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Autore: EmmaStarr    21/09/2014    6 recensioni
Thomas non sapeva bene come facesse Minho ad essere così stupido. Sperò solo che non fosse anche sordo. – Minho! – gridò di nuovo, la gola che bruciava dallo sforzo. – Torna qui, è pericoloso!
Il ragazzo si voltò nella sua direzione, sconvolto e confuso. – Che... che ci fai tu qui? – domandò, spaesato. Thomas si chiese se sperava seriamente che non l'avrebbero trovato mai più. Davvero, non aveva idea di come funzionassero le cose alla C.A.T.T.I.V.O.
[...]
Minho si era voltato verso di loro allargando istintivamente le braccia, come a voler proteggere qualunque cosa fosse dietro di lui. – Non vi avvicinate! – gridò. – Non venite più vicino di così!
Questo è mio fratello!
* * *
Minho è un Immune, ma non gli interessa: non se è appena stato strappato alla sua unica ragione di vita, il suo fratellino, colpito dall'Eruzione a soli sette anni. Viene portato via dalla C.A.T.T.I.V.O., ma continua a tentare la fuga. E ogni volta viene puntualmente fermato da un sorvegliante bambino che di nome fa Thomas,. Cosa succede quando, finalmente, Minho riesce a fuggire? Troverà suo fratello? E il Sorvegliante, non farà nulla per riportarlo indietro?
* * *
|Minho/Thomas Friendship|
Genere: Angst, Azione, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Minho, Teresa, Thomas
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Fratello di Thomas


Ama tuo fratello come la tua anima e vigila su di lui come sulla pupilla del tuo occhio.





– Non voglio! Lasciatemi andare, lasciatemi!

Erano in un freddo corridoio argentato dalla luce fioca e dall'eco metallica. Il bambino si dimenava come un forsennato, scalciando e tirando pugni a destra e a sinistra, mordendo e graffiando qualunque cosa gli capitasse a tiro. – Thomas! Thomas!

I tre uomini adulti che gli stavano intorno alla fine riuscirono a bloccarlo, e lo tennero ben stretto mentre un altro uomo dall'aria severa gli si avvicinava. – Smettila di opporre resistenza, Minho. Renderai solo le cose ancora più difficili.

Il bambino gli riservò un'occhiataccia grondante di rabbia. – Non chiamarmi così. Quello non è il mio nome! Dovete riportarmi da mio fratello, adesso!

L'uomo non parve scomporsi. – Tuo fratello Thomas ha l'Eruzione, lo sai. Ormai non c'è più niente che tu possa fare per lui.

Il bambino non sembrò minimamente arrendersi, rispondendo con uno sguardo di fuoco. – Se l'ha presa lui devo per forza averla anch'io: lasciatemi stare con lui! Lo proteggerò anche da Spaccato, ne sono sicurissimo! Lui, da solo, morirà nel giro di due giorni... ha sette anni, insomma! – esclamò, frustrato. – È da quando è nato che mi prendo cura di lui. Non ha nessun altro!

L'uomo continuò a fissarlo negli occhi, attendendo pazientemente che il bambino finisse di sfogarsi. – Sappiamo bene quello che hai fatto. È da quando i vostri genitori sono stati uccisi dagli Spaccati che hai provveduto ai bisogni di tuo fratello al meglio delle tue possibilità. Aggiungerei anche che hai svolto un ottimo lavoro, davvero. Sei un bambino intelligente, così intelligente da poter sopravvivere alla tua età nel mondo là fuori, e ne abbiamo preso atto, fidati. Ma su una cosa ti sei sbagliato di grosso. Tu non hai l'Eruzione, Minho. O meglio: ce l'hai, ma i suoi effetti non si ripercuoteranno mai sulla tua psiche. – rispose con uno sguardo colmo di risoluzione davanti all'occhiata confusa del bambino. – Tu sei un Immune, Minho. Il test che ti abbiamo appena fatto non lascia dubbi in proposito.

Ci volle qualche istante perché il bambino realizzasse appieno il significato di quelle ultime parole. Poi riprese a dimenarsi ancora più di prima. – Allora non corro rischi a stare accanto a Thomas! Lasciatemi andare, voglio stare con lui! Voglio proteggerlo! È tutto ciò che mi resta della mia famiglia!

Ma l'uomo aveva già iniziato ad allontanarsi. – Mettetelo nella stessa stanza insieme agli altri. Si ambienterà in fretta. – ordinò. – A presto, Minho. Il mondo si aspetta grandi cose da te.

– Non mi chiamo così! – gridò il bambino, lacrime di frustrazione ad annebbiargli la vista.

Ma l'uomo se n'era già andato.

 

* * *

 

Tom, meglio se dai un'occhiata a questo.

Il bambino alzò la testa dal foglio che stava studiando e incrociò lo sguardo di Teresa, seduta vicino ai monitor del reparto in cui alloggiavano i soggetti.

Fammi indovinare. È di nuovo lui?

Thomas si alzò e si avvicinò ai grandi computer, già preparato alla scena a cui stava per assistere: cos'era, la quarta volta in quel mese? Forse la quinta. Nel corridoio del terzo piano, un bambino poco più grande di lui stava eroicamente tentando la fuga. Di nuovo.

Non ne posso più, bisogna fare qualcosa. I Creatori dicono che non importa, che se crescerà con questo spirito di intraprendenza e con questo coraggio sarà un bene per gli schemi, ma non saprei... ho una brutta sensazione sul suo conto.

Thomas si massaggiò la testa, gemendo piano. – Teresa, non parlare così tanto, sto ancora imparando. – si lamentò, abbandonando alla fine la conversazione telepatica per passare a quella a voce. – Comunque, neanche a me sta simpatico. – chiarì. – Mettici in contatto con lui.

Teresa annuì e premette qualche tasto, quindi Thomas si schiarì la voce. – Minho.

Il ragazzino sussultò. – Non mi chiamo così. – mormorò.

– Minho, saresti così gentile da provare a crescere? È la quarta volta che tenti di scappare, questo mese. – Teresa si schiarì la voce sollevando cinque dita e Thomas sorrise, prima di rivolgersi di nuovo al ragazzino. – Tanto lo sai che non c'è via d'uscita. Te l'abbiamo già detto un sacco di volte, no? La C.A.T.T.I.V.O. è buona: stiamo facendo tutto questo perché l'umanità sopravviva. Abbiamo bisogno anche di te. Se torni in camera subito non avviseremo nessuno. – continuò con tono accondiscendente.

Minho si guardò intorno, come cercando delle telecamere. Poi piantando lo sguardo un po' più a sinistra del necessario, sollevò bene il dito medio. – Non può esserci niente di giusto o di buono in quello che avete fatto a Thomas. – disse, convinto. Poi fece una linguaccia.

Il ragazzo sussultò appena nel sentir pronunciato il suo nome, ma non si scompose: i Creatori l'avevano già informato del passato di quel bambino.

A quel punto fu Teresa a parlare. – Non c'era niente che potessimo fare per tuo fratello. Ma il tuo contributo potrebbe aiutarci affinché a nessuno capiti più quello che è successo a lui.

Minho alzò la testa, furioso. – Intendi, venire abbandonato? Rimanere solo al mondo? Veder scomparire davanti ai tuoi occhi l'unica persona che abbia sempre giurato di stargli vicino?

– Intende impazzire. – rispose Thomas, impassibile. – Perdere il controllo. Dimenticare ogni emozione. Diventare alla stregua di animali senza sentimenti e senza compassione. Di solitudine non si muore, per l'Eruzione invece sì. E ora torna in camera tua. La prossima volta che scapperai, finirai in isolamento per tre giorni.

Dopo qualche istante, Minho incurvò le spalle. – Vorrei sapere chi siete, voi due Sorveglianti. Sembrate esattamente i tipi che ero solito gonfiare di botte, in periferia.

– Vedrai che presto ci incontreremo, Minho. – disse Teresa, la voce calma. – Ora torna nel Dormitorio o chiamerò le guardie.

Thomas le fece un cenno e interruppero la conversazione. Teresa non aveva mentito: qualche giorno dopo ognuno dei soggetti avrebbe avuto un colloquio con loro due, perché venisse introdotto il discorso del progetto Cianografia e delle sue conseguenze: i Creatori avevano deciso di affidare il compito a loro, coetanei dei soggetti in carico.

Thomas non poteva dire di non essere curioso: era la prima volta che entrava nell'edificio in cui i soggetti vivevano la loro vita di tutti i giorni, in fondo. E poi, voleva proprio vedere come avrebbe reagito Minho in un colloquio con lui. Era la prima volta che lui e Teresa si mostravano ai soggetti: finora, a parte le misure di sorveglianza, non erano mai entrati in contatto.

In parole povere, a parte la voce, Minho non lo conosceva per niente.

Non sapeva nemmeno il suo nome.

 

* * *

 

Il ragazzino si torturava le mani, in attesa. Lo avevano portato in quella sala almeno due ore prima, senza nemmeno dirgli perché. Minho non sopportava quel posto, non ce la faceva più: era già passato un anno da quando l'avevano portato lì, e tutti i ragazzi sembravano già rassegnati all'idea di vivere là dentro senza fare tante storie. “Almeno abbiamo vitto e alloggio, no?” “Meglio che vivere dove stavo prima, era pieno zeppo di Spaccati!” “Possiamo essere d'aiuto per combattere l'Eruzione.” “Non ho nessun altro, i miei sono morti di Eruzione.” “Voglio fare la differenza!” “Ci hanno scelti.

Minho non li capiva e basta. D'accordo, potevano essere d'aiuto (il come era un'altra faccenda, visto che fino ad allora non gli avevano fatto fare altro che stupidi test d'intelligenza). Ma lui non riusciva a credere che tutto questo fosse per un bene superiore, che fosse giusto agire in quella maniera.

Aveva solo undici anni, in fondo, e quel mondo spaventoso e ostile era difficile da capire. In tutta la sua vita aveva saputo solo una cosa: doveva proteggere Thomas. E ora che non poteva più farlo, non sapeva davvero per quale motivo vivesse ancora.

– Muoviti, tocca a te.

Minho si alzò controvoglia e strascicò i piedi fino alla grande porta scura che gli si parava davanti. Cosa può esserci di tanto spaventoso? Dicono che sia un colloquio. Facciamola finita in fretta.

Fece un profondo respiro ed entrò.

La prima cosa che lo colpì fu la luce: era tanta, sembrava quasi naturale (le finestre, in quel posto, erano rarissime: in parte per tenere lontani gli Spaccati, in parte per evitare loro di uscire). Poi, il suo sguardo fu catturato da una pesante scrivania di legno. E dietro alla scrivania, sedeva un ragazzino poco più giovane di lui.

– Piacere di conoscerti, Minho. – disse con un tono maturo, da adulto. Eppure, -andiamo!-, non poteva avere più di dieci anni.

– Non mi chiamo così. – borbottò lui, evitando il suo sguardo.

Il ragazzino lo ignorò. – Siediti, ti prego. Non preoccuparti, voglio solo parlare con te.

Lo sguardo di Minho si assottigliò mentre si avvicinava alla sedia. – La tua voce! Tu sei... il Sorvegliante?

Thomas sorrise. – Svolgo diversi compiti, in quest'associazione. Il nostro obiettivo, come sai, è trovare una cura per l'Eruzione. E per farlo, abbiamo bisogno del tuo aiuto.

Minho alzò le mani, come per interromperlo. – Aspetta, aspetta. Tu vorresti che io ti aiutassi, aiutassi tutti voi, dopo quello che mi avete fatto?

Thomas inarcò un sopracciglio. – Ti abbiamo tolto dalla strada. Ti abbiamo nutrito. Protetto. Dato un tetto sopra la testa.

– Mi avete tolto mio fratello!

– Ancora con questa storia! – Thomas si alzò, battendo con forza un pugno sulla scrivania. Minho ipotizzò che fosse un gesto che aveva visto fare da alcuni superiori, perché sembrava un po' insicuro. – Ha l'Eruzione! Lo sai cosa succede, a chi prende l'Eruzione? Per te è un bene non averlo visto peggiorare di giorno in giorno! Pensi che sia divertente? Divertente, vedere che non si ricorda più di te? Che non ti ama più? Che cerca di ucciderti? E per lui... sarebbe stato anche peggio. Nei suoi ultimi sprazzi di lucidità, desidererebbe la morte. – concluse, la voce spezzata.

Suo padre. Era ancora tutto troppo doloroso. Thomas si impose di farsi forza: era la sua missione, non doveva lasciarsi coinvolgere dai sentimenti. – Abbiamo bisogno di studiare nel dettaglio le reazioni che avvengono nel cervello di chi è immune all'Eruzione. Per questo realizzeremo una cianografia con tutte le informazioni che riusciremo ad analizzare da, appunto, i vostri cervelli. Domani vi impianteremo un chip -non sarà doloroso, assolutamente- e in futuro vi sottoporremo a... delle Variabili, per così dire. Tutto allo scopo di un bene superiore, di una Cura. Il fine, in questo caso, giustifica i mezzi: l'umanità deve sopravvivere. – concluse, lo sguardo fisso senza l'ombra di un ripensamento.

Minho lo fissava con un'espressione confusa dipinta in volto.

– C'è qualcosa che non hai capito? – chiese gentilmente Thomas.

– Sì. – disse subito Minho, avvicinandoglisi con disinvoltura. – Quanti anni hai?

– Io? D-dieci, perché? – chiese Thomas, sbalordito. D'accordo, era ancora molto giovane, ma i Creatori continuavano a dire che lui e Teresa erano davvero maturi per la loro età, e ricopriva incarichi di prestigio nell'associazione già da diversi anni. Lui credeva nella C.A.T.T.I.V.O, ci credeva davvero.

– Beh, per la tua età mi sembri allo stesso tempo molto intelligente e molto stupido. – disse Minho senza esitazioni. – Cioè, parli come un cavolo di libro stampato, ma... senti, ho pensato a quello che mi hai detto l'altro giorno. – gli si piazzò davanti agli occhi, lo sguardo serio. – Di solitudine non si muore, hai detto. Io non la vedo così.

Thomas non capiva. – C-che cosa...

– La solitudine è triste. Fa male. Ti mangia da dentro, ti toglie quello che sei. Ti rende vuoto. Io so solo che mio fratello, là fuori, sta male. E di riflesso sto male anch'io. Quindi, ora, tu mi dici che dovrei stare fermo a guardare? Dovrei annuire, dire sì a tutto quello che fate? – sembrava sul punto di perdere il controllo. – Io avrei potuto sopportarlo! Avrei potuto sopportare di vederlo star male, di vederlo cambiare, di vedere come iniziava a non riconoscermi, ad odiarmi, lo avrei sopportato! Thomas era tutto quello che avevo. Era la mia famiglia, l'avrei amato qualunque cosa fosse diventato. Non soffriresti, tu, per la tua famiglia? Non offriresti tutto quello che hai? – Ormai stava urlando. – Parteciperò alla tua cavolo di ciano-qualcosa, quello che è, se ci tieni tanto! Non mi interessa. Di solitudine si muore eccome, Sorvegliante.

Si voltò e, senza dire una parola, uscì dalla sala.

Thomas aveva fatto appena in tempo a vedere un luccichio sospetto nei suoi occhi, prima che sbattesse definitivamente la porta. E di colpo, una piccola parte di lui iniziò a chiedersi se quel ragazzino non avesse avuto ragione.

 

* * *

 

– Non è possibile. Non è possibile! È scappato. Il giorno in cui gli impiantano il chip, quello scappa. Tom, mi spieghi come ha fatto?

Teresa stava gridando, e sembrava davvero fuori di sé. Thomas le fu accanto in un attimo. – Minho? – chiese, senza aspettarsi davvero una risposta.

– Chi, se no? – ringhiò lei. – È scappato! Ha atterrato un'infermiera, l'ha nascosta in un armadio, ha preso il suo pass ed ha sorpassato i primi controlli. Poi si è nascosto in mezzo ad un gruppo di operai che lavoravano alla manutenzione di una Berga e quindi, come se niente fosse, si è imbarcato.

Thomas non sapeva se condivideva la rabbia di Teresa o se invece era seriamente ammirato dall'operato del ragazzo. – Ma lo stanno già cercando, vero?

– Ovviamente. Un ragazzo di undici anni non può aver fatto tanta strada. – commentò Teresa, sprezzante. – Mettiti qualcosa di adatto, andiamo anche noi: saremo io, te, Alby, Lee e qualche altro soggetto- solo Immuni, naturalmente. Dicono che è meglio perché daremo meno nell'occhio... e sarà utile per i primi abbozzi delle cianografie. E poi, io e te sappiamo come tenerci in contatto in caso di pericolo. Dopotutto, siamo già a conoscenza di dov'è diretta la Berga.

Thomas annuì, e mentre si affrettava verso la stanza di decollo non poté fare a meno di sperare che Minho stesse bene.

 

* * *

 

Non c'era.

Era ovvio, dopotutto: era passato un anno, e non era possibile che Thomas fosse ancora in circolazione. Eppure, rimettendo piede in quella catapecchia dove avevano vissuto tanto a lungo, Minho riuscì a malapena a trattenere le lacrime. L'odore di Thomas era ancora lì, come se niente fosse cambiato, come se stesse solo tornando a casa da un'altra delle sue razzie al mercato del centro.

Non abitavano in una città, anzi: le città, quelle vere, Minho non le aveva mai viste. Era nato e cresciuto in quella che chiamavano “Periferia”: una immensa baraccopoli distante meno di un chilometro dalla città di Ottawa dove l'igiene e la prevenzione erano praticamente inesistenti. In periferia non facevano troppo caso ai controlli dell'Eruzione: tutti gli Spaccati vicini all'Andata che si vedevano in giro ne erano la prova, dopotutto. In qualche modo, aveva sperato che Thomas lo avresse aspettato. Magari non completamente sano, ecco, ma almeno... voleva vederlo. Oh, se voleva vederlo.

Uscì di corsa dalla catapecchia di legno e cartone e imboccò tutte le strade che conosceva come le sue tasche, in cui aveva vissuto, rubato, picchiato, riso e pianto. Chiese in giro ad alcune vecchie conoscenze, ma nessuno sembrava avere notizie di Thomas da un bel po'. “Dopo che te ne sei andato tu era a pezzi, sai.” dicevano tutti scuotendo la testa.

Doveva trovarlo. Doveva trovarlo. Doveva trovarlo. Nient'altro aveva senso. Non aveva mentito al Sorvegliante, il giorno prima. La solitudine uccideva davvero, ma non si riferiva solo a Thomas. Era lui stesso a morire ogni giorno, lui stesso a soffocare sotto il peso della solitudine. Suo fratello gli mancava troppo, ogni istante faceva più male. Iniziava a chiedersi se avesse fatto bene a scappare: forse era solo quel coso che gli avevano ficcato in testa, ma sentiva come un brutto presentimento. Si impose di non pensarci e continuò a correre.

Alla fine, trovò una vecchia da cui comprava sempre le uova a buon mercato che gli diede un'informazione utile: da quanto ne sapeva lei, ora Thomas viveva alla Discesa.

Il sollievo nel sapere che, nonostante tutto, era ancora vivo, venne subito rimpiazzato dal terrore: la Discesa. Solo i peggiori si ritrovavano lì -Spaccati, per la maggior parte, ma anche ricercati, assassini, nemici del governo. E questo perché nessuno, nessuno, aveva il coraggio di avvicinarvisi.

Un lungo dirupo diviso in livelli per quanto era profondo, interamente ricoperto di spazzatura, resti di corpi umani, sangue, morte.

E Thomas era andato a vivere laggiù? Ma aveva solo otto anni! L'idea più plausibile che gli venne in mente fu che qualcuno -qualche Spaccato, evidentemente- lo avesse preso sotto la propria custodia. Ma doveva comunque controllare.

Corse come mai aveva corso prima d'ora verso la Discesa, incurante delle voci che lo chiamavano o che lo scongiuravano di fermarsi. Doveva trovare Thomas.

Quando raggiunse l'inizio della Discesa, però, le sue sicurezze cominciarono a vacillare: com'era possibile che suo fratello si trovasse in un posto come quello? Eppure, doveva almeno tentare- Si inoltrò cautamente nel primo livello, cercando di mantenere un basso profilo. Da una fossa che aveva scavato lui in casa sua, aveva recuperato il suo vecchio coltello: ora lo teneva legato stretto sotto la T-shirt, e questo lo rendeva leggermente più sicuro di sé.

– Ehi, guardate chi c'è! – esclamò una voce strascicata dietro di lui. – Che mi venga un colpo se questo non è il fratello di Thomas!

Minho si immobilizzò, terrorizzato: era la voce di uno Spaccato. Lo capiva dal modo in cui rideva. Ma andiamo, quanti Spaccati c'erano, da quelle parti? Se non ricordava male, non potevano essere più di una decina in tutto il territorio, e non uscivano mai dalla Discesa: se così non fosse stato, i governi avrebbero preso provvedimenti. Quante probabilità c'erano che stesse capitando di incontrarne uno proprio a lui?

– Ehi, non aver paura: il tuo fratellino muore dalla voglia di riabbracciarti, sai. – disse lo Spaccato, ridendo subito dopo in modo strano, come un disco rotto che saltava delle parti.

Minho si voltò piano, sentendo fredda contro la pelle la lama del coltello. – Sai dov'è mio fratello? – azzardò, piantando lo sguardo negli occhi dello Spaccato.

Quello rise. – Se lo so? Tutti lo conoscono, qui. È un po' la nostra mascotte. Non è adorabile? – sghignazzò ancora più forte, battendosi le mani sul petto, e Minho trattenne a stento un conato di vomito: ora che lo vedeva bene tutto, era davvero qualcosa di orribile. I capelli sembravano essere stati strappati direttamente dalla radice, e la testa era tutta un'unica crosta ancora sanguinante. Dalle mani mancavano parecchie dita, e i denti gialli e spezzati gli davano un'aria quasi animalesca. E gli occhi... Minho cercò in tutti i modi di evitarli.

– Portami da lui. Voglio vederlo. – ordinò Minho, cercando di mantenere un tono autoritario, anche se gli tremavano le gambe.

Lo Spaccato continuava a ridere senza dare segno di averlo sentito. – Una mascotte! – ripeteva come se fosse la cosa più divertente del mondo.

– Mi hai sentito? Portami da lui! – urlò ancora più forte, ma una voce dietro di lui lo fece raggelare. Era strascicata, infantile, e cantava una canzoncina scema per bambini che Minho nemmeno aveva mai sentito. Avrebbe messo i brividi a chiunque, ma Minho aveva un motivo in più per esserne terrorizzato: conosceva quella voce fin troppo bene.

– Ciao, Thomas. – sussurrò a mezza voce, prima di voltarsi.

 

* * *

 

Tom, l'ho trovato!

Thomas stava ispezionando il settore Nord della città quando sentì la voce di Teresa esplodergli nella testa.

Dove sei? Non ti muovere, vengo subito da te! Le rispose col pensiero, facendo un cenno agli altri che erano con lui.

È lontano, non lo vedo bene. Tom, è andato alla Discesa! Rispose lei con disperazione.

Quello era l'unico posto in cui gli avevano tassativamente vietato di andare. “Dobbiamo esporvi a qualche rischio, questo è naturale”. Avevano detto i Creatori. “Ma non possiamo permettere che buttiate la vostra vita inutilmente. Alla Discesa troverete solo Spaccati tra i più temibili. Anche se Minho si trovasse là, non avete l'autorizzazione ad entrare”.

Thomas fece immediatamente marcia indietro, ordinando ai suoi compagni di seguirlo: per quanto Minho gli stesse antipatico, non poteva permettere che morisse. Era probabilmente il soggetto più promettente che avevano. E forse c'era qualcos'altro, in lui, Thomas non lo sapeva bene.

Raggiunse Teresa col fiatone, e lei lo strattonò subito per il braccio. – Guarda, è laggiù! – esclamò, allarmata. Thomas aguzzò lo sguardo e dovette riconoscere che, sì, era proprio Minho. – Ma che sta facendo? – gemette la ragazza.

Un altro soggetto che era venuto con loro, un certo Ben, esclamò: – C'è qualcuno, vicino a lui! Sembra uno Spaccato, ma è... un bambino?

E d'improvviso a Thomas fu tutto, dolorosamente chiaro. – È suo fratello. – mormorò.

Teresa inarcò un sopracciglio. – Seriamente, quante possibilità ci sono che...

– È sicuramente lui, guardali! E ormai dovrebbe aver superato l'Andata... di solito ci vuole meno di un anno, no? Oh, dobbiamo riportarlo indietro, adesso! – esclamò Thomas con un'ansia sempre crescente.

Teresa lo afferrò saldamente per il braccio. – Thomas, ci è stato proibito di entrare nella Discesa. Per di più tutti gli adulti al momento stanno cercando Minho dall'altra parte della periferia. Se ci andassimo adesso, noi da soli, cosa speri che-

Ma Thomas la interruppe: – Non possiamo aspettare, se andasse ancora più lontano lo perderemmo sul serio! È... è un nostro compagno, no? È nostro dovere riportarlo indietro! – fissò Teresa negli occhi e sorrise un po'. – Una volta tornati a casa, ti autorizzo a punirlo quanto vorrai.

Teresa grugnì, ma sotto sotto sorrideva. – Temo che tu non abbia l'autorità per permettermi di introdurre una mazza ferrata nel quartier generale, ma... oh, tanto finisco sempre per fare come vuoi tu. – si rivolse agli altri: – Non siete obbligati a venire con noi: se preferite potete fare ritorno alla Berga. Nel frattempo noi andiamo, prendiamo Minho per un orecchio e lo riportiamo indietro! – ordinò Teresa con fare autoritario.

Con grande sorpresa di Thomas, tutti i ragazzi rimasero con loro. – Siete troppo piccoli per farcela da soli. – sogghignò il ragazzo più grande, Alby, che aveva già dodici anni.

– Sì, dai, sarà divertente! E aiuterà per le cianografie, no? – chiese speranzoso un altro di loro, un certo Jack.

Thomas sorrise a tutti loro -all'incirca una decina in totale- e annuì. – Ok, andiamo.

 

* * *

 

Minho non voleva credere a quello che aveva davanti agli occhi.

Se l'aspettava, lo sapeva: Thomas aveva l'Eruzione. E dopo un anno, avrebbe già dovuto aver superato l'Andata. Ma vederlo così evidentemente pazzo, con i capelli sporchi e gli angoli della bocca sporchi di sangue e gli occhi rossi... reprimette in fretta un conato di vomito.

– Thomas... – lo chiamò debolmente.

Il bambino non interruppe la sua cantilena, ma ne modificò leggermente le parole. – C'era una ranocchia, piccola e verde, io sono Thomas, io sono Thomas, questa ranocchia aveva un fratello, ciao, fratello, io sono Thomas, una ranocchia... – si interruppe e lo guardò strano. – Sei una ranocchia?

Minho deglutì. – N-no, io sono... sono tuo fratello, no? Ti ricordi di me? Scusa se me ne sono andato, ma mi ci hanno costretto, te lo giuro! Io non volevo...

Ma il fratellino agitò una mano, come a dire che non gli importava. – Se non sei una ranocchia non va bene. – disse, scuotendo la testa. – Vediamo... – e iniziò a girargli intorno.

Gli altri Spaccati lo osservavano, come aspettando da lui un verdetto finale. A quel punto Thomas spalancò la bocca e urlò: – Non ha la coda!

Uno a uno, anche gli altri Spaccati lo imitarono: – È vero, non ha la coda!

– Non ce l'ha, non ce l'ha!

– Come facciamo?

– Mettiamo qualcos'altro!

– Magari... un orecchio?

Thomas rideva, battendo le mani. Come quando Minho gli portava da mangiare tanto tempo prima... Com'era diverso, allora. Com'era buono, e dolce, e indifeso, e gentile. Ingenuo, davanti alle atrocità della vita. Per questo Minho si era sempre ripromesso di badare a lui e di proteggerlo, a qualunque costo. E adesso... era spaventoso, faceva paura. Tutto in lui era distorto, sbagliato: quello che diceva non aveva il minimo senso, ma sembrava una condanna di morte. – Aspetta! – gridò il bambino, fermandosi davanti a Minho. – Non sei una ranocchia. – rivelò, come se non avesse appena finito di affermare lo stesso identico concetto.

– No, ti ho detto che sono...

– Sai che la ranocchia aveva un fratello? – lo interruppe Thomas, fissandolo con i suoi occhi vitrei e luccicanti che erano il riflesso di qualcos'altro, qualcosa di oscuro e brutto che Minho non voleva assolutamente vedere, figuriamoci riconoscere.

– M-ma cosa...

– Un fratello che prima era buono. Poi però, un giorno, il fratello della ranocchia sparì. E la ranocchia... – fece un lungo sospiro. – La ranocchia diventò pazza. E triste. E pazza. – avvicinò la faccia a quella di Minho, portando i loro occhi solo a pochi centimetri di distanza. – Tu non sei la ranocchia. – sussurrò.

Minho deglutì, la gola secca. Aveva capito. – No, non sono io. Sei tu, la ranocchia.

Colse un qualcosa di antico e triste nello sguardo di Thomas, qualcosa di disperato. Come se per un istante fosse tornato in sé. – Sai cosa vuole la ranocchia? La ranocchia vuole morire. – sussurrò il bambino, prima che Minho sentisse la voce del Sorvegliante gridare il suo nome.

 

* * *

 

Thomas non sapeva bene come facesse Minho ad essere così stupido. Sperò solo che non fosse anche sordo. – Minho! – gridò di nuovo, la gola che bruciava dallo sforzo. – Torna qui, è pericoloso!

Il ragazzo si voltò nella sua direzione, sconvolto e confuso. – Che... che ci fai tu qui? – domandò, spaesato. Thomas si chiese se aveva seriamente sperato che non l'avrebbero trovato mai più. Davvero, non aveva idea di come funzionassero le cose alla C.A.T.T.I.V.O.

– Muoviti, esci subito dalla Discesa! – gridò ancora Thomas. Tutti i membri della sua squadra avevano una pistola carica, ma nessuno di loro sapeva come usarla. Thomas aveva idea che il rinculo l'avrebbe spinto dieci metri indietro, ma doveva ostentare sicurezza: con un po' di fortuna, non avrebbero mai dovuto usarle.

Minho si era voltato verso di loro allargando istintivamente le braccia, come a voler proteggere qualunque cosa fosse dietro di lui. – Non vi avvicinate! – gridò. – Non venite più vicino di così! Questo è mio fratello!

Thomas esitò un istante, poi però fu Teresa a parlare. – Non puoi fare più niente, ha sicuramente già superato l'Andata! Sbrigati e torna qui, prima che tutti quei tuoi amici laggiù ti mangino il cervello!

Ormai li avevano praticamente raggiunti. Il gruppo di Spaccati, realizzò Thomas con vago orrore, raggiungeva all'incirca le dieci unità. Tanti quanti erano loro. E Thomas avrà anche avuto dieci anni, ma non era uno stupido: le possibilità non erano a loro favore.

– Non voglio andarmene, non voglio lasciarlo di nuovo! – gridò Minho ancora più forte.

– Non essere stupido. – lo fermò un altro ragazzino, Gally, afferrandolo per il braccio. – Non c'è niente che tu possa fare per lui, a parte diventare il suo cibo. Ma lo sai quante regole stiamo infrangendo per venirti a prendere?

Chissà come, Thomas sospettava che Minho non avrebbe reagito gettandogli le braccia al collo. – E chi ve l'ha chiesto, si può sapere? – ringhiò infatti.

Ma prima che potessero rispondere per le rime -Teresa aveva già aperto bocca pronta a ribattere-, uno Spaccato si fece avanti. – E voi, siete delle ranocchie anche voi?

Tutti si guardarono confusi. – Dite di sì. – ordinò Minho, che pareva avere un'idea di come funzionassero le menti di quegli Spaccati.

– Ehm... sì? – fece Thomas, esitante.

Il bambino -doveva essere lui, l'altro Thomas- gli si avvicinò, sorridendo solidale. – Anche vostro fratello vi ha abbandonati? Come alla ranocchia?

Thomas lanciò un'occhiata insicura ai ragazzi alle sue spalle, poi si voltò di nuovo verso il bambino. – Sì, è andata così.

– Beh, il fratello di Thomas deve stare con Thomas. Non va con voi ranocchie. – sibilò però il bambino, di colpo diventato ostile, arpionando il braccio di Minho.

Tutta quella situazione era assurda. Thomas si chiese perché i Creatori non avessero già mandato una Berga a prenderli -insomma, era impossibile che non sapessero dove si trovavano-, ma poi realizzò che, in quel momento, stavano stimolando zone della violenza fondamentali per le cianografie. Con un po' di fortuna, lavorandoci sopra un paio di giorni, Thomas avrebbe potuto mappare una buona parte del primo livello di... si impose di non pensarci: prima doveva tirarsi fuori da quella situazione.

– Minho... – sussurrò a mezza voce. – Minho, non puoi restare qui. Tuo fratello a parte, come credi di sopravvivere in mezzo a loro per tutta la vita? Sono Spaccati, moriresti!

Vedeva che il ragazzino cominciava a dare segni di inquietudine, guardandosi intorno con fare preoccupato. D'altra parte sapeva che non avrebbe mai potuto lasciare il fratellino da solo, di nuovo.

– Minho. – lo chiamò di nuovo, quasi supplicando.

Fece un incerto passo in avanti, subito imitato dai ragazzi dietro di lui, e il fratellino dovette prenderla come una precisa dichiarazione di guerra, perché iniziò a gridare e gli si scagliò addosso.

Gli Spaccati lo imitarono ruggendo di eccitazione, e fu in quel momento che apparve la Berga.

 

* * *

 

Non era così che si immaginava che sarebbe finita quando aveva deciso di scappare.

Non pensava che a rimetterci sarebbero stati il Sorvegliante e il suo gruppetto. Intanto, che ci facevano solo loro? In una missione di salvataggio che si rispettasse, si sarebbe aspettato di vedere anche qualche adulto. D'altra parte, al momento non aveva molta scelta: o scappava con loro, abbandonando il fratellino al suo destino, o rimaneva a guardare mentre gli Spaccati facevano banchetto con i loro cervelli.

Si trovava come congelato sul posto, quando un rumore assordante per poco non lo sbatté a terra: era... una Berga?

Accadde in pochissimo tempo, tanto velocemente che Minho quasi non se ne accorse: da uno sportello dell'enorme veicolo volante, almeno cinque soldati scelti iniziarono a sparare sugli Spaccati, evitando con abilità impressionante i giovani soggetti. Ma non facendosi nessun tipo di problema a sparare addosso a suo fratello Thomas, che cadde lentamente, l'espressione sorpresa, accasciandosi al suolo con un'eleganza quasi ultraterrena. Grandi chiazze rosse andavano espandendosi tra i suoi vestiti stracciati.

Nel petto di Minho si aprì una voragine senza luce simile ad una bestia famelica, che prese a divorargli le viscere senza scampo, senza pietà.

Stava per crollare a terra, spento, svuotato da ogni energia, quando da qualche parte là fuori -oltre il buio, oltre lo sconfinato vuoto che il fratellino aveva lasciato- udì la ragazza, l'altra Sorvegliante. Gridava, terrorizzata: – Thomas!

In un primo istante, Minho si chiese perché mai lei, che non aveva mai dimostrato il benché minimo interesse in suo fratello, ora gridasse così disperatamente il suo nome. Poi aprì gli occhi, confuso, e realizzò: uno Spaccato, il corpo crivellato di colpi, ormai prossimo alla morte, si era avventato come un giustiziere divino sull'essere umano al momento più vicino a lui. Si trattava del Sorvegliante, che ora pareva avere i piedi incollati al terreno, mentre osservava inerme lo Spaccato che gli stava per piombare addosso. Un coltello gli luccicava tra le mani.

Minho sapeva di avere solo pochi istanti per fare la sua mossa. E non capì mai perché, in quel momento, non corse a sorreggere il fratellino morente, non andò vicino a lui per reggergli la mano durante il suo ultimo viaggio per ascoltare le sue ultime, deliranti parole.
Forse fu perché, dopotutto, non gli andava che il Sorvegliante morisse.

Forse perché desiderava ardentemente sentirsi utile a qualcosa, sentire di poter ancora fare del bene, ora che suo fratello era -non riusciva quasi a pensarlo- morto.

Forse perché aveva bisogno di un motivo per non cadere, e basta.

Forse perché anche lui si chiamava Thomas.

Si voltò e corse velocissimo incontro allo Spaccato, e gli piantò il coltello che aveva tenuto fino a quel momento nascosto sotto i vestiti nella schiena.

Poi cadde a terra, e fu tutto nero.

 

* * *

 

– Insomma, non vi avremmo mai messi realmente in pericolo, era solo per...

– Capiamo perfettamente, non c'è bisogno di scusarsi.

– Appena la situazione è precipitata siamo intervenuti, ovviamente: i nostri uomini erano tutti al limitare della Discesa, pronti ad aprire il fuoco nel caso la situazione si fosse...

– Sul serio, è andato tutto bene, siamo felici di aver contribuito al primo abbozzo delle cianografie. Abbiamo stimolato diversi settori, soprattutto con l'ultimo scambio, no?

– Su questo non c'è dubbio: la bravata del piccolo Minho ci ha fruttato dei risultati davvero insperati, bisogna ammetterlo! E, Thomas...

– Non si preoccupi: sono perfettamente a conoscenza dell'importanza di questo progetto. Se per realizzarlo fosse necessario rischiare la vita, io sarei pronto in qualunque momento.

– Questo ci rassicura, Thomas. Sei un ragazzo davvero intelligente, siamo fieri di te. Stiamo facendo la cosa giusta, non dobbiamo fermarci: la C.A.T.T.I.V.O. è buona.

Teresa gli strizzò l'occhio, e Thomas reagì solo con un pizzico di intensità in meno rispetto al solito. Non sapeva cosa ci fosse di strano in lui, ma tutte le cose che continuava a dire suonavano... meno naturali del solito. Un po' più forzate.

Aveva visto morire quel bambino. Aveva visto la disperazione -il vuoto- negli occhi di Minho. Com'era possibile che separarli fosse stata una cosa giusta? Necessaria?

– E per quanto riguarda la punizione di Minho, alla fine cosa... – accennò Teresa, fingendosi disinteressata.

L'uomo che avevano di fronte sorrise. – Dati i risultati della missione, abbiamo deciso di non punirlo troppo duramente: una settimana in isolamento sarà sufficiente.

– Posso vederlo? – Le parole uscirono dalla bocca di Thomas senza quasi che se ne accorgesse. – Intendo, mi ha salvato la vita. Vorrei... uhm, vorrei ringraziarlo.

Teresa lo fissò come se fosse pazzo. – Non avresti nemmeno dovuto rischiarla, se lui non...

L'uomo si grattò il mento. – Mah, non vedo perché no... Però devi sbrigarti: a breve vi devo riportare nei vostri alloggi. Ti bastano dieci minuti?
Thomas annuì vigorosamente. – Grazie mille! Teresa, ci vediamo dopo!

L'uomo fece cenno ad una guardia perché lo accompagnasse, e Thomas si diresse sicuro verso l'ala ovest dell'edificio. Di norma lui e Teresa non avrebbero mai dovuto interagire con i soggetti, era una regola che gli era stata posta tanto tempo prima. Quindi non avrebbe più avuto molte occasioni di sentirsi con Minho, da quel momento in poi. Eppure... c'era una cosa di cui voleva assolutamente parlare con lui.

 

* * *

 

Morto.

Morto, semplicemente e ineluttabilmente morto.

Si era risvegliato quando erano già nella Berga: a quanto pareva, era svenuto subito dopo aver salvato il didietro del Sorvegliante- di Thomas, si chiamava Thomas.

Non riusciva a pensarlo.

Riusciva a pensare solo all'altro Thomas, suo fratello, morto poche ore prima con un'espressione confusa dipinta in viso, le braccia tese, la bocca leggermente aperta. Straziante, semplicemente straziante.

Non gli aveva nemmeno detto addio, A momenti non lo aveva nemmeno guardato. Thomas gli era quasi sembrato un angelo, mentre moriva cadendo all'indietro: un angelo caduto. Tutta la sua innocenza rovinata, tutto il male che aveva subito, tutte le ingiustizie che aveva sopportato... non sapeva nemmeno con chi sfogare quell'immensa rabbia che sentiva in corpo. E com'era possibile arginare quel senso di vuoto, quella macchia scura che avanzava all'interno del suo cuore, oscurando tutto il resto? Non c'era via di scampo.

Perché Thomas era morto, morto dopo aver vissuto un anno in preda alla follia.

E chi se ne importava di quel cavolo di isolamento? Che cosa cambiava a lui se non poteva stare con gli altri ragazzi della sua età? Non era come se avesse legato con qualcuno. Non aveva nemmeno voluto farlo, visto che non faceva che pensare a come tornare da Thomas. Non sarebbe dovuto rimanere lì a lungo, quindi non c'era bisogno di farsi degli amici: il piano era quello.

E adesso...

Il suono di una maniglia che gira interruppe i suoi pensieri.

Minho si voltò di scatto: la cena era appena arrivata, chi altri poteva essere a quell'ora? Se non andava errando, il concetto di isolamento escludeva a prescindere ogni contatto che non fosse strettamente necessario, no? Minho non si voltò a guardare chi fosse, rimanendo con lo sguardo fisso sul muro.

– Ciao, Minho.

Fu una specie di sussurro, quasi un azzardo. La porta si richiuse con un tonfo sordo, e la stanza precipitò di nuovo nella penombra. Ma Minho lo sapeva, sapeva che il Sorvegliante era lì dietro di lui.

– Non mi chiamo così. – borbottò, più per abitudine che per altro.

L'altro ridacchiò. – Continui a dirlo. Posso sapere qual è il tuo vero nome, allora? Così almeno so come chiamarti.

Era una bugia, Minho lo sapeva: nessuno veniva chiamato col nome di prima, laggiù. Eppure, aveva la sensazione che il Sorvegliante non stesse mentendo. Intendeva davvero fare così, infrangere una regola di base della C.A.T.T.I.V.O. per metterlo a suo agio. Sospirò. – Non lo so.

L'espressione del Sorvegliante doveva essere davvero, davvero spassosa. Ma Minho non si girò a guardarlo. – I miei sono stati uccisi da un gruppo di Spaccati quando io avevo circa due anni e mezzo, e non ho praticamente nessun ricordo di allora. Thomas non aveva neanche un anno. Siamo sopravvissuti per miracolo, e... e ci ha raccolti un vecchio signore, un vicino di casa e un amico di famiglia, così dice lui. Ha letto sul bavaglino di Thomas il suo nome in corsivo, ma io non parlavo e così lui si limitò a chiamarmi marmocchio, peste, stronzetto e così via. Non era uno di molte parole, ecco. Ma era buono. – si fissò i piedi, imbarazzato. – Noi non uscivamo mai, sai, la periferia non era posto per dei bambini. Perciò non avevo bisogno di un nome. Quando il vecchio è morto, io non ne avevo ancora uno, però avevo Thomas a cui badare. Aveva solo tre anni, io cinque e mezzo, tipo. Per evitare che morisse di fame ho iniziato a rubare e cose così, ma... non avevo un nome. È stato comodo, nessuno mi rintracciava facilmente.

Il Sorvegliante sembrava morire dalla voglia di intervenire. – Ma una specie di nome dovevi pur avercelo, no? Quando... quando la gente parlava di te, o quando ti presentavi in giro. Insomma, non...

– Il fratello di Thomas. – disse secco Minho, interrompendolo bruscamente. Ecco, l'aveva detto. E faceva male, dannatamente male. – Mi chiamavano “il fratello di Thomas”. Ero io a dirgli di farlo. Perché tutto quello che facevo, io... lo facevo per mio fratello. – Più andava avanti a dirlo, più si sentiva come se qualche minuscolo spiraglio di luce si stesse aprendo in fondo al suo cuore affranto e oscurato. Era come se insieme alle parole anche il dolore stesse sgusciando fuori, riversandosi su quel bambino più piccolo di lui che ora lo stava ascoltando e che si chiamava Thomas.

Rimasero zitti per un po', e Minho avrebbe tanto voluto avere una di quelle rivelazioni fantastiche che hanno i grandi nei momenti importanti, ma cosa poteva fare? Aveva undici anni. E suo fratello era morto, e lui era da solo. Alla fine fu il Sorvegliante a parlare. – Ma quindi... cos'ha il nome “Minho” che non va? Almeno si sa come chiamarti.

Quello fece una smorfia. – Mio fratello si chiama Thomas: come minimo dovrei avere un nome un po' più americano anch'io, no? Minho. Cos'è, portoghese?

Thomas ridacchiò. – Dovrebbe essere orientale. Per me ti sta bene, dai. Ti... ti dispiace se continuerò a chiamarti così, allora?

Minho strinse le spalle. – Fa' come vuoi. – borbottò.

Ci fu un'altra pausa di silenzio. Minho era quasi tentato di girarsi solo per sapere cosa esattamente stesse aspettando l'altro: era venuto lì per un motivo, o per stare zitto e immobile come se niente fosse? Alla fine, il Sorvegliante parlò. – Senti... ho pensato anch'io a quello che mi avevi detto.

Minho drizzò le orecchie, curioso. – Eh?

– Ma sì. Hai detto che di solitudine si muore. Io ti avevo detto che non era vero, ma ora penso... che in parte avevi ragione. Ma non è proprio così. – sembrava cercare le parole. Minho si azzardò a sbirciare un attimo nella sua direzione: era in piedi dietro di lui, e fissava il pavimento. Sembrava davvero concentrato su quello che stava per dirgli. – La solitudine porta alla morte, perché se rimani solo... non hai più motivi per vivere. E a questo punto, l'unica cosa che si può fare è cercare di non rimanere soli. Ci sono tante persone che potrebbero diventare tuoi amici, tra i sog... tra gli altri ragazzi. Potresti fare un tentativo, non so.

Minho sospirò. – Non è questo il punto.

– Sì che lo è. – si impuntò invece il ragazzino. – Nessuno vuole stare da solo. Sei qui da un anno, insomma. Non hai nemmeno un amico?

Probabilmente la persona che più per Minho si avvicinava alla definizione di amico era in quella stanza, dietro di lui. Ma si guardò bene dal dirlo. – Senti, grazie della chiacchierata. Ora, se non hai altro da dirmi...

– Voglio essere sicuro che tu non riprovi più a scappare. – disse Thomas con serietà. – Appena compirò undici anni mi toglieranno dal servizio di sorveglianza, sai.

Quella era una sorpresa: il Sorvegliante, che smetteva di sgridarlo ogni volta che sgusciava fuori dal dormitorio? Ma così... realizzò con vago stupore che non ci sarebbe stato più gusto.

– Diciamo che un po' mi mancherai, Minho. Ci vediamo. – sorrise Thomas, e fece per andarsene.

– Aspetta! – Minho si voltò di scatto. Si stupì di trovarsi così vicino a Thomas, e si stupì anche di quanto quello fosse basso. Fino a quel momento, si era comportato come se fosse l'adulto della situazione: era stato lui a consolare Minho, a parlargli, a chiedergli di comportarsi bene e di essere felice, in qualche modo. Si stava comportando come... quasi come un fratello maggiore, sebbene fosse più giovane di lui. Ghignò. Doveva assolutamente ribaltare i ruoli, no? – Fammi un favore, marmocchio. – disse, autoritario. – Evita di farmi la predica quando sei tu il primo a non seguire i tuoi insegnamenti. Perché non mi sembri proprio mister popolarità, o sbaglio?

Thomas borbottò qualcosa di indefinito in cui colse il nome di una certa Teresa. L'altra Sorvegliante, probabilmente.

– No, lei non conta. – scosse la testa, deciso, ma si lasciò sfuggire un sorriso. – Io cercherò di farmi degli amici, se anche tu farai lo stesso.

Thomas sembrava trovare estremamente interessante il pavimento della cella d'isolamento. – Vedi... là dove sono io... siamo in quattro, ecco. Ma tu non dire a nessuno che te lo sto dicendo, eh! È segreto. Comunque. Siamo quattro: io, Teresa, Aris e Rachel. Solo che Aris e Rachel non li vedo quasi mai. Non c'è nessun altro nel raggio di chilometri e chilometri. Per questo... per questo ci facevano fare la sorveglianza. Per poter interagire con voi, invece che limitarci a guardarvi. Ops! – si portò subito una mano sulla bocca, facendo saettare gli occhi a destra e a sinistra. – Non dovevo dirtelo! Cioè, non vi guardiamo sempre, solo...

Minho rise di gusto. – Tranquillo, non lo dirò a nessuno! Tanto era ovvio. Cosa ci tenete qui a fare, se non per studiarci ogni minuto?

Thomas abbozzò un sorriso. – Non credo che siano in tanti ad esserci arrivati. Comunque, ecco... io vorrei farmi degli amici, solo che non posso. Non c'è proprio gente, là dove sono io. – cercò di spiegare.

Minho annuì: il problema era serio. – E va bene, ho capito. – sospirò alla fine, passandosi una mano sulla fronte. – C'è solo una cosa da fare, giusto? Sarò io tuo amico.

L'emozione sul volto di Thomas era così pura e sincera che per un istante quel volto di bambino felice gli ricordò suo fratello. Ricacciò quel pensiero dei più profondi meandri della sua mente e lasciò che il calore proveniente dagli occhi di Thomas raggiungesse ogni angolo del suo corpo. – D-dici davvero? – chiese il più giovane, quasi incredulo.

– Ma sì, tanto. Poteva capitarmi anche qualcosa di peggio di te, Sorvegliante. – minimizzò Minho agitando la mano. Cercò di non sorridere, ma fu completamente inutile.

L'altro a quel punto lo stupì, sorridendo a sua volta in un modo che Minho non avrebbe mai creduto possibile. – Non mi chiamo così! – gli fece il verso, ridacchiando.

– Sì, sì. Thomas. – lo assecondò Minho alzando bonariamente gli occhi al cielo: era un gesto che faceva spesso, con suo fratello, e in qualche modo gli venne naturale farlo in quel momento.

Quello fece per parlare, quando qualcosa suonò nella sua tasca. Estrasse dubbioso uno strano marchingegno elettronico e sbiancò. – È tardissimo! Potevo stare qui solo dieci minuti, mi dispiace tanto! Allora... devo andare.

Il suo sguardo pareva davvero, davvero dispiaciuto. Minho sospirò e gli batté una mano sulla spalla. – Su, non è come se non ci dovessimo vedere mai più, no?

Thomas tentennò. – Nei prossimi anni sarà difficile, ma...

– Niente ma! Ci rivedremo sicuramente, è una promessa. – dichiarò serio Minho, sollevando il pugno a mezz'aria. Thomas lo guardò, sorrise e avvicinò a sua volta la mano stretta a pugno verso l'altro. Si toccarono leggermente, e fu come se una scossa potentissima passasse tra i due.

– Bene, ora devo proprio andare. – Thomas si voltò, facendo per prendere la porta. All'ultimo si voltò di nuovo, sorridendo di un sorriso appena appena velato. – Ciao, Fratello di Thomas.

E forse fu per questo. Forse fu per il lutto appena subito, per la stanchezza, per la paura provata. O forse fu soltanto per la gioia, quella gioia così immensa e così fuori luogo che provò alla consapevolezza di non essere solo. Fatto sta che, appena la porta si chiuse, Minho scoppiò a piangere. Ma mentre piangeva, un grande sorriso iniziò a farsi strada sul suo volto.

Fratello di Thomas. Suonava ancora bene, nonostante tutto.

 

* * *








Aheam.
Esordisco sul fandom -c'è un fandom, c'è un fandom *^*- con questa schifezzina perché, insomma, su Minho e Thomas si può dire quello che si vuole, ma insieme sono una cosa unica. È un'amicizia che adoro fino allo sfinimento, e non ho potuto fare a meno di immaginare che, in qualche modo, si conoscessero fin da prima.
Non ho letto i secret files, quindi non so bene come fossero messe le cose prima del Labirinto, ma ho cercato di restare il più possibile fedele all'idea originale. Se c'è qualcosa da farmi notare ditelo subito, mi raccomando!
Dunque, l'idea che Minho avesse un fratello di nome Thomas è stata una cosa crudele che mi è venuta in mente l'altra notte, e dunque... ecco a voi questo parto di dodici pagine, giusto perché sono fondamentalmente incapace di stringere. Dedico questa storia a M4RT1 e a thesecondjumper, perché sono due scrittrici fantastiche e portano avanti magistralmente il fandom con i loro capolavori. Sono felicissima di aver potuto leggere le vostre storie, e spero che, anche se non ne è ovviamente all'altezza, voi possiate apprezzare anche questa!
Un abbraccio enorme a tutti quelli che avranno la pazienza di leggere, e magari recensire, vostra
Emma ^^
  
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