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Autore: CinderNella    01/09/2014    3 recensioni
Inizialmente si sentiva un po’ strana per il fatto che avrebbe condiviso una casa con un uomo.
Insomma, Colette aveva detto che quel Tom era simpatico e a modo, ma lei, Colette ed Elspeth erano sempre state con delle ragazze in casa… Tranne il modello. Ma lui non stava mai a casa. Laire era l’ultima aggiunta, una matricola alla loro stessa università e si trovavano benissimo, ma erano sempre state solo ragazze.
E ora Colette le mollava per tornare al suo paese natio e le lasciava in balìa di un tipo che nemmeno conoscevano. Era un po’ ingiusto.
"Ma se Colette lo conosce in qualche modo e dice che è alla mano, gentile e ha viaggiato molto, ci si potrà fidare..." pensò lei, rincuorata.
[...] Tom uscì dal portone, tirando un sospiro di sollievo: quell’Aneira era una tipa stramba. In positivo, ma lo era.
L’aveva convinto a prendere la camera sebbene non fosse la migliore opzione, ma nel suo essere strana gli aveva già fatto sentire la casa come sua, come se ne volesse fare parte.
Genere: Commedia, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Piccola nota: il titolo è tratto da una canzone dei McFly, per l'appunto "The Guy Who Turned Her Down". La foto del capitolo è stata scattata da me, il banner è stato egregiamente creato da _Lith_ (scusami per non averti nominata nel prologo, l'avevo completamente dimenticato!)
Buona lettura!













 
The Guy Who Turned Her Down








 
 
1. The One With the New Flatmate-To-Be 


 
Colette l’aveva appena avvisata del fatto che fosse in ritardo poiché era andata all’aeroporto a prendere un suo amico che veniva dalla Svezia, quindi sarebbe dovuta essere lei, l’unica presente in casa in quel momento – in realtà era appena arrivata, affannata e puzzolente dall’università – ad esibire la casa allo sconosciuto che si sarebbe presentato a breve davanti alla sua porta. Era corsa dall’università proprio per far trovare qualcuno a casa, sebbene non spettasse a lei, visto che lì ci sarebbe rimasta almeno per quell’anno.
Sbuffò, si cambiò e attaccò il cellulare sottocarica, infilandosi subito il pigiama – avrebbe avuto un lungo pomeriggio davanti. Il telefono vibrò nuovamente:
“È arrivato?” chiedeva Colette, interessata. Rispose che di lui ancora non c’era nessuna traccia e si sistemò i capelli in una treccia, aprendo la porta della camera che sarebbe spettata allo sconosciuto. Inizialmente si sentiva un po’ strana per il fatto che avrebbe condiviso una casa con un uomo.
Insomma, Colette aveva detto che quel Tom era simpatico e ammodo, ma lei, Colette ed Elspeth erano sempre state con delle ragazze in casa… Tranne il modello. Ma lui non stava mai a casa. Laire era l’ultima aggiunta, una matricola alla loro stessa università e si trovavano benissimo, ma erano sempre state solo ragazze.
E ora Colette le mollava per tornare al suo paese natio e le lasciava in balia di un tipo che nemmeno conoscevano. Era un po’ ingiusto.
Ma se Colette lo conosce in qualche modo e dice che è alla mano, gentile e ha viaggiato molto, ci si potrà fidare…
Sobbalzò non appena sentì il campanello suonare: non ebbe neanche il tempo di dare uno sguardo dalla finestra per vedere come si presentasse lo sconosciuto, scrisse un veloce messaggio a Colette e andò a rispondere al citofono per poi aprire la porta di casa. Dopotutto, i vantaggi di abitare al secondo piano che si raggiungeva in trenta secondi in un palazzo piccolo e basso erano quelli. Ma lei amava il suo palazzo in mattoni rossi e infissi bianchi, e amava la sua finestra che dava sulla strada interna che non poteva essere percorsa da auto, amava la vista di quattro rossissime cabine inglesi e di Pizza Express, se solo si fosse sporta un poco più in là oltre la finestra.
Sovrappensiero e con le braccia strette al petto sorrise tra sé e sé: amava la sua casetta e le sue coinquiline a lungo termine. Adorava Colette ed Elspeth e le sarebbero mancate. Colette già da ora, mentre Elspeth dall’anno successivo… e chissà dove sarebbe finita lei dopo. E poi si era già affezionata a Laire, come avrebbe fatto senza di lei?
Si stava facendo prendere da troppi sentimentalismi. Dopotutto non sarebbero partite in guerra, o sarebbero andate in Erasmus o avrebbero cambiato casa, non era un granché diverso e sicuramente si sarebbero continuate a sentire. O almeno sperava.
Lo straniero tossì per attirare la sua attenzione e lei scosse la testa, rendendosi conto del fatto che fosse già lì e si ergesse in tutta la sua altezza: «Mio Dio, scusami. Ero sovrappensiero!»
«L’avevo notato.» aveva risposto quel Tom, con lo sguardo acuto e le labbra arcuate in un sorriso lieve. Sembrava un sorriso birichino che voleva ma non poteva farsi spazio su quelle labbra sottili, perché sarebbe stato molto scortese da parte sua ridere di lei e del suo pigiama di Snoopy.
«Prego, entra. Questo è il mini-ingresso… e io sono Aneira.»
«Piacere di conoscerti, Aneira. Io sono Tom.» si strinsero reciprocamente le mani e la ragazza iniziò a vagare oltre l’arco dagli infissi bianchi senza nemmeno dargli il tempo di presentarsi meglio.
«Scusa il macello, sono appena tornata dall’università e ci sono solo io ora» Aneira diede un’occhiata sfuggente al salotto con i tre stendibiancheria posati in mezzo «Ma non è che la situazione sia molto diversa quando abbiamo il tempo di mettere a posto.» si corresse da sola, e Tom non poté non emettere uno sbuffo che era terribilmente simile ad una risata soffocata.
«Questo è il salotto, come puoi ben vedere. La stanza sulla destra che abbiamo appena superato era quella di Elspeth e questo a sinistra è il bagno armadio delle scope…»
«Perdonami, armadio delle scope?» Tom sbarrò gli occhi chiarissimi, lievemente stupito.
«Sì» Aneira non sembrava turbata e indicò il bugigattolo dove erano presenti un piccolo lavandino, un gabinetto e tante scope «Lo chiamiamo armadio delle scope, ma è anche un bagno.»
«D’accordo…» Tom non sapeva se quella fosse la sua sistemazione migliore. Ma l’avevano sfrattato – in realtà quando aveva preso quella casa in affitto sapeva che i proprietari avrebbero voluto venderla, ma non credeva ce l’avrebbero fatta così in fretta, e invece non poteva esser stato più in errore – e tutto sommato non era brutta. Oh beh, ancora non aveva visto la sua camera, perlomeno.
«Ovviamente noi usiamo questo bagno. Ma se prometti di non sporcarlo lo facciamo usare anche a te» dichiarò candidamente Aneira e per poco Tom non soffocò: notò chiaramente che quel bagno era molto più ampio – Doccia e vasca, già lo amava! – sebbene pieno di roba femminile. Assorbenti e mille phon con mille aggeggi. Dopotutto era una casa popolata da sole donne fino a quel momento…
«Non penso sporcherò più del necessario» commentò lui, ricevendo un’occhiataccia da quell’Aneira: «Noi non sporchiamo, e se sporchiamo, puliamo. Ovviamente c’è una signora delle pulizie che viene una volta a settimana, ma se sporchi, pulisci.» il tono che aveva usato era vagamente minaccioso, ma l’uomo non volle soffermarcisi troppo.
«Dunque, Tom, quella lì è la camera di Laire e lì in fondo» lo costrinse a raggiungere la fine del corridoio «C’è la cucina. È un po’ anni sessanta, ma ti ci abituerai. Probabilmente come i vetri sono ancora degli anni venti il forno è dello stesso periodo, essendo a gas» Tom soppresse un altro sbuffo che sarebbe voluto essere una risata, dato che quella ragazza dava l’impressione di essere tanto sarcastica e ironica, ed esserlo spesso «Ma è un adorabile posticino e quelle poltrone sono mie e di Elspeth. Cioè, non sono nostre, ma noi ci mettiamo sempre lì a parlare dopo cena o prima di uscire… mai in salotto. La poltrona sulla destra è un po’ sfasciata, ma è la preferita da tutte.» e aveva ottime capacità di raffigurare qualcosa. Insomma, Tom già amava quella casa sebbene fosse un bel po’ cadente «Adesso ti faccio vedere la tua camera…»
Aneira riattraversò il corridoio e spalancò la porta all’angolo dei corridoi, dove quello che portava all’ingresso si incrociava ad angolo retto con quello che portava alla cucina, accendendo le luci ed invitandolo ad entrare con un gesto della mano destra «Colette è ossessionata dai fiori. E dalla roba etnica. Ovviamente puoi togliere tutto quello che vuoi, non penso sia del tuo gusto, come quello di nessuno» Tom singhiozzò, incapace di tenere dentro una mezza risata «La finestra porta direttamente sul tetto, nel caso tu voglia vedere la bellissima via pedonale con il rischio di congelarti. La vista è ottima, il rischio di cadere un po’ meno… ma è bello e liberatorio. Ovviamente ci sono un letto, un armadio, una scrivania e una libreria…»
«L’avevo notato!» convenne il riccio, alzando un sopracciglio «Sembra proprio la stanza per uno studente.»
«Lo è. Ma è la migliore stanza di studente che ti sarebbe mai potuta capitare! Insomma, chi ha la finestra che ha accesso sul tetto con le tegole scivolose da cui puoi guardare giù?» Aneira fece spallucce, come se stesse dicendo la cosa più attraente del mondo: Tom non poté non trattenere un sorriso.
«E poi puoi farci quello che vuoi: puoi liberarti della scrivania e prenderti un divano, insomma scegli tu…»
«Io penso che la scrivania mi servirà.» la bloccò Tom prima che partisse in quarta come aveva già capito era solita fare «Ma risistemerò la camera.»
«Oh, okay. Dunque viene tutto cinquecento sterline al mese, bollette comprese, il che è praticamente ottimo per una casa in questa zona. Devo darti il numero dei signori Smith, vogliono mettersi al più presto in contatto con te… sono i padroni di casa, se Colette non te l’avesse detto.» Aneira scomparve per poi ricomparire con un telefono in mano, che iniziò a manovrare con poca leggiadria «Eccolo qui.» gli porse il telefono e Tom segnò il numero sul suo «E avrò bisogno del tuo numero, così lo do al signor Smith che probabilmente mi inizierà a tormentare di telefonate non appena varcherai quella porta.» Aneira indicò vagamente l’ingresso.
«L’ho già salvato sulla tua rubrica.» spiegò il tipo, e Aneira si soffermò attentamente ad osservarlo: «Ehi, ma tu cosa fai? Insomma, perché ti sei deciso a cercare casa così tardi? Normalmente le cercano tutti prima…»
«Lavoro. Purtroppo i padroni della vecchia casa in cui abitavo l’hanno venduta e son dovuto andarmene con breve preavviso…»
«Ed è legale?»
«Non lo so, dimmelo tu, sei tu l’economista!» ribatté quello, alzando un sopracciglio.
«Hai detto bene, mica giurista!» rispose Aneira, tirandosi giù la maglia del pigiama, lievemente imbarazzata «E comunque dove ti ho visto? Hai un volto conosciuto. Insomma, spero tu non sia come uno dei nostri coinquilini passati, era un modello, scompariva per giorni.. ci siamo più volte preoccupate per la sua incolumità fisica quando poi l’unica cosa che faceva era andare a casa delle sue varie fanciulle. E noi che ci preoccupavamo anche per lui, capisci?!»
Quella Aneira parlava assai, senza ombra di dubbio. Tom si massaggiò le tempie e ravviò i ricci con una mano, riponendo lo smartphone in tasca. Aneira lo stava già conducendo verso l’uscita, quando si fermò all’altezza del bagno per guardarlo… trucemente?
«Lo sai che se vuoi prenderla devi avvisare il signor Smith, vero? Perché sennò lui lo chiederà a me e poi…»
«D’accordo, lo farò!» non sarebbe potuto andare a prepararsi per il teatro con quel mal di testa procuratogli dalla parlantina di una delle sue future coinquiline, assolutamente no.
«Non era un tono gentile.»
«Scusami. Avete la lavatrice?» chiese sorpreso subito dopo, dando un’occhiata più attenta al bagno più grande.
«Certo! Una delle poche case nei dintorni ad averla… e ce l’abbiamo noi!» Aneira esclamò, orgogliosa. Come se avere una lavatrice in casa aggiungesse un quid a tutto quello «E non osare sminuirla come fa certa gente, è assolutamente importante. Non devi uscire e andare in lavanderia due volte a settimana se non più!»
Quella Aneira era così strana. Tom diede una veloce occhiata al salotto, vedendo una porta oltre quello aperta: «Cos’è?»
«Oh, la mia camera.» Aneira fece strada e lui la seguì, come del resto aveva fatto fino al momento prima con qualsiasi altra parte della casa «Sì, lo so, parecchio nerd.»
Quello che si stagliava davanti a lui era qualcosa di totalmente nerd: non aveva mai visto così tanto nerd tutto in una camera. Che non fosse di un maschio, poi. C’erano riferimenti – e poster! – delle Cronache del Ghiaccio e del Fuoco e del Signore degli Anelli ovunque, insieme a tante foto di amici e famiglia. Quella Aneira era una tipa davvero strana. Gettò uno sguardo sulla libreria nascosta dietro alla porta, notando tanti romanzi fantasy – e ancora nerd! – ma anche letteratura vittoriana, regency e… Shakespeare. E anche diversi libri di Sophie Kinsella, e non se lo sarebbe aspettato.
Ma nel complesso era una camera bella: era arredata secondo un ordine. Lo percepiva, sebbene sembrasse anche un po’ in disordine, con la borsa malamente posata su una sedia e i libri che sovrastavano la scrivania di fronte alla finestra, mentre dalla lampada vintage rossa pendevano strani cartellini. Era una camera che dava un’idea di… contentezza.
«Allora, vuoi prendere il posto di Colette?» strana scelta delle parole, quella: Tom si voltò a indagare il volto di Aneira, che arrossì lievemente. Si riferiva alla camera? No, più probabilmente al posto emotivo che occupava quella Colette nei loro cuori.
«Penso prenderò la camera, sì. E chiamerò il signor Smith come mi hai precedentemente e caldamente suggerito di fare.» era una nota ironica nel tono della sua voce? Forse l’aveva tediato un po’ troppo con quella faccenda?
«Oh, okay. Ti trasferisci domenica?»
«Penso proprio di sì. Ti trovo?» l’uomo – effettivamente non sapeva se chiamarlo ragazzo o uomo, sembrava un ragazzo, ma anche un uomo… sarebbe stato troppo scortese chiedergli l’età? Dopotutto, non è che Colette fosse piccola, eppure era parte della loro famiglia fuorisede… – era indaffarato a controllare qualcosa sul suo smartphone, ma poi alzò gli occhi sulla figura di Aneira in attesa della risposta.
«Sì, penso di sì.» rispose la ragazza, posandosi sulla porta «Ehi, toglimi una curiosità: sei vecchio?»
«Come, scusa?» quella ragazza non cessava di stupirlo. Ed era stato in quella casa venti minuti.
«Sì, insomma, quanti anni hai?»
«Ne farò trentatré a breve. Perché?» non gli sfuggì l’espressione sul viso di Aneira «Non sembra, ti davo del ragazzo.»
«Beh, mi sento un ragazzo.» rispose candidamente lui, facendo spallucce.
«Comunque, ci vediamo domenica! Buon pomeriggio!»
«A domenica!»
«Ehi dimenticavo: vuoi un tè?» chiese lei, quando era già a metà rampa di scale: Tom scoppiò a ridere e non si trattenne «Stai davvero facendo gli onori di casa quando me ne sono ormai andato?»
«Avevo altre cose da dire prima!»
«Comunque no, ma grazie. Ho da fare tra dieci minuti…»
«D’accordo, sarà per un’altra volta. Tanto abbiamo un intero scaffale pieno solo di tè e infusi…» disse più a se stessa che a lui, chiudendo la porta.
Tom uscì dal portone, tirando un sospiro di sollievo: quell’Aneira era una tipa stramba. In positivo, ma lo era.
L’aveva convinto a prendere la camera sebbene non fosse assolutamente la migliore opzione, ma nel suo essere una tipa a sé gli aveva già fatto sentire la casa come sua, come se ne volesse fare parte. Ed era anche vicinissima a dove stava lavorando in quel periodo e non l’aveva riconosciuto. Insomma, gli aveva chiesto se l’avesse già visto in giro – a buon ragione, visto che a quattrocento metri c’era un teatro che aveva le locandine con la sua faccia stampata sopra un po’ ovunque – ma non l’aveva di fatto riconosciuto.
E si era presentata con uno smartphone dell’anteguerra – lei che tanto denigrava gli orpelli antichi della cucina – e in pigiama. A presentare casa in pigiama. Ripensandoci, Tom emise una debole risata, incredulo. Poi si rese conto d’aver raggiunto il teatro e sospirò rilassato: era l’ora di iniziare a prepararsi.

 
  
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