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Autore: Eco_90    02/10/2014    0 recensioni
Seguito di "Mo anam cara" Storie di spiriti, amori perduti e sogni infranti poi ricostruiti.
Dal testo:
"Aveva del lavoro da fare, lavoro normale: era la segretaria di una dottoressa. Ormai era quella la sua vita, non c'era più spazio per le nottate insonni al freddo solo per convincere un paio di presenze a sloggiare. Già, non c'era più tempo per quelle cavolate."
Genere: Romantico, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: nessuno
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Era in macchina, seduta sul sedile posteriore destro. Non era sola, c'erano suo fratello e altre due persone, ma non ricordava chi fossero; non le vedeva. Voltò di scatto la testa verso il suo finestrino come richiamata da qualcuno, o qualcosa. Si rese conto che erano appena entrati in un paesino. La prima cosa che vide fu una casa di legno, era diroccata e circondata da un enorme giardino. La cosa strana fu vedere il giardino allagato, pieno di pozze, come una palude, anche se non ne dava l'idea. La luce del sole trafiggeva le grandi chiome degli alberi, passandovi attraverso e illuminando solo in parte il prato. Due volpi bianche giocavano tra l'erba e l'acqua, rotolandosi gioiosamente, il pelo perennemente bianco nonostante il fango. Quelle volpi non si sporcavano mai. Quel posto emanava auree contrastanti, la casa sembrava infestata, mentre il giardino aveva un non so ché di incantato, era pieno di farfalle, anch'esse bianche, che svolazzavano allegre, il tutto protetto da una recinzione signorile in ferro battuto. "che strano accostamento." Si ritrovò a pensare.
Superata la casa, e raggiunta la piazza del paese, scese dalla macchina. Quel borgo così particolare era costituito da un paio di casolari in pietra gialla e dalla casa diroccata. Camminando si ritrovò al centro del piazzale, non vedeva nessuno, ma sapeva che c'erano persone a osservarli nascoste dietro le tende delle finestre, o tra i porticati. Senza rendersene conto si fermò tra un monumento al centro del piazzale e la casa abbandonata che, vista da davanti, dava una sensazione fortissima di disagio mista a paura. Avrebbe voluto entrarci, ma si era ripromessa di non cedere. Si voltò a guardare il monumento alle sue spalle, c'era una targa dorata sopra cui erano state incise tre bare. Capì che qualcuno era morto in quella casa, poi aprì gli occhi. Era un sogno. Il solito sogno che la tormentava da mesi e mesi. Poggiò una mano sulla sua fronte, scottava, segno che come al solito quel sogno, l'aveva scombussolata più del dovuto. C’era ancora quello strano odore di vaniglia, lo sentiva sempre prima di addormentarsi, ma solo nel suo letto. Cercò di calmarsi girandosi e rigirandosi, ma non funzionò. Scattò a sedere sbuffando rumorosamente, cosa che non sfuggì a suo nonno seduto sulla poltrona della sua camera, intento a leggere un giornale. -Sempre il solito sogno è?- Alzò lo sguardo dal quotidiano per guardarla, prima di voltare pagina e ricominciare a leggere. -Sì, sempre il solito.- Rispose lei sconsolata. A quel punto il vecchio chiuse il giornale e puntò i suoi occhi chiari in quelli della nipote, prima di riprendere il discorso. -Hai mai pensato di chiedere a qualcuno cosa significasse?- Quella domanda tanto ovvia quanto banale la lasciò di stucco per diversi attimi. Come una sciocca non aveva mai pensato di cercare il significato del suo sogno, eppure doveva essere qualcosa d’importante dato che la tormentava ogni notte da quando... morse piano il labro inferiore e portò dietro l'orecchio una ciocca ribelle. Era diventata nervosa, e il nonno se ne rese conto.
-Da quant'è che fai questo sogno?-
BAM, colpita in pieno. Suo nonno la conosceva bene, forse troppo. Lo guardò un po’ intimorita, ma poi trovò il suo solito coraggio. -Da quando sono andata via.-
L'amarezza che si fece spazio sul volto dell'anziano diede molto da pensare alla ragazza. Prima chiariva quella situazione e meglio era, soprattutto per tornare a dormire di notte, cosa che, a pensarci bene, in pratica non era mai accaduta.
- Kelly tesoro, guarda che fai tardi!- sua madre dal piano inferiore la stava richiamando all'ordine. Aveva del lavoro da fare, lavoro normale: era la segretaria di una dottoressa. Ormai era quella la sua vita, non c'era più spazio per le nottate insonni al freddo solo per convincere un paio di presenze a sloggiare. Già, non c'era più tempo per quelle cavolate. Scese le scale di corsa, cercando di scacciare quei pensieri, e poi si catapultò in macchina per correre a lavoro. La dottoressa, amica di famiglia, che le aveva gentilmente offerto il lavoro era una donna molto grassa e poco incline a tutto ciò che riguardava il tatto e la gentilezza. I suoi modi rudi, uniti al suo aspetto poco aggraziato erano rinomati, tanto che per tutti ormai lei era “la vecchia ciabatta informe”, per gli amici solo vecchia ciabatta! Le ore a contatto con quella donna sembravano scandite da un bradipo. Più lente sarebbe stato impossibile.
Arrotolò nuovamente una ciocca di capelli attorno alla sua penna, mentre seduta alla sua scrivania aspettava che il paziente di turno uscisse sbraitando dall'ufficio della vecchiaccia. Poi si ricordò quello che doveva fare. Scrisse su un forum specializzato il sogno che la tormentava da quasi un anno e mezzo e aspettò una risposta. Neanche due minuti dopo aver finito di scrivere, il signor Malone uscì dallo studio della dottoressa Nelson inveendo contro di lei.
-Signor Malone, vuole segnare il suo prossimo appuntamento?- tentò Kelly, temendo per la sua incolumità. Lui si voltò sconcertato verso di lei e poi ricominciò a sbraitare. -Appuntamento? Appuntamento? Io non metterò mai più piede qui dentro... quella vecchia ciabatta deve solo ritenersi fortunata se le ruote della sua macchina sono ancora tutte gonfie!- poi se ne andò come una furia, sbattendo la porta.
La cosa morì lì, come tutte le altre volte, così il tempo ricominciò a scorrere lentamente, fino alle sei del pomeriggio ora in cui smontava dal suo turno. "Ci vediamo la prossima settimana." disse congedandosi dalla ciabatta.
A casa tutto andò come al solito: suo padre che tornava dal lavoro stanco morto pronto per cenare in tranquillità con la sua famiglia, sua madre ansiosa di propinare i suoi esperimenti culinari ai suoi cari, e suo fratello sempre pronto a farla ridere con qualche battuta idiota. Suo fratello, era felice di averlo ritrovato, nonostante la sua aria da sottuttoio era una delle persone più importanti della sua vita. Le era costato molto fare a meno di lui, ma adesso tutto era tornato al suo posto.
Cenò in silenzio, stupendo tutti i suoi familiari per poi andare a chiudersi in camera. Aveva delle cose importanti da fare. Accese il Computer ed eseguì subito l'accesso su quel forum. Due notifiche: una inutile. Una ragazza che diceva di credere nel destino e non ai sogni. Una molto, molto utile. Si firmava "Sparviero Nero", l'unica persona in cinque ore ad averle dato una spiegazione del sogno.
Le aveva scritto che i fantasmi nella casa erano le sue paure, paure che tentava di reprimere, ma che erano sempre pronte ad uscire fuori. Le aveva detto che faceva finta che la situazione che stava vivendo le stesse bene. L'aveva informata che le tre bare sulla lastra rappresentavano tre persone con cui aveva chiuso per sempre. In quel preciso istante un conato di vomito la scosse, costringendola a gettarsi sul letto con la testa fra le mani. Aveva il respiro irregolare, la nausea mista a sconforto. Quello sconosciuto l'aveva capita più di quanto avesse voluto fare lei stessa.
Che stava facendo? Quella non era la sua vita, quelle non erano le persone che voleva avere intorno. Il suo posto era in quel mini appartamento, nel suo piccolo paesino sperduto a picco sull’oceano. Anche il suo colore di capelli era diventato monotono come lo era lei, un castano scialbo che non aveva niente a che vedere con il fucsia di prima.
Sbuffò, cercando di trattenere qualche lacrima che tentava di uscire prepotentemente dai suoi occhi. Non poteva farlo. Non poteva abbandonare la vita con la sua famiglia per un suo bisogno egoistico. I suoi genitori ci sarebbero rimasti male, non gliel’avrebbero perdonato.
- Kelly, amore posso entrare?- forse avrebbe dovuto chiedere consiglio a sua madre. Magari spiegandole la situazione avrebbe capito il suo bisogno.
- Kelly, tutto bene?- le aveva chiesto vedendola rannicchiata sul suo letto. –Sei tanto silenziosa ultimamente.- si era seduta accanto a lei e aveva cominciato a carezzarle i capelli.
-Si, va tutto bene. Solo un po’ di stanchezza, la vecchia ciabatta è impegnativa da gestire.-
La madre sorrise, ma poi si stampò in faccia un cipiglio autoritario.
-Non dovresti chiamarla così, è stata gentile a trovarti un lavoro. Portale un minimo di rispetto.- aveva detto sconsolata.
Lei si era limitata a sbuffare contrariata.
-Comunque ero venuta per darti questo.- tirò fuori dalla tasca dei suoi jeans una busta da lettera, e gliela porse. –Meglio se ti lascio un po’ sola adesso.- poi si alzò e richiuse la porta alle sue spalle.
La ragazza rimase lì, sul suo letto a osservare quella busta. Non c’erano scritte, o indirizzi. Chissà chi era il mittente.
La aprì trovandovi dentro un contratto di compravendita del suo vecchio appartamento. Sua madre aveva un senso dell’umorismo masochista, cosa poteva interessare a lei se qualcuno aveva comprato l’appartamento in cui aveva vissuto?
“Aspetta.” Un sospiro pesante uscì dalle sue labbra, finalmente ci era arrivata.
“Aaaaaaaah!” aveva gridato senza ritegno, era saltata giù dal letto con il passo pesante di un elefante per poi raggiungere sua madre in cucina. Era seduta al tavolo con una tazza di tè fumante davanti a se. “Ce ne hai messo di tempo per capire!” sorrideva mentre le parlava. Era da troppo che non vedeva sua figlia felice. Da quando Kelly si era incupita, non faceva altro che pensare a una soluzione, da lì l’idea di comprarle quella casa impiegò veramente poco a venirle in mente.
D’altra parte il lavoro andava bene, l’albergo appartenente alla loro famiglia portava più entrate di quelle sperate, quindi non fu un sacrificio così grande.  
Non si era neanche resa conto che sua figlia le si fosse aggrappata addosso, stringendola e cullandola in un abbraccio soffocante.
-Quando hai intenzione di partire?- le chiese, scollandosela di dosso.
La ragazza si fermò qualche secondo, riflettendo attentamente su quella domanda. Poi un guizzo negli occhi le fece capire che aveva deciso. –Parto tra due settimane. Non posso perdermi il compleanno di papà. Me ne andrò il giorno dopo.-
 
***
 
I giorni seguenti furono costellati da miliardi di sentimenti. L’ansia era quello persistente. L’angoscia di lasciare i suoi genitori, la paura di tornare a casa sua, perché quella era la sua vera casa ormai. Rivedere Ronnie era una delle cose che più le premeva. La cosa veramente importante però era un’altra: Billy. Al solo pensiero la gola le si chiudeva, il respiro si mozzava e le mani iniziavano a sudare. Non l’aveva più sentito, non perché non volesse, ma perché le sembrava ingiusto tenerlo legato a lei; lei così lontana per poter portare avanti qualsiasi tipo di relazione. Parliamoci seriamente, non era capace di far andare bene le cose quand’era lì con lui, figuriamoci da lontana. Comunque lui ogni tanto le aveva scritto, ma Kelly aveva accuratamente evitato di rispondergli. Come al solito si era comportata da stronza, sapeva già cosa le avrebbe detto se se lo fosse trovato davanti: “Non puoi decidere anche per me.” Gliel’aveva ripetuto fino allo stremo. A ripensarci le veniva da ridere.
Cosa gli avrebbe detto lei? Come avrebbe potuto presentarsi davanti a lui, così, dal niente?
Sbuffò, per poi rotolarsi sulla superficie morbida del letto. Ormai aveva sistemato quasi tutto: si era licenziata, aveva comprato il regalo a suo padre e infine aveva impacchettato tutte le sue cose. Le rimanevano solo la festa e i saluti. Saluti che comunque non sarebbero stati così terribili e strazianti, i suoi ora sapevano dove sarebbe andata a vivere, quindi li avrebbe rivisti presto.
-Tre giorni.- la voce del nonno la fece trasalire. 
-Nonno. – disse nervosamente. –Potresti almeno che so... bussare, far cadere qualche soprammobile? Per te potrà essere divertente comparire dal nulla, ma a me fai perdere anni e anni di vita tutte le volte.- il vecchio si ritrovò a sghignazzare. –Perdonami, ma come hai detto tu, è veramente divertente far spaventare voi vivi. E poi io ho così pochi passatempi da quando sono morto!- Kelly scosse piano la testa in segno di dissenso e poi continuò la sua opera di rotolamento. Languire sul letto non era proprio una buona tattica, ma per una volta le piaceva l’idea di auto commiserarsi un po’.
Passò così un altro giorno, arrivò la festa di suo padre.  Fece mille foto che poi avrebbe portato con se come un tesoro inestimabile. Mangiò la torta, prese in giro i suoi parenti con suo fratello e si fece coccolare dai suoi genitori. La mattina della partenza si svegliò presto. L’aereo per Shannon sarebbe partito soltanto all’una, ed erano le sette. Affondò il viso sul cuscino e poi si alzò. Trovò suo padre in cucina, intento a preparare dei panini. –Sono per me quelli?- chiese indicando i tramezzini. Il padre la guardò un po’ smarrito. –Si, sono per te!-
Lei sorrise, ringraziandolo. Poi lo abbracciò forte, voleva fargli capire che nonostante stesse partendo si sarebbe fatta sentire. –Verrete a trovarmi, vero?-
Lui le scompigliò i capelli e le diede un bacio sulla fronte.
– è il minimo, devo vedere se terrai in ordine il MIO appartamento.- scherzò.
Lei lo guardò in cagnesco, ma poi rise di cuore.
-Sarò ben felice di ospitarti a casa mia papà! Tranquillo, vieni quando vuoi... magari però prima chiama!- disse mettendosi in punta di piedi e dandogli una pacca sulla spalla con fare comprensivo, per poi correre via dalla camera, prima che lui potesse acchiapparla e farle il solletico.
La partenza arrivò prima del previsto, quasi come se non fosse stata pronta ad andarsene.
Salutò tutti e s’imbarcò. L’aereo avrebbe impiegato un’ora ad arrivare all’aeroporto di Shannon, e da lì avrebbe preso un taxi che in quaranta minuti l’avrebbe portata a destinazione. Era talmente angosciata, che aveva pensato più volte di prendere un volo e tornarsene a casa, i suoi sarebbero stati felici, e al massimo avrebbero potuto affittare l’appartamento. Lisciò le pieghe del vestito di chiffon azzurro che aveva indossato per l’occasione. Non l’aveva mai fatto prima, vestirsi da donna non era mai stata una sua priorità ma sua madre aveva insistito. Doveva far vedere a tutti com’era cambiata, far vedere che ormai era una signorina. Una sensazione di fastidio le arrivò fino alla punta del naso, facendolo arricciare. Sicuramente non sarebbe bastato un vestitino per farsi perdonare più di un anno di assenza. Sbuffò, e si concentrò sulla canzone che stava ascoltando, sperando così di poter scacciare via quei pensieri, fino al momento in cui non avrebbe più potuto rimandare. Durante l’atterraggio le si tapparono le orecchie, cosa che in principio le procurò qualche problema di comunicazione col tassista. –E’ la prima volta che viene qui?- chiese l’uomo, cercando di intavolare una conversazione, per rendere più piacevole quel viaggio. Sorrise a quella domanda mentre fissava estasiata il paesaggio che le sfrecciava accanto. -No è da più di un anno che manco, ma ho vissuto qui per un paio d’anni .- Continuò a guardare fuori dal finestrino. Quei luoghi erano così familiari: le case, i boschi e i campi che circondavano la strada... Era quasi a casa!





Sono tornataaaa, come Kelly a quanto pare! L'idea di postare nuovamente un capitolo mi allettava troppo per riuscire ad aspettare ancora, anche se magari non è proprio una cosa positiva! Ho letto e riletto questo capitolo cercando di capire se potesse andare bene, ma alla fine credo di si. Volevo mostrare almeno all'inizio la nuova vita di Kelly, farvi capire cosa stava passando dopo aver deciso di lasciarsi Billy e la sua vecchia vita alle spalle. Comunque detto questo spero che il capitolo vi sia piaciuto! Penso di pubblicare il prossimo tra una settimana, sperando che la nuova storia vi alletti almeno un pochino!
Ora vi lascio... una bacio!
  
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