Capitolo 1 UNA TRAPPOLA PER KATE
La giornata era stata decisamente lunga e faticosa e l’ultima cosa che voleva, tornando a casa, era riprendere la discussione del mattino con suo marito.
Quando ci si metteva era estenuante.
Sorrise pensando a come aveva cercato di convincerla quella stessa mattina a capitolare risentendosi ancora addosso i brividi causati dal frustino di piume nere che le aveva ripetutamente passato sul ventre prominente. Era una sensazione che la faceva impazzire e lui lo sapeva bene. Era quasi riuscito nel suo intento quando le aveva domandato nuovamente la sua disponibilità a partecipare con lui al salotto di Oprah Winfrey. Stava per cedere a tutto ciò che voleva mentre era in balia delle erotiche sensazioni date dal leggero solletico delle piume e, allo stesso tempo, dalle vampate di piacere che i sapienti ed efficaci stimoli delle sue dita che le accarezzavano il corpo le stavano procurando. Ancora si chiedeva come era riuscita a riscuotersi e a dirgli di no. Quella decisione le era costata la brusca interruzione di quelle amorevoli attenzioni ed era rimasta sconcertata nel vederlo allontanarsi. Si era girato verso di lei, rossa e accaldata per l’eccitazione e strizzandole un occhio aveva avuto anche l’ardire di mormorare un “Peccato!” riponendo con ricercata lentezza le piume mentre sventolava in aria l’altra mano muovendo le dita. Era stata sotto il getto della doccia fredda per diversi minuti finché la piccola Julia era entrata nel bagno chiamandola a gran voce per avvertirla che la stavano tutti aspettando per la colazione.
Kate Beckett era in ascensore e aveva in mano un pacchetto che le aveva consegnato Steve, il portiere, pochi minuti prima. Il campanello la avvertì che era arrivata al piano del loft solo pochi istanti prima che le porte si aprissero. Fece pochi passi e cercò nella borsa il badge per entrare a casa. Aspettò un attimo prima di strusciarlo nel sensore. Come si sarebbe comportata se Castle fosse ripartito all’attacco con quella storia dell’intervista di coppia? Non si era fatto vedere tutto il giorno al distretto e quando lo aveva cercato al telefono aveva sempre tagliato corto dicendo che era indaffarato con la Black Pawn per il lancio del sito sul suo nuovo libro.
Era molto orgogliosa di lui.
Amava la saga dei libri a lei ispirati, amava il Castle “maestro del macabro” ma il suo nuovo splendido romanzo era qualcosa di molto più profondo e sentito. Un’opera matura, seria e quanto mai splendida. Le aveva fatto leggere ogni capitolo in anteprima, contrariamente a quanto faceva con i libri su Nikki Heat. Quelli li leggeva, sì prima, ma solo a prodotto finito prima di mandarlo alla casa editrice. Invece quella sua nuova uscita letteraria la sentiva ancora più sua, aveva commentato e suggerito piccoli cambiamenti in ogni capitolo e aveva avuto anche la possibilità di esporre alcune sue idee che erano state in alcuni casi anche accolte e utilizzate, seppur dopo una notevole trasformazione letteraria.
C’era qualcosa che non la convinceva nel comportamento del marito nella giornata. Non era da lui essere così evasivo ed era abbastanza sicura che, oltrepassata la porta, le avrebbe teso una trappola.
Mai intuizione era stata più veritiera.
Ferma davanti all’entrata, portò una mano a sistemarsi la ciocca ribelle che non voleva mai rimanere dietro le orecchie da quando aveva scelto un taglio più corto e trasse un gran respiro. Strusciò lentamente il badge nel sensore, quasi a voler rimandare il momento, poi aprì la porta e uno strano silenzio la investì. Fece un passo avanti nella penombra della stanza e un led rosso alla sua sinistra la informò che l’allarme era attivato, ma solo al piano superiore.
Strano.
Dove erano i bambini se non in camera loro a giocare con Sally?
Una musica soffusa proveniva dalla loro camera da letto. Kate posò il pacchetto nella consolle all’ingresso poi si tolse il soprabito e lo appese. Si avvicinò alla cucina e mise in frigo il collirio che si era portata al distretto.
Possibile che Castle non fosse in casa?
Possibile che non l’avesse sentita?
Strano.
Si avvicinò cauta alla camera da letto sicura che Rick sarebbe saltato fuori e le avrebbe fatto prendere uno spavento. Decise di giocare d’anticipo. In silenzio si tolse le scarpe con i tacchi e le abbandonò vicino ad una libreria. Si diresse verso l’armadio a muro. Una pura fortuna che avesse ritirato recentemente fuori la maschera del weaver per l’imminente Halloween. Certo non era più possibile ormai da tempo per lei entrare nel vestito di Nebula9 poi figurarsi adesso con quel pancione. Forse avrebbe potuto spogliarsi e presentarsi a Castle nuda con quei sandali trasparenti tacco 15 e con la maschera in testa. Rick avrebbe sicuramente gradito! Magari distratto da quel diversivo non si sarebbe ricordato di tornare all’attacco nella sua opera di convincimento. Guardò la centralina dell’allarme e il led rosso che segnalava che le fotocellule del piano elevato erano attive. Era indecisa sul da farsi. Farlo o non farlo? Si morse istintivamente il labbro inferiore mentre con un soffio cercava di togliersi una ciocca di capelli dagli occhi. Fu tentata di farlo davvero, ma poi all’improvviso valutò che era anche possibile che Sally fosse dovuta andar via prima e che Tommy e Julia fossero con il papà a vedersi un film nel megaschermo dello studio di Castle. Anche se quel silenzio e quella musica soffusa facevano pensare a tutt’altro.
Non poteva rischiare.
In punta di piedi oltrepassò la libreria e si affacciò nello studio, vuoto.
Si avvicinò alla camera e dalla porta vide Castle sdraiato nel letto addormentato. Guardò istintivamente l’orologio al polso e corrugò la fronte: erano soltanto le 19,30 possibile che fosse già a letto? Forse aveva mandato via Sally perché non si sentiva bene e questo avrebbe spiegato il fatto insolito di non essere neanche passato al distretto almeno per un saluto.
Si avvicinò piano al letto e inchinandosi gli fece una carezza sulla testa nell’intento di sentire se fosse caldo. Come si sporse un poco di più, Rick la afferrò in un abbraccio trappola e in un istante si ritrovò sdraiata sopra di lui. Presa alla sprovvista, lanciò un piccolo gridolino e poi, ridendo, si aggiustò un poco per trovare una posizione un po’ più comoda che non le comprimesse troppo la pancia.
“Sei sleale” gli disse stampandogli un bacio sulle labbra.
“MOLTO sleale” le rispose coinvolgendola in un caloroso bacio di bentornata.
“Dove li hai nascosti?”
“Chi? I bambini?” al suo cenno di assenso rispose “Al cinema con Sally.”
Kate sollevò un po’ la testa quel tanto che le permetteva di metterlo a fuoco meglio. Avrebbe dovuto decidersi ad andare dall’oculista e ad affrontare l’amara realtà, stava diventando presbite. A breve l’estensione completa delle braccia non sarebbe più stata sufficiente per leggere quei rapporti stampati con quei minuscoli caratteri ed Esposito sembrava divertirsi della cosa perché i suoi erano sempre quelli con i caratteri più piccoli. Sorrise al pensiero di come negli anni non si fosse esaurita la voglia di scherzare tra i colleghi del 12°. Tutti gran lavoratori ma tutti con la medesima voglia di sdrammatizzare le circostanze tragiche che erano pane quotidiano delle loro attività da poliziotto.
“Come mai li hai mandati al cinema?” chiese stupita.
“Perché Alexis non si poteva liberare prima delle otto, quindi Sally li ha portati al cinema poi alle otto li porta da Alexis e Mark dove ceneranno e dormiranno.”
La mente organizzatrice di Kate stava già intervenendo nuovamente con nuovi interrogativi quando lo stesso scrittore la rassicurò che li avrebbe accompagnati Alexis a scuola e che avevano con loro gli zaini di scuola mentre Sally aveva un piccolo borsone con i loro effetti personali per la notte.
Kate gli sorrise grata che avesse pensato a tutto ma allo stesso tempo non capiva la motivazione dell’allontanamento da casa dei bambini.
“Come mai?” chiese più che altro incuriosita per la cosa insolita e felice per aver la possibilità di avere una sera solo per loro due. Il flash di lei vestita da Nebula 9 versione naked ritornò immediatamente nella sua mente.
“Perché avevo bisogno di tempo e di tranquillità per portare avanti il mio piano…” si girò e dal cassetto del comodino riprese le piume nere che l’avevano fatta impazzire quella mattina ”devo portare avanti qualcosa che è stato bruscamente interrotto.” Le sussurrò suadentemente con un tono che non ammetteva replica.
Di certo non si aspettava la reazione di sua moglie.
“Richard Castle! Tu non oserai….” con un balzo e un’agilità che le invidiava scese dal letto.
“Oh .. sìììì invece” mormorò ammiccando con le sopracciglia, più e più volte.
“Tu non oserai privarmi di una cena… del sano cibo per me e per la nostra bambina. Io ho fame … LEI ha fame e tu sei MOOOLTO sleale, davvero perfido”.
In un baleno Rick l’aveva raggiunta e l’aveva cinta in un abbraccio che non le lasciava possibilità di fuga. Nel frattempo cominciò ad abbassarle la lampo del vestito premaman, fino a che lo stesso finì per terra. Con entrambe le mani le aveva preso il volto e si era prodigato a donarle un profondo bacio passionale.
Voleva lasciarla senza fiato.
Aveva uno scopo ben preciso quella sera: farla impazzire di piacere e farle accettare quella maledetta intervista a due.
Si sentì un po’ malefico ma quando il suo corpo iniziò a reagire alla risposta della sua bocca nella sua, ogni remora venne accantonata.
Il divano era morbido almeno quanto il petto di Rick che la sosteneva da dietro cingendole la pancia con le braccia. Con una mano prese l’ultimo pop corn dalla ciotola e lo portò direttamente alla bocca della moglie che lo prese ringraziandolo con un sorriso. Il film che avevano scelto era un classico della cinematografia, uno di quelli che non hanno tempo e che si riescono ancora a vedere in maniera piacevole anche se in bianco e nero.
"Ma non capisci proprio niente, Osgood! Sono un uomo!" risuonò dagli altoparlanti in Dolby Surround Jack Lemmon, versione Daphne sullo schermo, assolutamente sconvolto.
"Beh, nessuno è perfetto". Fu uno dei più riusciti finali nella storia del cinema.
Castle prese il telecomando per mettere un canale musicale di sottofondo. Kate cercò di alzarsi ma lui la trattenne cominciando a baciarle il collo.
“Sei mio ostaggio finché non mi dirai di sì”
“Rick, non mi sembra che io mi neghi spesso…” disse un piccata Kate non cogliendo al volo l’allusione del marito.
“Kate, sii seria. Sai bene quanto è importante la nostra partecipazione congiunta al salotto di Oprah. La nostra fondazione a sostegno delle famiglie della vittime riceverebbe una pubblicità senza precedenti e, sensibilizzando la gente sul tema, vedrai se le donazioni non pioveranno come neve fresca”.
“Lo so, lo so. E tu sai bene invece quanto io abbia voluto questa fondazione e quanto io ci tenga ma non mi va di comparire in TV, con te, e per giunta in diretta. Con questa pancia, che non riuscirei a nascondere, ti immagini le domande imbarazzanti che ci farà? Andrà a finire che sarà un’intervista di pura curiosità sulla nostra vita privata, sulla nostra famiglia”. Ribadì con caparbietà.
“Be’ potremmo annunciare che avremo un altro figlio prima dell’intervista. Facciamo un comunicato stampa così la gente già sarà informata e …” si fermò fulminato dallo sguardo della moglie.
“Rick, sii sincero, non credi neanche tu alle tue parole.”
Si spostò leggermente e appoggiandosi con le spalle a lui gli prese una mano tra le sue.
Rick annuì. Sapeva bene che Kate aveva ragione su tutti i fronti ma le pressioni che aveva avuto dalla casa editrice per partecipare a questa intervista erano state molto persuasive. Il tema dell’incontro nel salotto di Oprah Winfrey era il sostegno psicologico alle vittime di eventi criminali e la loro fondazione, creata in seguito alla morte del loro secondogenito, era negli anni cresciuta a dismisura. Kate aveva insistito per chiamarla Luke Castle Foundation mentre Rick aveva cercato di convincerla ad inserire anche il nome di Johanna Beckett. Lei non aveva voluto sentire ragioni. In onore della madre era stata già istituita tanti anni prima una borsa di studio che nel tempo era cresciuta e che poteva vantare, tra i suoi premiati, personaggi ormai in carriera nel Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti d’America. La Luke Castle Foundation invece era nata in sordina per poi crescere in seguito all’appoggio di alcuni politici importanti, primi fra tutti il sindaco Bob Weldon e il governatore dello Stato di New York Mario Cuomo.
La Black Pawn aveva fatto salti mortali per ottenere l’attenzione di Oprah e ora che erano riusciti nell’intento non avrebbero permesso a Castle di non sfruttare il lancio del suo primo saggio sulla criminalità a New York. La realtà era che Paula era molto preoccupata dalla scelta di Castle di lasciare il filone dei libri polizieschi. Aveva il timore che i suoi affezionati fan non lo avrebbero seguito comprando un libro così diverso dall’usuale e allo stesso tempo pensava di dover convincere l’opinione pubblica che un giallista, dal generoso e turbolente passato mondano, potesse cimentarsi con competenza in un tema così delicato.
La suoneria del cellulare di Beckett li distolse dai loro pensieri. Kate si alzò e a passi veloci raggiunse il bancone della cucina dove l’Iphone era stato messo in carica.
Guardò il display e poi alzando gli occhi stupiti verso Castle esclamò:
“E’ la Gates!”
“Beckett!”
“Ciao Kate scusa il disturbo a quest’ora.”
“Buonasera Signore, è successo qualcosa di grave nel mio distretto?” chiese preoccupata. Non era usuale che il Capo della Polizia chiamasse di persona il capitano di uno dei suoi distretti per avvisarlo di qualche nuovo caso, a meno che non ci fosse bisogno di particolare attenzione per qualche vittima illustre nel mondo politico, assassinata insieme alla escort di turno.
“No, Kate. Ho ricevuto adesso la telefonata di Oprah Winfrey” Victoria fece una pausa per aspettare un commento che non tardò ad arrivare.
“Signore, sono desolata. Non posso credere che l’abbia disturbata per una questione non inerente alla Polizia.”
“Kate, sarò breve. Posso dire ormai di conoscerti molto bene e posso benissimo immaginare perché tu non voglia partecipare all’intervista con tuo marito. Aggiungo, anzi, che personalmente non posso che essere d’accordo con te e stimarti per la tua determinazione nel preservare la vostra privacy.”
Kate fece un sospiro annuendo appena. Sembrava il preambolo di una tragedia imminente.
Tragedia per lei, ovviamente.
Si andò di nuovo a sedere sul divano vicino a Castle e spostò leggermente il cellulare dall’orecchio per fare ascoltare anche lui.
“Ma… ovviamente c’è un ma…” sussurrò con un filo di voce Kate.
“Ma è un’occasione di visibilità che il Dipartimento di Polizia di New York non può permettersi di perdere. Tu ormai sei ben conosciuta dall’opinione pubblica sin da quando Castle ha iniziato a collaborare con la Polizia, poi le interviste e i servizi di allora e infine il matrimonio. Tutti sanno che donna eccezionale sei e che da quando dirigi il 12° distretto hai avuto il maggior numero di casi risolti tra tutti i dipartimenti dell’intera Polizia di New York.”
“Ho solo fatto il mio lavoro…” sospirò Kate con rassegnazione sapendo bene che tante parole gratificanti potevano nascondere solo una trappola.
“.. E il Signor Castle oltre ad essere uno scrittore di fama mondiale, collabora validamente con la Polizia da tantissimi anni.”
“Signore io non capisco come questo possa…” Castle le posò una mano sul ginocchio per sostenerla.
“La Polizia ha stramaledettamente bisogno di una nuova immagine da proporre, un’immagine di efficienza che possa nascondere e far dimenticare lo scandalo in cui ci ha travolti Wilson, il mio predecessore”.
Kate sospirò sentendo la sua condanna sempre più vicina ma provò comunque a resistere.
“Signore, andare in diretta televisiva significa che anche se concordassimo le domande prima, potrà essere affrontato ogni argomento. Purtroppo ci sono già passata. Tra l’altro non abbiamo ancora divulgato alla stampa che aspettiamo un altro figlio e quindi credo che verremo gettati in pasto ai leoni, se mi consente questi termini.”
Dall’altro capo del telefono si sentì un lungo respiro che fece ben sperare Kate. Una vana illusione che venne spazzata via con le poche parole successive.
“Kate, mi dispiace infinitamente, davvero, ma devi partecipare a quella maledetta intervista insieme a Castle. E’ un ordine!...” la chiamata venne interrotta.
Kate rimase a guardare attonita lo schermo blu davanti a lei mentre una vecchia canzone dei Police risuonava nella stanza.
Castle le baciò i capelli e l’abbracciò.
“Mi dispiace” le disse.
“Ma se tu volevi la stessa cosa?”
“Sì, ma non così. Vieni andiamo a letto. “ spense il televisore, si avviò verso la centralina dell’allarme e attivò la parte del salone e si diressero insieme nella camera da letto.
Spazio di Monica:
Dopo la pausa estiva sono tornata a scrivere, ma la mente ha elucubrato sempre!
Spero vi piaccia.