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Autore: tartaruga_dt    25/09/2014    1 recensioni
Mycroft ha un pesce rosso e nessuno si rende conto di cosa questo possa significare per lui, non sua madre, non Sherlock e in fondo in fondo neanche Mycroft stesso. Suo padre lo intuisce, e forse anche il dottor Watson e sua moglie Mary si sono fatti un’idea. Bill Wiggins invece sa di per certo che cosa questo significa per lui, ma per quel che riguarda Mycroft non gli interessa poi molto. L’importante comunque è che non lo venga a sapere Jim Moriarty, altrimenti potrebbe chiedere a Irene Adler un aiuto per portarglielo via.
[SOSPESA - IN REVISIONE]
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bill Wiggins, Mycroft Holmes, Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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goldfish 1
Mary picchietta con impazienza le dita sul volante dell’auto.
- Ma quanto ci mette? – domanda scrutando la porta di casa Holmes attraverso il vetro del finestrino – Se non si sbriga finirà per perdere l’autobus! –
- Non sarebbe poi così grave. – mormora Bill the Wig, seduto sul sedile posteriore. Mary lo osserva con simpatia attraverso lo specchietto retrovisore.
- Tornerà. – dice – E’ solo una vacanza studio, qualche settimana e sarà di nuovo qui. – ma in risposta riceve solo uno sbuffo indecifrabile, così torna a guardare fuori dal finestrino. Fuori piove a dirotto e la porta di casa Holmes non accenna ad aprirsi.
- Ormai è rientrata da almeno venti minuti… – sospira.
- Forse i signori Holmes non vogliono lasciarla andare. – ipotizza Bill sottovoce, e la speranza nelle sue parole è talmente palese che Mary si trattiene a stento dal ridere.
- O forse semplicemente non trova il quaderno che è tornata a prendere. – gli fa notare.
Bill alza le spalle come a dire che non gli importa ma non è così, gli importa, gli importa troppo forse e Mary si chiede se non sia il caso di affrontare la questione con Sherlock.
In quel momento la porta di casa Holmes si spalanca e una figura minuta schizza fuori sotto la pioggia.
- Eccola finalmente! – fa Mary sollevata, ma ci mette meno di un secondo a capire che qualcosa non va. – Che accidenti fa? – chiede mentre vede la ragazza superare la macchina ferma davanti al cancello e correre in strada, senza degnarli neanche di uno sguardo. Apre la portiera dell’auto e mette la testa fuori:
- Shelley! – grida – Che succede? Dove vai? – ma la ragazza non si volta, continua a correre come se avesse il diavolo alle calcagna.
Bill scende in fretta dalla macchina.
- Io la seguo. – dice tirandosi su il cappuccio del giubbotto e iniziando a correre. Mary non sa che dirgli, rimane lì impalata a guardarli correre via finché la voce di John non la raggiunge. Lo osserva venirle incontro sotto l’ombrello aperto e capisce dalla sua faccia che è accaduto qualcosa di grave.
- Vieni dentro. – le dice John quando la raggiunge.
- Ma che accidenti è successo? –
John le indica casa Holmes con un cenno del capo.
- Vieni dentro. – ripete – E’ una storia lunga. –


goldfish



1. il dr. Watson fa il punto.

Casa Holmes è territorio di guerra, Mary se ne accorge non appena varca la porta di casa. C’è una strana tensione nell’aria, qualcosa di simile alla rabbia ma più distruttiva, più lacerante: i geni non si arrabbiano, pensa Mary, i geni odiano con ferocia, e in casa Holmes i geni sono tre. John la tiene per mano mentre percorrono il corridoio e lo fa anche quando arrivano in soggiorno, dove sono riuniti tutti gli Holmes, ognuno chiuso nel suo silenzio ostile.
- E’ corsa via. – annuncia John a tutti – Ma ho visto Wiggins seguirla perciò… –
- Ma bene! – lo interrompe bruscamente Mycroft con un’ironia tagliente nella voce – Allora siamo a posto! Un drogato come guardia del corpo, magnifico! – poi si rivolge a Sherlock, che se ne sta seduto immobile in poltrona, con le mani giunte davanti alla bocca e gli occhi persi nel vuoto – Riprenditi dal tuo stato catatonico, – gli intima – e dì al tuo tirapiedi di riportarla qui, subito. Al resto penserò io. –
- Ah sì, ci penserai tu? – chiede con gelida calma la signora Holmes, in piedi vicino alla finestra – Così come ci ha pensato sedici anni fa? –
Mycroft si volta di scatto nella sua direzione, come se lei l’avesse colpito o schiaffeggiato, e per un momento Mary crede di vederlo arrossire.
- Quella bambina ora sarà chissà dove, spaventata a morte. – continua la signora Holmes stringendosi le mani in grembo – Chi chiamerai stavolta a fare il lavoro sporco? La polizia, l’esercito, i servizi segreti? –
Mycroft ricambia il suo sguardo duro senza battere ciglio.
- Tu non ti rendi conto. – mormora. La voce gli trema come se quelle poche parole gli costassero uno sforzo fisico.
- Certo che mi rendo conto, non serve avere chissà che QI per… –
- No! – l’urlo di Mycroft è improvviso, rabbioso, e li lascia tutti di sasso – Tu non ti rendi conto! Non ti rendi conto della posizione in cui si trova, della posizione in cui mette me! – grida, e non appena lo fa stringe un pugno con tanta forza da sbiancarsi le nocche e se lo preme sulle labbra come per costringersi a tacere.
Ha perso il controllo, pensa Mary nel silenzio attonito e denso che segue le urla di Mycroft, è completamente fuori di sé. Si chiede quale possa essere il motivo, che cosa abbia potuto accendere la rabbia di un uomo abituato a gestire affari di portata mondiale con cinico distacco, ma non fa in tempo a cercare una risposta da John perché dal piano di sopra si leva il pianto acuto e spaventato della sua bambina.
- Vado io. – dice sottovoce a John, si stacca da lui e fa per lasciare il soggiorno ma inciampa in qualcosa e per poco non cade per terra a faccia in avanti. Si china per raccoglierlo e capisce che si tratta del quaderno di Shelley, quello che la ragazza aveva dimenticato e che era tornata in casa a prendere: cosa ci faceva lì buttato per terra?

***
Bill riesce ad afferrarla per un braccio giusto un attimo prima che lei finisca sotto le ruote di una macchina.
- Sei matta? – le dice – Non la guardi la strada? – ma non fa in tempo a finire di parlare che Shelley con uno strattone si divincola.
- Ehi – fa lui riacchiappandola subito – Calmati, sono io, sono Billy. –
Lei non lo ascolta, non lo guarda neanche in faccia, lo spinge via con tutta la forza che ha e ricomincia a correre ma Bill ha le gambe lunghe e la raggiunge subito.
- Fermati – le dice, stavolta senza toccarla – Siamo in mezzo alla strada è pericoloso! Shelley! Per favore… – le taglia la strada per costringerla a fermarsi allargando le braccia per evitare che lo sorpassi – è pericoloso. – ripete. Shelley prova a scansarlo con un braccio ma lui rimane piantato davanti a lei, senza spostarsi di un centimetro, e allora per smarcarsi la ragazza prova a cambiare completamente direzione.
- Guardami per favore. – chiede Bill afferrandola per le spalle – Shelley? –
La costringe a fermarsi, lei fa ancora un po’ di resistenza ma ha finito il fiato e alla fine cede. Quando finalmente riesce a guardarla in faccia Bill si accorge che ha gli occhi rossi e gonfi e che singhiozza senza controllo.
- Che è successo? – le chiede spaventato. Shelley non gli risponde, si divincola e china la testa, stringendosi nelle braccia. E’ bagnata fradicia, ha i capelli incollati alla faccia e il maglione troppo largo che le si affloscia addosso. In quel momento Bill le pensa tutte: gli Holmes l’hanno cacciata, l’hanno trattata male, Sherlock l’ha trattata male o quel coglione del fratello maggiore o tutti e due insieme, oppure l’hanno spaventata, le hanno fatto qualcosa o detto qualcosa o hanno dedotto qualcosa e gli l’hanno sbattuta in faccia in quel modo odioso che hanno loro, oppure…
- Non torno indietro. – la sente mormorare tra i singhiozzi - Non voglio tornare indietro. –
Bill non deve pensarci neanche per un minuto.
- No. No, non preoccuparti, non ti ci riporto. –

***
Quando John la raggiuge Mary è nella stanza degli ospiti, seduta sul lettone, con la piccola Felicity tra le braccia. Accanto a lei c’è il blocco degli schizzi di Shelley.
- John, ma cosa sta succedendo? – chiede Mary non appena lo vede. John si chiude la porta alle spalle e poi si va a sedere accanto a lei, prendendo il quaderno tra le mani.
- E’ una brutta storia. – dice piano. Felicity si sporge verso di lui, circondandogli il collo con le braccine corte, e John la prende e la stringe a sé, baciandole i riccioli biondi. Con il braccio libero tende il blocco a Mary e le chiede di metterlo da parte. Lei lo fa, prende il blocco e lo posa sopra la grande cassettiera di lato al letto, poi torna a sedersi acconto a lui.
- Allora? – lo incalza.
- Allora – inizia John con un sospiro sconsolato – la piccola Shelley ha assistito a una litigata a cui non avrebbe mai dovuto assistere. –
Mary rimane in silenzio e John si lascia cadere all’indietro sul lettone, tenendosi stretta Felicity. La bambina ride e si sistema a cavallo della pancia del padre, per poi iniziare a esplorargli la faccia con le manine grassocce.
- Ti ricordi quando i signori Holmes ci hanno presentato Shelley? –
Mary annuisce stendendosi accanto a lui.
- Sì, è stato un paio di anni fa, a Natale, Shelley aveva quattordici anni. Mi ricordo che la signora Holmes disse che dopo aver cresciuto due maschi e convissuto per più di vent’anni con tre uomini, sentiva il desiderio di avere un’altra donna in casa. –
- Disse che lei e il marito avevano fatto domanda di adozione, – continua John con voce piatta – e che, siccome non avevano più le energie per star dietro a una bambina molto piccola, avevano cercato nella fascia d’età tra gli undici e i quindici anni. –
- Sì, me lo ricordo. –
- Disse anche che, non appena incontrarono Shelley, fu una sorta di amore a prima vista, che lei era l’immagine della nipote che aveva sempre sognato e che i suoi emotivamente stitici figli non erano stati ancora in grado di darle. –
Mary ridacchia.
- “Emotivamente stitici” – ripete – Sì, mi ricordo ancora la faccia che ha fatto Sherlock quando l’ha sentita! –
John non ride, non accenna neanche a un sorriso.
- Il fatto però è che si tratta di una bugia. – dice girandosi su un fianco e guardando Mary negli occhi. Felicity, seduta sopra la sua pancia, scivola sul letto con un gridolino sorpreso e si aggrappa alla sua camicia. – La verità – continua John – è che Shelley è davvero la nipote dei signori Holmes. –
Mary aggrotta la fronte, confusa.
- Vuoi dire che Sherlock… –
John scuote la testa.
- Sherlock non c’entra niente. Shelley è la figlia di Mycroft. –

***
La limousine nera si ferma davanti al cancelletto di casa Holmes, Mycroft la vede dalla finestra e, senza dire una parola, raggiunge l’appendiabiti all’ingresso e prende l’impermeabile grigio. Sua madre lo segue con gli occhi, ne è consapevole, sente il suo sguardo duro su di sé ma fa di tutto per ignorarlo. Si ferma un attimo davanti allo specchio che c’è nell’ingresso, lisciandosi la giacca del completo scuro e sistemando il nodo della cravatta azzurra, infine afferra il suo inseparabile ombrello nero, ed è allora che sua madre si decide a rivolgergli la parola.
- Non puoi andartene. – gli dice.
Lui si sistema l’impermeabile sulle spalle e le rivolge il più sottile dei suoi sorrisi.
- Mi aspettano. –
- Ma Shelley… –
- Shelley non è un mio problema. Al momento è con il compagno di giochi del mio fratellino, perciò si occuperà lui di rintracciarla. Dico bene Sherlock? –
Sherlock l’ha seguito nell’ingresso ma l’ha fatto in modo automatico, senza rendersene conto, la sua mente è altrove e i suoi occhi blu, per quanto siano posati su di lui, non lo vedono realmente.
Mycroft picchia per terra con la punta dell’ombrello per attirare la sua attenzione.
- Sherlock – ripete con voce dura – fatti dire da quel Will o Bill dov’è la ragazzina e poi chiamami sul numero che sai. E non fare quella faccia, non sei contento di sapere che non sei più il piccolino di casa? –
- Mycroft, per l’amor del cielo! Come fai ad essere così… –
- Così come, mamma? –
Mycroft non sorride più, la fissa sfidandola a continuare. Vuole che continui, vuole che gli dia una scusa, una scusa qualsiasi per gridare e rinfacciarle tutto: le menzogne, i giochetti per farlo affezionare a una ragazzina di cui si era sbarazzato anni e anni prima, in un’altra vita che aveva fatto di tutto per dimenticare e che lei l’aveva obbligato a ricordare. Ma interviene suo padre, e la sua provocazione sfuma nel nulla.
- Lascia andare il ragazzo Cecilia – lo sente dire a sua madre mentre le poggia le mani sulle spalle – ha bisogno di tempo. – e Mycroft non sa perché, ma si sente improvvisamente vulnerabile e insicuro. Deve andarsene da lì, sottrarsi a quegli occhi scuri troppo comprensivi, troppo indulgenti, deve farlo ora o è sicuro che qualcosa dentro di lui si spezzerà irreparabilmente. Così volta loro le spalle e spalanca la porta. Fuori piove ancora a dirotto. Mentre apre l’ombrello lo attraversa come una scossa il pensiero che la ragazzina in quel momento sia fuori chissà dove, a prendersi tutta quell’acqua, ma si sbriga a scuotere la testa per scacciarlo.
- Domani ti telefonerò anch’io Mycroft. – dice suo padre quando lui ha già messo il piede fuori dalla porta. Mycroft non si volta a guardarlo.
- Sono molto impegnato in questi giorni. – si sbriga a dire – Magari più in là. –
- Domani. – ripete con calma suo padre – Domani ti cercherò e tu ti farai trovare. –

***
Felicity è di nuovo crollata addormentata: le feste la esauriscono sovraccaricandola di novità, facce ed esperienze. John è steso accanto a lei, su di un fianco, le accarezza i capelli biondi mentre racconta a Mary quello che è successo in casa Holmes mentre lei, Bill e Shelley erano fuori.
- E’ accaduto tutto all’improvviso. – spiega – Un istante prima i signori Holmes punzecchiavano Sherlock e un istante dopo Mycroft entrava in soggiorno pretendendo spiegazioni. Non l’ho mai visto tanto fuori di sé, neanche quando Irene Adler giocava con Sherlock come con una marionetta o quando Moriarty se ne andava in giro a imbottire la gente di esplosivo. –
Mary era distesa a pancia in giù sull’altro lato del letto, con i gomiti piantati sul materasso e il mento appoggiato sul pugno chiuso.
- Ma come è successo? – chiede – Voglio dire, come siamo arrivati a questo intreccio da telenovela sudamericana, con Mycroft che ha una figlia illegittima che, a sua insaputa, viene adottata dai nonni? E’ una cosa da far venire il mal di testa… –
John fa una smorfia.
- In effetti è una storia piuttosto complicata, e non sono sicuro neanche di averla capita tutta. E tra l’altro… – esita un attimo, aggrottando la fronte – …non riesco proprio a immaginarmi Mycroft come il protagonista di tutta questa faccenda. –
Mary lo guarda curiosa.
- Come sarebbe? – chiede e John si lascia scappare un sorriso.
- Sì, beh, vedi…se ho capito bene si tratta di una storia d’amore. –
- Oh. –
- Già. – l’espressione di John non poteva essere più incredula – A quanto pare anche Mycroft Holmes, il più intelligente, cinico e disincantato degli agenti di Sua Maestà, ha avuto vent’anni e ha fatto qualcosa di molto sciocco per una donna. –
- Oh. – ripete Mary appoggiando il viso sul cuscino – Sembra una storia romantica… – osserva con l’ombra di un sorriso sulle labbra rosse.
- No, non lo è. – sospira John mentre sfiora con il dorso della mano le guance rosee della piccola Felicity – E’ una brutta storia. –
- Dai, racconta. –
- Beh, da quello che ho capito, quando era più giovane Mycroft si è trovato alle prese con un’organizzazione criminale che operava su scala internazionale, e per riuscire a identificarne i capi ha dovuto viaggiare in lungo e largo per l’Europa. Durante uno di questi viaggi ha conosciuto una donna… –
- Uh, – mormora Mary – vorrei proprio conoscerla la donna capace di far girare la testa a Mycroft Holmes! –
- Io no. – si sbriga a dire John – Ho conosciuto la signorina Adler che ha fatto girare la testa a un altro Holmes e credimi, ne avrei fatto volentieri a meno! Tra l’altro poi la fiamma di Mycroft doveva essere anche peggio della Adler. –
Mary inarca le sopracciglia.
- Non ti sembra di esagerare? Stiamo parlando di Irene Adler, la donna che ha sedotto e ingannato alcune tra le figure più importanti e influenti del paese, che cosa può aver mai fatto quest’altra donna di peggiore? –
- Ha sedotto e ingannato Mycroft Holmes. – risponde John con semplicità – A quanto ho potuto capire era una spia dell’organizzazione che Mycroft aveva il compito di annientare. – ricomincia John – Doveva stargli accanto, estorcergli informazioni, depistarlo. Ma… –
- Ma Mycroft capisce il suo gioco. – lo anticipa Mary.
- E la usa a sua volta per distruggere dall’interno l’organizzazione, offrendole informazioni false. – conclude lui – Quello che non sa è che la sua ex, se così possiamo chiamarla, è incinta e che l’organizzazione per cui lavora ha intenzione di offrirgli la bambina in cambio di una tregua. –
- E la madre lo permette? – chiede Mary con un filo di voce. John scuote piano la testa.
- Non lo so. – dice – Non so cosa ne sia stato di lei. Tutto quello che sono riuscito a capire è che Mycrof in qualche modo è riuscito a riprendersi la bambina, che ha coperto tutte le sue tracce e che l’ha fatta sparire nelle spire della burocrazia del sistema di adozioni inglese. Questo almeno fino a qualche anno fa, quando gli Holmes adottano Shelley. –
- Allora è per questo che prima, quando eravamo di là in soggiorno, la signora Holmes ha detto quelle parole... – mormora Mary guardando John che si attorciglia i ricci biondi della figlia intorno alle dita.
- Esatto, – risponde lui – gli rimprovera di aver abbandonato la nipote al suo destino. –
- Ma lei come l’ha saputo? Glielo ha detto Mycroft? –
John si passa la lingua sulle labbra.
- E’ qui che la storia diventa spaventosa. – dice – Perché vedi, Mycroft non ha detto ad anima viva della bambina, l’ha semplicemente fatta sparire insieme a…beh, a tutti quelli che potevano sapere di lei. Secondo i suoi piani dovrebbe essere l’unico al mondo a sapere di avere una figlia da qualche parte. –
- Ma gli Holmes lo sanno, – obbietta Mary tenendosi la testa tra le mani – e infatti l’hanno cercata per poterla adottare. –
- Il problema è proprio questo. La signora Holmes ha ammesso di aver saputo della nipote da un uomo, un certo Stephen Scott, che si è presentato qui tre anni fa dicendo di essere un collega di Mycroft e di volersi togliere un peso dalla coscienza. Ma non è possibile che sia andata in questo modo. –
- E perché no? – chiede Mary frastornata.
- Perché secondo Mycroft l’unico Stephen Scott che abbia mai lavorato con lui è morto almeno dieci anni fa. –

***
Da che Sherlock ha memoria il punto di riferimento in casa Holmes, l’autorità a cui rispondere e quella da eludere, è sempre stata sua madre. Né poteva essere diversamente: quando aveva solo cinque anni suo padre non era già più in grado di tenergli testa giocando a scacchi, mentre per riuscire a strappare una vittoria a sua madre c’erano volute notti di studio sulle partite di Kasparov, di Lasker e di Fischer, e almeno una ventina d’anni d’esperienza accumulata contro avversari meno ostici di lei. Eppure in quel momento Sherlock si rende confusamente conto che il punto di riferimento, la stella polare nel mare tempestoso di quella situazione astrusa, è suo padre.
Una piccola parte di lui osserva affascinata come il suo genitore normale, quello dotato di un’intelligenza nella media, riesca a gestire quella situazione straordinaria capace di mandare completamente in tilt ben tre intelligenze assolutamente fuori dal comune: John Watson l’ha abituato al pacato e solido eroismo delle persone comuni, ma osservarlo in suo padre, l’onnipresente e muta spalla di sua madre, è per Sherlock un’esperienza assolutamente nuova. L’altra parte di lui, quella che risolve i casi e annienta imperi criminali, la parte brillante, sociopatica e iperattiva, rimane invece stranamente inerte e Sherlock non capisce perché. All’improvviso è come se l’efficientissimo e sofisticatissimo ingranaggio del suo cervello fosse pieno di sabbia che lo rallenta, lo impaccia, lo ingolfa. Suo padre invece è calmo e agisce in modo efficace, controllato e disinvolto: Sherlock lo osserva rassicurare sua madre, sorriderle e chiederle di preparare del the perché se Shelley dovesse tornare certo avrà voglia di qualcosa che la scaldi; e poi lo osserva venire verso di lui, serio e calmo come non l’ha mai visto, senza tradire alcun nervosismo. Gli stringe le braccia e lo guarda negli occhi.
- Sherlock – gli dice, con una dolcezza così inaspettata che lo fa arrossire – So che sei turbato figliolo, e immagino che tu abbia tante domande, ma ora ho bisogno che contatti il giovane Bill e che gli dica di riportare qui Shelley. Puoi farlo per me Sherlock? –

***
Mary è seduta sul letto, a gambe incrociate, tiene i gomiti piantati sulle ginocchia e la testa sprofondata tra le mani aperte.
- Dio che brutta faccenda… – mormora. John annuisce distrattamente mentre con le dita continua a sfiorare i capelli biondissimi di Felicity che sta lì, rannicchiata contro di lui, con gli occhi chiusi e la bocca aperta. Non riesce a capire Mycroft, non riesce a immaginare cosa gli sia passato per la testa quando sedici anni prima ha deciso di rinunciare a qualcosa del genere: Felicity è la sua gioia, la sua forza, la sua speranza, tutta la sua vita, non avrebbe mai potuto lasciarla.
- Chi può essere questo fantasma, John? – chiede Mary a un certo punto – C’è qualche possibilità che fosse un uomo di Magnussen? Magari voleva vedere come avrebbe reagito Mycroft a confronto con la figlia abbandonata, non pensi?  Un po’ come ha fatto con Sherlock, quando ti ha rapito per metterlo alla prova. –
- Speriamo. – sospira John – Se si trattasse di Magnussen non ci sarebbe più nulla di cui aver paura ormai, qualunque fosse stato il suo piano dovrebbe essere morto con lui. –
Mary annuisce ma senza convinzione.
- Speriamo allora. Speriamo si tratti di lui. –
- Sarebbe l’ideale! – ricomincia John – I signori Holmes potrebbero finalmente godersi Shelley e Mycroft…oh beh, chissene importa di Mycroft! Tanto dopo quello che è successo oggi dubito che Shelley vorrà mai più rivederlo. –
Mary inarca leggermente le sopracciglia.
- Ho i miei dubbi in proposito. – sussurra con un sorriso triste – In questi due anni che è stata con gli Holmes ho avuto la netta impressione che il suo preferito fosse proprio Mycroft. Pensi che la signora Holmes le abbia detto la verità su chi era? –
- Assolutamente no! Quella povera ragazza ha scoperto solo poco fa di essere la figlia dell’uomo più arrogante e supponente del mondo. E l’ha fatto nel modo peggiore, credimi! – John si lascia sfuggire una risata nervosa – Guarda, – le dice poi – io non so se prima Mycroft fosse il suo preferito, ma so di sicuro che ora non lo è più. –
- Mio Dio John, ma che accidenti è successo? –
- E’ successo – comincia John con un’espressione severa che Mary non gli ha mai visto – Che non appena tu, Bill e Shelley siete usciti di casa, Mycroft ha affrontato sua madre. Le ha detto di sapere chi fosse Shelley e l’ha accusata di averli messi tutti in pericolo, lui, Shelley, Sherlock, l’Inghilterra intera, tutti! Le ha detto che non era un suo problema, che quello che doveva fare per quella ragazza lui l’aveva fatto a suo tempo e che non voleva farsi coinvolgere oltre. –
- Ma lei era rientrata a prendere il suo quaderno degli schizzi. – mormora Mary coprendosi la bocca con la mano. John annuisce.
- E a sentito tutto. – conclude per lei – Ha sentito Mycroft parlare di lei come di un imprevisto, un imperdonabile errore di percorso… –
- No. –
- Invece sì purtroppo. Era nascosta dietro la porta e ha ascoltato tutto, anche quando Mycroft ha detto di essere stato incastrato, da quella donna prima e dai genitori ora. A suo dire i signori Holmes vorrebbero costringerlo ad affezionarsi a uno stupido pesce rosso incapace di ragionamenti logici. –
- Non mi stupisco che sia scappata via a quel modo. – mormora Mary.
- No, – dice John mentre si stringe Felicity al petto – neanch’io. –



Ciao a tutti, e grazie per aver letto questo luungo capitolo!
Rubo ancora qualche riga per mettere in chiaro con voi alcune cose prima di cominciare l'avventura di questa long.
La prima: come vedete ho iniziato il racconto in medias res, cioè quando alcune cose sono già accadute. Io ve le racconto attraverso i ricordi dei pg ma, se qualcosa non è chiara o addirittura non si capisce qualche passaggio, vi chiedo di farmelo sapere.
La seconda: è una storia fortemente introspettiva, quindi sarà un po' lenta, ci saranno pochi ma decisivi colpi di scena.
La terza: anche l'aggiornamento sarà lento, e questo perché io sono una persona lenta e puntigliosa; in compenso però i capitoli saranno tutti corposi come questo, o addirittura di più.
La quarta: ho una grande simpatia per tutti i pg della serie, anche per quelli che, per esigenze di trama, bistratterò.
La quinta: c'è un OC ma fidatevi, non è una Mary Sue, datele un'opportunità per piacere ^^

Prima di lasciarvi vi chiedo ancora un favore. In cima alla pagina, sulla destra, Efp offre l'opportunità di aggiungere personaggi: se questo capitolo vi ha interessato almeno un pochino, siate gentili, votate per Bill Wiggins! Mi piacerebbe poterlo inserire tra i personaggi della ff, perché avrà un ruolo importante.

Fine delle NdA. Grazie per la pazienza e a presto ^^

tartaruga

   
 
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