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Autore: Fujikofran    01/10/2014    2 recensioni
Scritta a due mani (Fujikofran e Monicasuke), questa fanfiction è una "missing moments" ispirata dall'episodio della II serie, "Amare ed essere soli". Il titolo è la traduzione della versione inglese, che cita Shakespeare perchè questa storia, in effetti ha molto della tragedia "Romeo e Giulietta", ma non solo. La fanfiction narra il prima e alcuni momenti del durante, per quello che riguarda l'episodio succitato. Brano da ascoltare durante la lettura: "Tornado" di Yuji Ohno (che poi è il tema di Jigen nella seconda serie e in alcuni special tv)
Genere: Drammatico, Guerra, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jigen Daisuke, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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L'incontro

By
Monicasuke

Era tutto perfetto. Si accinse a montare il suo fucile di precisione: un Simonov PTS-41-S e si mise in posizione, aspettando pazientemente il momento adatto per abbattere la sua preda, come un qualsiasi cacciatore, prendendo la mira. Ma quel cacciatore non era uno qualsiasi: era un killer, un cacciatore di uomini, definito il miglior tiratore nel campo della malavita, nonché il più freddo e spietato. Per lui non aveva mai fatto differenza uccidere un uomo in più o in meno, lo faceva e basta, non curandosi di conoscere o meno la sua vittima. Stavolta era toccato a un ragazzo poco più che ventenne, colpevole di essere l'unico figlio e successore di un potente boss della mafia italiana e per questo doveva essere eliminato, ignaro di essere spiato da quell'uomo che lo teneva sotto tiro immobile come un leone, guardandolo dal mirino di quel fucile e tenendosi pronto con l'indice sul grilletto. Lo sparo riecheggiò nell'aria, mentre quel ragazzo si accasciava al suolo privo di vita e, mentre intorno a lui si scatenò il panico e la confusione più totale, quell'uomo, nella più totale indifferenza, iniziò a smontare il suo fucile, dopo essersi acceso una sigaretta come se nulla fosse successo, riponendolo in una custodia e se ne andò.

-Ecco a te il danaro. Hai fatto un ottimo lavoro -      

-Grazie! - disse indifferente il cecchino, prendendo la valigetta coi soldi, dopo averne verificato il contenuto   

-Ti terrò presente casomai avrò ancora bisogno di te - disse il mandante con un sorriso ironico, mentre lo guardava negli occhi. Il cecchino corrispose serio a quello sguardo da sotto il suo nero cappello, senza proferire parola, dopo di che si voltò e uscì da quella stanza.  


“Dannazione! E poi dicono che l'Italia è il paese del sole. Da quando sono qui non fa altro che nevicare!”  borbottò tra un colpo di tosse e l'altro, mentre osservava uno dei tanti canali di Venezia “Devo sparire! E in fretta anche. Quei bastardi hanno scoperto chi sono e…”     
 
- Si sente bene? -  

Si girò di colpo sentendo una voce femminile rivolgersi a lui.                    

- Cosa? -      

- Si sente bene? La vedo un po’ pallido - 

L’uomo non rispose, incuriosito poi nel vedere scendere da una Rolls Royce una bella donna dall'aspetto elegante e raffinato. Si chiese cosa ci facesse una donna del genere sola a quell'ora, visto che era quasi notte fonda. Improvvisamente si udì il rumore di uno scafo. Ebbe subito un brutto presentimento che preannunciava una sparatoria. Fece in tempo a buttarsi sulla donna e a metterla in salvo, poi montò sull'auto lanciandola a tutta velocità nella direzione dello scafo. Si udì un enorme botto provocato dall'esplosione dell'auto che, colpita da diversi proiettili, saltò in aria coinvolgendo lo scafo. L'uomo saltò fuori in tempo dall'auto riuscendo a salvarsi    

-Ben vi sta, maledetti! -  esclamò osservando le fiamme che illuminavano le acque del canale.

Si voltò nuovamente verso la donna che osservava immobile, scioccata e spaventata la scena e le si avvicinò    

- Mi…mi dispiace, le ho sfasciato l'auto e mi rendo conto che non era un auto da poco. Comunque, devo ringraziarla. Lei mi ha appena salvato la vita! - concluse con una punta di imbarazzo ricominciando a tossire.

- Lasci stare l'auto, l'importante è che siamo vivi. Anche lei mi ha salvato la vita, potevano uccidere anche me -           - Vuole che l'accompagni? Non mi fa piacere che lei debba ritornare a casa da sola, a piedi, per colpa mia -       - Lei è molto gentile, grazie! Ma è meglio chiamare un taxi, io abito un po’ fuori da Venezia, non conviene andar a piedi -    

- Va bene -  

Durante il tragitto l'uomo rimase in silenzio, osservando di tanto in tanto la donna che improvvisamente prese parola.    

-Lei non è di qui, vero? Lo si intuisce dal suo accento -     

- No, infatti. Non sono italiano. Mi trovo in Italia di passaggio -  rispose abbassando lo sguardo    

- Parla un ottimo italiano. Complimenti! -     

- Grazie! - 

Scesero dal taxi rimanendo a guardarsi per qualche istante.  

- Bene, signora, io la saluto -     

- Dove crede di andare? Non sta affatto bene lei, deve avere un febbrone da cavallo! - esclamò la donna sorridendo dolcemente, notando gli occhi lucidi dell'uomo e il suo pallore      

- Sto benissimo! -  rispose l'uomo, accompagnando la frase ad uno starnuto.     

- Non mi sembra proprio. Venga dentro! -   

Entrò titubante in quel lussuoso appartamento senza dire nulla, stranendosi del perchè quella donna era tanto gentile con lui visto che era un perfetto estraneo.      

- Vuole una tazza di te? -      

- Co-cosa? Io non vorrei disturbarla, signora -     

- Angelica, la prego! Le conviene cambiarsi, i suoi abiti sono bagnati. Potrebbe beccarsi un serio malanno e già è sulla buona strada -       

- No! Davvero... io non... -     

- Non faccia il modesto, non la mangio mica. Voglio solo esserle d'aiuto, me lo conceda -  disse la donna, porgendogli una tazza di te fumante.  
  
- Grazie! - si limitò a rispondere l'uomo arrendendosi davanti alla gentilezza di quella donna.     

- Le preparo un bel bagno caldo, ne ha bisogno -      

- Dio, mi sento uno straccio! - esclamò l'uomo portandosi una mano sulla fronte      

- Non mi stupisco, visto come scotta! Non mi ha ancora detto il suo, di nome - riprese Angelica con un sorriso e tastandogli la fronte   

- Io? Jigen! Chiamami Jigen - rispose sempre più imbarazzato per via del gesto della donna   

- Le preparo prima il bagno e poi una camera, non voglio averla sulla coscienza! - riprese sorridendo Angelica allontanandosi.    
 
Jigen aprì gli occhi, svegliato dalla luce del mattino che filtrava dalla finestra. Si guardò intorno come se non si fosse reso conto subito di dove si trovasse e si portò una mano sulla fronte, sentendo la sua testa pulsare per via dell'influenza, rendendosi conto di non essere guarito affatto. Si alzò dal letto e osservò fuori. Tutto era stato coperto dalla neve che era scesa copiosa durante la notte. Sospirò pensando all'accaduto della sera precedente.                        

-Buongiorno! -  salutò sorridente Angelica, vedendolo spuntare.
Jigen ricambiò il saluto.    

- Ha visto? E meraviglioso fuori. Adoro la neve! Rende tutto così spettacolare, magico -                          - Già-        

- Come si sente? -     

- Meglio, grazie! -  

La donna si fece seria improvvisamente.           

- Non so cosa lei abbia combinato, ma presumo che qualcuno la stia cercando e non si tratta di amici, vero? -    
Jigen non potè negare visto quello che era successo     

- Beh, Ha ragione. E chi mi cerca non ci metterà molto a capire che sono vivo e vegeto -      

- Se vuole, può rimanere qui -      

- Lei mi sta proponendo di nascondermi qui, in casa sua? Perchè? -     

- Mi sono sempre fidata del mio istinto e il mio istinto mi dice che, anche se lei l’ha combinata grossa, non è cattivo. Poi, mi ha anche salvato la vita! Sono in debito con lei e voglio aiutarla-    

Jigen rimase perplesso e non disse nulla. Tuttavia, non potè negare a se stesso che, quella, sarebbe stata l'unica soluzione per sfuggire alla mafia e a far credere che magari fosse veramente morto o sparito nel nulla      

- Non so come ringraziarla -      

- Sono io che devo ringraziare lei -        
 
L'inverno sembrava essere volato via in poco tempo, lasciando spazio alle belle giornate primaverili nonostante facesse ancora un po’ freddo. Jigen decise di fare una passeggiata fuori, in giardino. Si accese una sigaretta e si fermò a guardare le rose di diverse specie e colori che iniziavano a farsi vedere sotto forma di teneri boccioli.  Si avvicinò ad un recinto scorgendo non poco lontano una stalla e decise di raggiungerla. Un’enorme porta aperta lo invitò ad entrare, Jigen si guardò intorno tra il piacevole profumo del fieno, scorgendo, poi, un muso da uno dei tanti box situati all'interno. Si avvicinò lentamente provocando con la sua presenza un sonoro nitrito.

- Ehi! Buono...sta’ buono! - disse piano allungando lentamente una mano per accarezzare il muso al cavallo, ma l'animale reagì innervosendosi e scalciando.     

-Si chiama Aaron. E' uno stallone di razza Purosangue Inglese dal mantello sauro ciliegia. Le piacciono i cavalli? -       - E' bellissimo! Si, mi piacciono i cavalli - rispose l'uomo dopo essersi voltato di scatto trovandosi di fronte Angelica 

 -Non tollera la sua presenza, neanche la mia a dir la verità. E' sempre stato cosi: selvaggio, indomabile, diffidente. Ho provato anche con i migliori addestratori, ma non vuol saperne -  

Jigen rimase in silenzio pensando a quante cose avesse in comune lui con quel cavallo e si scostò da esso    

- Non è facile acquistare fiducia quando la si perde -    

- Con pazienza e con amore si può -      

- Forse non ne ha ricevuto abbastanza - rispose secco lui.

Angelica si limitò a guardarlo negli occhi senza rispondere, dopo di che uscì fuori in giardino. Jigen la seguì  

- Crede che io non sia in grado di amare perche sono ricca? Bene! La ricchezza non ha mai fatto felice nessuno, lo sa? -  
La guardò negli occhi, notando che divennero lucidi improvvisamente  

- Non volevo offenderla, Angelica -    

- Smettiamola con questa stupida commedia! Di darci quest'assurdo "lei" -    

- Cosa vuole dire? -       

- Jigen, davvero non capisci? -  

L’uomo rimase ad osservarla, leggendo in quei suoi occhi verdi come il mare quello che con le parole non riusciva a dire  

-Angelica, non voglio trascinarti in questa storia, è già abbastanza che io t'abbia coinvolto. Non voglio sconvolgere la tua vita -      

- Tu hai già sconvolto la mia vita, dal nostro primo incontro -  disse la donna voltandosi e scoppiando a piangere.     

- Angelica, perchè? Perchè stai piangendo? -     

- Perchè so che un giorno o l'altro ti perderò -  rispose; poi s'allontano correndo, lasciandolo da solo.

 
-Ehi, bello, ti va se diventiamo amici? - disse piano Jigen avvicinandosi adagio al cavallo.

Prese la cavezza e, sempre lentamente, si azzardò ad aprire la porta del box. Il cavallo non reagì bene, mettendo indietro le orecchie e dimostrando tutta la sua disapprovazione con un morso. Emise un urlo scuotendo nervosamente la mano offesa   

- Brutto figlio di... – disse arrabbiato.

Poi sospirò guardando in cagnesco l'animale che soffiò dalle narici nervosamente.          

- Ti capisco, sai? Non è facile fidarsi di qualcuno, specialmente se in passato si è stati delusi e traditi -   avvicinò nuovamente la mano al cavallo più lentamente possibile, riuscendo stavolta ad accarezzarlo sul muso per poi sfiorare, sempre lentamente, la fronte dell'animale.    

- Ecco, bravo, Aaron, bravo… Fidati di me, così, da bravo - 

Ancor più lentamente prese di nuovo la cavezza e la avvicinò al muso dell'animale che però reagì con un movimento brusco ritraendosi e provando di nuovo a morderlo. Si distaccò un po’, dandogli il tempo necessario per fare in modo che l'animale non si sentisse forzato e tentò una seconda volta, con pazienza, rassicurandolo, fino a riuscire a calmarlo. Lo accarezzò una seconda volta guardando i grandi occhi scuri dello stallone che continuava a soffiare con le narici, continuando a parlargli piano, dolcemente.    

- Sai, amico, devi pur fidarti di qualcuno se non vuoi rimanere da solo. Io sono condannato a restare da solo, tu hai lei, e lei non ti lascerà. Non sai quanto t'invidio, amico. Quanto vorrei essere al tuo posto, credimi! - concluse con amarezza.

Fece diversi tentativi, ma alla fine riuscì a mettergli quella cavezza e a portarlo fuori dal box e quindi nel recinto. Il cavallo si impennò diverse volte, strattonando dalle sue mani le redini nel tentativo di liberarsi, ma Jigen tenne duro e Aaron, alla fine, si arrese iniziando poi a trottargli intorno. Iniziò poi ad accarezzarlo sul collo, spostandosi poi sui fianchi, montando poi in groppa all'animale che reagì impennandosi di nuovo e a indietreggiare, cercando più volte di disarcionarlo.   

- Ti va se ci sfoghiamo un po’, bello? Andiamo, su! Forza! Fammi vedere di cosa sei capace!-   

Incitò l'animale che partì al galoppo, sfrecciando come il vento. A Jigen, in quel momento, non importò del cappello che gli volò via,
incitando ancora di più Aaron, incoraggiandolo in quella corsa.    

- Non so come tu abbia fatto, ma è stato uno spettacolo meraviglioso! - disse emozionata Angelica non appena Jigen ritornò a passo verso la stalla, tenendo in mano il suo cappello.    

- Vuoi provare? -    

- Senza sella non sono capace, io... -     

- Non avere paura, ci sarò io con te. Vieni! -    la invitò porgendole la mano. 

Lei lo guardò, per poi sorridere ed accettare, montando a cavallo davanti a lui, che le cinse i fianchi con una mano, mentre con l'altra reggeva le redini.             
           



Si sentiva sicura e protetta tra le sue braccia e non ebbe paura neanche quando Jigen incitò Aaron al galoppo. Sentì una bella sensazione di libertà assoluta. Si voltò verso di lui e gli sorrise, lui ricambiò, rallentando, facendo trottare il cavallo fino a fermarlo, poi salto giù, per aiutare anche lei a scendere, prendendola per i fianchi. Rimasero immobili per qualche istante visto che lei, nello scendere, si trovò praticamente addosso a lui e, mentre lei arrossì, lui ammiccò un sorriso malizioso e dolce allo stesso tempo.    

- Grazie! - disse poi piano Angelica, sorridendo imbarazzata   

- Di nulla! - rispose lui, sempre sorridendo.  

Si sedettero sul'erba dopo aver fatto una breve passeggiata a piedi, guardandosi in silenzio, poi lei, quel silenzio lo spezzò.   

- Non sono mai stata tanto felice prima d'ora -     

- Davvero?-  chiese stupito lui.              

- Si! Non sono mai stata felice con qualcuno come lo sono con te -     

- Anche se sono quel che sono? -      

- Non mi importa - ritornò il silenzio tra i due e i loro volti si avvicinarono fino a sfiorarsi con le labbra.    

- Rimani qui, con me. Non andartene, Jigen -  disse in lacrime Angelica    

- Metterei a rischio la tua vita, sai cosa vuol dire? -     

- Non t'hanno trovato, hanno sicuramente pensato che tu sia morto -       

- Angelica, sono un cecchino! Io ho ucciso il figlio di un potente boss della mafia! Credi che quando scopriranno, e prima o poi lo faranno, che io sono vivo, non farebbero di tutto per farmela pagare? No, Angelica. Non posso accettarlo. Se osassero fare del male a te non riuscirei mai a perdonarmelo! -       

- Io ti amo! Non riuscirei a sopportare la tua assenza! E anche tu mi ami, spero… - disse la donna piangendo per poi poggiare le sue labbra su quelle dell'uomo.
             
-Amami, Jigen, ti prego...Fallo adesso! Non voglio avere il rimpianto di non averti amato fino in fondo. Amami! Perchè già so che nessuno mai potrà darmi questo -                        

-Angelica… - sussurrò Jigen, e fu l'unica cosa che disse prima di baciarla; prima di assecondare quello che era il desiderio di lei, ma anche il suo. La distese sull'erba, adagio, cercando ancora la sua bocca e facendola poi sua su quel prato verde mentre continuava a baciarla, assaporando tutta la sua dolcezza, il suo dolore, la sua passione. L'abbracciò più forte a sé, vedendo copiose lacrime bagnarle il volto mentre lo amava e il suo corpo fuso a quello di lei, respirando all'unisono sempre più forte, per poi lasciarsi andare sfiniti sull'erba nudi, uno accanto all'altra, abbracciati. Jigen rimase a guardarla accarezzandola, sorridendo nel trovarla particolarmente attraente, con i capelli scompigliati e selvaggi che circondavano l'ovale del suo viso dall'aria raffinata.    

- Sei bella. Molto -       

- Mi trovi bella? Davvero? -     

- Si, Davvero - rispose baciandola.  

- Come farò senza di te? -  disse Angelica rattristandosi.

 Anche Jigen si rattristò mentre le asciugava una lacrima.     

- Non farmi stare male, Angelica, ti prego! - disse poi abbracciandola forte. Si rivestirono. Jigen si alzò, porgendo poi una mano alla donna e dopo essersi messi in piedi l'abbracciò e la baciò nuovamente. Andò a prendere il cavallo ed aiutò la donna a montare, dopo di ciò salì in groppa anche lui per ritornare a casa.

Le mattine Angelica e Jigen le passavano stando abbracciati nel letto, a coccolarsi, amarsi e scambiarsi sguardi pieni di dolcezza e passione. Jigen amava perdersi nei suoi occhi che brillavano ogni volta che incontrava quelli di lui e sorrideva accarezzandole il volto. Ogni occasione era buona per stare bene, approfittando del poco tempo che li univa, facendo di tutto per scacciare quel pensiero: il pensiero di un addio preannunciato.
Si alzò presto che era ancora buio. Andò a trovare Aaron; in quel momento aveva bisogno di un amico e quel cavallo era l'unico amico sincero che aveva. L'animale raddrizzò le orecchie sentendolo arrivare richiamandolo con un nitrito   

- Ciao, bello! - lo salutò Jigen accarezzandolo sulla fronte per poi aprire il box.

Gli mise la cavezza portandolo fuori nel recinto e lo fece passeggiare un po’. L'alba iniziava ad illuminare il cielo con la fioca luce emanata dal sole ancora nascosto, agevolando quel momento. Si sedette poi su una trave  del recinto rigirando in mano la lunghina con lo sguardo basso. Aaron gli si avvicinò, come se avesse notato il suo stato d'animo, il suo umore decisamente a terra, dandogli un colpetto col muso come per attirare la sua attenzione. Jigen alzò lo sguardo verso di lui dandogli una pacca sul collo    

- Ti ringrazio del conforto, amico. Ne ho davvero tanto bisogno, sai? Non pensavo di stare così male per una donna. So che lei soffrirà e non sai quanto mi odi per questa cosa. Provo disprezzo e odio per me stesso, perchè non sono l'uomo adatto a lei, non posso darle nulla anche se...Dio, quanto la amo! - concluse stringendo tra le mani la lunghina e chiudendo gli occhi. Si alzò e afferrò la cavezza guardando negli occhi il cavallo       

- Stalle vicino! Ha soltanto te, Aaron. Tu devi starle vicino! -   

Rientrò a casa vedendo che anche Angelica si era alzata dal letto. Gli venne incontro e lo guardò notando nei suoi occhi un profondo senso di tristezza.  

- Jigen! -  lo richiamò, ma lui non rispose, non disse nulla, ricambiando lo sguardo della donna. 

Le prese il volto tra le mani continuando a guardarla in silenzio, per poi baciarla con trasporto, con passione e lei percepì in quel suo gesto anche dolore e disperazione. Lo abbracciò forte sentendo le lacrime colmarle gli occhi e bagnarle il viso . Jigen glielo sollevò.    

- Non devi piangere, Angelica, ti prego, fallo per me -  le disse sottovoce prima di ricominciare a baciarla, a desiderarla, portandola di nuovo sul letto. La amò… e la amò una seconda volta. L'abbracciò forte a sè mentre lo faceva, come se volesse far fondere i loro corpi in uno ancora più forte. Erano lì, uno di fronte l'altra, e lei, sopra di lui, si lasciò andare al desiderio che sentiva crescere in sé. Rimasero abbracciati e lei, dai suoi occhi, capì che quella era l'ultima volta, lasciandosi andare in un pianto disperato. Jigen non ebbe la forza di dire nulla, avrebbe voluto morire in quel momento piuttosto che vederla soffrire in quel modo.   

- Angelica… Guardami, Angelica, ti prego! - disse poi asciugandole le lacrime.     

- Devi essere forte! Io ci sarò sempre, sappilo. Ci sarò sempre per te, questa è una promessa, Angelica -   continuò guardandola negli occhi prima di stringerla di nuovo forte a sé.

Uscirono poi per passeggiare nel prato, un prato pieno di rose.  

- Jigen, guarda queste due coccinelle! Noi non staremo insieme come loro, vero? Jigen… Jigen, dove sei? JIGEN!-  


Il ritorno
By Fujikofran

Otto anni dopo

Leggeva e rileggeva una lettera, Jigen. Non era una semplice missiva, ma come scoperchiare il passato di colpo, togliendo la polvere che vi era sopra. “…per questo ho bisogno del tuo aiuto, Jigen…” aveva scritto lei, firmandosi Suor Angelica, ma per quell’uomo era soltanto “Angelica” e bastava così. Il suo, però, era molto più di un semplice nome, poiché gli rievocava qualcosa di puro, come l’amore che loro avevano provato reciprocamente. L’italiana dai capelli del colore del grano non aveva, quindi, sposato Jigen, ma Dio: era una suora missionaria nell’Africa più povera. E proprio nel continente nero c’era bisogno dell’intervento di quell’uomo e, ovviamente, della sua banda. Non aveva ben capito di cosa si trattasse, finchè non si recò sul posto. Il pensiero di rivedere Angelica lo aveva talmente frastornato da non fargli comprendere pienamente la situazione pericolosa in cui andava a cacciarsi, dopo che il presidente algerino lo aveva contattato. Doveva salvare un certo dottor Osero, che si era rifugiato in un ospedale, insieme alla suora. Quel posto non era sicuro, circondato dai ribelli neri perseguitati, dall’esercito nazionale, da macerie e da missili spesso inesplosi, ma Lupin e compagni avrebbero fatto il possibile per cavarsela e nessuno aveva dubbi che non ce l’avrebbero fatta.

Quando la vide per lui fu come assistere allo scoppio di una bomba atomica: Angelica gli correva incontro, con l’abito monacale, felicissima e Jigen non riusciva a far altro che rimanere immobile, fino a quando l’abbraccio di lei non lo riportò dritto ai tempi in cui si stringevano forte, come in quel momento, ma con un fine diverso. Ormai, infatti, Angelica aveva preso i voti e la sua vita era cambiata completamente. Eppure, nonostante ciò, il calore che emanava il suo abbraccio non era affatto mutato e questo Jigen lo aveva avvertito subito. Il dottor Osero, che si trovava non lontano, osservava la scena, pensieroso. Poco dopo arrivarono Lupin e Goemon, piuttosto allarmati, perché la situazione era diventata insostenibile: i neri erano sempre più perseguitati ed era difficile mantenere al sicuro l’area non lontana dall’ospedale. “Non voglio che li uccidano” diceva tra sé e sé Angelica “ma con te al mio fianco ho meno paura, Jigen”. Giunti all’ospedale, Osero aveva l’arduo compito di curare nuovi feriti e anche Angelica era indaffarata. Il pistolero poi era coi suoi due amici nella stanza in cui era stati ospitati e sembravano preoccupati.



-Io comunque sono contento di poter fare qualcosa per aiutare la popolazione autoctona- intervenne Goemon –non è giusto che sia perseguitata sul proprio territorio di appartenenza-

-Già…- disse Lupin accendendosi una sigaretta –anche se ho l’impressione che il presidente algerino non ci abbia detto tutta la verità. Staremo a vedere. Jigen, tu che ne pensi?-

Ma Jigen sembrava non ascoltarli, era troppo assorto nei suoi pensieri.

-Ehi!- continuò Lupin- Ci sei? O stai pensando alla bella suorina?-

-Sì sì, ci sono. Goemon ha ragione- rispose, abbassandosi la tesa del suo immancabile cappello.

-Scusate, ma c’è la possibilità di usare un telefono?- domandò Goemon –Vorrei chiamare Fujiko-

-Per comunicarle che al momento stiamo bene o per dirvi smancerie?- affermò Jigen piuttosto irritato –Abbiamo di meglio da fare che di cercare di parlare con quella donna. Non credo che alla fine le importi troppo di noi-

-Ma non dire così…-intervenne Lupin –in effetti vorrei anche io sentire la voce della mia cara Fujiko-

-Tua?- domandò Goemon, ma non ricevette risposta.

Jigen smise di dar retta ai suoi amici e uscì nel corridoio. Cercava Angelica, voleva parlare e non solo del motivo per cui era stato convocato, laggiù in Africa. Sentiva che qualcosa era rimasto in sospeso, in quella donna, e che lui doveva assolutamente sapere. La suora, però, non si trovava, né Osero; forse erano momentaneamente usciti, a loro rischio e pericolo. Jigen aveva però scoperto quale fosse la stanza in cui soggiornava Angelica e bussò, senza ricevere risposta. Decise che l’avrebbe aspettata lì davanti. Voleva accendersi una sigaretta, ma non gli sembrava salutare farlo in un ospedale, specie nel momento in cui una figura nerovestita si stava avvicinando.

-Jigen!-

-Angelica!-

-Che ci fai qui? Credevo che fossi con Lupin e Goemon e…-

-…sì, certo, ero con loro, ma avevo bisogno di parlarti-

La donna lo guardò con aria titubante, poi lo fece entrare nella sua stanza.

-Sono molto preoccupato per come si sta mettendo la situazione, in questo posto- disse l’uomo –e qualcuno forse non sta dicendo la verità-

-E chi?-

-Il dottor Osero, ma non solo lui…Quando ci hanno convocati per farci leggere la tua lettera ho avuto una strana impressione. Non vorrei metterti in pericolo, ma forse dovresti indagare un po’ su di lui-

-Farò il possibile, perché tu hai già fatto tantissimo, per me, per il solo fatto di essere venuto qui apposta e di aver coinvolto i tuoi amici-

-C’è un’altra cosa che devo dirti, Angelica: ti chiedo scusa…per averti lasciata, quella volta sul prato. Sì, non saremmo mai stati come quelle due coccinelle, però ho sbagliato ad andarmene in quel modo-

-Ti capisco…-

-…no, Angelica, una donna non va abbandonata in questo modo. L’ho capito solo quando ti ho rivista: è stato come fare un tuffo nel passato, come se fosse allora. Erano gli anni Sessanta…mentre tutti si divertivano io ero costretto a uccidere, in quel maledetto decennio-

-Anche per me è come essere tornata ad allora…solo che oggi con me c’è qualcuno: Dio, che però io ho sempre visto nelle persone migliori e in tante altre forme di vita. Tu sei una di quelle persone in cui il Signore ha trasferito una parte di sé-

-Certo…poi si è disgustato e se ne è andato…uhm, uno come me non credo che abbia qualcosa di divino-

-Tu sì, perché l’amore che ho provato per te…No, niente…-

Angelica scoppiò a piangere.

-Ehi, dai, non fare così…-

-Io ho preso i voti e non sono affatto pentita della mia scelta. Sono una sposa di Dio, però…Jigen, io ti amo ancora!-

-Anche io…però non capisco se stai piangendo per l’emozione o per il dolore-

-Per il dolore! Perché…io ti desidero ancora, anche fisicamente e questo non potrei nemmeno pensarlo-

-A pensare non si fa peccato-

-Sì, invece, perché io…ecco…vorrei per un attimo non essere Suor Angelica, ma soltanto Angelica, per te. Sento che anche tu vorresti questo. Non sei qui solo per chiedermi di indagare su Osero, è così?-

-Io sono stato il tuo uomo, ma questo non significa che io sia qui per questo, anche se…sì, hai ragione, vorrei anche io che per un momento tu fossi soltanto Angelica, come un tempo-

Jigen si avvicinò alla donna, dandole un bacio sulle labbra. Poi l’abbracciò.

-Scusami, Angelica- le disse poi.

-Non sentirti in colpa del tuo gesto, Jigen. Non giudicarmi male, ma io non posso fare altrimenti: ti amo ancora e non ho smesso di farlo. Dio è d’accordo con me, anche se la Chiesa non me lo perdonerebbe mai-

Volevano entrambi la stessa cosa e, non appena si tolse il suo abito monacale, Suor Angelica tornò semplicemente ad essere Angelica e, soprattutto, una donna. Tale si sentiva e non se ne pentiva, mentre Jigen le dava tutto se stesso, fino alla fine e per tutta la notte.
 


 
La mattina successiva il caos sembrava regnare sovrano, più di prima, uscire dall’ospedale sarebbe stato pericoloso per tutti, perfino per Lupin e co, ma Suor Angelica non se la sentiva di stare con le mani in mano.

-Angelica, dove vai?- domandò Jigen, preoccupatissimo.

Ma non riuscì a fermare quella donna così impaziente di soccorrere e salvare vite umane.

-Angelica, fermati!-

Ma quella non voleva saperne e fu ferita gravemente da un missile inesploso che si era conficcato nel terreno.
Jigen corse da lei, che era ridotta malissimo e in fin di vita, ma riuscì a dire le sue ultime parole, mentre lui, una volta per tutte, pretendeva di sapere il vero motivo per cui lei fosse diventata una suora, visto che poteva godersi le sue ricchezze in Italia.

-…sei stato tu ad indicarmi questa strada: quando sei andato via dal giardino delle rose ho scoperto che dentro di me c’era amore e allora ho chiesto al Signore di aiutarmi a distribuirlo agli altri, perchè non avrei mai più amato nessun altro come ho amato te. Non volevo più nessun altro uomo: questa è la verità. E ora il Signore mi sta chiamando a sé. Mi ha detto che è contento di me. Addio-

Le lacrime e il dolore di Jigen misero in secondo piano la faccenda legata alla guerra civile, agli intrighi politici e a Osero, che si rivelò come si sospettava: un imbroglione. Merito di Lupin e della sua astuzia, ma anche e soprattutto di Fujiko, che, giunta in Africa perché in ansia per la banda (soprattutto per Goemon, che era riuscito a malapena a contattarla e che sembrava agitato), aveva rivelato dei particolari che avevano permesso di svelare le manfrine di Osero. La faccenda si era poi complicata e persino Zenigata ne era rimasto coinvolto. Ma tutto fu poi risolto e, alla fine, a nessuno importava più di tanto di quella strana situazione.
Jigen, pronto a ripartire con gli altri, non andò via senza aver portato dei fiori sulla tomba di Angelica. Ripensò a quando l’aveva lasciata anni prima, alla scelta di lei e alla vita-non-vita che lui conduceva. Non riusciva a piangere in quel momento: di solito quando il suo animo provava un dolore immenso, non poteva farlo.

-No, non eravamo coccinelle- disse- ma credimi, la mia non è stata una fuga. Addio Angelica-
 
 
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