Storie originali > Drammatico
Segui la storia  |       
Autore: lapoetastra    06/10/2014    1 recensioni
Storia di un deportato ed un soldato, entrambi ebrei, che il destino porta inesorabilmente ad incontrarsi.
Ambientato durante la seconda guerra mondiale.
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Mi chiamo Joseph Liebstair.
Sono ebreo.
E sono un soldato dell'esercito americano.
Sono felice.
La guerra sta per finire.
Non vedo l'ora di tornare a casa a guidare il mio taxi.
Sono qui con la mia compagnia, la Easy.
Parliamo e scherziamo.
Ridiamo.
Ci godiamo la vita, insomma.
Ad un certo punto vedo arrivare John Webb, di corsa.
Mi spavento.
Il suo gruppo era di pattuglia.
Magari siamo in pericolo.
Ma John non sembra preoccupato.
Piu che altro... confuso, titubante.
Come se non riuscisse a capire e a darsi una spiegazione logica.
Lo sento parlare con il Maggiore Taylor.
Dice che hanno trovato qualcosa, lui e i suoi compagni.
Ma non sa bene cosa.
E allora partiamo.
Andiamo a vedere di cosa si tratta.
Arriviamo.
Mi guardo intorno.
Sembra... un campo, con alcune baracche sparse qua e là.
Penso sia uno di quei centri per gli indigenti.
Per coloro che, con la guerra, hanno perso anche il poco che avevano.
Ma poi li vedo.
Dieci, venti.
Trenta.
Di più, forse.
Non posso dirlo con certezza.
Avanzano verso di noi.
Alcuni si trascinano.
Altri urlano e piangono.
Sono uomini.
Magri, scheletrici.
Malati, in fin di vita, forse.
Ma pur sempre uomini, come noi.
Tutti vestiti con una specie di pigiama a righe bianche e grigie.
Alcuni indossano un cappello dello stesso motivo.
Il loro sguardo mi spaventa.
Mi terrorizza.
Sono occhi di chi non ha visto nient'altro che tenebre ed oscurità, di chi non ha provato nulla di diverso da sofferenze atroci, per molto tempo.
E improvvisamente ho paura di loro.
Più di quanta ne abbia mai avuta sul campo di battaglia, in mezzo a centinaia di crucchi pronti ad uccidermi.
Ma è una paura diversa.
Perchè ora non temo per la mia vita, come quando combatto.
Adesso temo per il mio cuore.
E per la mia anima.
Ho paura di non poter più chiudere gli occhi senza vedere i loro volti scavati, distrutti.
Ho paura di non poter più sentire nulla che non siano i loro lamenti strozzati, strazianti.
"Ma che cosa potrà mai essere successo a tutte queste persone"?, mi domando.
Non riesco a darmi una risposta.
Uno di loro si avvicina a noi.
E' alto.
E magro, terribilmente magro, come tutti gli altri.
Ed è sporco, anche.
Ha un cattivo odore.
Ma non ci faccio caso.
Sono impegnato a far sì che il mio cuore non si sbricioli dal dolore che leggo nei suoi occhi e che so è riflesso anche nei miei.
Il Maggiore Taylor mi ordina di domandargli cosa sia capitato.
Sa che io, pur essendo americano, parlo perfettamente tedesco.
Glielo chiedo.
L'uomo mi guarda e inizia a parlare.
Le sue parole, piene di disperazione, mi fanno sprofondare.
Dice che le guardie sono andate via da poco.
Prima hanno bruciato alcune baracche.
Con dentro i prigionieri.
Vivi.
Alcuni di loro hanno tentato di fermarli.
Sono stati uccisi.
Poi i tedeschi hanno lasciato il campo.
Hanno chiuso i cancelli e si sono diretti verso sud.
L'uomo mi dice che questo è un campo di lavoro per...
Non riesco a capire l'ultima parola.
Indesiderati, sgraditi.
Criminali?
No.
Dottori, musicisti, scrittori, sarti ed intellettuali.
Persone normali.
Ebrei.
Polacchi e zingari.
Sento uno strappo.
E' la mia anima che si è lacerata.
E il mio cuore si è spezzato.
Definitivamente, inesorabilmente.
Sono ferite che non si potranno mai più rimarginare.
Avrei voluto che John non avesse mai avvistato questo campo.
Che non avesse mai fatto questa tragica scoperta.
A quest'ora io e i miei compagni saremmo stati in qualche bella città a ridere, contenti dell'imminente fine della guerra.
Spensierati.
Lontani da tutto quest'orrore.
Torno in me.
E mi vorrei schiaffeggiare per aver pensato, desiderato anche solo un momento una cosa del genere.
Se non fossimo arrivati ora, tutta questa brava gente sarebbe morta, uccisa per la semplice colpa di non essere ariana.
Ma adesso possiamo liberarla, liberare gli uomini che sono stati abbastanza forti, dentro e fuori, da non perdere la speranza e rimanere aggrappati alla vita, anche se solo con le unghie.
Possiamo salvarli.
E questo non ha prezzo.
"Come ti chiami?", domando all'uomo a cui ho chiesto informazioni sul campo, e che per tutto il tempo è rimasto accanto a me, in silenzio, con la testa china.
Come se avesse capito che anche io sono ebreo.
Che tutte le sofferenze che hanno fatto passare a loro è come se le avessi vissute anche io, sulla mia pelle.
"Herbert Steindler", mi risponde lui.
Non resisto più.
Lo abbraccio.
Lo stringo forte.
Lo sento sciogliersi contro di me.
Lo sento tremare e singhiozzare.
Sta piangendo, mentre mi stringe più forte che può con le braccia magre.
Sto piangendo, mentre penso a quanto sia orribile ciò che gli hanno fatto.
 
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Drammatico / Vai alla pagina dell'autore: lapoetastra