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Autore: Vale11    27/09/2014    1 recensioni
Una chiazza di blu scuro su una panchina, un cappello calato sulla testa, capelli più lunghi che mai che ormai hanno passato le spalle. Non vede le gambe, ma immagina siano rannicchiate contro il petto per ripararsi dal freddo. Gli da le spalle. Steve vede che ha addosso la solita felpa blu, i soliti jeans e Dio, si congela e quell'uomo non ha nemmeno una giacca addosso.
p.s. anche Steve Rogers è uno dei personaggi principali, ma il mio computer ha deciso che non sono degna di selezionare due voci nemmeno con il ctrl. E sia.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: James 'Bucky' Barnes
Note: Movieverse | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Bucky parlava poco,dormiva parecchio, mangiava pochissimo; Steve cercava di far abbassare la febbre con una sollecitudine encomiabile, ma i metodi degli anni '40 potevano anche non funzionare su un'infezione ai polmoni di quella portata. Il fatto era che non era facile convincere Bucky a prendere qualcosa.
Come lavori con una persona che non si è potuta fidare di nessuno per decenni? Come convinci qualcuno che è stato drogato, avvelenato, usato come cavia da laboratorio per settant'anni che un antibiotico non serve ad addormentarlo e fargli chissà cosa, ma semplicemente a farlo stare meglio? La telefonata a Banner era stata decisamente utile, i consigli erano perfetti, ma il paziente aveva avuto quasi un attacco di panico quando Steve si era avvicinato con la confezione di pasticche da fargli prendere. Ci aveva perso quasi un'ora, e ancora non aveva avuto successo: se non fosse stato per l'effettivo bisogno di far prendere a Bucky quelle medicine Steve avrebbe rinunciato; anche solo per non vedere più il viso terrorizzato del suo migliore amico. 
"Buck"
Niente. Nientenienteniente. Nemmeno uno sguardo.
"Bucky"
La spalla di Bucky, quella su cui ha appoggiato la mano, continuava a tremare. Ma lui niente, teneva gli occhi chiusi, le labbra serrate, e restava li.
"James, per favore"
Sua madre lo chiamava James, Steve non l'ha mai chiamato così. Solo in caso di emergenza lo chiama così. Quando lo porta via dalla base tedesca lo chiama così. Quando non riusciva a dormire senza vedere il volto da roditore del medico svizzero col nome da scrittore francese, quando si svegliava urlando il suo numero di matricola, ripetendolo come un ossesso, per paura che fossero davvero riusciti a cancellargli la memoria. Quando aveva bisogno di Steve ma non aveva il coraggio di dirlo, perchè Steve ormai era Capitan America, e tutta l'America aveva bisogno di lui. Cos'erano i bisogni di un singolo soldato davanti a quelli di tutta una nazione? Non aveva detto niente, ed aveva continuato a non dormire per giorni e a svegliarsi urlando quelle poche volte che riusciva ad addormentarsi. Finchè qualcuno aveva avvertito Steve. Ed era Steve quello che era arrivato, non Capitan America: se Capitan America era troppo occupato per curarsi di lui, Steve non lo era mai. Era stato Steve a prendersi cura di Bucky, a promettergli che l'avrebbe svegliato dagli incubi, a obbligarlo a dormire chiamandolo James.
"James, non dormi da troppo tempo. Chiudi gli occhi, ci sono io qui".
E vedere quella versione enorme di Steve che gli prometteva protezione lo fece ridere di gusto, prima di ritrovarsi affogato con un mattone in gola che non ne voleva sapere di scendere. Non aveva pianto, si era limitato a svenire sulla branda per quasi due giorni. Quando si era svegliato, Steve era li. Perchè Bucky sapeva che se Steve lo chiamava James significava che diceva sul serio.
"James, avanti"
Steve lo vide spostare la testa verso la fonte della sua voce, solo un po'.
"Per favore"


Bucky non aveva mai saputo resistere ai "per favore" di Steve, ne quando li elargiva dal basso del suo metro e sessanta, ne quando gli scappavano di bocca quando ormai era un armadio muscoloso di quasi due metri che cercava di convincerlo a comportarsi in un modo più assennato. A cercare di restare vivo. Tipo in quel momento, in effetti. E un "James" seguito da un "per favore" era l'inizio della capitolazione. Aprì gli occhi , cercando di non cedere alla minaccia spaventosa rappresentata da quelle due pillole bianche, decidendo di fissare Steve al loro posto. Se Steve diceva che l'avrebbero aiutato, forse l'avrebbero aiutato. Si fidava si Steve. 


Steve approfittò dell'apertura nella postura di Bucky per passargli un braccio dietro le spalle e tirarlo su a sedere, mettergli in mano le pasticche e tenere a portata di mano un bicchiere di carta pieno d'acqua. Non voleva ficcargliele in bocca, avrebbe significato perdere tutta la fiducia che Bucky riponeva in lui. Bucky alzò gli occhi per fissarli nei suoi, e Steve sentì morire in bocca tutte le rassicurazioni che gli erano venute in mente. Bucky era terrorizzato dall'idea di prendere quella roba, ma pareva aver deciso di fidarsi perchè pochi secondi dopo se le era ficcate in bocca e aveva allungato il braccio sinistro verso il bicchiere. Steve aspettò che bevesse , poi glielo tolse di mano e lo appoggiò sul comodino. Rimuginò sulla possibilità o meno di fargli prendere anche un antidolorifico per la spalla, ma preferì chiedere prima.
"Bucky, riesci a tirare giù qualcos'altro?"


Bucky sputò fuori tutta l'aria che aveva nei polmoni prima di rispondere, spostando gli occhi su qualsiasi cosa nella stanza tranne che su Steve.
"Qualcos'altro cosa?"
"Antidolorifici, Buck. Te la senti?"
Lo fissò da sotto in su, il sopracciglio destro inarcato.
"Funzionano?"
"Direi"
Vide Steve sorridergli, non se la sentì di deluderlo.
"Ok"
Steve si alzò dal letto per avviarsi in cucina, appena uscito il suo migliore amico, Bucky si permise di stringere gli occhi. Le mani gli tremavano.


Steve rimase in cucina più di quanto avesse voluto: la confezione degli antidolorifici aveva deciso di offrire resistenza e, tanto per complicare le cose, era riuscito ad aprirla dalla parte del bugiardino. Ogni tanto si chiedeva se quei foglietti che comunque nessuno leggeva si spostassero a spregio da una parte all'altra della scatola ogni volta che cercava di aprirne una. Si ricordò all'ultimo minuto di riempire di nuovo il bicchiere con l'acqua del rubinetto
che era buona comunque, e poi che senso ha comprare l'acqua, diritto umano fondamentale a cui tutti dovrebbero avere accesso? - evitò di pensare al fatto che pagare la bolletta dell'acqua era comunque comprarla
e si avviò di nuovo verso la camera da letto. 


Bucky sentì i passi di Steve avvicinarsi, si sforzò di aprire gli occhi. Si sforzò di far passare il panico che gli stava salendo nella gola. Si sforzò di apparire il più normale possibile.


Quando Steve si affacciò alla porta si rese subito conto che qualcosa non andava, ma non riusciva a intensificare il problema: Bucky sembrava tranquillo, e nella stanza tutto era rimasto come prima. Si sedette di nuovo sul letto accanto a lui, e solo in quel momento si rese conto che le pupille di Bucky erano dilatate come due piatti.  Gli occhi di Bucky erano due buchi neri.
"Buck?"


Bucky sentì la mano di Steve appoggiarsi sulla sua spalla, quella libera dalle bende che gli tenevano fermo il braccio destro,  e si voltò verso di lui. Dovette sopprimere la voglia di mettersi a urlare quando vide le due pillole azzurre in mano del Capitano. 
Nononononononono
Non riusciva a staccare gli occhi da quegli aggeggini che aveva davanti al naso. Non avrebbe mai creduto possibile che due cose così piccole gli avrebbero scatenato una paura così grande.
"Buck, cosa c'è?"
Gli occhi di Steve erano pie i di qualcosa che non riusciva a identificare, probabilmente perchè non vedeva qualcuno preoccupato per lui da un bel pezzo. Quando se ne rese conto si sentì quasi in colpa.
"Sto bene"
Gli uscì di bocca come carta vetrata. Deglutì.
"Sono gli antidolorifici? Quelli che funzionano?"
Steve annuì senza smettere di fissarlo, quando gli appoggiò una mano sulla fronte senza preavviso dovette resistere all'impulso di schizzare all'indietro di quaranta centimetri e sferrare un pugno col braccio metallico. Non riuscì ad evitare di sobbalzare, in ogni caso. Steve tenne la mano sulla sua spalla. Gliene fu immensamente grato. Dopo pochi secondi si rese conto che la mano del suo migliore amico aveva iniziato a scivolare verso il collo e tornare indietro, verso il collo e tornare indietro, in un movimento ripetitivo che trovò insieme miracoloso, rassicurante e rilassante. Era talmente disabituato a ricevere un minimo di rassicurazione fisica che bastava pochissimo a destabilizzarlo. Quando Steve gli passò le pillole sotto il naso, reagì ficcandosele in bocca senza darsi il tempo di ripensarci e appallottolandosi sul letto, schiena al muro, viso rivolto verso il suo migliore amico. Il panico gli saliva in bocca mentre le pillole gli cadevano in uno stomaco anche troppo vuoto. 


Steve si rese conto che Bucky aveva iniziato a respirare più velocemente del solito, il rumore che facevano i suoi polmoni diventò un rantolo continuo. Passò un fazzoletto in una bacinella d'acqua fresca e iniziò a passarglielo sul collo e sulle spalle, cercando di riuscire a farlo sdraiare di nuovo per sistemargli di nuovo un impacco caldo sul petto. Non sapeva se Buck respirava in quel modo per via dell'infezione o se lo sforzo psicologico di tirare giù i medicinali l'avesse smontato fino a quel punto. La risposta gli arrivò quando si accorse che le mani del suo migliore amico tremavano quasi disperatamente.
Prese la mano metallica di Bucky fra le sue, senza sapere se il braccio bionico fosse sensibile al tatto o meno. Che tremasse non era così strano, considerando che era collegata ai suoi nervi, ma non aveva la certezza che potesse davvero sentire qualcosa.  
"Ehi. Ehi. Buck. Guardami. Buck, guardami"
Si stupì quando Bucky si voltò subito verso di lui, appoggiandosi al gomito del braccio libero per sollevarsi dal materasso. Non sembrava paventato, solo teso, e dispiaciuto. Parecchio dispiaciuto.
"Scusami Steve, mi dispiace"
"E di cosa?"
Bucky fece per passarsi una mano fra i capelli che avevano deciso di crollargli sulla fronte in una non meglio definita frana castana, prima di rinunciare per non andare a sbattere di faccia sul materasso: aveva passato cose peggiori, ma non sarebbe stato dignitoso.
"Mi fido di te. Ti giuro, mi fido di te. Non potrei fidarmi di nessun altro…non posso fidarmi di nessun altro. E' che ogni volta che mi hanno fatto prendere qualcosa non è finita bene"
Quando Steve gli tolse i capelli dalla fronte si zittì, non sapeva se aveva voglia di continuare a parlare o se preferiva inghiottire parole e ricordi come un gigantesco, doloroso sasso. Si sentiva la gola secca, gettò uno sguardo al bicchiere.
"C'è ancora un po' d'acqua li dentro?"
Steve annuì e gli mise il bicchiere in mano. Bevve.
"Ogni pasticca era una sorpresa, Steve. Potevano usarla per farmi addormentare e lasciarmi svegliare decenni dopo, se andava bene. Potevano usarla per sperimentare qualcosa che non sapevo nemmeno cosa fosse".
Il panico saliva, insieme alla voglia di vomitare. Si sforzò di tenere tutta l'acqua nello stomaco.
"Una volta mi ficcarono in bocca qualcosa per farmi dormire, quando mi svegliai ero legato a un tavolo d'acciaio e quattro persone stavano giocando coi nervi della mia spalla. Li sentivo parlare di un possibile miglioramento del braccio meccanico, di armi da aggiungere."
Steve lo vide fermarsi, deglutire, continuare.
"Mi avevano aperto una spalla, Steve, e vedevo fili e nervi attaccati insieme, e ti giuro Steve, ti giuro. Ho capito di non essere più umano. Sono pieno di cavi, Steve. Quella gente legava i miei nervi ai cavi come fosse stoffa."
Smise di parlare, si piazzò una mano sulla bocca.
"Lo facevano senza anestesia".
Steve dovette ricordarsi di nuovo come si faceva a respirare. 
"Quindi scusami se ti ho fatto perdere tempo. Scusami se hai pensato che non mi fidassi di te. Mi dispiace, Steve. "
MidispiaceStevemidispiaceStevemidispiaceSteve


Steve rimase in silenzio, senza sapere cosa dire. Senza sapere se parlare. Senza sapere nemmeno se parlare sarebbe stata una buona idea. Poi gli venne in mente qualcosa che sperava avrebbe aiutato il suo migliore amico a superare il momento.


Quando Bucky vide Steve alzarsi e uscire pensò di averlo perso definitivamente: aver ammesso di non sentirsi del tutto umano l'aveva completamente svuotato, e evidentemente aveva fatto decidere a Steve che non valeva la pena cercare di aiutarlo. Non che se lo meritasse. Quando però sentì il profumo di cioccolato arrivargli alle narici scattò a sedere senza nemmeno pensare alla spalla dislocata.


Steve dovette spostare la tazza per evitare una collisione con la testa di Bucky e un lenzuolo irrimediabilmente macchiato di cioccolato. 
"Oi, piano. Non vorrei ti aprissi la testa sbattendola contro la tua colazione"
L'espressione di Bucky era impagabile: un misto non meglio identificabile di sollievo e ohmmioddiononvedolacioccolatadalsecoloscorso. Riuscì a mettersi a sedere senza staccare gli occhi da Steve, allungandosi per appoggiarsi alla testiera del letto.
"E' per me?"
"E' per te"
"E' cioccolato?"
Steve sorrise.
"E' cioccolato".
Bucky tirò giù un sorso di cioccolata calda, chiuse gli occhi e azzardò a tirare su un angolo della bocca. Poi tornò serio.
"Sei tornato"
Steve lo fissò.
"E dove avrei dovuto andare?"
Bucky non ebbe il coraggio di dirgli che aveva avuto paura che Steve se ne fosse andato, che avesse deciso di non volerne più sapere o che lo trovasse disgustoso, ora che gli aveva confidato di sentirsi più macchina che uomo. ma non disse nulla. Affogò di buon grado nella cioccolata calda scuotendo la testa.


Steve non riuscì a resistere, quando Bucky tirò su la testa dalla tazza con un paio di baffi di cioccolato stampati in faccia  non poté fare a meno di sorridergli e sedersi di nuovo accanto a lui. 
"ti donano i baffi, Buck"
"Sono troppo occupato a godermi la cioccolata per far finta che quello che hai appena detto mi interessi, Steve"
La bocca sotto i baffi di cioccolato si sollevò in un ghigno.

  
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