Ad Arianna, per il suo compleanno e perché mi aveva chiesto di
scriverla.
E a Valentina, che apprezza anche quando è tutto abbastanza pessimo.
Tomorrow’s bleeding
“Queste gioie violente…”
Corre e mai come in quel momento odia il Sole che nasce oltre la
collina, ad Est, debole e pallido come la sua pelle, a scrutare il mondo
sottostante sporco di sangue come fanno ora i suoi occhi mentre si muove
lasciando perdere l’agilità che l’ha sempre contraddistinto, facendo
semplicemente attenzione a non toccare i cadaveri qua e là sul terreno, per
rispetto e dolore.
Deve raggiungere l’accampamento, deve muoversi, essere ancora più veloce
di così, fare in fretta. Il respiro comincia a far male nei polmoni – ora in
lui c’è ben poco di quella grazia eterea con cui vengono descritti solitamente
gli Elfi.
Degli Elfi ora non è rimasto più nulla.
«Dovresti
essere entusiasta di queste nozze, figlio mio».
Il
giovane principe attraversava la Sala del Trono con incidere lento, pensoso,
accanto alla madre. Tutto tra quelle pareti sottili era inondato di luce che
impreziosiva ogni angolo e ne risaltava la raffinatezza e l’industriosità.
Dire
che era bella sarebbe stato davvero poco e in verità, per quanto vi fosse ormai
abituato, neanche il giovane Nick era stato ancora capace di trovare un
aggettivo che potesse racchiudere in sé le emozioni che quel gioco di
splendenti topazi e rubini creavano in cascate di zaffiro e smeraldi. Tutto
risuonava di musica che poteva essere ascoltata con gli occhi, di un armonia
che toglieva il fiato. Il principe aveva eletto a suo scopo nella vita trovare
un’espressione che potesse significare tutto ciò che c’era lì.
«Lo
sono, madre. Dico davvero», si affrettò a rispondere.
«Ma…?».
Nick
odiava il modo strabiliante con cui la regina lo conosceva: sapeva che con lei
non avrebbero mai potuto esserci segreti – era impossibile ingannarla.
«Ma
non dovrei prima conoscerla? Insomma, passare giornate con lei ed innamorarmene
lentamente fino a non poter più stare lontano da lei?».
L’elfo
lo guardò, lesse in quegli occhi nocciola un’aspettativa ed un desiderio di
sogni che lei conosceva da sempre e che non aveva il coraggio di infrangere.
Come dirgli che quello che chiedeva era concesso a tutti fuorché al principe
degli Elfi di Fonte? Come spiegargli che quest’unione era troppo importante per
basarsi su desideri e sentimenti? Gli sorrise, leggera, forse un po’ triste,
con quel bel sorriso che hanno le figure millenarie.
«Certo,
figlio mio, ma questo potrebbe accadere nella settimana che la principessa Lyan sarà qui».
«Ho
idea che ci voglia più di una settimana, madre», sussurrò Nick.
«O
potrebbero volerci solo pochi istanti…», gli promise.
Lei
conosceva bene la giovane principessa e nonostante la sua discendenza vi aveva
trovato, nel corso del tempo, un calore ed una sensibilità che si sarebbero
potuti dire appartenenti più alla loro di razza. Gli Elfi Silvani erano
conosciuti bene per l’austero alone di freddo carisma che li circondava, così
invischiati nel mondo, così spaventati da esso da temere nemici su ogni fronte,
anche provenienti dalla loro stessa specie. Loro, invece, Elfi di Fonte, ai
remoti confini della Terra, così separati dal resto del mondo attraverso le
Acque, conoscevano una pace che paradossalmente li aveva resi molto più
sensibili e caldi: era raro vederne qualcuno aggirarsi oltre i loro confini, là
su, a Nord, ed ogni apparizione era considerata una specie di miracolo, un buon
presagio.
Ma
stavano sparendo. Il tempo li consumava e nonostante la Natura avesse
predisposto per loro davvero pochi modi per lasciare la vita, sentivano i
secoli pesare con grigia caligine sulle loro spalle, fino a schiacciarli. Quel
matrimonio avrebbe dato nuova speranza, avrebbe permesso l’unione di due razze
che mai prima d’allora si erano tanto avvicinate e con tale discendenza parte
degli Elfi di Fonte avrebbero di nuovo abitato la Terra che da secoli e secoli
avevano lasciato.
«Mia
Signora!», la chiamò una delle guardie reali, una giovane elfo dai lunghi
capelli neri che quasi coprivano l’arco posto a tracolla. «Il corteo degli Elfi
Silvani è apparso all’orizzonte», la informò.
«Avvisa
il Re del loro imminente arrivo, poi unisciti al corpo di guardia che li
accoglierà sulle rive del lago», ordinò la regina e in un istante la vide
sparire oltre le porte della sala.
Quando
spostò di nuovo l’attenzione su suo figlio, l’elfo non seppe capire se quello
apparisse più nervoso o esaltato dall’arrivo dei loro ospiti. I suoi occhi
scuri erano lucidi mentre si incamminava verso la finestra della stanza, dalla
quale si poteva scorgere il lago, eppure le sue mani tremavano appena e i denti
giocavano col labbro come quando era indeciso o insicuro di sé.
Gli
si avvicinò e gli poggiò un breve bacio tra i capelli. Poi guardò anche lei il
lago, la nave che lentamente si avvicinava alla riva, gli stendardi già
visibili da lì, con le due fila di rami intrecciati che contornavano un sole,
così diversi, quasi complementari al Sole che si tuffava rossiccio nel azzurro
del lago sui loro stemmi. Il Re, suo marito, l’affiancò proprio mentre il
corteo cominciava a scortare la famiglia reale silvana attraverso il sentiero
che li avrebbe portati alla reggia.
Si
staccarono dalla finestra solo pochi istanti prima che le porte della sala si
aprissero e lievi flauti suonassero gioiosi per l’arrivo. Dopo alcune file di
guardie di Fonte, apparvero ai loro occhi gli Elfi Silvani, così belli nel loro
sublime portamento e diversi per i colori tanto chiari della pelle e dei capelli.
Per Nick era la prima volta e ne rimase abbagliato: non aveva mai lasciato quel
palazzo, non per andare oltre le loro terre e sentiva come se quegli elfi
portassero con sé il sapore del mondo oltre il lago, una bellezza selvaggia e
violenta a tratti – nella temibile sfumatura bionda dei capelli che rasentava
il bianco o nei azzurro ghiaccio dei loro occhi – che lo ammaliava senza via di
scampo.
Vi
furono inchini da entrambi le parti e sorrisi più o meno grandi, più o meno
veloci. Nick incrociò subito il bel volto della principessa Lyan,
incantevole nel vestito azzurro che le avvolgeva con grazia il petto e scendeva
lento sul resto del corpo: sembrava un pezzo di cielo primaverile ed il suo
viso ne era il sole. I preziosi ornamenti più chiari sul tessuto potevano
essere letti come nuvole dalla cangiante forma e il principe poteva scorgere la
coda del vestito, più chiara, che sul pavimento di marmo la seguiva ancora per
qualche piede.
Era
sole ed era cielo. Era tutto quello che non conosceva, arrivato da tanto
lontano per lui.
Eppure,
l’ammirazione estasiata per lei non durò che qualche altro breve istante.
Perché quella fu la prima volta che Nick posò lo guardo su qualcosa che sarebbe
dovuto diventare più del cielo e più del sole, più di qualsiasi altra nuvola o
delle stelle in cielo nelle belle notti limpide d’estate.
Posò
gli occhi sul respiro della sua vita, su qualcosa di straordinariamente bello,
da offuscare le meraviglie di quella sala. Da quel giorno avrebbe speso ogni
singolo istante di eternità per cercare una parola che racchiudesse lui. Vide
per la prima volta il principe Jeff.
“O
potrebbero volerci solo pochi istanti…”.
Gli sembra di correre da secoli e che la piana davanti a lui abbia
deciso di non finire più. In realtà, non lo disturberebbe neanche troppo se non
fosse per i corpi. Corpi senza vita, corpi pieni di ferite, esposti in quel
modo, abbandonati a se stessi. Senza più valore. Corpi ovunque. Improvvisamente il loro peso lo
schiaccia a tal punto da diventare maldestro.
Inciampa, cade su uno di essi e vi si ritrae spaventato, come se temesse
di prendersela anche lui, la morte, solo per contatto. E lo vorrebbe, gli dei
sanno quanto una parte di lui lo vorrebbe.
Come una reazione a catena, per evitarne uno ne tocca un altro, e
cadavere dopo cadavere si muove a tentoni e paura, mentre le lacrime scivolano
copiose sul suo viso e il fiato comincia a mancargli sempre di più.
Poi si blocca, il viso di un giovane elfo con gli occhi scuri spalancati
verso il nulla cattura il suo sguardo. I morbidi capelli color mogano gli
contornano sgraziatamente il viso bianco e senza ferite: potrebbe sembrare
addormentato se non fosse per quegli occhi troppo fissi, troppo spenti, per
quel pallore che non lascia dubbio.
«Oh dèi del Cielo… che cosa abbiamo fatto?».
«Tenete
l’arco leggermente inclinato, se la cosa vi fa avere una migliore prospettiva.
Non disturberà il tiro in alcun modo». Le mani gentili della principessa Lyan lasciarono andare l’arco di Nick mentre gli scivolava
con grazia alle spalle per dargli una visuale completa dei vari bersagli che
aveva davanti.
Non
che il principe non sapesse mirare o tirare, ma era risaputo come l’esperienza
diretta in battaglie e guerre avesse affinato l’arte del combattimento negli
Elfi Silvani, migliori fra tutte le razze e di certo i più letali in
combattimento. Nick lasciò andare la corda e la freccia volò dritta verso il
centro dell’obiettivo, con più velocità di quella che solitamente aveva.
La
principessa applaudì, ridendo e Nick si beò di quel suono tanto cristallino.
Erano passati solo due giorni da quando lei e la sua famiglia erano arrivati,
eppure una parte di lui sentiva di conoscerla da sempre, come se non fossero
mai stati separati da altro se non le mura delle rispettive stanze, a corte. La
adorava, in tutte le sue più piccole sfaccettature: era giudiziosa e matura,
seria all’occorrenza e dolce quando voleva. Ma soprattutto era spensierata come
davvero non si aspettava potessero essere gli Elfi Silvani.
La
prima volta che aveva riso di gusto, la sera del loro arrivo, era rimasto senza
fiato. Poi si era chiesto se anche suo fratello Jeff ridesse in quel modo
meraviglioso. Aveva idea che se fosse stato così, avrebbe sentito il più bel
suono al mondo.
«Sorella,
non credi di peccare di presunzione nel voler insegnare ad un principe di elfi
come tirare d’arco?», la voce composta e leggera del principe degli Elfi
Silvani colse Nick impreparato. Succedeva più o meno sempre, che si accorgesse
o meno della sua presenza, che fossero da soli o in compagnia di altri: davanti
a lui, era sempre, completamente, disarmato.
Jeff
era il primogenito, colui che avrebbe ereditato il trono del suo regno ed aveva
una certa nobiltà nelle maniere e nei movimenti, qualcosa di rigido e lontano
che a loro, Elfi di Fonte, mancava. Come se dietro ogni gesto ci fosse un
accurato calcolo di armonia e numeri che se non rendeva il movimento
artificiale lo faceva sentire un po’ distante.
«Il
principe Nick sa bene che non oserei mai tanto», rispose la giovane, gentile,
di nuovo un po’ troppo fredda, come se l’ingerenza della famiglia frenasse la
naturale vita che l’elfo aveva visto scorrere in lei in quei giorni.
«Vogliate
in ogni caso perdonare la sua esuberanza, principe Nicholas», si sentì in
dovere di scusarsi Jeff con un breve inchino che capo. Nonostante la parità di
rango, l’elfo biondo non dimenticava di essere ospite in una corte estranea. E
c’era qualcosa nel modo in cui lo chiamava, nel fatto che avesse deciso
arbitrariamente di usare il suo nome completo, quando solo il re, sempre più di
rado ormai, lo faceva, che metteva sempre l’altro sull’attenti. Sembrava un
monito a non avvicinarsi troppo.
Quando
invece tutto quello che avrebbe voluto fare lui era avvicinarsi così tanto da
sentire che profumo avesse la sua pelle.
Deglutì,
lasciando che quel pensiero inopportuno si perdesse nella sua testa
dissolvendosi veloce. Aveva un problema, un problema con cui avrebbe dovuto
fare i conti ma che cercava di ignorare: adorava tutto della principessa Lyan, forse perché era fin troppo simile a lui, perché in
lei scorgeva quella bellezza di vivere che nella sua testa aveva sempre negato
agli Elfi Silvani. Ma più le si avvicinava, più capiva che non l’avrebbe mai
amata; non come un elfo amerebbe la sua compagna di vita: aveva conquistato il
suo cuore, ma come la sorella che non aveva mai avuto, come un’intima
confidente. Aveva il suo amore, tutto quello che avrebbe potuto dargli, ma non
l’avrebbe mai guardata con quel misto di riverenza e interesse, col cuore che
perdeva un battito se era troppo vicina, con la sensazione di poter dormire
bene la notte, solo perché l’aveva vista.
Non
l’avrebbe mai guardata come guardava Jeff. Né si sarebbe mai innamorato di lei
come stava invece facendo con suo fratello.
«Vostra
sorella, in effetti, mi ha insegnato molte cose stamane», si ricordò di
rispondere quando ancora la pausa fra le sue parole e quelle dell’altro non era
troppa.
Jeff
sorrise appena, gentile, continuamente controllato, rivolgendo poi lo sguardo a
Lyan. A vederli, si somigliavano così tanto da poter
sembrare gemelli – se fossero rimasti fermi come un bel dipinto nessuno si
sarebbe accorto che a tanta compostezza in lui corrispondeva altrettanta
vitalità in lei (quand’era libera di mostrarla). E paradossalmente, o forse
nella più banale delle situazioni, era tanta diversità ad attirare Nick.
Il
trotto di due cavalli interruppe la scena e pose come nuove figure due guardie
reali degli Elfi di Fonte. Due giovani protetti da sottile e possente armatura
scesero con destrezza e si inchinarono davanti a tutti i sovrani. Poi uno di
loro pose lo sguardo verso il proprio principe.
«Vostro
padre vi cerca, mio Signore. Richiede la vostra presenza ed invita a mostrare
alle maestà dei Boschi le Fonti Vecchie e la Catena di Cascate a Nord».
«Credevo
avremmo fatto questo viaggio nel pomeriggio», intervenne Lyan
sorpresa – Jeff le lanciò uno sguardo severo che non sfuggì a nessuno dei
presenti.
«Ti
ringrazio, Sebastian. Verremo a corte e vedremo cosa ha indotto questo
cambiamento di programma», sorrise rivolto alla principessa, che ricambiò il
gesto – fece uno strano effetto, invece, vedere come il principe mantenesse una
posa quasi troppo rigida per la sua figura leggiadra.
La
guardia reale montò nuovamente a cavallo, affiancata dall’altra silenziosa.
Attesero che i reali salissero sui propri destrieri, poco lontani, e li
precedettero nel cammino verso il palazzo.
«Sono
le vostre guardie personali?», chiese Lyan che non
ricordava di aver visto i due elfi nel palazzo.
«Sono
i miei più cari amici», rispose allora Nick, guardando le due figure davanti a
sé «Sebastian e Thad, primi tra le guardie reali. Ho capito da tempo che non
c’è nulla che non farebbero per me, per quanto la cosa mi provochi rimorsi alle
volte…».
Sul
viso di entrambi i principi silvani era comparsa una sorta di strana sorpresa,
qualcosa che l’elfo interpretò come “strane usanze qui oltre le acque”. Di cosa
si stupivano? Era vero, i due elfi che li precedevano erano ciò che più aveva a
cuore se si escludeva la sua famiglia. Possibile che non avessero mai avuto qualcuno
del genere?
*
«Dubito
di aver mai visto qualcosa di tanto bello».
La
principessa Lyan era estasiata di fronte allo
spettacolo di cascate che le si apriva davanti. Avevano attraversato per lungo
tratto il bosco che si estendeva dietro la Reggia, in salita, finché non
avevano cominciato a sentire lo scrosciare delle acque che da lontano si era
avvicinato sempre più. Poi quello.
Balzi
di diverse altezze su cui si rovesciavano fiumi di varia portata, saltando e
zampillando ovunque con armonioso disordine, qualcosa di troppo naturale per
poter essere contenuto in uno schema logico. Dal ripiano su cui si erano
fermati, poteva vedere le cascate estendersi fino all'orizzonte e lei aveva
capito perché il padre di Nick avesse insistito perché facessero quell'escursione
mentre il sole era ancora alto: la luce creava riverberi scintillanti ovunque
con giochi di colori che non aveva mai visto e piccoli arcobaleni sparsi tra
sassi e gocce.
La
natura sembrava partecipare a tanta allegria dal momento che diverse razze di
uccelli volavano su quello spettacolo, aggiungendo colore a colore e deliziando
le orecchie con gentile canto.
Lyan era
davvero certa di non aver mai visto qualcosa di tanto bello in tutti i suoi
anni di vita: le vecchie foreste del suo regno avevano raramente qualcosa di
tanto dolce ed armonioso; rari erano stati i momenti in cui aveva potuto
goderne la semplice esistenza, così minacciose quando il sole vi si nascondeva
tra i rami o le tempeste di vento le sbattevano violente. No, non esisteva nulla
di tanto placido nella sua razza e la cosa gli provocava una fitta allo
stomaco.
«Io
invece sono certo che i vostri boschi facciano sembrare queste cascate pezzi di
vetro messi a confronto con diamanti e perle».
«Oh
no, credetemi, non mento: è uno spettacolo unico», sostenne ancora lei, senza
riuscire a guardare Nick negli occhi per il semplice fatto che lo scenario le
continuava a rapire lo sguardo.
«Di
notte è come se anche le acque dormissero», raccontò ancora il principe «Si
placano, scorrono più tranquille e silenziose, invogliano al sonno. Mi è
capitato spesso di addormentarmi qui – adoro la nenia che rimbalza fra i sassi
e crea eco bellissime».
La
principessa ora aveva preso a guardarlo perché vedeva quella bellezza che tanto
elogiava riflessa negli occhi scuri dell'elfo. Se gli Elfi Silvani erano lo
specchio della natura a volte fredda e pericolosa in cui vivevano, lo stesso si
poteva dire di quelli di Fonte, così pacati e brillanti circondati da tutti
quei colori. Chi avrebbe potuto dire di non potersene innamorare dopo averli
conosciuti? Lei non aveva avuto speranze dal primo momento in cui aveva messo
piede su quelle terre lontane.
«Vi
sto nuovamente annoiando con aneddoti passati, mi spiace», si scusò Nick,
sedendosi sull'erba e porgendole una mano affinché lei facesse lo stesso.
Avevano lasciato i rispettivi genitori ed il primogenito dei Silvani su uno dei
balzi più vicini alle cascate tempo prima e si erano allontanati con la scusa –
vera in parte – della ricerca di una migliore prospettiva. Erano su una delle
punte più alte, da lì si poteva vedere, dietro le cascate, seguendo il corso di
quei millenari fiumi, le pendici delle Alte Montagne che facevano da confine
alle terre degli Elfi, oltre le quali in pochi si erano avventurati. C'era
magia in quel posto perché c'era mistero e la storia si confondeva al mito: le
migliori leggende erano partite sotto quelle pendici.
«Affatto,
principe Nick. Amo ascoltarvi parlare della vostra terra e della vostra
infanzia», lo corresse gentile l'elfa, prendendo la
mano e sedendosi sul manto morbido. A Nick non sfuggì il fatto che fosse più
controllata nei movimenti e più trattenuta nelle parole di quella mattina ed
era quasi certo che fosse stato l'intervento del fratello ad avere avuto un
simile risultato.
Non
si accorse di aver preso a fissarla, mentre pensava quelle cose, finché un
sorriso imbarazzato di lei non fu sentore di quel gesto inopportuno.
«Non
volevo, vi chiedo scusa», distolse allora lo sguardo, arrossendo appena anche
lui.
«A
cosa pensavate?». Nick sorrise: eccola, quell'indole curiosa e viva che tornava
ad affacciarsi, troppo forte per poter essere soffocata.
«Mi
chiedevo come fosse stata la vostra di infanzia, tra i boschi».
Lyan
perse parte del suo sorriso. Non che la sua infanzia non fosse stata bella o
particolareggiata, ma più tempo passava nel reame degli Elfi di Fonte, più si
rendeva conto della fissa rigidità della propria vita fino ad allora.
«Monotona
e piatta, temo. La odiereste, se ve ne parlassi», disse con sincerità.
«Ha
caratterizzato una bellissima creatura come voi, non potrei mai odiarla», volle
addolcirla Nick – perché istintivamente odiava la voce di Lyan
incrinata dalla tristezza.
«Il
Regno fra i boschi è davvero freddo come dicono», spiegò lei, sorridendo alla
dolcezza del principe «Sin da piccoli ci insegnano che la vita, per quanto
lunghissima, è un dono raro, che noi silvani dobbiamo custodire e che potremmo
perdere facilmente. Nel passato tante guerre ci hanno decimato e tutt'ora
facciamo attenzione a ciò che agita i cuori di Umani e Nani, ai confini con le
nostre terre».
«So
che questi sono anni di pace, però», volle alleggerire quel racconto Nick.
«Sì:
da tempo non si sente parlare di guerre, ma la memoria degli elfi è lunga e il
timore porta ad una rigidità sempre maggiore. Con questo non voglio che la mia
storia sembri solo triste e fredda», rise poi, rendendosi conto di quando poco
fosse appropriato compatire se stessa e dimenticare i tanto momenti felici che
pure aveva vissuto. «Le Foreste sono bellissime, il cuore stesso della Natura.
Nei giorni di quiete gli alberi parlano, sussurrano segreti che in pochi
comprendono del tutto. Nel cuore della Foresta Reale c'è un grosso masso su cui
mi piace sedermi per ascoltare quei fruscii – mio fratello mi ha insegnato a
capirli e di tanto in tanto colgo pezzi di storie passate, amori felici e
grandi imprese».
Nick
si accorse che amava immaginarla seduta e circondata dalla natura, con il
giovane Jeff a farle da insegnante di miti e leggende: era un'immagine di
profonda bellezza in un ambiente di cui forse si sbagliava a ricordare solo
l'aura di esteriore e letale freddezza.
«Non
è molto diverso da qui, allora», le sorrise.
«No,
non molto. Ma qui mi sembra ci sia solo questo. Capite che cosa intendo? Io vi
parlo di giorni e momenti particolari, mentre qui la quiete e la bellezza della
vita in sé sembrano non incontrare cambiamenti».
«Merito
di un'antica codardia, forse... Noi Elfi di Fonte siamo andati via dal centro
delle terre abitate tanto tempo fa: abbiamo guadagnato la pace e una vita
tranquilla, ma cosa direbbe il nostro onore se fosse chiamato a rispondere di
tale fuga?».
Lyan
prese la mano del giovane principe e con una certa libertà la strinse fra le
proprie.
«E
chi mai vi accuserebbe di questo? Vorreste davvero tormentarvi con simili
dilemmi? Siete lontani ma di certo non perduti e se mai avessimo bisogno, sono
certo che non neghereste aiuto ai vostri fratelli, anche se tutte queste acque
ci separano».
Nick
la guardò negli occhi e si chiese quanta dolcezza ancora potesse celare quel
corpo tanto esile, quell'elfo così diverso da come l'aveva immaginato, così
bella da non poterla non avere a cuore. Eppure, anche in quel momento, volle
chiedere di lui.
«Vostro
fratello non vi somiglia affatto», sussurrò, dando per scontato che fosse chiaro
che si riferisse all'indole tanto aperta della principessa.
«Mio
fratello è il primogenito, è stato educato ad essere un perfetto sovrano dei
Silvani. In lui vedete le migliori qualità dei nostri, non si sporcherebbe mai
con atteggiamenti così coloriti come i miei – per quanto, credetemi, ne
possegga ugualmente. Deve controllare ogni cosa e cerca di far capire anche a
me quanto alle volte io sia sconveniente nella mia esuberanza».
«Non
la chiamerei esuberanza. Direi che è lui ad essere troppo controllato».
«Punti
di vista, mio principe: per la mia famiglia, Jeff rasenta la perfezione, mentre
io ho ancora da farmi passare un'indole tanto indomita», rise.
«Provare
affatto ed interesse per altre razze non mi pare sia qualcosa di sbagliato».
«Non
come lo faccio io: mia madre dice che potrei affezionarmi ad un passerotto come
al mio più caro amici e soffrire ugualmente per entrambi. è una pericolosa
fragilità amare tanto».
«Sarebbe
peggio non amare affatto».
«Non
che mio fratello non ami!», lo difese lei – perché era ovvio che portassero
avanti ancora quel paragone «Ma presta attenzione a ciò che ama e al modo in
cui qualcosa lo coinvolge».
Nick
aveva una certa disapprovazione nello sguardo – la cosa lo feriva come non si
aspettava potesse fare, perché invece lui avrebbe amato Jeff
incondizionatamente, perché aveva sentito qualcosa dalla prima volta che lo
aveva visto ma non si erano scambiati che poche parole da allora e poche altre
ne sarebbero trascorse, temeva.
«Non
è questo, amare. Non c’è controllo o schema. Non si può amare prudentemente,
mettere paletti o freni, dirsi di fare attenzione. L’amore è istinto e
passione, nasce dal nulla, nel momento meno opportuno e non puoi fare a meno di
sentirlo. Sta lì, dilania e divora: la sola salvezza è consumarlo tutto».
Lyan non
avrebbe voluto avere le lacrime agli occhi, ma quelle parole erano tutto ciò
che aveva sempre pensato e sentirle dire da Nick le aveva tolto il fiato. Si
sporse con calma eppure senza alcuna esitazione e fece qualcosa che
probabilmente sarebbe andato contro ogni principio silvano: baciò il principe,
senza permesso, senza preavviso, perché non ne avevano bisogno. E Nick rispose
al bacio perché non c’era altro da fare, ma si sentì in colpa perché qualcosa,
anche allora, pensava a Jeff.
Distante
dalla coppia, nascosto ai loro occhi, il primogenito dei Silvani aveva
osservato sua sorella e quel principe tanto diverso da lui. Aveva ascoltato le
sue parole ed una sensazione strana lo aveva preso all’altezza del cuore.
Qualcosa che non riusciva ad ignorare per quanto ci provasse. Chiuse gli occhi
e sospirò lento, cercando di prendere nuovamente il controllo di sé; eliminò
quelle parole dalla sua mente ed evitò di pensare che alcune si erano già
impresse sul suo cuore.
Si rialza barcollando, tremulo, più pallido
della bella luna piena. Si sentiva malissimo, così male che la morte gli
sarebbe sembrata una grazia. Muove passi incerti, senza ricordare più che cosa
deve fare o semplicemente dove sia; qualcosa poi lo colpisce, acquistando
pesantezza ogni istante che passa. Conosce quel viso. Conosce il viso sporco di
sangue e ancora coperto dall'elmo che i suoi occhi hanno catturato, pochi
cadaveri distanti da lui.
«No. No, Dèi, vi prego
no...», sussurra quasi involontariamente, come un mantra partito da sé.
Si avvicina senza più badare ai corpi e alle
armi, pregando solo di non avere ragione su quello che ha visto. Quando è
abbastanza vicino da poterglisi accovacciare accanto, ha paura di controllare
il respiro per scoprirne la definitiva mancanza.
«Sebastian, vi prego...».
Gli hanno detto che i sentimenti sono
sopravvalutati, non essenziali, eliminabili; che non avrebbe mai dovuto farsi
guidare da essi, in qualità di erede al trono, attaccarsi alle cose. Ma ha
fallito. In tutto. Ed ora è lì a piangere sul cadavere di un nemico.
«Principe... Jeffrey...».
Il sollievo che sente invadergli il petto non
dovrebbe farlo stare tanto bene, ma non riesce a frenarlo mentre vede le
palpebre dell'elfo di Fonte sollevarsi pesanti e quegli occhi smeraldo toccarlo
e leggergli dentro. Dove si sarebbe aspettato giudizio o rabbia, trova solo
dolore e una strana risoluzione che non riesce a spiegare.
«Thad...?». La voce flebile pone la domanda
essenziale e risolutiva. Il dolore è fin troppo giustificabile e la forza d'animo
è tutta per lui.
«Non l'ho visto...», scosse la testa il
principe.
«Non avrei dovuto, ma non potevo aspettare, mi
sono mosso per andare da lui… Deve essere ancora col mio principe...», suppone
allora Sebastian, cercando di mettersi seduto e mantenendosi un braccio
gravemente ferito.
«Nicholas». All'improvviso Jeff comprende la
forza della guardia reale, la sente sua. Deve raggiungere Nick.
Il
principe dei Silvani camminava con passo deciso lungo l'alto porticato della
reggia che dava direttamente sul Lago. Osservava in modo distratto e superbo la
vista che il tramonto gli presentava e in cuor suo ignorava ciò che lo agitava
dal giorno precedente - forzava le parole dell'elfo di Fonte ad essere solo un
blando ricordo, un'eco indistinta e lontana come lo scrosciare delle Cascate.
Si
permetteva solo di sperare che quel viaggio finisse presto: a differenza di sua
sorella a lui mancavano le fredde mura variopinte di cristallo scuro della
propria reggia, dove sapeva sempre che cosa fare e come comportarsi, dove se
qualcosa non andava sarebbe potuto correre col proprio cavallo lungo alberi
noti ed ascoltarne i sussurri. La luce, la pace che trovava in ogni angolo di
quella corte era qualcosa di più opprimente delle buie dimore dei Nani, si
sentiva come se fosse costretto ad essere sempre allegro e disponibile, col
sorriso stampato sulle labbra chiare e una parola gentile per chi passava. Gli
sembrava che nessuno potesse accorgersi che quelle sensazioni piacevoli
potevano togliere il fiato quanto le loro complementari.
«Principe
Jeff! Eccovi, finalmente».
La
voce del giovane principe di Fonte lo riscosse dai suoi pensieri e fece appena
in tempo a montare nuovamente quella maschera di impassibile compostezza, prima
che l’altro fosse accanto a lui, accompagnato da una delle due guardie reali
che aveva conosciuto la mattina precedente.
«Credevo
aveste detto che non era una delle vostre guardie del corpo», gli venne da
dire, con una nota di insolenza nella voce, qualcosa di sgarbato e che non gli
apparteneva davvero.
«È
una guardia reale, infatti. Thad mi accompagna più per comune diletto che per
dovere e solo quanto ne ha voglia», spiegò Nick gentile e Jeff vide l’elfo in
questione sorridergli aggraziato. Si chiese quale diletto potesse esserci nel
passeggiare col proprio re – esclusi gli onori e i guadagni di un simile gesto
– ma stavolta tenne per sé i propri pensieri. Si drizzò ancora un po’ con la
schiena – a Nick pareva più un soldato che un principe spesso.
«Mi
scuso per la mia mancanza di rispetto. Non era mia intenzione contestare
nulla», disse serio.
Nick
rise alle sue scuse, ma quel suono era tanto bello e dolce che nessuno avrebbe
mai potuto leggervi dentro un’offesa. Jeff se ne sorprese e represse l’istinto
di ridere con lui: in parte ne aveva voglia, in parte se vi rifletteva, quella
situazione non aveva davvero nulla di comico.
«Siete
sempre tanto formale anche nel vostro regno?», volle sapere il principe con
ancora traccia di divertimento negli occhi.
«Solo
se lo richiede l’occasione».
«Allora
fate finta che questa sia una di quelle che non lo richiedono. Vi va se
camminiamo un po’?».
Thad
capì subito che avrebbe dovuto lasciarli soli e si fermò appoggiandosi al
muretto in pietra che sosteneva le arcate, mentre i due principi si
allontanavano lentamente. Aveva compreso i pensieri del suo signore dalla prima
sera che lo aveva visto nella stessa stanza dell’erede del reame Silvano – Nick
era una persona fin troppo sempre da capire – ma ora che lo vedeva passeggiare
con Jeff qualcosa in lui si scuoteva, il presentimento che le cose non
sarebbero state per nulla facili.
«Forse
stavolta dovremmo consigliargli prudenza», disse senza staccare gli occhi dai
due ma consapevole della nuova presenza alle sue spalle, Sebastian.
«E
che cosa vorresti dirgli? Di non innamorarsi del principe Jeffrey dal momento
che sta per sposare sua sorella?», chiese con tono un po’ scettico l’elfo,
arrivandogli alle spalle.
«Qualcosa
del genere, sì».
«Temo
sia tardi per queste parole. In fondo, lo è dal momento in cui ti rendi conto
di amare». Sebastian intrecciò le dita delle propria mano fra quelle del
compagno, guardando anche lui il suo principe che si allontanava.
«Odiate
questo posto, non è vero?», stava intanto dicendo il principe degli Elfi di
Fonte, poco avanti.
Il
principe Jeff si fermò di scatto, guardandolo sorpreso. Cosa ne poteva sapere
lui di quello che provava? Era sempre stato tanto bravo a dissimulare e
nascondere i suoi sentimenti, perché ora era stato smascherato con tanta
ovvietà?
«Si
vede. Da quello che Lyan mi ha detto di voi, si vede
che non vi trovare a vostro agio in questo posto».
«Mi
infastidisce tutto qui, avete ragione». Jeff fu sincero senza essere sicuro del
perché. «Ovunque mi volti ci sono elfi sorridenti e ben disposti, ovunque
guardi la gioia e la calma sono talmente presenti da darmi la nausea. Penserete
che sia senza cuore, ma la verità è che tutto nel vostro regno mi irrita: non
ha senso essere tanto felici se non si conoscono la sofferenza e il dolore».
Nick
restò qualche istante in silenzio, mentre il Silvano sembrava invece riprendere
il discorso, come se non avesse finito di parlare. E l’elfo temeva che quello
che stava per dire lo avrebbe ferito ancora più di quanto non avesse già fatto.
«Dunque
parlate di me con mia sorella? Strano argomento di discussione, il vostro»,
constatò evitando di guardarlo negli occhi, improvvisamente incerto ed esposto.
«Vostra
sorella mi ha raccontato molte cose di voi, sì. E della vostra vita e del
vostro regno». Anche Nick ora evitava di guardarlo, fissando il tramonto davanti
a sé, con le braccia poggiate alla pietra calda di sole. Ricordava i racconti
di Lyan, li custodiva gelosamente nel petto e non
voleva che Jeff ne scalfisse la dolce superficie o li sporcasse: erano ciò che
gli aveva permesso di innamorarsi di lui. Suo malgrado sentì la breve risata
del principe dei Silvani.
«E
quindi ora voi credete di conoscermi, solo grazie ai fantasiosi racconti di mia
sorella?». Il tono era sprezzante, aveva una certa irritazione ed
irrequietezza: fu impossibile per Nick non tornare a voltarsi verso l’elfo.
«Sì,
vi conosco abbastanza a dire il vero», ribatté piccato, accettando una sfida
che non era effettivamente certo Jeff gli avesse lanciato «Vi conosco quale
ligio e posato erede della dinastia degli Elfi Silvani, educato fino alla culla
come si confà a tale rango, letale nei combattimenti e saggio quanto suo padre.
Ma odiate tutto quello che non conoscete e questo perché in realtà temete
l’estraneo, avete paura di ciò che il mondo oltre i vostri boschi cela: avete
affrontato battaglie e conosciuto orrori, nonostante la vostra giovane età, ma,
fosse per voi, dovrebbero solo sparire da questa nostra bella terra. Credetemi,
però, quando vi dico che tutto quel disprezzo non farà altro che corrompere il
vostro cuore e logorare la vostra anima.
La vitalità che ho trovato in vostra sorella e per la quale siete solito
ammonirla credo esista anche in voi, per quanto proviate a soffocarla».
Nick
non sapeva perché si fosse animato tanto, perché volesse a tutti i costi dire
quello che pensava di Jeff senza mezzi termini. Sentiva agitarsi nel petto uno
strano malessere, qualcosa che non riusciva a sopportare e gli faceva male: se
avesse potuto il principe dei Silvani avrebbe annullato tutte le buone qualità
che avevano fatto sì che Nick si innamorasse di lui e la delusione, il dolore
per questa convinzione erano tremendi, ferivano più di una freccia in pieno
petto.
«Cosa
vi dà la convinzione di credere alle vostre stesse parole?», alzò la voce Jeff,
ormai dimentico di qualsiasi tipo di etichetta gli fosse mai stata insegnata.
Quell’elfo lo aveva guardato negli occhi ed aveva decifrato la sua anima quasi
fosse una pergamena in elfico antico, con una semplicità disarmante e
spaventosa; gli aveva parlato come nessuno aveva mai osato fare, dicendogli
cose che lui non aveva mai avuto il coraggio di confessare a se stesso.
«La
stessa cosa che dà a voi la presunzione di credere che nel nostro
regno vi sia solo pace e bene, che non si soffra mai. Conosciamo la sofferenza
e la capiamo, non siamo felici in eterno, non abbiamo solo gioia nel cuore.
Leggo il disgusto sul vostro viso ogni volta che un elfo di Fonte vi sorride,
ma commettete l’errore di confondere gentilezza con superficialità e questo non
posso accettarlo. C’è tristezza qui quanto gioia nei vostri boschi e per quanto
voi possiate conoscere il mondo, credetemi, non avete idea di come lo si capisca.
Alla vostra preziosa educazione manca il
rispetto, mio principe».
Jeff
restò attonito, il suo pallore in contrasto col viso arrossato dell’altro elfo.
In fondo, lui aveva dato per scontato che gli Elfi di Fonte non conoscessero il
dolore, così lontani dal mondo, perché gli dèi
sembravano aver concesso a loro una vita piena e felice. Nick, invece, avrebbe
davvero voluto che quello sfogo servisse a farlo stare meglio, ma il peso che
sentiva sul petto non faceva che peggiorare, mentre un groppo alla gola non
voleva saperne di scendere giù. Dèi, avrebbe fatto
meglio a provare ad innamorarsi di Lyan e accettare
tutto quello che lei aveva da offrirgli, invece di cercarlo disperatamente nel
fratello, idealizzando una figura crudele e presuntuosa, tanto elegante
all’apparenza quanto vuoto dentro.
«Nicholas»,
sussurrò il silvano, quasi quel nome potesse significare profonde scuse.
Sentiva il cuore battergli troppo forte, nonostante non stesse facendo alcuno
sforzo. Sentiva. Sentiva come non
aveva mai fatto prima. Non sapeva come ma quelle parole, quell’elfo, avevano
appena distrutto qualcosa in lui.
«Ma
immagino che dopotutto la cosa non v’importi poi tanto. Tra qualche giorno
sarete di nuovo nelle vostre terre e le mie parole non saranno che un ricordo
lontano. Potrete lasciarle lì, sulla riva del Lago, quando partirete», sussurrò
intanto Nick, pentito delle proprie parole, improvvisamente triste e stanco.
Poi
si mosse: voleva andare via, aveva bisogno di stare da solo, riflettere su
tutto quello che provava. Fino a quel momento non si era mai lasciato andare
tanto al pensiero di Jeff, del modo in cui teneva a lui – o meglio,
all’immagine che di lui si era creato nella testa; ma ora si era messo troppo
in gioco, ora aveva esagerato e desiderava non aver mai sentito nulla per lui.
Per un lui che non esisteva.
Quando
si sentì stringere il polso, quasi sussultò, fermandosi. La stretta era salda,
non avrebbe potuto muoversi neanche volendo.
«Mi
dispiace», sentì sussurrarsi alle spalle, ma non ebbe la forza di voltarsi «Per
quello che ho detto, per quello che ho pensato. Avete ragione, avete ragione su
tutto…».
Jeff
non sapeva bene che cosa dire, aveva idea che nessuna parola sarebbe stata
sufficiente, e che comunque non sarebbe riuscito a farne uscire altre dalle
proprie labbra per il nodo che sentiva alla gola. Non aveva mai provato nulla
del genere, neanche nella peggiore delle battaglie affrontate: quello che
sentiva, come se quella situazione fosse essenziale, gli annebbiava la vista e
gli dava i brividi. Aveva bisogno che Nick lo perdonasse.
«Va
bene così», rispose invece quello, con accondiscendenza, perché non gli andava
di dire più nulla.
«No.
No, invece. Perché avete ragione ed io ho perso la mia calma e me ne
dispiaccio».
«Ma
non capite che non si tratta di calma?». Nick non seppe mai da dove trasse la
forza per continuare quella conversazione e voltarsi verso il silvano «Potrete
avere tutta la calma e la grazia che gli dei vorranno concedervi, ma se non
cambierete dentro, se non comincerete a sentire il mondo qui dentro», e gli
pose una mano sul petto, sfiorandolo appena «allora non cambierete mai. Ero
timoroso, quando i miei genitori mi hanno detto che sareste arrivati, che avrei
sposato vostra sorella: credevo foste freddi e terribili, che non avessimo
nulla in comune. Ma poi Lyan mi ha fatto sperare, mi
ha dato fiducia in tutto ciò che è in lei che in voi si nasconde dietro tanta
austerità. So che potete cambiare e so anche che un simile cambiamento non vi
farà perdere nulla. Potete essere un grande sovrano e provare ad amare ciò che
vi circonda».
E magari, anche solo un po’, amare anche me.
Quello
che successe dopo fu inaspettato. E rapido. E completamente sbagliato. Ma
bellissimo. Jeff non seppe spiegare il perché, ma tirò Nick a sé e
semplicemente lo baciò. Perché quello che l’elfo stava dicendo non gli era mai
sembrato tanto vero e giusto, perché nessuno in tutti gli anni della sua vita
gli aveva mai aperto tanto gli occhi come aveva fatto Nick in quei pochi
momenti. Sentì che era la cosa giusta da fare e quella sensazione durò per
tutto il tempo che l’elfo di fonte rispose al suo bacio.
Poi
arrivò prepotente il pensiero di sua sorella Lyan e
del matrimonio imminente e crollò ogni cosa.
Si
staccarono in fretta, quasi con violenza: Jeff si ritrasse più spaventato che
alla vista di un branco di orchetti delle montagne e guardò Nick con occhi
sgranati e sguardo offuscato. Anche l’elfo di Fonte aveva gli occhi lucidi e la
sensazione che tutto fosse bruciato con troppa fretta, lasciando solo ferite.
Il
silvano riuscì a balbettare solo una nuova parola di scuse, prima di correre
via e lasciare l’altro principe finalmente solo con se stesso.
__________________________
E sono tornata! Ho
cominciato a scrivere questa cosa a marzo. È stata un’impresa titanica, ma sono
riuscita a portarla a termine e non avete idea di quanto ne sia felice.
Sarà divisa in due parti,
come potete ben capire, perché è venuta la bellezza di 32 pagine di word e non
potevo postarla così, sarebbe stato da suicidio.
Il fantasy mi attira sempre
troppo e i Niff fantasy trovo siano stupendi, quindi
ecco che salta fuori questa robina.
Aspettatevi feels ed aspettatevi angst. A
palate. Credo sia la cosa più angst che abbia mai
scritto e dovrò seriamente fare ammenda per ciò.
Pubblicherò la seconda
parte tra qualche giorno – massimo una settimana, so stay tuned!
Ancora un grazie ad Arianna
e Valentina (loro sanno il perché).
A prestissimo!
Alch~