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Autore: Black Iris    11/09/2014    0 recensioni
Piccola missing moments riguardante il lore di Varus.
buona lettura a tutti ^_^
Genere: Drammatico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La mattina era il momento più silenzioso di tutta la giornata. Tutti in casa dormivano e se si ascoltava bene si poteva addirittura sentire i primi animali che si svegliavano e si aggiravano nei pressi della loro casa in cerca di una colazione facile da ottenere. Infondo anche loro potevano essere stanchi la mattina.
Varus si vestì in fretta, ma senza fare il minimo rumore per non svegliare la moglie che si sarebbe alzata solo tra un ora. Le diede un bacio sulla fronte e uscì fuori dalla camera, il tutto nel modo più silenzioso possibile. sembrava quasi un peccato rovinare quel silenzio. Andò in cucina, dove la moglie gli aveva lasciato del pane e del miele. Spalmò il miele sulla fetta di pane e mangiò in modo da poter assaporare quel momento di dolcezza. Prima di uscire di casa fece un ultima tappa nella stanza dei bambini. Il più grande aveva sette anni e dormiva in modo scomposto, mentre la piccola di cinque anni stava in modo più ordinato rispetto al fratello. Varus li salutò piano, con un tono quasi impossibile da sentire e uscì di casa per dirigersi al tempio. Cosa poteva andare storto quel giorno?
Dalla borsa a tracolla che teneva sempre con se quando andava a lavoro estrasse una chiave robusta e sbiadita, come se avesse visto molti anni e la infilò nella fessura della porta del tempio, quella aprendosi cigolò forte, “prima o poi dovrò sistemarla” pensò l’uomo. Andò a mettersi le vesti del tempio. L’abbigliamento non consisteva in niente di speciale, si trattava di una maglia corta con una manica sola e dal colletto alto, dal colore bianco puro. Sopra vi metteva solo una cintura per tenerla fissa che  gli passava sopra le spalle, sopra a quella destra c’era anche uno spallaccio che serviva a proteggere il braccio quando combatteva, perché Varus stava imparando l’arte dell’arciere. Al tempio aveva appreso le tecniche base e sin dall’inizio possedeva una certa abilità nel mestiere. Il suo compito era puramente quello di difendere il tempio da eventuali attacchi. Invece che imparare le arti marziali tipiche di Ionia, aveva preferito maneggiare quell’arco che sin da piccolo vedeva in un altare del tempio. Era grosso e pesante, in ferro, con i bordi dorati. Nel ferro vi erano incise delle rune, dal significato ancora sconosciuto per i sacerdoti. Alle gambe aveva dei pantaloni metà blu, metà neri e dei gambali dorati. Teneva i capelli legati in una coda di cavallo, perché al tempio non poteva tenerli sciolti, gli davano fastidio quando si allenava.
Aveva appena finito le preghiere quotidiane e ora stava pulendo i vari altari del tempio. Mentre puliva si trovò davanti a quella stanza. Quella che non poteva aprire, nella zona più remota del tempio. La porta nera presentava delle rune scritte su quasi tutta la lastra di legno. Il significato di quelle era molto chiaro invece. Avvertivano le persone di non entrare, non provare neanche a mettere piede o a girare la maniglia della sala o terribili cose sarebbero successe. Non ci aveva mai dato molta importanza, per quanto la sua dedizione al sacerdozio era forte, aveva sempre visto quella sala da lontano sei mai avvicinarsi, per lui era come il fuoco. Dentro vi poteva essere la salvezza, ma con quella anche la distruzione dell’equilibrio e di conseguenza la corruzione delle leggi del cosmo. La corruzione era sbagliata, così gli avevano detto, ma cosa c’era davvero lì dentro non lo sapeva neanche lui. Come al solito continuò a fare i suoi impegni da sacerdote e accolse tutte le persone che venivano a portare doni negli altari, magari per ricordare i morti o solo per tradizione. E ogni persona veniva accolta con un sorriso e usciva soddisfatta.
Arrivò al tempio una giovane donna, i lunghi capelli sciolti le cadevano morbidi sulle spalle, lo sguardo profondo squadrava la sala delle offerte, come alla ricerca di qualcosa. Aveva addosso solo qualche straccio, sembrava stanca e affamata. Quando Varus la vide le diede soccorso, la fece accomodare in una camera per viaggiatori e si procurò qualche vestito da donna.
-Che cosa vi è successo?- le chiese mentre le medicava una brutta ferita che aveva alla gamba.
-Il mio villaggio è stato attaccato- rispose lei dopo un lungo silenzio, -I soldati di Noxus sono arrivati nel cuore della notte.. e non hanno risparmiato nessuno- cercava di non piangere, ma la cosa le costava non poca fatica.
-Da che villaggio vieni?-.
-E’ un villaggio non molto lontano da qui, solo dieci ore di viaggio a piedi, sorge sulle sponde di un lago, ai piedi di una montagna-. Mentre descriveva teneva gli occhi chiusi, si immaginava quei panorami affianco ai quali era cresciuta e le persone che conosceva. Non c’era più niente, né le persone, né i panorami. Era bruciato tutto, in una notte, la sua vita aveva preso una svolta drastica. Cosa poteva fare adesso? Non aveva più una casa, o una famiglia e il suo passato era stato raso al suolo.
-Sono corsa qua, per rifugiarmi, speravo di partire il prima  possibile per la capitale e avvertire di cosa ho visto e che cosa è successo-.
-Che cosa hai visto, nel tuo villaggio? Che armi usavano?- Varus sembrava sempre più preoccupato, sapeva dove si trovava la città da cui veniva la giovane donna, l’idea che potessero marciare verso di loro lo spaventava. Lui doveva proteggere il tempio, che in caso di guerra vengono sempre saccheggiati, ma peggio ancora, cosa avrebbe fatto se sarebbero andati a casa sua. Era quella più vicina al bosco, quella più esposta. Sua moglie era a casa e forse anche i figli lo erano. Strinse i denti e scosse la testa, no, non era possibile che andassero proprio da loro, era un villaggio piccolo e inutile, al massimo sarebbero marciati verso est a conquistare le città commerciali, non quel piccolo puntino in mezzo al bosco.
-Avevano delle armi da guerra strane.. difficili da descrivere. Sparavano dardi grandi quanto tronchi e avevano delle armi che esplodevano, rilasciando una strana sostanza verdognola. Non la si poteva respirare. Ho visto un uomo che mentre scappava ne ha fatta attivare una e quella ha cominciato a far uscire quel fumo strano, nell’inalarlo l’uomo ha cominciato a dimenarsi ed è caduto a terra tenendosi il collo con le mani, stava soffocando. Io non ho potuto avvicinarmi- disse con la voce strozzata, -avevo troppa paura-. Scoppiò in lacrime, non si trattenne e Varus la consolò e le disse parole rassicuranti, cercò di tranquillizzarla, ma il ricordo di quella notte sembrava ancora nei suoi occhi spenti. Sembrava che ovunque guardasse rivedesse quell’uomo, quel fuoco, quelle armi. Il modo in cui aveva perso tutto senza potersi difendere e l’idea che era stata troppo debole per soccorrere chi era rimasto la struggevano.
Varus finì di medicarle la gamba e la aiutò a rialzarsi. Non le aveva più detto niente. Aveva lasciato che si sfogasse. La accompagnò dal medico del villaggio e tornò al tempio. Quello sorgeva su di una collina dalla quale si poteva vedere il villaggio, casa sua e anche il bosco e la montagna ai cui piedi sorgeva il villaggio della donna. Restò fermo ad osservare il panorama incantato dalla luce del sole, finché non notò degli uomini, non lontani dalla città, a pochi minuti da casa sua. Dovevano aver avanzato nel tempo in cui medicava la ferita e accompagnava la donna al villaggio. In quel momento non aveva nenahce visto fuori dalla finestra, tanto era distratto. Spostò lo sguardo dai soldati che avanzavano a casa sua. Non poteva muoversi da lì. Aveva fatto giuramento che in caso di pericolo mai avrebbe abbandonato il tempio, mai. Strinse i pugni e chiuse gli occhi cercando di contenere la sua indole naturalmente impavida. Entrò nel tempio di corsa alla ricerca di un modo per avvertire la sua famiglia, ma non trovandone alcuno lasciò perdere il giuramento e prese il suo arco e la faretra piena di frecce. Si diresse correndo in direzione di casa sua, ignorando i suoi pensieri che lo avvertivano sempre di più, di rispettare il giuramento, che la priorità era il tempio, ma ignorava quelle voci, in quel momento pensava solo a sua moglie e a suoi figli.
Più si avvicinava a casa sua, più sentiva un odore pungente e gli bruciavano gli occhi. Il fumo lo investì facendolo frenare. La casa stava bruciando. Dalle finestre le fiamme uscivano minacciose. Senza aspettare un secondo di più si buttò dentro sfondando la porta e chiamando i famigliari, ma nessuno rispose. Un forte attacco di tosse lo fece contorcere sulle scale, ma non si fermò. Fece a grandi falcate quei gradini e si gettò subito nella stanza dei figli.
Rimase esterrefatto alla vista. Gli occhi gli si gonfiarono e le lacrime gli colarono sulle guance. Intorno a lui tutto stava prendendo fuoco. Si avvicinò piano, prese tra le mani la testa della figlia. Era stata trafitta da parte a parte, proprio lì dove c’era il cuore. La strinse a se piangendo disperato e dondolandosi sul posto chiamando il suo nome con voce tremante, piano, sempre più piano, ma sapeva che non le avrebbe risposto. Anche suo figlio giaceva lì, non aveva avuto un destino diverso da quello della figlia, mentre la moglie era distesa sul letto, una grossa macchia rossa bagnava il cuscino, la testa pendeva in una posizione insolita in confronto a come dovrebbe stare una testa, una lama era affondata nella gola, lasciando solo un piccolo lembo di carne a legarla al suo corpo. Varus si buttò a terra, non riuscì neanche a reggersi in piedi, fu travolto dal dolore, non voleva riaprire gli occhi. Prese coraggio, si alzò in piedi, pure se tremante e si mise sulle spalle i figli. Corse evitando le fiamme e li appoggiò fuori, lo stesso fece con la moglie. Evitando le fiamme e le travi che cadevano. Pure se non aveva smesso di piangere li lasciò lì. Prese un bastone, ne bruciò la punta e diede fuoco ai cadaveri della famiglia.
Il dolore diventò rabbia in poco tempo. Si diresse al tempio. Aveva deciso di infrangere il più importante degli insegnamenti. Entrò nella sala proibita. Una volta dentro fu avvolto dall’oscurità. Fu come non toccare il pavimento, la gravità sembrò scomparire. Davanti a lui si materializzò un altare diverso dagli altri, dall’aria molto più cupa. Sopra vi erano appoggiati un arco e una faretra simili alle sue, ma di un colore diverso che variava dal rosso al viola, con un accenno di nero.
Appena lo prese in mano sentì l’energia scorrere all’interno del suo corpo infettando ogni minima cellula che possedesse. I capelli persero il loro naturale colore castano e mutarono in un bianco sporco. Le gambe cominciarono a bruciare e vennero coperte da un fuoco nero quasi spettrale, per le braccia fu lo stesso. Sentiva che dentro sarebbe marcito, ma non era ancora arrivato il momento. Con l’arco apparve anche un amuleto rosso a forma di deltoide, quando sarebbe diventato nero, il suo tempo sarebbe scaduto e l’oscurità si sarebbe impadronita di lui.
Uscì dal tempio e si posizionò sulla terrazza da cui già si vedevano dei soldati avvicinarsi minacciosamente. Prese una freccia dalla faretra e la scoccò in direzione di quello che guidava lo squadrone. La freccia lo colpì dritto in gola. Cadde dal cavallo e rotolò indietro per qualche metro.
Varus prese tante frecce e le scoccò tutte contemporaneamente. L’ultimo ricordo dei soldati Noxiani fu quello di una pioggia di frecce che li travolgeva.
Si diresse verso la città, appostatosi sulla terrazza di una casa e da lì ne scoccò tante altre, per tutto il giorno, fu una guerra continua e quando le frecce sembravano finire ne apparivano altre.
Allontanò gli invasori e riuscì a salvare il suo villaggio, ma ci furono lo stesso molti morti e feriti.
In quel momento pensava di avere lo sguardo perso della donna di quella mattina, che se la vedevi negli occhi c’era una silenziosa disperazione in una silenziosa mattina di una vita tant’altro silenziosa. Il tanto amato silenzio lo stava circondando anche in quel momento e questa volta pareva sopprimerlo.
Decise di andare via da lì, via da quel paese, lontano dalla sua casa, per non soffrire. Ogni negozio aveva l’impronta dei suoi figli, che volevano vederli tutti, ogni donna sembrava sua moglie e ogni pianto di bambino gli ricordava i suoi. No, quel posto era troppo per lui. “Non mi resta molto tempo” pensò tornando nel tempio. 
  
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