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Autore: Narmona    04/09/2014    3 recensioni
[shonen-ai Wright/Edgeworth] [Attenzione spoiler Phoenix Wright - Justice for All]
Dopo averlo creduto morto per un anno intero, Wright non ha alcuna intenzione né di incontrare né di ascoltare le spiegazioni di Edgeworth, tanto da evitarlo per telefono e addirittura per strada. Questa sua ostinazione nasconde in realtà tutta la rabbia e la disperazione provata in quell'anno di sofferenza per aver perso la cosa più cara che aveva al mondo. Ma questa situazione non è destinata a durare a lungo e quando Wright si ritrova in uno dei quartieri più malfamati di Los Angeles capisce che forse è arrivato il momento di affrontare faccia a faccia quel procuratore impassibile ed egoista e dirgli tutto, ma proprio tutto.
Genere: Sentimentale, Suspence, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Dick Gumshoe, Miles Edgeworth, Phoenix Wright
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Era un freddo pomeriggio dei primi di Aprile quando il telefono squillò per l'ennesima volta nell'ufficio Wright & Co.

Phoenix stava leggendo un vecchio dossier trovato negli archivi del suo ex capo Mia per passare il tempo mentre il vetro della finestra si appannava a causa dei riscaldamenti dell'ufficio. Lo squillo improvviso del telefono posto proprio vicino la sua scrivania lo spaventò:

-Woah! Oh accidenti, è solo il telefono!- Esclamò alzandosi dalla sua comoda sedia da lavoro e avvicinandosi a quell'apparecchio infernale.

Ma invece di rispondere con il suo solito tono allegro, l'avvocato rimase a fissarlo immobile mentre continuava a squillare senza alzare la cornetta, osservando lo schermo del cordless lampeggiare di luce arancione. 

Era consapevole di quello che stava facendo: magari era un cliente che aveva urgente bisogno di lui, o magari era Maya che gli telefonava dal villaggio Kurain per sapere come stava, ma qualcosa dentro di se gli diceva che in realtà era lui che ci riprovava per l'ennesima volta. In ogni caso non avrebbe risposto, voleva evitare di trovarlo dall'altro capo del filo e di dovergli chiudere il telefono in faccia. 

Non voleva risultare maleducato, non più di quanto risultava già.

Dopo pochi altri squilli il telefono cessò di suonare e si mise in funzione il servizio di segreteria telefonica, una piccola funzione tanto comoda quanto antipatica quando si cercava di evitare qualcuno. Il nastro cominciò a registrare il messaggio e il suono di una voce calma e profonda si diffuse nella stanza dell'ufficio dopo la stupida filastrocca che Maya aveva registrato per la segreteria.

-Wright, sono Edgeworth. So perfettamente che sei li ad ascoltarmi, questo è il dodicesimo messaggio che ti lascio dalla fine dell'ultimo caso. Devo parlarti Wright, smettila di evitarmi. Dammi almeno un'opportunità per spiegarti... Va bene, richiamami appena puoi!-

La segreteria del telefono concluse la registrazione con un sonorobip”. Wright rimase ancora per qualche istante a fissare il telefono immerso nei suoi pensieri, poi con uno scatto premette il suo indice ben allenato sul tasto “delete” senza alcun indugio. 

La segreteria del telefono riavvolse il suo nastro con un rumore piacevole e cancellò tutto quello che aveva appena registrato.

Il giovane avvocato si passò una mano sui capelli a punta, poi tornò al suo posto dietro la scrivania riprendendo tra le mani il dossier che stava leggendo.

Erano passati diversi giorni dall'ultimo caso che aveva affrontato, un caso davvero difficile che lo aveva provato sia fisicamente sia mentalmente. 

Scoprire che il suo cliente Matt Engarde non solo era davvero colpevole ma che aveva anche architettato il rapimento di Maya per costringerlo a difenderlo in tribunale con ricatti e minacce era stato davvero un duro colpo per l'avvocato corvino. 

Fortunatamente era andato tutto per il meglio e ora Maya e Pearl si stavano godendo una piccola vacanza al villaggio Kurain, lasciandolo solo con i suoi pensieri.

Alla fine l'esperto dei bluff lasciò perdere il dossier e s'immerse in questi ultimi, appoggiando i gomiti sulla scrivania e posando il mento sulle mani intrecciate.

No, non lo avrebbe mai perdonato, non dopo quel brutto tiro che gli aveva giocato, non dopo essere stato nuovamente abbandonato senza alcuna spiegazione, non dopo quell'annata da incubo che aveva vissuto per colpa sua,

-Miles Edgeworth... non voglio sentire mai più questo nome, non voglio vederlo mai più, nemmeno in fotografia!- Sibilò a denti stretti.

Aveva accettato il suo aiuto nell'ultimo caso soltanto perché non sapeva davvero a chi rivolgersi e perché lui si era offerto più volte di aiutarlo, ma in altre circostanze non lo avrebbe mai fatto. Da quando era venuto a conoscenza di quel biglietto, per lui Edgeworth era davvero morto.

Il solo pensiero di quella maledetta frase, di quelle parole d'orrore che avevano trovato nel suo ufficio in procura quasi un anno prima gli strinse lo stomaco in una morsa dolorosa. Per tutto quel tempo aveva creduto che il procuratore fosse morto, che si fosse suicidato, tutto per colpa sua. 

Anche tutti gli altri avevano pensato la stessa cosa e la sorella adottiva Franziska Von Karma era addirittura arrivata in America con il solo scopo di fargliela pagare.

Per distogliersi da quei ricordi amari volse lo sguardo verso la finestra che dava sulla facciata dell'Hotel Gatewater. Il vetro era tutto appannato a causa dei riscaldamenti dell'ufficio, ma fuori il vento sferzava ogni cosa ululando tra le strade come un lupo famelico.

Uno strano fenomeno per i primi giorni di Aprile.

Un'idea malsana balenò nella mente offuscata dai pensieri di Wright e in poco tempo il ragazzo si ritrovò a vagare per le strade della città proteggendosi dalle raffiche di vento con il suo impermeabile bianco. Si sentiva esattamente come Leopold Bloom nell'opera Ulysses, stava cercando di distrarsi dalla noia e svuotare la mente da tutti i pensieri che lo assalivano passeggiando per quelle strade deserte e battute dal vento.

In realtà Phoenix era uscito solamente perché voleva allontanarsi da quel telefono che da giorni lo assillava con le telefonate a volte imploranti a volte furiose di Edgeworth. Un giorno si era addirittura presentato davanti il portone di casa sua e aveva cercato di convincerlo ad aprirgli. 

Gli aveva chiesto il perché fosse così tanto arrabbiato con lui, gli aveva proposto di parlarne faccia a faccia, magari davanti una tazza di tè, si era anche offerto di pagargli un anno di affitto (proposta che innegabilmente gli fece gola!!) per la disperazione, tutto invano. Alla fine aveva desistito e se n'era andato.

Wright non si capacitava del fatto che un “genio” come lui non riuscisse a capire il perché della sua rabbia. 

Eppure era così semplice capirlo, tutti lo sapevano, anche quell'idiota di Larry alla fine lo aveva capito. Lo sapeva anche Maya che un giorno lo aveva lasciato senza parole quando gli aveva chiesto conferma con fare diretto, non lasciandogli la possibilità di mentire. Anche il detective Gumshoe sapeva tutto (Wright stava ancora cercando di capire come lo era venuto a sapere) e dal giorno in cui lo aveva scoperto riteneva l'avvocato un rivale da battere, o abbattere, con ogni mezzo e senza alcuna pietà. Soltanto lui non aveva capito nulla e non sospettava di niente. 

Il suo amico d'infanzia stava cercando disperatamente di riportare tutto alla normalità, ma Phoenix sapeva che ciò non era più possibile.

Senza accorgersene nel suo vagabondare, l'avvocato difensore si ritrovò a passeggiare davanti il distretto di polizia dove la mascotte della polizia Sbirrotto non smetteva di ballare un solo secondo. Wright si fermò ad osservare le sue movenze ipnotiche con quelle braccia disarticolate che giravano attorno a dei perni fissati sui gomiti della sagoma.

Tutto sommato Gumshoe riesce a fare qualcosa di buono quando ci si mette!  Pensò distogliendo lo sguardo dalla mascotte e rivolgendolo al viavai di gente che entrava e usciva dalla porta principale dell'ufficio.

Il distretto era sempre affollato, a qualunque ora, e quel giorno non faceva eccezione anche se tirava un vento artico.

Aggiustandosi il bavero della giacca, l'avvocato colse tra la massa di gente che usciva dalla porta il colore disgustosamente lercio dell'impermeabile del detective Gumshoe. 

Quest'ultimo lo vide a sua volta e lo salutò energicamente come al suo solito, urlando dei “Ehi, amico!” e uscendo dalla massa di persone, trascinandosi dietro qualcuno dall'abbigliamento dai colori appariscenti.

Appena Phoenix vide il colore rosso del completo di Edgeworth fece subito un passo indietro, piuttosto scioccato dall'incontro inaspettato.

Cosa ci faceva il procuratore Edgeworth nel distretto di polizia a quell'ora? Di solito preferiva di gran lunga sorseggiare un tè nel suo lussuoso ufficio in procura.

Anche Edgeworth fu sorpreso dall'incontro. Rimase per qualche istante a fissare l'avvocato con uno sguardo sorpreso, poi riprese il controllo di se stesso:

-Wright!- Riuscì a dire, ma l'avvocato non gli permise di continuare la frase, girando subito i tacchi e allontanandosi da loro a grandi falciate, quasi correndo.

In pochi minuti svoltò l'angolo e si ritrovò in una stradina secondaria tra un grande edificio e un piccolo negozio di abbigliamento. Wright sapeva che era sempre pericoloso intrufolarsi nei vicoli di quartieri che non conosceva, ma quella era un'emergenza perciò continuò a camminare imperterrito evitando cassonetti e rifiuti vari. 

Sapeva che il procuratore lo stava seguendo e non lo avrebbe lasciato andare tanto facilmente perciò allungò gradualmente il passo ritrovandosi alla fine a correre con tutte le sue forze. Ma da cosa scappava?

Insomma non era lui quello nel torto, non aveva fatto nulla di male, anzi era lui quello che doveva agguantare il procuratore per il colletto e dargli un pugno in faccia per tutte le sofferenze che aveva provato per colpa sua. Invece stava scappando come un coniglio di fronte alla possibilità di ritrovarsi faccia a faccia con lui e discutere per potergli urlare contro tutta la sua rabbia.

Dopo aver svoltato in alcuni luridi vicoli ricolmi di rifiuti ed orrendi animali vari, l'avvocato sbucò improvvisamente nel quartiere più malfamato della città di Los Angeles,.

Nel riconoscere le strade e gli edifici di quella parte della città, le gambe di Wright cominciarono a tremare involontariamente mentre il suo corpo iniziò a sudare febbrilmente.

Mio Dio, MIO DIO!! Dove sono finito?!!

Una violenta folata di vento lo colpì in pieno volto scompigliandogli i capelli corvini ed insinuandosi nelle aperture del suo impermeabile, facendolo rabbrividire violentemente. 

Ormai si era fatto tardi e il sole stava per tramontare oltre lo skyline dei grattacieli della grande metropoli, lasciando spazio ad enormi nuvoloni grigi e carichi di pioggia che sospinti dal vento si stavano addensando sulla cittadina con fare minaccioso.

Phoenix si fece prendere dal panico più totale. Tornare indietro voleva dire andare incontro a colui che stava cercando di evitare da giorni ( o comunque perdersi irrimediabilmente nell'intricato labirinto di vicoli e viuzze di Los Angeles), d'altro canto proseguire nel quartiere significava invece diventare un bersaglio facile per qualsiasi tipo di delinquente che si trovava in quel posto terrificante.

Mentre la mente spaventata del ragazzo in blu cercava a fatica di scegliere il male minore, un gruppo di persone poco raccomandabili si avvicinarono al giovane senza che quest'ultimo li notasse.

-Ehi tu, signorotto, ce l'hai da accendere?- Chiese uno di loro all'improvviso, facendo sussultare il ragazzo e riportandolo alla realtà.

-Oh.. eh, io non fumo, mi dispiace!-

Il gruppo di uomini, tre in tutto, lo squadrò per bene senza proferire parola, terrorizzando a morte l'avvocato a morte. Il loro abbigliamento, come le loro capigliature e i loro sguardi torvi, tutto rendeva quegli individui poco raccomandabili e terrificanti, dei veri galeotti. Per non parlare dei tatuaggi.

Cosa vogliono questi tipi loschi da me?? Dio aiutami!

-Sembri uno piazzato bene- Disse d'un tratto uno dei tre -Sei uno di quei ricchi sbruffoni che vive nei quartieri lussuosi?-

No, non mi chiamo Edgeworth! Pensò subito il ragazzo, ma si limitò a scuotere la testa.

-Non ci credo!- Continuò l'altro -Sono sicuro che hai tanta grana in quelle tasche!-

-Vedi, se farai il bravo, non useremo questo nostro piccolo amichetto, d'accordo?- Disse un altro sfoderando un coltello a serramanico dalla tasca semi stracciata del suo jeans.

Alla vista di quella lama Wright si sentì mancare. Non aveva nemmeno un dollaro con se, ma quelli non sembravano tipi con cui poter discutere e ragionare e sapeva fin troppo bene come sarebbe degenerata la situazione.

-Io non ho niente con me, davvero... vi prego, credetemi!-

-O i soldi o la vita, bastardo! Non farmelo ripetere!-

-Caccia i soldi se vuoi vivere!-

Wright non sapeva davvero cosa fare, non poteva dargli qualcosa che non aveva e non poteva nemmeno spiegarglielo. 

Era in trappola, in una trappola mortale. Ora capiva come si poteva sentire un topo quando, nascosto in un buco senza via d'usciva, cercava disperatamente di non farsi catturare dal gatto.

La lama veniva agitata freneticamente dal malvivente davanti ai suoi occhi nella speranza di convincerlo a cedergli gli ipotetici soldi che aveva e Wright la osservava senza perderla di vista un solo istante, come se potesse incenerirla o fonderla con il potere della disperazione.

-Questo non ha un soldo bucato, fratelli!- Disse alla fine il più piccolo dei tre che fino a quel momento non aveva mai parlato -Fatelo fuori e andiamo via!-

Il cuore dell'avvocato mancò un battito mentre la sua fronte cominciò a sudare freddo. Tutto intorno a lui cominciò a vorticare velocemente mentre la lama del coltello, più lucida e splendente che mai, veniva spinta con forza verso il suo corpo.

Sto per morire...Edgeworth...

-Giù le armi, canaglie!-

Improvvisamente un urlo stridulo proveniente dai vicoli dietro il ragazzo corvino riecheggiò nel vento gelido, accompagnato dal rumore di colpi da sparo esplosi a vuoto.

I tre malviventi si spaventarono nel sentire quegli spari e la lama si fermò giusto in tempo. 

Wright si ritrovò a guardare l'arma a qualche centimetro di distanza dal suo impermeabile bianco, poi i delinquenti la intascarono per darsela a gambe levate, lasciandolo solo sul ciglio della strada, sconvolto e confuso più che mai.

Un rumore di passi lo raggiunse alle sue spalle, poi una mano si appoggiò delicatamente su una di esse mentre una voce calma e profonda, la stessa che ore prime lo aveva cercato al telefono, lo chiamava a se.

Wright girò la testa verso il procuratore cremisi posando lo sguardo gonfio di lacrime e paura nel suo, poi le sue gambe tremanti cedettero facendolo accasciare a terra. 

Con una prontezza di riflessi degna di nota, Edgeworth riuscì a sostenere l'avvocato per un braccio evitandogli una caduta rovinosa e facendolo adagiare delicatamente sul marciapiede.

-Sei uno sciocco Wright! Ti stavano quasi per ammazzare!- Lo rimproverò il procuratore parandosi davanti a lui.

Nonostante la confusione e lo shock appena subito, Wright colse tutta la preoccupazione ed agitazione del suo storico rivale in quelle poche parole portate via dalle furiose folate di vento.

-Sei davvero fortunato, amico, Edgeworth ha insistito affinché ti cercassimo per tutti i vicoli del quartiere!- Aggiunse il detective Gumshoe sbucando dalla penombra del vicolo con in mano ancora la pistola fumante.

-Avevo capito subito che questo incosciente si stava dirigendo verso questo quartiere!- Rispose prontamente il ragazzo dai capelli argentei -Per fortuna la mia intuizione si è rivelata giusta!-

-Ed-Edgeworth...- Sussurrò il ragazzo tremante -Dobbiamo parlare...-

-Non ora Wright, dobbiamo portarti via di qui!-

Aiutato dal detective Gumshoe, Edgeworth tirò in piedi l'avvocato e passò un suo braccio sul suo collo per poterlo aiutare a camminare.

Wright fu portato nel distretto di polizia dove fu fatto sedere nella stanza degli interrogatori e gli fu servito un infuso di tè alquanto scadente.

-Ora vi lascio, signore, ho delle ultime pratiche da svolgere!-

-Si, grazie detective. Mi occuperò io dell'avvocato Wright!-

Il detective Gumshoe annuì soddisfatto, poi lasciò la stanza e i due legali con tutta fretta. Appena rimasti soli, Edgeworth piantò il suo gelido sguardo sull'avvocato.

-Che cosa ti è saltato in mente Wright? Sei diventato pazzo tutto d'un tratto?- Urlò furibondo togliendoli dalle mani la tazza di tè semivuota e sbattendola con forza sulla scrivania. Tutto il tè rimasto nella tazza schizzò fuori sporcando il tavolo e la mano del procuratore, spargendo il profumo per tutta la stanza.

-Io non sapevo che quei vicoli portavano a quel quartiere!- Si difese Phoenix abbassando lo sguardo.

Si sentiva molto meglio ora che aveva bevuto una bevanda calda in un posto sicuro come la centrale della polizia, ma aveva ancora una cosa da sbrigare, una cosa molto importante che non poteva più rimandare.

-Edgeworth, dobbiamo parlare...-

-Ah, ora il grande Phoenix Wright vuole parlare! Dopo tutte le volte che ti ho cercato in questi giorni non hai mai voluto parlarmi, ora sono io che non voglio ascoltare te!-

-Sei stato in pensiero per me, vero?- Chiese all'improvviso l'avvocato guardandolo negli occhi -Lo posso sentire dalla tua voce. Ora potrai capire come mi sono sentito io in quest'ultimo anno, con la sola differenza che io ti credevo morto!-

Mentre diceva quelle parole, i suoi occhi divennero lucidi. Edgeworth rimase a fissarlo in silenzio.

-Tu sei proprio un egoista Edgeworth, pensi solo a te stesso ignorando le persone che ti stanno accanto e ciò che provano...-

Con una mano, Wright si asciugò rapidamente una lacrima solitaria che tentava di solcare le sue guance battute dal vento. Non c'era spazio per le lacrime, ne aveva versate anche troppe in quell'anno per quell'uomo che non le meritava.

-Io ho dovuto farlo, dovevo trovare un senso alla mia vita- Si limitò a rispondere Edgeworth continuando a fissare con il suo sguardo duro il suo rivale.

-Certo, ovviamente, sacrificando tutto il resto, facendoti credere morto... e l'hai trovato questo preziosissimo senso?- Chiese ironicamente Wright spostando lo sguardo sul pavimento a quadri della centrale.

-Si, credo di si- Rispose Edgeworth avvicinandosi al ragazzo che ancora stava seduto sulla sedia -Ho capito cosa vuol dire essere procuratore, cosa vuol dire la parola giustizia e come perseguirla. Ho compreso l'importanza dell'identità individuale delle persone, degli affetti e dei piccoli gesti, ho compreso ciò che è davvero importante per me e ciò che non lo è!-

-Sono contento per te-

-Guardami Wright-

Riluttante, l'avvocato spostò il suo sguardo stanco e disilluso in quello del suo amico-nemico per poi sgranarlo per lo stupore quando Edgeworth accostò le labbra alle sue, rubandogli un timido, insicuro e dolcissimo bacio.

-Era questo quello di cui volevo parlarti Wright, e per cui ti ho cercato incessantemente per tutti questi giorni nonostante ti rifiutassi di parlarmi. Wright, in questo anno di assenza in cui ho riflettuto sulla mia vita ho capito che una delle cose più importanti che ho sei tu, e non voglio più abbandonarla, né lasciarla, né perderla!-

-Edgeworth...!-

-So quello che provi per me, l'ho sempre saputo ma ho sempre fatto finta di niente perché non sapevo ciò che volevo, non avevo le idee chiare, ma ora ne sono più che sicuro. Wright, se sono tornato è anche e soprattutto per te!-

Finalmente i suoi occhi si liberarono del peso delle lacrime che si riversarono tutte sulle guance. 

Wright non poteva credere alle sue orecchie, non poteva credere ai suoi occhi; era tutto così strano, così onirico, tutto così incredibilmente bello. Edgeworth asciugò le sue lacrime con il pollice, poi accostandosi al suo viso gli diede un altro piccolo, dolce bacio. 

Quando si divisero, il procuratore sussurrò nell'orecchio del giovane corvino le parole più belle e dolci del mondo, ricevendo in cambio un abbraccio e un altro, intenso bacio.

Protetto dallo schermo a specchio della stanza, Gumshoe assisteva impassibile alla scena.

-Complimenti Phoenix Wright, hai vinto...-

  
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