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Autore: Michan_Valentine    25/09/2014    4 recensioni
Hojo risveglia Vincent Valentine dal coma ben prima degli avvenimenti di Final Fantasy VII, ansioso di dedicarsi al Progetto Omega. Un anno dopo, Sephiroth ha sei anni e non vuole mangiare.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altro Personaggio, Sephiroth, Vincent Valentine
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nessun gioco
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Piantò i gomiti e si protese rigidamente sulla scrivania, mentre i dati proiettati dai monitor lì disposti gli si riflettevano sugli occhiali: non credeva alle sue orecchie! Inarcò le sopracciglia, assottigliò le palpebre e serrò le dita sulla cornetta.

“Devo forse ricordarti chi è che comanda qui dentro?!” strepitò; l’ottusità della bassa manovalanza riusciva a irritarlo persino più dell’insubordinazione in sé “Sei pagato per eseguire i miei ordini, perciò se ti dico di murare l’entrata del sotterraneo, tu e la tua squadra di operai murate l’entrata del sotterraneo! È chiaro?!” sputò, retorico, mentre dall’altro capo del telefono piovevano ulteriori, irrilevanti pretesti “Non m’interessa se hanno paura!” replicò quindi, spiccio “Il punto è che siete un branco di pusillanime! Ti sorprenderebbe sapere quant’è alta la percentuale d’incidenti sul lavoro e a quanto ammonta il tasso di mortalità sui cantieri! E non mi sembra che per questo abbiano smesso di costruire palazzi! Perciò o fai quello che ti ho detto oppure sei licenziato! Siete tutti licenziati!”

Ciò puntualizzato, riabbassò violentemente la cornetta; e per poco non fece volare il telefono giù dalla scrivania. In compenso un folto fascicolo si schiantò al suolo con un tonfo e una miriade di fogli si sparpagliò tutt’attorno. Non se ne curò. Schioccò le labbra, si rilasciò contro la sedia e fece scivolare i denti gli uni sugli altri, stizzito. Da quando aveva estratto la Protomateria dal petto di Valentine la situazione era diventata tesa. E instabile. A maggior ragione urgeva rafforzare le fondamenta e chiudere definitivamente ogni accesso ai sotterranei; e invece si ritrovava costantemente costretto a combattere contro l’inettitudine e la codardia di chi lo circondava. Ovviare era impossibile. Di certo non avrebbe potuto sopprimere il problema con una più semplice e letale iniezione…

“Non vuoi proprio lasciarmi in pace, vero, Valentine?” mugugnò fra sé; e appuntò lo sguardo sulla sfera luminosa che teneva in bella vista sul piano “Ma non poteva essere altrimenti…” continuò, scuotendo dolentemente la testa “Sei ostinato… come lo sporco. Lo sei sempre stato. Meglio. Perché non ho ancora finito di ringraziarti per il simpatico scherzetto.” stabilì; e ammorbidì l’espressione.

Allungò il braccio, allargò le dita e afferrò la Protomateria. Il cuore di Vincent Valentine. Quasi ne percepì il vigoroso, intenso battito; e tenerla in mano gli provocò una soddisfazione e un senso di potere assoluti. Lo aveva in pugno. Sogghignò e si rigirò il trofeo fra le dita, mentre osservava come rapito il brillante microcosmo all’interno della Materia. E per la prima volta nella vita trovò estremamente affascinante qualcosa che esulasse dai suoi meri risultati scientifici. Deglutì, assaporando l’attimo. O l’illusione, realizzò d’improvviso; e il dolce sapore della vittoria divenne bile. Storse le labbra in un’aspra smorfia mano a mano che la realtà si concretizzava nella sua mente, crudele: l’aveva torturato, l’aveva recluso, gli aveva strappato il cuore dal petto, l’amore e perfino la speranza… Eppure Vincent Valentine non aveva vacillato neppure una volta. Non davanti a lui. Né aveva riconosciuto la sua indubbia superiorità. E i suoi occhi l’avevano sempre guardato con odio. E disprezzo.

Al solo pensiero di quelle iridi rosse un brivido gli scivolò lungo la schiena, ricordandogli strenuamente l’umiliazione che gli era stata inflitta solo qualche giorno prima. E il terrore che aveva provato allorché aveva visto la propria fine nello sguardo penetrante dell’altro. Una sconfitta in piena regola che gli bruciava nell’orgoglio alla stregua di una fiamma viva; e che alimentava la sua vecchia e insensata ossessione nei confronti di quella bestia. Gli bastava chiudere gli occhi per rivederlo, compassato ed elegante nel completo scuro da Turk, il primo giorno che si era presentato alla Shinra Mansion come guardia del corpo. Il figlio di Grimoire Valentine. Alto, giovane, avvenente. Così innamorato di quella stupida femmina. E particolarmente irritante per tutti gli argomenti sopra elencati. Ma nemmeno sparargli dritto al petto era servito a qualcosa.

Serrò le dita sulla Protomateria fino a farsi sbiancare le nocche. Sì. Voleva, doveva piegarlo. A tutti i costi. E quando nei suoi occhi avrebbe letto la resa e lo stesso terrore che aveva provato, l’avrebbe infine dimenticato. Se ne sarebbe liberato, come aveva fatto con tutti gli altri esperimenti falliti che gli erano passati per le mani. Una prospettiva che l’allettava e lo tranquillizzava al contempo.

Qualcuno bussò alla porta e interruppe il flusso dei suoi pensieri. Sobbalzò e appuntò lo sguardo sull’ingresso dell’ufficio, chiedendosi chi fosse lo scocciatore che osava disturbarlo in un frangente così… intimo. Probabile che si trattasse dell’ennesimo inetto. Fra assistenti e colleghi c’era solo l’imbarazzo della scelta. Non si premurò di rassettare, né di riporre la Protomateria; semplicemente schiuse svogliatamente le labbra e pronunciò un breve e secco: “Avanti.”

L’uscio s’aprì e la figura di suo figlio si stagliò austera nella penombra del corridoio. Batté le palpebre, sorpreso; poi, inevitabilmente, sorrise. Era arrivato, finalmente! E poteva immaginare cosa l’avesse spinto lì: forse l’ultimo posto del Pianeta in cui avrebbe voluto trovarsi. Tralasciò il fastidio, si rilassò sulla sedia ed esortò il ragazzo ad avvicinarsi con un cenno della mano. C’erano delle questioni da sistemare, dopotutto.

“Buongiorno, professore…” fece l’altro, entrando e dimostrandogli deferenza.

“Che sorpresa! Il quasi Generale SOLDIER. Credevo che fossi ripartito.” mentì di rimando.

Sephiroth raggiunse fluidamente la scrivania e si fermò a pochi passi da essa, composto nella posa da SOLDIER. Ne analizzò le fattezze. Con la schiena dritta, il capo eretto e il petto in fuori appariva semplicemente perfetto: un modello per gli altri e un vanto per lui. Sì, aveva fatto un ottimo lavoro; e sistemata la sua vergognosa, malata fissazione avrebbe potuto considerare l’opera finalmente conclusa.

“Infatti, il congedo è terminato. Sono di partenza. Volevo solo salutare un vecchio amico…” continuò il ragazzo; non stava parlando di lui, ovviamente, ma ciò non lo turbò, né lo sorprese “…mi è stato detto di chiedere a lei, così...”

Sephiroth esitò; e si accorse che stava fissando la Protomateria, con le labbra leggermente schiuse e l’aria assorta. Intuito o pura coincidenza? Quale che fosse la risposta, sapeva che l’altro si faceva sempre troppe domande. Non si scompose, ma rinsaldò istintivamente la presa, quasi l’altro potesse infine capire e strappargli la preziosa sfera dalle mani. Non glielo avrebbe permesso, comunque, perché quel particolare ninnolo gli apparteneva e gli era a dir poco indispensabile, come coronamento del Progetto Omega in primis… e come simbolo di supremazia in secundis. Forse proprio per questo trovò che sventolarla sotto l’ignaro naso di suo figlio fosse stranamente elettrizzante, oltre che divertente. Peccato che dilettarsi non rientrasse nei suoi principali e più imminenti scopi; pertanto si costrinse a scacciare l’ilarità e a riportare l’attenzione sull’argomento che, lo sapeva, premeva a entrambi molto più.

“Suppongo che si tratti di Vincent Valentine.” osservò quindi, distrattamente, come se non gl’importasse; e nel farlo  carezzò un’ultima volta la lucida superficie della Protomateria.

L’improvvisa menzione spinse Sephiroth a infrangere l’attenti e a spostarsi da un piede all’altro. Non si lasciò sfuggire quel dettaglio. Assottigliò le palpebre, aguzzò la vista e si concentrò sul restante linguaggio del suo corpo. L’espressione del First Class non era cambiata di una virgola, ma di certo il precedente gesto era stato dettato dall’irrequietezza. Perché Valentine era il nervo scoperto di Sephiroth. La sua deprecabile debolezza.

“Capisco.” proseguì, aprendo il primo cassetto della scrivania e riponendovi la preziosa Materia; poi appuntò lo sguardo dritto negli occhi verdi di suo figlio “Ma tu non sei più un bambino, Sephiroth.” puntualizzò “Dovresti lasciarti alle spalle le vecchie, infantili abitudini e puntare unicamente al futuro che t’aspetta. A essere troppo indulgenti con se stessi si finisce inevitabilmente col diventare indolenti. E certe distrazioni potrebbero influire sul tuo rendimento, sul tuo giudizio. Perciò... ”

Distrazioni…?” l’osservazione di Sephiroth tagliò il discorso alla stregua di un coltello.

Stavolta il ragazzo non si mosse, ma percepì il disappunto serpeggiargli direttamente sottopelle. Poteva intravederlo nella luce intensa e pungente dei suoi occhi, o nelle piccole e quasi impercettibili rughe che gli si erano formate sulla fronte, alla base del naso e ai margini della bocca, in quel momento distesa in una linea forzatamente neutra. Una malcelata smorfia che esprimeva più di quanto l’altro intendesse. E che ne rivelava tanto il disaccordo quanto l’estrema immaturità. Ma l’avrebbe spinto alla ragione, in un modo o nell’altro. Indurì l’espressione, distaccò la schiena dalla sedia e incrociò le mani innanzi a sé, protendendosi lentamente, infidamente sulla scrivania.

“I legami sono pericolosi.” insistette “Ingabbiano la mente, stroncano lo spirito, instillano dubbi e scrupoli ancora peggiori. Sono il più grande limite che possiamo imporre a noi stessi, Sephiroth.” spiegò; e si concesse un sogghigno sprezzante “I migliori non hanno bisogno di simili sciocchezze. Non se vogliono raggiungere la grandezza.”

L’altro non commentò. Strinse i pugni, invece. E dalla scrivania sentì chiaramente i suoi guanti di pelle contrarsi e crepitare. Si stava scaldando, considerò. Ma non c’era da preoccuparsi: lo conosceva fin troppo bene e sapeva come tenerlo a bada. Sephiroth doveva solo metterlo alla prova. E servirgli su di un piatto d’argento il pretesto per ritorcergli contro quanto ne infiammava l’animo in quel momento: l’amore e la fiducia nei confronti di Vincent Valentine. Dopotutto l’acciaio più pregiato doveva essere arroventato, battuto e raffreddato senza esitazioni per essere temprato alla perfezione. Era una mera questione di fisica…

“Con tutto il rispetto, professore, non le stavo chiedendo un parere.” ribatté Sephiroth, rigido sulle sue posizioni “Quindi, dato che sa perfettamente perché sono qui, facciamo un favore a entrambi. Mi dica dove posso trovare Vincent Valentine e chiudiamo la questione. Sono certo che ha molto da fare.”

Il sogghigno impresso sul suo viso s’allargò.

“Mi vedo costretto a rifiutare la gentile offerta, quasi Generale.” rispose; e lasciò che la negazione sortisse il suo effetto.

Sulle prime Sephiroth batté unicamente le palpebre, probabilmente sorpreso da quel dire beffardo; e quasi pensò che non avrebbe contestato. Poi, semplicemente, il ragazzo scosse il capo, arricciò le labbra verso l’alto e gli rivolse un’occhiata maliziosa, mostrando uno stralcio di ciò che celava dietro la maschera. Sephiroth coprì i passi che lo separavano dalla scrivania. Lentamente, fluidamente pose ambo i palmi sul piano e si protese a sua volta verso di lui, puntandolo dall’alto con le sue penetranti iridi serpentine. Di rimando i capelli gli scivolarono lungo il collo e oltre le spalle, fino a toccare il tavolo. Sembrava un Dio pronto al giudizio, considerò. Suo malgrado, deglutì.

“È sempre così, non è vero?” chiese il ragazzo “Fin da quando ero bambino… qual è il suo problema, professore?” la luce negli occhi di Sephiroth si fece più fredda, più tagliente; di rimando s’irrigidì, ma non distolse lo sguardo, né si ritrasse “Perché non vuole che lo veda? Perché le da così fastidio? Tutta quest’opposizione nei confronti di un solo uomo… o forse dovrei dire interesse? In questo caso le faccio notare che il suo fervente impegno nel mettermi in guardia acquisisce le inequivocabili sfumature della gelosia.”

Sgranò gli occhi, preso alla sprovvista, mentre l’insinuazione lo colpiva nell’orgoglio alla stregua di un maglio. Boccheggiò e si sentì vulnerabile. Umano. No! Era una sporca calunnia! Lui non provava simili, ottuse pulsioni! E in ogni caso per nulla che esulasse dalla pura e mera scienza. Era al di sopra di determinati concetti, di mere distrazioni che avrebbero potuto annebbiargli il cervello e mettergli unicamente i bastoni fra le ruote. Mai come il quel frangente il sorrisino supponente di suo figlio l’irritò. Nemmeno se ne accorse che balzò in piedi e gli assestò un manrovescio dritto in faccia. Sephiroth voltò il capo, mentre il rumore dello schianto sfumava nel silenzio e un sordo, intenso formicolio gli pervadeva il braccio fin dentro le ossa. Era duro come il marmo. Si portò l’arto al petto e trattenne ostinatamente i gemiti di dolore. Prima ancora di tornare a fronteggiarlo, il ragazzo mosse le iridi serpentine e lo fissò di sbieco, attraverso le lunghe ciocche di capelli che gli erano finite sul viso. Il sorriso era scomparso dal suo viso, ma ciò non lo rassicurò. Anzi. Avvertì lo stomaco accartocciarsi su se stesso e si fece indietro; tuttavia cozzò contro la sedia e cadde nuovamente a sedere. Avrebbe potuto strillare, ma fortunatamente per lui la frustrazione surclassava di gran lunga la paura.

“Impertinente!” l’apostrofò infatti, cercando piuttosto di darsi un contegno “Per un attimo il portamento e la divisa mi avevano ingannato… Ma sei rimasto l’ingrato e il piccolo stupido che s’infilava sotto il letto! Ignaro di quanto fosse fortunato! Guardati! Sei arrivato dove sei solo grazie a me! Dovresti baciare il suolo su cui cammino e invece mordi la mano che ti ha sfamato per anni!” sputò.

L’altro si sistemò meticolosamente i capelli e la divisa, indifferente alle accuse. Eppure, quando tornò a puntarlo, avvertì le sfumature della tempesta nella calma ostentata. Una sensazione che s’insinuava subdolamente sottopelle e che gli faceva rizzare i peli del corpo, caricandolo d’anticipazione.

“Glielo chiedo un’ultima volta, professore… Dov’è Vincent?” domandò il ragazzo, se possibile con freddezza anche maggiore.

Lo stava minacciando! Trasalì per l’ardire; ma, contrariamente alle aspettative di Sephiroth, ignorò i campanelli d’allarme, si portò la mano al  viso, scosse il capo e rise. Rise di lui, della sua sicurezza, della sua noncuranza; pronto a spazzarle via e a insegnargli innanzi tutto un po’ di rispetto. Poteva essere dotato di una mente analitica e di un corpo sovrumano, di sicuro faceva troppe domande e coglieva un mucchio di dettagli scomodi, ma fino a prova contraria era ancora lui a tenere il coltello dalla parte del manico. E Sephiroth era solo un ragazzino arrogante e pieno d’illusioni che sottovalutava la portata del suo punto debole.

“Se n’è andato.” ribatté quindi; e ritrovò parte della propria calma nel tremito involontario che percorse le sopracciglia di suo figlio.

Il silenzio seguì l’affermazione, pesante; e gli sembrò che l’altro avesse addirittura trattenuto il respiro. Patetico. E prevedibile. Come lo smarrimento che doveva governarlo in quel momento, dacché messo faccia a faccia con una situazione imprevista ma tutt’altro che sconosciuta, probabilmente temuta. Dopotutto, quando Gast aveva abbandonato il Progetto Jenova, Sephiroth aveva piagnucolato per giorni alla stregua di un ordinario bambino.

“Non… non è vero.” negò il ragazzo, scuotendo anche la testa; ma sapeva che il dubbio e il timore stavano già consumandolo.

Si sistemò gli occhiali sul naso e sedette più compostamente alla scrivania, nuovamente padrone di sé. Tutto quello che doveva fare era fornirgliene prova incontestabile e il resto si sarebbe sistemato di conseguenza. Era sempre stato bravo a giocare con la debolezza altrui. Paura, vergogna e sensi di colpa potevano rivelarsi delle vere e proprie forze motrici, se abilmente solleticate. Forze capaci di rendere possibile l’impossibile. Come indurre alla compiacenza una donna altrimenti refrattaria, ad esempio. E Sephiroth era così simile a sua madre, così fragile, così succube delle emozioni da non avere scampo. Non contro di lui.

“Oh, sì, invece.” sottolineò; e sfoderò un sorriso mellifluo “Proprio ieri mattina si è presentato nel mio ufficio e mi ha riferito di una situazione… imbarazzante.” fece una pausa, dandogli il tempo di assimilare il concetto, di realizzare le implicazioni; e vide gli occhi del First Class dapprima sgranarsi e poi rivolgersi altrove, forse per l’imbarazzo, di sicuro per la consapevolezza “Mi ha detto di essersi sentito molto a disagio.” continuò; e infierì in tranquillità, con tutta l’intenzione d’imprimergli il concetto a fuoco nella coscienza “Per questo mi ha chiesto di essere trasferito in un altro dipartimento. Puoi ben capire che non ho potuto ignorare le sue ragioni. Né prendere le tue difese. Come posso dire…” fece, fingendo di cercare le parole più adatte “Da qualunque punto la si guardi, ti sei comportato in maniera avventata. E inopportuna.” disse infine, tornando a poggiare contro lo schienale della sedia.

Lasciò andare le iridi sull’elegante figura di suo figlio e verificò il risultato delle sue affermazioni. Nuovamente sull’attenti, in silenzio, con lo sguardo basso e l’espressione spenta, Sephiroth appariva finalmente spoglio dell’insolenza che tanto l’aveva irritato. Era deluso, amareggiato. Sfiancato nello spirito. E pronto a ragionare, se non a corrispondere alle aspettative. Doveva soltanto umiliarlo un altro po’ e la vergogna, la rabbia avrebbero fatto il resto. E c’era soltanto una persona che avrebbe potuto biasimare, per questo: se stesso. O in alternativa Valentine. Era semplicemente geniale!

“Capisco che non t’interessi conoscere il mio parere.” riprese in tono più accondiscendente, quasi accorato “Sei giovane, forte e sicuro di te. Ma la troppa sicurezza spesso porta a commettere passi falsi. Perciò lascia che ti dica una cosa… ” si umettò le labbra “Questa situazione sgradevole, questa svista, non riguarda soltanto te. Ci mette tutti in grande imbarazzo.” sottolineò “Che cosa direbbe il Presidente Shinra? Cosa penserebbero i tuoi commilitoni? Riderebbero di te. Se solo sapessero diventeresti lo zimbello di tutta SOLDIER.” scosse la testa, dolente; poi lo guardò dritto negli occhi “Stai per compiere grandi imprese. Andrai a Wutai, sederai la ribellione, diverrai un eroe e lascerai un segno indelebile nella storia. Sarai un modello da seguire. A maggior ragione non puoi concederti il lusso di sbagliare. O di renderti ridicolo. Devi comportarti come si conviene e ci si aspetta da un leader. Vuoi forse che si dica che il Generale dei SOLDIER non è un vero uomo?”

La domanda sfumò senza risposte; e il silenzio imperversò a lungo, unicamente rotto dall’intenso respiro di Sephiroth. Non vi badò, né gli riservò ulteriori ammonimenti. In fondo aveva già colpito nel segno, lì dov’era più vulnerabile; e difficilmente avrebbe potuto impartirgli insegnamento più efficace. In futuro l’avrebbe ringraziato. Perciò afferrò una delle tante cartelle che stavano sulla scrivania e finse di concentrarsi sui dati ivi trascritti, come se il resto non esistesse più.

“Se non c’è altro, puoi andare.” lo congedò infine, freddamente; e recuperò anche la stilografica dal taschino del camice.

Sfogliò distrattamente le pagine del rapporto e aspettò di sentire i passi dell’altro allontanarsi, certo che non l’avrebbe più deluso e che sul campo di battaglia avrebbe saputo come meglio sfogare il vigore giovanile. Tuttavia non percepì movimenti; e l’unico suono che gli arrivò chiaro alle orecchie restò il respiro di suo figlio, sempre più impellente, quasi affannoso.

“Lui… Vincent…”

Sollevò gli occhi sul First Class e lo trovò nella stessa identica posizione, a capo chino oltre la scrivania. Il petto gli si alzava e gli si abbassava a una velocità incredibile, notò. Un fenomeno imprevisto, sconosciuto e dalle cause ignote che non riuscì a catalogare. Inarcò il sopracciglio, sospettoso, mentre l’altro si portava la destra al petto e stringeva, sulla divisa.

“…ha detto qualcos’altro?” domandò il ragazzo, fra un respiro e l’altro “Qualcosa… per me?” specificò.

Non tentennò.

“Niente di particolare.” rispose “Dopotutto per lui era solo lavoro.”

Il silenzio seguì l’affermazione, greve; eppure immaginò perfettamente la stilettata decisiva che aveva appena affondato nel petto dell’altro, lì dove stringeva le dita. Se possibile, Sephiroth sbiancò ulteriormente.

“Con permesso.” fece quindi il ragazzo; e gli voltò le spalle per raggiungere la porta.

Lo seguì con iridi attente, senza capire. Fece spallucce. Aspettò che uscisse e che si richiudesse l’uscio alle spalle; poi lasciò andare i dati che teneva fra le mani e tornò al cassetto della scrivania, lì dove aveva nascosto la Protomateria. Fece appena in tempo ad aprirlo che percepì un sonoro tonfo fuori dalla porta. Che cosa era successo? Scansò la sedia e si alzò. Percorse a grandi falcate l’ufficio, pestando fogli e fascicoli, schiuse l’uscio e guardò oltre la soglia. A terra, accasciato lungo il corridoio, stava Sephiroth, in un bagno di sudore, col respiro affannoso e la mano disperatamente stretta al petto. Per la prima volta in vita sua, accusò un tuffo al cuore: il suo prezioso esperimento!

***
 
“Attacco di panico!?” l’esclamazione di Genesis l’investì; l’altro cercò anche di affiancarlo, ma non glielo permise e proseguì spedito per la sua strada “Cioè… A te? C’è da spanciarsi! Hai sentito, Angeal? A quanto pare il qui presente futuro Generale conosce la paura!”

Genesis rise. Angeal no. Ignorò entrambi e continuò a camminare per il corridoio del quartier generale di SOLDIER, il capo eretto e lo sguardo fisso innanzi a sé. Voleva soltanto chiudersi in camera e restare da solo. Si sentiva svuotato, ancora stordito; e l’ultima cosa che desiderava era discutere di determinate questioni con i suoi amici. O presunti tali. A questo punto non sapeva più cosa pensare, cosa credere vero e cosa falso. Come distinguere. Non poteva più fidarsi nemmeno di se stesso, delle sue percezioni. E intanto il dubbio lo tormentava, lo confondeva e l’annientava, proiettando ombre tutt’attorno. Ma se la realtà restava ambigua e insidiosa, di certo c’era il dolore. Il tormento era stato così vivo, così acuto da strappargli il fiato direttamente dai polmoni. E quando il giorno prima era uscito dall’ufficio di Hojo aveva temuto di morire, pensando che il cuore gli sarebbe addirittura esploso. Scosse il capo e rise mentalmente di sé. Dopo dottori, iniezioni e ferite di ogni tipo riportate in battaglia, a fargli più male era stata una semplice reazione somatica. E la consapevolezza che lui…
…serrò la mandibola, scacciò il pensiero latente e deglutì, cercando di allentare il nodo alla gola. Non voleva, non poteva dimostrare la propria debolezza. Sarebbe stato indecoroso, dopotutto.

“È comprensibile. Come Generale di SOLDIER e massima autorità sul campo di Wutai sono molte le responsabilità che graveranno sulle spalle di Sephiroth. Dovresti dimostrargli maggiore rispetto, Genesis. E anche un pizzico di solidarietà.” stava dicendo Angeal; e il suo tono calmo e profondo contribuì a ricordargli Vincent.

Strinse i pugni. A ben pensarci anche Angeal era un tipo ingenuo, per certi aspetti. E non poteva nemmeno lontanamente immaginare cosa invero lo turbasse. Il suo onore, la sua fedeltà alla causa e a SOLDIER gli impedivano di vedere che non gli importava niente né di Wutai, né della promozione a Generale. Per un attimo si chiese come avrebbe reagito se solo avesse scorto uno stralcio di quella cosa, di quella pulsione, che si annidava dentro di lui. In attesa. Un impulso che l’avrebbe portato a fare della Shinra e del Wutai lo stesso, purulento ammasso di carne e sangue. Anche gli occhi di Angeal si sarebbero riempiti di delusione? Probabile; ma forse sarebbe stato l’orrore a far capolino per primo. In ogni caso dubitava che sarebbero risultati altrettanto tristi, altrettanto preoccupati… come quelli di Vincent. E che avrebbero potuto fargli altrettanto male con un solo sguardo.

Possibile che avesse preso un abbaglio? Possibile che quelle iridi calorose, colme di sentimento per lui, fossero in realtà unicamente specchi, pronti a riflettere quanto aveva bisogno di vedere? Una rassicurante e dolce illusione…

“Naah!” blaterava intanto Genesis “Come sei banale. Bla, bla, solidarietà, rispetto, bla, bla, onore e responsabilità. Sembri un disco rotto, Angeal!”

“Disse l’accanito lettore di Loveless.” rimbrottò il diretto interessato.

“Così mi lusinghi.” puntualizzò l’altro “E comunque la guerra ce l’ha nel sangue, il nostro Generale. Figurati se a preoccuparlo sono un paio di Wutai incazzati. Senza contare che ci sono più probabilità che Sephiroth inciampi nel suo orgoglio che nei suoi capelli. Ed è tutto dire, amico mio.” continuò il SOLDIER, come niente fosse “Certo, avrebbero potuto promuovere me. Intanto sui giornali sarei venuto meglio. Sono più fotogenico.”

“E più vanesio.” suggerì Angeal.

“Non essere invidioso del mio sorriso.” ribatté Genesis; e per un attimo s’illuse che avesse cambiato argomento “E comunque il punto non è la mia indubbia beltà.” sottolineò invece l’amico “Una simile reazione da parte di Mr Ghiacciolo non è certo cosa da tutti i giorni. Ci dev’essere per forza dell’altro.” fremette, improvvisamente irritato da tutta quell’insistenza; poi l’altro diede prevedibilmente e ulteriormente aria alla bocca e lo pungolò più di quanto potesse sopportare “La persona per cui spasima ogni volta che prende congedo, ad esempio. Ehi, Sephiroth! Quando ti decidi a presentarci la pollastra? Prometto che Angeal terrà le mani a posto. Ah, ma forse ti ha appena scaricato e si spiega perché sei così… stravolto.”

Si fermò di scatto e Genesis andò a sbattergli contro, sulla schiena. Sentì chiaramente Angeal trattenere un singulto di sorpresa, ma non lo considerò neppure. Si girò, li fronteggiò entrambi e allungò il braccio, ma di fatto le sue dita andarono a serrarsi senza indugi sul bavero di Genesis soltanto.

“Adesso basta, Rhapsodos.” sibilò, guardandolo dall’alto in basso con freddezza “Invece di sprecare tempo in chiacchiere faresti bene ad allenarti con più impegno. La tua tecnica di spada è passabile. Ma in quanto a strategia lasci molto a desiderare. Sei troppo… impulsivo. Dovresti riflettere di più, prima di agire. O di dare aria alla bocca.”

Genesis non batté ciglio. Anzi, inclinò il capo, gli scoccò un’occhiata più intensa e si aprì un sorrisetto malizioso.

“Oh-oh! Finalmente mi degni di uno sguardo!” esclamò infine “Inavvertitamente devo essere finito con i piedi sul tuo orgoglio, mi dispiace. Ma già che ci sono ti ricordo che non sei ufficialmente nella posizione di darmi ordini, Generale. Non ancora. Perciò perché non vieni tu a illustrarmi l’essenza della strategia militare? Così ne approfitto per dimostrarti quanto passabile è la mia tecnica di spada.”

Non cambiò espressione, i lineamenti congelati in una maschera di perfetta superbia, ma strinse maggiormente le dita sul bavero dell’altro. Non aveva voglia di corrispondere alle provocazioni, non razionalmente, ed era meglio per tutti se fosse andato a rinchiudersi in camera da letto seduta stante e fino al giorno seguente; ma Genesis era indubbiamente specializzato nel far leva sul suo spirito di competizione. E forse, nel profondo, lo scontro era proprio quello che desiderava. Per spegnere la mente, dimenticare quanto l’angosciava e dare sfogo a quella parte nascosta di sé talmente arrabbiata da poter distruggere il mondo intero, ammesso e non concesso che questo potesse dargli un po’ di pace. E chissà, forse l’altro l’aveva capito ancora prima di lui… Istinto, forse. Tuttavia non fece in tempo a scendere a patti con se stesso che Angeal gli si fece più vicino e gli pose la mano sul braccio, ancora teso nell’atto di afferrare.

“Sephiroth…” fece il SOLDIER, tono perentorio “Sei stanco per il viaggio. Domani c’è la cerimonia d’investitura e presto partiremo per Wutai. Hai bisogno di riposare.”

“Stanne fuori, Angeal!” ringhiò Genesis.

Esitò ancora un po’, aizzato dal fuoco negli occhi del rivale; poi si concentrò sul tocco pacato, fermo di Angeal e si ritrasse con uno sbuffo infastidito. Nemmeno se n’era accorto, ma tutt’attorno si era radunato un capannello di First e Second Class. I soldati lo guardavano, lo studiavano, e parlottavano fra loro, probabilmente curiosi di sapere chi fra i due contendenti sarebbe prevalso in caso di battaglia. Avevano gli occhi grandi, colmi d’anticipazione e di quella che avrebbe potuto definire ammirazione nei suoi confronti… o la mera illusione di quest’ultima, realizzò d’improvviso: una maschera che celava soltanto invidia. E paura. Di rimando dubitò che ci fosse realmente qualcuno disposto a perorare la sua causa; e quasi gli sembrò di percepire il recondito, sadico e rassicurante piacere che avrebbero ricavato dall’osservarlo fallire e cadere nel fango. In quel momento le ammonizioni di Hojo acquisirono di spessore e veridicità: se solo glielo avesse permesso, lo avrebbero fatto a pezzi. Brandello dopo brandello. E quando la macchina da guerra avrebbe annientato ciò che minacciava o intralciava la Shinra, essa stessa sarebbe divenuta un intralcio. O una minaccia. Deglutì e chinò lo sguardo, vittima dei propri ragionamenti.

Genesis invece schioccò la lingua, stizzito, e si allontanò bruscamente. Nel passargli accanto non mancò di assestargli una decisa spallata, che lo costrinse suo malgrado a spostarsi di lato. Lo seguì con la coda dell’occhio e lo vide dileguarsi tra la folla, recitando accorati versi.

“Amico mio, le parche sono crudeli. Non ci sono sogni, non c’è più onore. La freccia ha lasciato l’arco della dea.”

La voce del SOLDIER sfumò in lontananza, coperta dal brusio degli astanti. Ciononostante i seguenti versi del quarto atto di Loveless gli echeggiarono ugualmente in testa, alla stregua di un monito.
 
La mia anima corrotta dalla vendetta.
Ho sopportato il tormento per trovare
la fine del viaggio nella mia salvezza
e nel tuo sonno eterno.
 
La leggenda racconterà
di sacrificio alla fine del mondo.
Il vento viaggia sulla superficie dell’acqua.
Lento, ma inarrestabile.
 
Avvertì una morsa alla bocca dello stomaco, ma nessuno dei suoi lineamenti palesò il turbamento. Perseverò immobile lungo il corridoio, con le spalle dritte, il capo eretto e le braccia distese lungo i fianchi. Perfetto tanto nelle maniere quanto nella postura. Un fantoccio di finissima fattura. Angeal invece scrollò il capo, le spalle e si concesse un lungo, mesto sospiro, mentre i curiosi cominciavano a disperdersi, tornando probabilmente alle rispettive mansioni. Qualcuno fra essi si attardò per rivolgergli un sorriso o un cenno del capo cui non replicò.

“Vado a recuperarlo.” disse Angeal; e non ebbe bisogno di chiedere delucidazioni in proposito “Lo sai com’è fatto, no? Si accende e si spegne all’istante come un fuoco di paglia. Scommetto che si è già dimenticato perché era arrabbiato e che si è messo a fare il pagliaccio con qualche First Class alla macchinetta del caffè.” poi si fece più serio “Tu nel frattempo cerca di non strafare. Dicevo davvero, prima. Riposati.”

Il SOLDIER continuò a fissarlo dritto negli occhi, in attesa, ammantato di una determinazione che sapeva di preoccupazione. Annuì. Di rimando Angeal distese i lineamenti, accennò un sorriso e gli diede le spalle, avviandosi nella direzione in cui Genesis era sparito. Era davvero ingenuo, considerò.

Riprese la marcia, confortato dal silenzio, dalla solitudine, e svoltò lungo il corridoio. Dietro l’angolo un piccolo gruppo di soldati stava facendo comunella, ma nel trovarselo davanti scattarono immediatamente sull’attenti. Riservò loro uno sguardo, un cenno del capo e passò oltre; ciononostante il commento bisbigliato gli arrivò ugualmente alle orecchie, impietoso e del tutto inaspettato.

“È inconcepibile che degli adulti debbano prendere ordini da un ragazzino. Sarà anche il più abile, ma ci sono un mucchio di soldati con più anni di servizio e di esperienza. Mi chiedo a chi abbia leccato il culo, per accaparrarsi il titolo di Generale.”

Si fermò e voltò leggermente il capo. Da sopra la spalla adocchiò l’intero gruppo, ma gli bastò un attimo per individuare l’uomo che aveva osato proferire simili calunnie. Non indossava il casco, portava la barba, dimostrava almeno trentacinque anni e aveva una grossa, irregolare cicatrice che gli tagliava le labbra di netto. Per un attimo, immaginò di tornare sui propri passi, di afferrarlo per il braccio e di torcerglielo dietro la schiena… fino a che un sordo rumore d’ossa rotte avrebbe riempito l’ambiente. Possibilmente accompagnato da urla inarticolate e pietose suppliche cui non avrebbe corrisposto, dall’alto del suo castigo. Si umettò le labbra, pregustando di già il suono della disperazione; ma, come sempre in quei momenti, il pensiero tornò a Vincent.

I sensi di colpa l’invasero di rimando e lo costrinsero a proseguire verso la stanza da letto. Tuttavia la frustrazione crebbe di pari passo col pentimento. Indurì l’espressione, serrò la mandibola e accelerò il passo. Odiava quella sensazione. E odiava l’influenza che l’altro aveva su di lui. Vincent se n’era andato senza dirgli nemmeno una parola, al pari di Gast. L’aveva ingannato, l’aveva tradito e abbandonato; e la promessa infranta gravava sul suo cuore di bambino alla stregua di un macigno. Gli aveva riempito la testa di false speranze, nient’altro che menzogne per farlo stare buono, per renderlo collaborativo e accondiscendente nei confronti di assistenti, infermieri e dottori. Aveva perfino mortificato e messo alla berlina i suoi sentimenti per lui, parlandone con Hojo, l’essere che più disprezzava al mondo; e mai come in quel momento si era sentito rifiutato, umiliato. E sbagliato. Gli aveva aperto uno squarcio in pieno petto, l’aveva svuotato di tutto e gli aveva lasciato dentro soltanto amarezza, confusione… E rabbia. Ardente, viscerale, incontrollabile rabbia. Eppure, non riusciva che a pensare a lui, a quegli occhi, e al fatto che invero fosse tutta colpa sua. Perché non era riuscito a trattenersi dal desiderarlo, ad esempio. Deludendolo, mettendolo alle strette. In pratica: costringendolo ad andarsene…

Raggiunse l’alloggio che gli mancava nuovamente il respiro. Entrò, si richiuse la porta alle spalle e nel buio dell’ambiente fissò la Midgar notturna che si stagliava oltre la grande finestra della stanza; uno spettacolo maestoso che riuscì solo a inquietarlo maggiormente. Non accese la luce. Si tolse frettolosamente la divisa di dosso, invece, quasi gli abiti da SOLDIER potessero stringerglisi addosso e soffocarlo. Lasciò cadere gli spallacci, i guanti e si diresse in bagno, disseminando pezzi di stoffa lungo tutto il tragitto. Raggiunse la meta che era completamente nudo e sprofondò nella doccia. Aprì il getto d’acqua fredda e il gelo l’avvolse da capo a piedi. Di rimando i muscoli gli si contrassero, la pelle gli si accapponò e intensi brividi gli scivolarono lungo tutto il corpo: una sensazione travolgente che riuscì a restituirgli la calma. E un minimo di lucidità. Di conseguenza, oltre il tradimento, oltre la rabbia e il disprezzo nei confronti di se stesso, intravide la spaventosa realtà: senza Vincent, non c’era più “casa”. Non c’era più “famiglia”. Nessun dove cui tornare, cui appartenere; nessun confortante abbraccio che dicesse “bentornato” e in cui spegnere doveri, responsabilità, aspettative non desiderate. In cui essere se stesso… fosse anche un’illusione. E tutto quello che gli restava era SOLDIER e il ruolo di Generale che gli era stato cucito addosso.

Poggiò la destra contro le piastrelle del bagno e restò immobile, a capo chino sotto il getto che gli pioveva impietoso sulle membra intirizzite; e il silenzio si stiracchiò per attimi che parvero infiniti, interrotto unicamente dallo scrociare dell’acqua. Tutto quello in cui aveva riposto fiducia e che credeva di conoscere si era sgretolato e aveva lasciato polvere dietro di sé. Senza che potesse trovarvi un senso e farsene una ragione; ma continuare ad arrovellarsi non avrebbe portato a niente. Solo ad altro dolore. Lentamente, faticosamente chiuse il getto dell’acqua. Come un automa uscì dalla doccia e si asciugò con il telo disposto lì di fianco, prima i capelli e poi il corpo. Allo stesso modo tornò in camera, raggiunse il letto e si lasciò cadere su di esso. Allungò il braccio, afferrò un lembo della coperta e se lo tirò su di sé. Aveva ragione Angeal: doveva riposare. E dimenticare.

Chiuse gli occhi, si aggrappò al cuscino e sognò di una donna bellissima, con un sorriso bellissimo. Sognò di due sfere gialle, che lo fissavano intensamente di lontano, avvolte dall’oscurità. E sognò di un grosso, peloso ragno dai lunghi e acuminati pedipalpi, che s’inerpicava sulla lucida superficie di un globo fluttuante, etereo come vapore. E ciascuno degli elementi rappresentava un punto luminoso all’interno dello stesso, affascinante microcosmo.

Si svegliò di soprassalto, madido di sudore. Spaziò con lo sguardo in lungo e in largo per la stanza, alla ricerca di quelle immagini sfuggenti; inutilmente. L’intenso, deciso bussare disperse i residui dell’inconscio e richiamò tutta la sua attenzione altrove, sulla porta d’ingresso. Deglutì e si passò la mano fra i capelli, scansandosi le lunghe ciocche argentate dal viso. Non sapeva quanto tempo fosse trascorso da che si era assopito, ma qualcuno lo stava cercando; e lui era tutt’altro che presentabile.

“Sephiroth?” la voce di Angeal gli arrivò attraverso la porta “È ora di cena.” l’amico tacque e sospirò con rassegnazione; poi soggiunse “Ho un messaggio da parte di Genesis. Dice: sei il Generale, mica la Principessa. Perciò alza il culo e datti una mossa, che mentre aspettiamo vossignoria la sbobba si fredda.” Angeal rise “Credo che sia solo ansioso di raccontarti delle sue ultime, geniali trovate. Perciò armati di santa pazienza e andiamo. Anche perché fra un po’ chiederò al direttore Lazard lo stipendio da babysitter.”

Si mise a sedere sul letto, scosse il capo e si concesse un piccolo sbuffo divertito.

“Vi raggiungo.” comunicò quindi.

Dall’altra parte Angeal si pronunciò in un breve e conciso “bene”; dopodiché sentì i suoi passi allontanarsi. Si ravviò nuovamente i capelli e constatò che erano ancora umidi. Non se ne preoccupò. Si alzò, invece, e raccolse quanto aveva sparso a terra in precedenza. Si rivestì con accuratezza, prima la divisa, poi gli spallacci, infine i guanti, premurandosi di lisciare ciascuna, indesiderata piega finché la stoffa non ricadde perfettamente dritta. Dopotutto doveva mantenere la sua rispettabile facciata; e l’indomani sarebbe diventato ufficialmente il Generale dei SOLDIER, massima autorità sul campo di Wutai.

Impeccabile come sempre, uscì dalla stanza e si avviò lungo il corridoio. Di fatto mosse solo pochi passi in direzione della mensa che incappò nell’uomo con la cicatrice sulla bocca che solo qualche ora prima si era permesso di calunniarlo. Quello sollevò lo sguardo su di lui, sobbalzò appena e l’appellò immediatamente con un reverente “Signore!”. Senza i suoi amici attorno non faceva più così il gradasso…
Sorrise, mellifluo, e pensò che fosse giunto il momento di liberarsi delle vecchie abitudini, come diceva Hojo. E Vincent si era sempre sbagliato su di una cosa: non tutti i suoi compagni lo temevano. Non ancora.
 
Duuuunque. Eccomi qua dopo millemila anni. Scusate, ma sono dovuta ripartire per gli States e il viaggio mi ha distrutta. Perciò da oggi in poi preparatevi ad aggiornamenti e risposte a orari improbabili. Lol. E sì, lo so, avrei dovuto aggiornare Meet The End. Ri-Lol. A quanto pare ho un po' litigato con quella storia. ùù' (Ehi, a me si stanno ghiacciando le regali chiappe, di là sui monti! << ndSeph; E io starei morendo infilzato, per cui... =_=' ndVince; E io sono stesa su un letto di rocce con Vinnie che sputa sangue. E non ho nemmeno un impermeabile! °A° ndYuffie). Aaaah-hem. ùù'''' Perciò mi sono dedicata a questo capitolo. Che mi ha sfinita. °A° Non lo commenterò. Lol. Lascio a voi il giudizio. xD Anche se voi siete troppo buoni! °A° E comunque questa storia è davvero... "particolare", sì. Lol. È normale che mi sembrino tutti malati? °A° Loool.
A parte ciò ho giusto un po' di annunci da fare. ùù Faccio la scaletta.
1) Nello scorso capitolo mi sono dimenticata di precisarlo, magari voi l'avete già capito, ma siccome io ho l'ansia di non riuscire a spiegarmi, assecondatemi e lasciatemelo dire qui: I capelli di Vincent sono cresciuti e il suo braccio è mutato, questo perché col passare del tempo volevo renderlo più simile al Vincent del gioco, quello della bara, per intenderci. Per quanto riguarda il braccio, ci sono varie teorie al riguardo. Che gliel'abbiano mozzato e sostituito con quello di metallo, che gli sia mutato (come in questa storia) o che sia lì, sotto l'attrezzo di metallo, sano e salvo. Credo che la risposta esatta sia quest'ultima e che l'artiglio sia solo un "ornamento". Tuttavia trovo molto più affascinante la teoria del braccio perennemente mutato, perciò l'ho inserita nella storia. E se ve lo state chiedendo è lo stesso anche in Meet the End. Lol. Diciamo che il Vincent delle mie fic ha il braccio mutato, ecco. E il taglio a y su torace e addome. =w=  (Un gioiello, proprio. =_='' ndVince; Io ti amo lo stesso... =ççç= ndCompaH; Vade retro, Satana! °A° ndVince che ha cambiato espressione).
2) La Protomateria. Io non so se Vince abbia ancora un cuore (s'intende quello coi ventricoli, lol) oppure no. Ma quando in Dirge of Cerberus Shelke/Lucrecia gli ripiazza la Protomateria nel petto si sente proprio il battito cardiaco. Anche qui diciamo che è una mia licenza petica (?) e quindi per me Vince ha la Protomateria al posto del cuore. ùù' (Ma che razza di essere sono? oo'' nd Vince che sta facendo le facce; E lo chiedi a me? <<' Io ci capisco sempre meno. °A° ndCompaH)
3) Siccome sono una schiappa in matematica, ma di quelle atroci, mi sono fatta i conti "ad canis mentulam" e ho dovuto rivedere tutte le età di Sephiroth per farle coincidere più o meno con gli avvenimenti del gioco, perciò nello scorso capitolo Seph aveva 17 anni e non 15. °A° Perdono, perdono, perdono! >-< *si scosparge il capo di cenere*
4) Sempre per la storia dell'ansia sul non riuscire a spiegarsi, preciso anche questo: In questo capitolo non ho messo la dicitura con gli anni trascorsi dalla creazione di Sephiroth perché semplicemente sono passati pochi giorni dallo scorso capitolo. Nel prossimo Seph avrà tipo 23 anni.
5) Il prossimo capitolo di questa storia è anche l'ultimo. ùù''' E incrocio le dita per riuscire a scriverlo, perché credo che mi prosciugherà di tutte le energie. °A° Anche perché vorrei renderlo come si deve... e finisce sempre che incappo nell'"effetto McDonald"! Lol. E con questo direi che è tutto. Alla prossima con "Mostri - Seconda Parte"! *w* Non vi state già consumando nell'attesa? *e venne tempestata di pomodori, insalata e Hojo volanti* °A°
CompaH
   
 
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