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Autore: frances bruise    09/10/2014    0 recensioni
[Senza Esclusione di Colpi, Lewis Padgett ]
Bruce Farr ha ventidue anni quando, per una sequenza di eventi nefasti, si ammala gravemente di dementia praecox e comincia a vivere una vita non sua. Una vita priva di gesti, parole e - soprattutto - di ragione.
Costretto a lasciare l'università ed a sciogliere il suo fidanzamento con una certa Marion Hartman, Bruce vive recluso nella villa di famiglia insieme a sua madre, Angela Farr, e al suo infermiere personale. Non si muove, non parla, non pensa e non si ricorda nemmeno chi sia Marion Hartman.
Peccato che la ragazza sia fermamente decisa a strapparlo dalle grinfie della madre dispotica e a condurlo a San Francisco per farlo seguire da uno specialista, che le offre la possibilità di far uscire Bruce dal suo "incubo d'ottone".
Genere: Drammatico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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1. FLASHBACK
 
Un’automobile gialla sfrecciava lungo una strada sterrata. Al volante, vi era una ragazza dalla lunga chioma bionda che muoveva la testa al ritmo di una canzone che aveva ascoltato in un pub giusto qualche giorno prima: il testo, in inglese, parlava di un amore perduto e mai ritrovato. Sebbene Marion Hartman, la ragazza al volante, non avesse la più pallida idea di cosa significasse perdere un amore, apprezzava particolarmente il ritmo della canzone e cercava di immaginare come ci si potesse sentire in quel determinato caso; ma più ci provava, meno ci riusciva: lei non aveva mai perso Bruce e sapeva benissimo che lui continuava ad amarla, anche quando erano lontani e non si vedevano per settimane intere.
Non era, però, Bruce a preoccuparla. Era Angela Farr, sua madre, il vero problema: quella donna non riusciva ad accettare il fatto che lei e Bruce erano una coppia, ormai, e pretendeva che suo figlio rimanesse con lei per tutta la sua vita e che si dimenticasse di vivere la propria. Ciò non era possibile, e Marion Hartman lo sapeva bene: più volte, infatti, Bruce aveva espresso la volontà di sposarla e di allontanarsi definitivamente dalla casa paterna, dove c’era un clima piuttosto tetro. Ovviamente, Angela Farr voleva impedirglielo.
Marion premette il pedale del freno e scese dalla sua automobile, che aveva parcheggiato proprio di fronte all’ingresso della villa di proprietà della famiglia Farr: il parcheggio improvvisato era in ghiaia e, per colpa dell’improvvisa frenata, si era sollevata una grande quantità di polvere. Marion tossì, mentre si dirigeva verso i gradini di fronte alla porta d’ingresso.
Prima ancora che potesse suonare il campanello e chiedere di Bruce, la porta si aprì e fece capolino la signora Farr, che – non appena la vide – si irrigidì di colpo. « Buongiorno, signora Farr » disse Marion, ritrovando un po’ di educazione e rispetto per l’anziana donna. Riuscì addirittura a farle un sorriso.
« Buongiorno » rispose gelidamente l’altra, che – poi – si voltò verso la porta. Vi fu silenzio fin quando Marion, con lo stesso sorriso sulle labbra rosee, si sporse per indicare l’ingresso. « Sto cercando Bruce » disse, « E’ in casa? »
Angela trasse un respiro profondo, prima di rispondere: « Sì, è in casa. Buona giornata, Marion. »
Detto ciò, avanzò incurante della ragazza e, nel farlo, le diede addirittura un colpo sulla spalla sinistra. Marion si voltò per qualche istante per rivolgerle uno sguardo colmo di scherno: nonostante l’età, quella donna non aveva ancora imparato a rispettare gli altri. Si strinse nelle spalle e procedette verso l’ingresso.
Proprio in quel momento, Bruce Farr – un giovane piuttosto alto dai capelli biondo grano – stava scendendo le scale e si stava dirigendo verso il grande salone in ottone che suo padre aveva fatto preparare qualche anno prima, quando lui era ancora uno scolaretto e frequentava la scuola superiore di Raleigh. Tuttavia, non riuscì mai a raggiungere il luogo, perché – non appena ebbe sceso l’ultimo gradino – il suo sguardo si posò su Marion Hartman e il suo volto si illuminò in un sorriso.
« Marion! » esclamò, andandole incontro. Marion, che aveva avuto lo sguardo rivolto altrove fino a quel momento, fu molto sorpresa di vederlo; tuttavia, quando lui allargò le braccia per abbracciarla, sorrise e si strinse contro il suo petto. Chiuse gli occhi per qualche istante. Mentre se ne stava stretta al suo fidanzato, un’ombra le oscurò il volto: ebbe come l’impressione che quell’abbraccio fosse più una richiesta d’aiuto che una vera e propria manifestazione di affetto. C’era qualcosa nel modo in cui Bruce la stringeva che le sembrava del tutto insolito, se non innaturale.
Si scostò leggermente per incontrare lo sguardo del giovanotto. In effetti, non poté fare a meno di notare dell’ansietà nei suoi occhi grigi e, per tanto, si chiese cosa mai potesse turbare il suo animo di solito così gioviale. Tuttavia, non voleva turbarlo ulteriormente, così evitò di fare domande e riprese a sorridere, nella speranza di metterlo di buonumore. « Quando mi hai chiamato, ieri sera, temevo che fosse successo qualcosa di grave » gli disse, abbassando il tono di voce e riducendolo ad un sussurro, « Così, sono venuta qui il prima possibile. E’ successo qualcosa? »
Bruce scosse vigorosamente il capo. « Assolutamente no! » esclamò, « Ti ho fatta venire qui perché ho qualcosa di molto importante da dirti. »
Le prese la mano e la trascinò verso l’uscita.  Marion pensò che avesse da dirle qualcosa di particolarmente significativo, dato che non voleva parlarle in quella casa. Più tempo passava, più Bruce riteneva estranea la casa in cui aveva vissuto per venti anni.
Una volta all’aperto, salirono sull’automobile di Bruce, che il giovanotto aveva acquistato con i propri risparmi.
 
« Lo so che ti starai chiedendo perché ti ho portata qui » disse Bruce, un fascio di luce gli illuminava metà volto e metteva in risalto i suoi occhi grigi.
Si trovavano su un altopiano, a limitare del piccolo villaggio di Raleigh, e il sole illuminava le foglie degli alberi ingiallite per via dell’arrivo dell’autunno. Marion Hartman se ne stava appoggiata allo steccato, mentre Bruce Farr aveva osato muovere qualche passo in avanti, in direzione del precipizio. Ma non c’era rischio che cadesse: il giovanotto era piuttosto agile ed aveva un ottimo senso dell’equilibrio, che aveva sviluppato nel tempo e, soprattutto, con lo sport. In quel momento, però, si sentiva piuttosto a disagio.
Marion, alle sue spalle, lo fissava angosciata: ricordava perfettamente quell’ombra che aveva oscurato il suo sguardo chiaro e temeva che Bruce fosse sul punto di metterla al corrente delle sue preoccupazioni. Non che non volesse che lui si confidasse con lei, solo che non riusciva a sopportare l’idea che qualcosa lo turbasse. E che quel qualcosa fosse serio.
Bruce si voltò lentamente e, prima di parlare, dischiuse le labbra un paio di volte. « Marion, so che i nostri padri si odiano » disse, infine, « Mio padre era il magnate dell’ottone, a Raleigh, prima che la cosiddetta Lega dell’Ottone capeggiata da tuo padre lo facesse fallire. E so anche che non apprezzerebbe ciò che sto per dirti. »
Le venne più vicino.
« Marion, io voglio sposarti » disse bruscamente, destando non poco stupore da parte della ragazza, che stava per ribattere. Tuttavia, lui la interruppe con un gesto della mano che voleva dire: “Ti prego, lasciami parlare prima che io perda il filo del discorso.” Marion tacque.
« Sì, sono due anni che parliamo di un eventuale matrimonio » continuò Bruce Farr, « E so benissimo che vogliamo aspettare la mia laurea, prima di sposarci. Ma adesso io ti chiedo: Marion Hartman, perché dovremmo rispettare questa piccola clausola? Non abbiamo stretto un contratto e, poi, so che potremmo cavarcela anche se io continuassi ad andare all’università. »
Mentre parlava, Marion Hartman lo osserva con il capo leggermente inclinato: lei, che sapeva leggere tra le righe delle parole di Bruce, conosceva bene il motivo per cui lui non vedeva l’ora di portarla all’altare. Voleva andare a vivere con lei e lasciare per sempre la casa di sua madre. Voleva tagliare quel maledetto cordone ombelicale che l’anziana signora si ostinava a mantenere intatto.
Così, prima che lui potesse aggiungere altro, Marion si allontanò dallo steccato e gli si avvicinò. Si sollevò sulle punte dei piedi e, dopo aver preso il suo volto tra le mani, gli stampò un bacio sulle labbra. Bruce Farr posò le mani sulle sue e si abbandonò al sentimento.
« Sarebbe un sì? » chiese, infine.
« E’ un sì » rispose Marion.
 
Marion tornò a casa verso le sei di sera. In salotto, quasi la stesse aspettando, trovò suo padre: se ne stava seduto sulla sua poltrona ed aspirava lentamente il fumo dalla sua famosa pipa. Quando la vide, la seguì con lo sguardo, ma non si azzardò a fare domande: la vide così allegra e spensierata, ed immaginò che le fosse successo qualcosa di importante. Magari, come lui stesso aveva sempre sospettato, Bruce Farr si era deciso a chiederle di sposarlo.  
Una parte di lui, provava gioia per quella giovane coppia: era ben consapevole dei loro sentimenti e sapeva che, se avesse provato a separarli, avrebbe fatto loro un torto troppo grande perché sua figlia potesse perdonarlo. E tutto ciò che voleva era che Marion fosse felice. Con Bruce o senza Bruce.
Se solo avesse saputo ciò che sarebbe successo a breve, molto probabilmente avrebbe cercato di separarli.
 
L’orologio segnava appena le otto di sera. Il telefono di casa Hartman squillò. Fu Marion a rispondere e a trattenere la cornetta vicino all’orecchio il tempo necessario per apprendere la terribile notizia che le stavano dando: mentre, dall’altra parte, una voce roca stava parlando, Marion Hartman si copriva la bocca con una mano, gli occhi pieni di lacrime. Poi riagganciò e corse immediatamente alla propria auto, senza lasciare alcuna spiegazione a suo padre, che la chiamava dal soggiorno.
Guidò come una pazza fino alla piazza cittadina, dove – in quel periodo – si teneva una specie di fiera con tanto di mercatino dell’usato. Alla fiera, poi, erano state collocate anche diverse giostre che aveva visitato con Bruce giusto qualche giorno prima. Però, in quel momento, la piazza sembrava deserta, fatta eccezione per un gruppo di persone che si era raccolto di fronte ad una giostra in particolare: era una di quelle che promettevano un premio a chiunque fosse riuscito a colpire con una mano il cerchio in ottone appeso ad un filo. Anche da lontano, Marion poteva udire chiaramente la voce della signora Farr. Il cuore le arrivò in gola, mentre si faceva strada tra la folla e cercava di raggiungere il punto da cui aveva sentito provenire la voce. Ma, quando – finalmente – vide la signora Farr, rimase scioccata dallo spettacolo di fronte ai suoi occhi.
Un paio di uomini robusti stavano cercando di far scendere Bruce Farr dalla giostra, mentre costui continuava a ripetere che doveva colpire il cerchio in ottone a tutti i costi. La signora Farr, angosciata, non faceva che chiamare suo figlio con voce mielosa—con un tono che a Marion diede molto fastidio: le sembrava, infatti, che dietro quella maschera di disperazione ci fosse della contentezza.
Il suo sguardo si spostò sulla giostra e, in particolare, su Bruce. Quest’ultimo cercava di opporsi alla forza dei due uomini che tentavano di farlo scendere dalla giostra con scarso successo. Il suo sguardo incontrò quello del ragazzo, ma – con profondo stupore da parte di Marion – lui sembrò non riconoscerla: la fissava con sguardo torvo, vuoto, privo di luce. E no, davvero non sembrava riconoscerla. « Bruce! » si ritrovò ad esclamare, ma non vi fu alcuna reazione da parte del giovanotto.
Fu quello il momento in cui capì che qualcosa di strano era successo e che il Bruce Farr che conosceva non esisteva più. 
   
 
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