Ventisei settembre: mani scheggiate e lacrime abbracciate.
tanto quanto un alito di vento tra i
pensieri quando la pioggia capitombola
troppo violentemente, indiscreta, contro
le imposte della tua camera illuminata
appena – c’è una penombra soffusa,
inquietante e piacevole allo stesso tempo;
ci sono i fruscii delle coltri e gli sbuffi
di innumerevoli sogni persi, perduti ad
un soffio dalle labbra schiuse in uno stanco
mugolio; sogni dimenticati tra i rintocchi
delle Ore
(penetra le mura, il Tempo, e cadrà
anche su di te, brutale, brusco – una burrasca
e non ci sarà alcun faro quel giorno, a salvarti)
anche su di te, brutale, brusco – una burrasca
e non ci sarà alcun faro quel giorno, a salvarti)
E gli ansimi di una notte eterna; ancora urla,
ancora silenzi infranti – e ne hai abbastanza,
ma non riesci ad allontanarti dal nido, non ti
capaciti di abbandonare tutto e tutti; non riesci.
Sei debole, ti tremano ancora le gambe
ancora silenzi infranti – e ne hai abbastanza,
ma non riesci ad allontanarti dal nido, non ti
capaciti di abbandonare tutto e tutti; non riesci.
Sei debole, ti tremano ancora le gambe
(non riesci a correre, non riesci a respirare,
non riesci neppure ad essere te stessa: mente e
corpo sono assenti. Rimane solamente l’immobilità
e i secondi che frullano troppo lentamente attorno a te)
non riesci neppure ad essere te stessa: mente e
corpo sono assenti. Rimane solamente l’immobilità
e i secondi che frullano troppo lentamente attorno a te)
Ed è ancora buio; e vorresti un minuscolo barlume.
Raccogli tra i palmi scheggiati due lacrime perlacee
e rotonde – profumano di nuvole e di salsedine estranea;
le stringi al petto e respiri a fondo. Ancora. E ancora di nuovo.
Raccogli tra i palmi scheggiati due lacrime perlacee
e rotonde – profumano di nuvole e di salsedine estranea;
le stringi al petto e respiri a fondo. Ancora. E ancora di nuovo.
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