma le era stato descritto come un adulto racchiuso nel
corpo di
un bambino. Dunque la scelta era ricaduta su qualcosa che potesse
stuzzicarne
l’interesse: un’opera letteraria di pregio. Lui
lesse attentamente il retro,
poi si alzò e fece un inchino educato, sorridendole: aveva
apprezzato.
Quando venne il turno di Sora, le venne presentato un pacchetto da
parte
dell’amica e di Daisuke. La rossa lo scartò e
rimase un attimo meravigliata: un
vestito turchese, corto e dal taglio semplice.
-
L’ho
trovato io, ma l’idea è stata di Rumiko!
– gioì il moretto.
-
Voleva
che lo comprassi per me, ma ho pensato che il colore si addicesse
più a te. –
Sora
li ringraziò entrambi, abbracciandoli insieme, cosa che,
manco a dirlo, scatenò
di nuovo la gelosia della biondina.
I pacchetti passavano ancora di mano in mano, quando Mei si sedette,
annoiata.
Per lei non c’era niente, poiché fino a poche ore
fa era estranea a quel gruppo
di amici. Eppure qualcuno le si avvicinò e si sedette
accanto a lei.
-
Buon
Natale. – e si ritrovò un pacchetto sotto il naso.
-
Da
te non voglio nulla, grazie.
– girò
il capo dall’altra parte, indignata.
-
Preferiresti
ricevere qualcosa da Daisuke. – commentò
l’altra.
La
biondina non rispose.
-
Sai
bene che non ti ha comprato nulla, visto che vi siete messi insieme
solo ieri
sera. Perché ti ostini? – chiese Rumiko, attenta a
non apparire indiscreta.
-
Non
sono affari tuoi! –
-
Senti,
io non ti ho fatto nulla, anzi.
–
cominciò ad irritarsi - Vuoi sapere perché lui
è venuto da te ieri sera? Perché
io gli ho detto di lasciar perdere
Hikari. –
-
Me
l’ha detto! Cosa credi?! Che mi faccia piacere sapere di
averlo ottenuto dopo
tanto tempo solo grazie ad un’altra?!
–
-
Potevo
essere io come chiunque altro. Prima o poi qualcuno gli avrebbe aperto
gli
occhi. –
-
Ma
volevo essere io a farlo!
–
-
Non
avrebbe funzionato. –
-
E
perché?! –
-
Perché
tu saresti stata imparziale. Ci voleva una persona esterna per fargli
vedere le
cose oggettivamente. –
-
Però…
lui è stato praticamente spinto nella mia direzione.
– abbassò un poco la voce.
-
E
che ti importa? – la guardò negli occhi
– Quel che conta è che ora state
insieme, no? Se hai avuto un po’ di fortuna, tanto meglio!
–
Lei
non rispose, ma abbassò gli occhi. Sentì il
pacchetto spingerle piano contro la
spalla e si decise ad accettarlo. Lo scartò e
afferrò un… libro?
-
È
un libro di ricette. Visto che hai criticato tanto la mia tavola,
volevo darti
l’occasione di dimostrarci le tue
qualità di cuoca. –
-
Io
non so cucinare… - ammise la quindicenne.
-
Nemmeno
io. – le confidò Rumiko.
-
Ma
se era tutto buonissimo! –
-
Mi
ha aiutata Yamato. – bofonchiò, lanciando
un’occhiata al biondo – Diciamocelo –
aggiunse poi, come se le parole le uscissero a fatica – ha
fatto tutto lui. –
La
biondina rise: in fondo loro due un po’ si assomigliavano.
-
Buon
Natale. – e si ritrovò un pacchetto fra le mani.
Voltandosi incontrò il volto
sorridente di Yamato.
-
Ehm,
grazie, ma io… -
-
Non
fare tante storie e aprilo. Non voglio passare la notte a pregarti.
–
-
Va
bene, va bene. –
Era
di forma cubica e avvolto da una carta blu scura. Il fiocco era stato
fatto
alla bell’e meglio e il nastro adesivo era stato staccato e
riattaccato un paio
di volte.
-
Scommetto
che il pacco l’hai fatto tu. E dire che ti sei descritto come
un perfetto uomo
di casa. – lo canzonò.
-
Appunto:
uomo di casa, non dei pacchetti. – borbottò lui.
La
diciottenne sorrise divertita e scartò con cura il regalo.
Dentro vi trovò una
scatola bianca e al suo interno… dei cd. Anzi, i suoi cd.
-
Ma
questi sono… -
-
Tutti
i singoli e gli album che abbiamo sfornato. –
-
Grazie…
–
Ora
veniva la parte più difficile: riferirgli di non avere alcun
regalo da dargli.
In realtà l’aveva comprato qualche giorno prima,
ma non avrebbe mai ammesso di
averlo ceduto a Mei. Lei stessa si era sorpresa del proprio gesto,
però che ci
poteva fare? Ormai l’aveva già consegnato alla
biondina, perciò…
-
Ehm,
per il tuo regalo devi aspettare un attimo! Mi… mi sono
dimenticata di
prenderlo… dalla mia stanza, è ovvio! –
e si dileguò in fretta, sotto lo
sguardo perplesso di lui.
Chiusasi
la porta alle spalle si guardò attorno, in cerca di
un’idea. Ma quale idea? Non
poteva certo regalargli qualcosa di usato! E poi cosa poteva
interessargli di
ciò che aveva lei? Non c’era nulla di particolare
in quella camera…
Si voltò verso il cassetto e, lentamente, lo
aprì. La foto era ancora al suo
posto, completa di cornice. Era riuscita davvero bene, una delle
migliori
scattate da suo padre, se non fosse per il soggetto che si stagliava
contro la
luna piena. Rimase lì, inginocchiata a terra, pallida e
immobile come pietrificata.
Sentiva lo stomaco torcersi e le lacrime pizzicarle gli occhi, la testa
che le
girava. Ma non pianse e sollevò piano la cornice. Quasi a
fatica la impacchettò
con della carta e del nastro avanzati e ad ogni movimento si ripeteva:
“devo
liberarmene, devo liberarmene, devo liberarmene”. Non
impiegò molto e pochi
minuti dopo si trovava di nuovo in salotto, scossa ma sorridente.
-
Buon
Natale… e scusa se ci ho messo un po’, ma era
rimasto in mezzo alla carta da
pacchi. –
-
Fa
niente, anzi! Mi ha stupito che tu mi abbia voluto fare un regalo,
dopo… -
-
Ti
avevo perdonato già prima della festa. –
-
Allora
ho fatto tutta quella fatica con la canzone per niente? –
-
Apri
il regalo e piantala di lamentarti! –
-
Ah,
guardate, stanno scartando l’ultimo dono! Dai, Yamato, non
tenerci sulle spine!
– e tutti si strinsero attorno alla coppia.
-
Va
bene, va bene… lo sto aprendo. – sorrise il
cantante.
Stava
per togliere la carta, quando, lanciando un rapido sguardo alla
ragazza, si
accorse di quanto fosse pallida. Per un attimo le sue mani si
fermarono,
incerte. Cosa le prendeva tutto d’un tratto?
La cornice gli scivolò in mano e lui la guardò,
gli occhi sgranati. Tutti si
sporsero per vedere il regalo misterioso ed esclamarono un
“oooh”, seguito da
complimenti e apprezzamenti. Solo Taichi parve avere la stessa reazione
di
Yamato ed entrambi si voltarono verso di lei.
“ A che gioco stai giocando, Rumiko? Pensavo che fosse
importante per te, che
non volessi liberartene. Credevo fosse un ricordo importante della tua
vita
passata. Ero convinto che l’avessi nascosta in fondo a quel
cassetto per non
vederla e al tempo stesso tenerla sempre accanto a te. Tua
madre… non è forse
tua madre quella ritratta nella foto? Non è forse la
città dove lei è morta,
quella che si vede? Perché me la stai regalando?
Cos’hai in mente? Sono forse
una semplice discarica di ricordi spiacevoli? O piuttosto mi stai
affidando un
tesoro importante? ”
-
Ti
piace? – chiese lei, la voce ridotta ad un flebile sussurro.
“
Il tuo è lo sguardo vergognoso di chi teme un rimprovero.
No, non mi piace per
niente essere la tua discarica di ricordi infelici. Come non mi piace
la tua
domanda, che al mio orecchio suona tanto ambigua. Vorrei scagliarla a
terra con
tutte le mie forze. Vorrei urlarti il mio sdegno e il mio orrore.
Perché non
posso e non voglio credere che tu
stia facendo una cosa simile. Pensi forse di cancellare il passato,
gettandolo
in faccia ad altre persone? Hai deciso di scaricare tutto su di me,
senza
chiedermi nulla? È per questo che oggi mi hai detto quelle
cose, è per questo
che ti sei confidata con me? Per prendermi in giro? Per usarmi? E mi
chiedi
ancora se mi piace?! NO! ”
-
Sì.
–
“
A che gioco stai giocando, Rumiko? Quando l’ho vista appesa
all’ingresso la
prima volta, ne sono rimasto estasiato, come incantato. Ricordo bene il
tuo
sguardo, che allora mi era parso tanto triste e malinconico. Poi
l’immagine era
sparita, lasciando uno spazio bianco accanto alla porta.
Perché? La stessa
domanda mi ero posta allora e mi pongo adesso. Perché quella
fotografia appare
e scompare in questo modo? Quando non l’avevo più
vista ero sicuro che l’avessi
nascosta, magari anche buttata. Perché ti faceva tornare in
mente cose
spiacevoli, si capiva. E ora eccola risorgere come per magia,
inspiegabilmente.
“
-
Ti
piace? – chiese a Yamato, la voce ridotta ad un flebile
sussurro.
“Sì,
io direi di sì, senza alcun indugio. Lo direi anche solo per
il modo in cui
l’hai chiesto, così tremante e piena di timore.
Immagino che ti sia valso molto
coraggio regalarla. Significa molto per te, su questo non
c’è dubbio. Eppure
sei disposta a separartene, a beneficio di un amico. Lo fai per
riconciliarti?
Vuoi dargli un pegno della tua fiducia? E gli chiedi ancora se gli
piace?! SÍ!”
-
Sì.
–
“
Mi chiedo a che gioco sto giocando. Ma non lo so e non lo voglio
sapere. Ormai,
non ha più importanza, come non ne ha
quest’immagine. Si dice che bisogna
lasciarsi il passato alle spalle, no? Ebbene, io, lo sto facendo. La
sensazione
è brutta: il corpo e l’animo si contorcono, il
cuore piange. Ma è la cosa migliore.
È giusto così. Lo so, eppure non riesco a fermare
il fremito che mi percuote.
Perché? Perché mi sento
così… colpevole? Non può essere una
colpa voler
dimenticare. “
-
Ti
piace? – chiese a Yamato, la voce ridotta ad un flebile
sussurro.
“
Sì, ti prego, dì di sì. Non so
perché, ma sento di aver bisogno della tua
approvazione. Sento lo sguardo di tutti su di me. Anche tu mi guardi,
ma non
riesco a percepire i tuoi pensieri. Sei contorto, Yamato. Sei contorto
e
pericoloso. Te lo leggo nello sguardo, così attento e
sagace. Eppure voglio
sentire il tuo commento, solo il tuo. Il perché, non me lo
chiedo neanche. In
questo momento non saprei rispondermi. Non voglio
rispondermi. E, invece di dar sfogo al mio cuore, ti chiedo se ti
piace.”
-
Sì.
–
“
Non ti chiedo a che gioco stai giocando, Rumiko. Non faccio domande e
non
pretendo risposte. Solo spero tu sappia cosa stai facendo. Sperare
è concesso,
ad un padre? Ecco, mi sono posto una domanda. Avevo deciso di
cancellarle, ma i
punti interrogativi della mia vita sono tanti e irrisolti. Sono uno
spettatore,
io, padre vedovo innamorato di sua figlia. Assisto alla vita della
persona a
cui tengo di più, esterno. Anche adesso osservo i suoi
gesti, la sua
espressione, e capisco. Capisco e osservo, io, il padre esterno.
“
-
Ti
piace? – chiese a Yamato, la voce ridotta ad un flebile
sussurro.
“
Parla. Non voglio dirti come rispondere, io, che non mi pongo domande e
non
pretendo risposte. Ma, per favore, parla, tu che sei entrato nella vita
di mia
figlia. Ti prego, parla, tu che hai il potere di penetrare nel suo
animo. Ti
supplico, parla.
Ricordo
quella volta che ti mostrai le vecchie fotografie. Tu le guardasti e
percepii
in te un fremito. Quella volta, ti innamorasti della mia bambina, morta
un anno
fa. Probabilmente sbagliai, poiché tu fraintendesti il mio
gesto. Io, che non
sono mai stato bravo con le parole, volevo presentarti il suo passato.
Volevo
che conoscessi e apprezzassi la donna che è diventata.
Volevo che le stessi
vicino, che la sostenessi come io non ero più in grado di
fare, non come vorrei.
E così guardo anche questa scena, spettatore paziente che
osserva un dramma o
commedia, che ancora non si sa. Perciò non mi chiedo se ti
piace, io, padre
esterno e innamorato di sua figlia.”
-
Sì.
–
“
E buon Natale a tutti. “
La festa era finita, gli invitati se n’erano andati. Rumiko
si gettò sul letto,
mentre il padre era stato investito del ruolo di “metti a
lavare i piatti, se
no puzzano tutta la notte”. A dire il vero il compito ingrato
era stato giocato
a carta-forbici-sasso.
“ Povero papà… Però
l’idea di affidarsi alla sorte è stata sua!
“ rise piano.
In un altro momento gli avrebbe dato una mano, ma era letteralmente a
pezzi. E
il giorno dopo le sarebbe toccato riordinare tutto.
“ E dire che è Natale!”
sospirò sconsolata.
Si rigirò tra le morbide coperte. Beh, poteva sempre fare
appello ai vicini,
sperando che il biondo non facesse troppe storie. In fondo era lui il
perfetto
uomo di casa, no?
Il pensiero del ragazzo la fece accigliare. Come mai, così
all’improvviso,
aveva tanta voglia di averlo in casa? Ma, a pensarci bene, non era
esattamente
una novità. E poi non c’era nulla di strano nel
voler riallacciare i rapporti
con un amico a cui non aveva rivolto la parola per giorni…
era perfettamente
normale che volesse chiacchierare e scherzare con lui, che era anche
suo
vicino, nonché compagno di classe… ma era
altrettanto normale che lo pensasse
tanto?
Scosse la testa. Meglio non farsi prendere da simili idee sconnesse.
Però, per
quanto cercasse di distrarsi con altri pensieri, non riusciva a
scacciarlo
dalla testa.
Lo sguardo cadde un secondo sul cassetto dimenticato aperto e
automaticamente
la mente ricominciò a viaggiare. Aveva ceduto la fotografia.
Se n’era liberata
insieme al suo passato. Senza sapere il perché,
gliel’aveva regalata. Ora ce
l’aveva lui, magari in camera sua, in un cassetto come il
suo, o forse sulla
scrivania, o su uno scaffale, oppure l’aveva già
appesa al posto di qualche
altro quadretto. Non era mai entrata nella sua stanza,
perciò non poteva
saperlo. Eppure immaginava che in quel momento lui fosse seduto sul
letto, le
gambe larghe e le braccia appoggiate alle ginocchia. O magari con la
schiena
abbandonata contro la parete e una gamba piegata, come suo solito.
Immaginava i
suoi occhi azzurri che scorrevano sulla liscia superficie, attenti e
profondi,
che si perdevano fra i giochi di luce, che delineavano i contorni della
sagoma
dai capelli lunghi mossi dalla brezza… e allora pensava a
lei, ai suoi capelli,
a…
“ Ma che diavolo mi viene in mente?! Devo essermi
rincretinita a causa di
quella compagnia di pazzi! Come posso anche solo immaginare che lui
stia
pensando a me?! Perché dovrebbe farlo? E,
soprattutto… perché dovrei volerlo? ”
Ormai non poteva più nascondere a se stessa di desiderare
che quei pensieri
fossero rivolti a lei. Ma come si era ritrovata a fantasticare cose
simili?
Loro due erano, nell’ordine: vicini, compagni e amici. Le
cose stavano e
andavano bene così.
Allora perché si faceva simili problemi? Perché
continuava a rimuginarci?
Perché desiderava che la notte passasse più in
fretta possibile?
La sua mente stava per formulare la risposta, quando si
assopì. Poco male: il
cervello cancella, ma il cuore ricorda.
Comunque non aveva indovinato. Appena entrato nella stanza, Yamato
aveva deciso
di appendere l’immagine sul soffitto, sopra il proprio letto.
Con attenzione
aveva attaccato dei pezzi di nastro adesivo sul retro, per non
rovinarla.
Ora stava sdraiato sulle coperte. E rifletteva. Il suo sguardo era
fisso
sull’immagine, duro. Più ci pensava e meno
riusciva a capire. Che le era preso,
così all’improvviso? Quali erano le sue
intenzioni? Che significato aveva
quell’oggetto?
All’improvviso si accorse di aver dato troppe cose per
scontato. Tanto per
cominciare l’immagine stessa. Che fosse stata scattata a New
York non c’erano
dubbi, dati gli edifici che spiccavano nel cielo. Ma qui finivano le
certezze e
cominciavano i dubbi.
Innanzitutto
la data in cui era stata scattata. Poteva trattarsi di poco prima la
loro
partenza o l’inizio del soggiorno in America. Dunque una
distanza di quattro
anni. Di per sé la cosa poteva apparire poco rilevante, ma
il ragazzo capì di
aver trovato la pista giusta. Innanzitutto quattro anni fa Rumiko non
aveva di
sicuro quell’aspetto e la figura dai capelli lunghi era di
sicuro una donna.
Poi c’era da tenere conto la morte della madre. Dunque quella
misteriosa sagoma
poteva essere o la madre quattro anni fa, oppure la giovane stessa, non
più un
anno fa.
Non staccò gli occhi dalla fotografia, lo sguardo minuzioso
e la mente lucida.
Poi bisognava considerare un altro particolare, sempre legato al tempo:
i
sentimenti della ragazza. Se era vera la prima supposizione,
significava che
l’immagine rappresentava i giorni felici del passato. In caso
si esaminasse la
seconda, più recente, le cose cambiavano:
quell’immagine le ricordava il
dolore, la disperazione, la solitudine e tutte le emozioni provate alla
scomparsa di una persona tanto cara. E solo una volta accertati i suoi
stati
d’animo avrebbe saputo quale fosse il suo ruolo e come
reagire.
Alla fin fine la soluzione stava nel misterioso personaggio. Si
sollevò a
sedere, deciso. Il giorno dopo si sarebbe recato da loro, magari con la
scusa
di dare una mano con le pulizie, e avrebbe indagato. Difficilmente
avrebbe
ottenuto informazioni da lei, che quasi sicuramente non intendeva
dargliene.
Anzi, se avesse scoperto le sue intenzioni si sarebbe chiusa
ermeticamente e
avrebbe perduto la sua occasione di far chiarezza nella vicenda. Doveva
dunque
rivolgersi al padre, che sicuramente si sarebbe dimostrato
più disponibile a
collaborare. Ovviamente avrebbe agito con discrezione, per non
allarmarli. Ma
era certo della riuscita del suo piano.
Si sentiva uno di quei famosi personaggi di gialli e polizieschi. Solo
che lui
aveva un problema in più. Non essendo del tutto esterno alla
situazione, non
sapeva come comportarsi nei confronti dell’indiziata. Ora la
rabbia e la
delusione per l’enigmatico regalo ricevuto erano passati,
lasciando spazio ad
una sorta d’apprensione mista a impazienza. La fotografia da
offesa era
diventata indizio prezioso, un punto di partenza per conoscere quella
misteriosa ragazza che aveva fatto irruzione nella sua vita.
Continua…