Nota
autore: Per
prima cosa, salve a
tutte/i! ^^
Sono
tornata e con un progetto più “serio”
dei precedenti.
E’
da un po’ che questa storia mi frulla nella testa,
l’ho iniziata e modificata
moltissime volte prima di esserne per lo meno non schifata e non sono
ancora
certa dell’evoluzione che avrà. Forse, qualora
dovesse essere di vostro
piacimento, ne potrei fare anche un seguito (alcune idee le ho
già ^^). Premetto
che non so se qualcuno ha già affrontato lo stesso argomento
e nella stessa
maniera per cui, qualora dovesse essere così, vi prego di
farmelo sapere e mi
scuso in anticipo per l’involontario plagio.
Detto
ciò, vi lascio alla storia ma sappiate che, qualora voleste
leggere le note (perché,
come sempre, siete liberissimi di ignorarmi ^^), ci rivedremo alla fine
del
capitolo con qualche spiegazione in più.
Come
sempre, a voi l’ardua sentenza sul mio lavoro e mi raccomando
criticate! ^^
Anne
The
third brother
John Watson
chiuse le sportello e si precipitò dall’altra
parte
dell’auto.
«Aspetta Mary, ti aiuto»
«Prendi la borsa con i pannolini e il biberon»
Dopo un po’ di trambusto, i coniugi Watson si incamminarono
verso il
221b di Baker Street; Mary, con in braccio la bimba, le calzava
maggiormente il
cappellino di lana sulla testa, e John camminava spedito con la borsa
contenente il necessario della bambina messa a tracolla e una busta
ingombrante.
Greg Lestrade stava per bussare quando li vide avvicinarsi. Si
fermò
salutandoli con un gesto della mano a cui John rispose alzando
leggermente il
mento.
«Pensavamo di essere gli ultimi»
L’ispettore gli sorrise.
«Anche io. Sono riuscito a liberarmi solo ora.» poi
diede un leggero
buffetto alla bimba «ciao piccola!». La bambina
emise un suono come a tentare
di rispondergli.
Un affannoso “ehi!” li fece voltare verso
un’infagottata Molly Hooper
che procedeva a passo spedito verso di loro.
«Sapevo che sarei stata l’ultima» disse
sorridendo non appena gli fu
vicino.
L’ispettore bussò sul batacchio del 221b mentre
rispondeva alla
patologa.
«In realtà siamo arrivati quasi
simultaneamente!»
Il portone si aprì e ne uscì una raggiante Mrs
Hudson.
«Oh, siete arrivati miei cari. Buon Natale!»
«Anche a lei signora Hudson». Un coro quasi
simultaneo.
Non appena
entrati nell’ingresso iniziarono a parlare fra loro
augurandosi buone feste e salutando la piccola Watson che sorrideva di
cuore di
fronte a tante attenzioni.
Il suonare di un violino dal piano di sopra lì fece
bloccare,
attirando la loro attenzione verso le scale.
John alzò le sopracciglia con aria ironica.
«E’ il suo modo per dirci che non gli piace
aspettare» una risata
leggera pervase i presenti «andiamo»
Il gruppetto si incamminò sulla rampa e John aprì
loro la porta del
salotto ma si bloccò non appena vide che la persona intenta
a suonare il
violino, non era Sherlock Holmes.
Gli altri, saliti dopo di lui, ebbero la stessa reazione.
Una donna, con un abito da sera verde scuro lungo sino ai piedi, dava
loro le spalle suonando il violino ed osservando fuori dalla finestra.
Si fermò
improvvisamente non appena percepì la presenza di qualcuno
dietro di lei.
Si voltò lentamente ed osservò quel gruppo che la
guardava con
sorpresa.
I capelli neri, elegantemente raccolti e fermati da una spilla
laterale, facevano risaltare gli occhi verdi, quasi trasparenti, che
stavano
scrutando ognuno dei presenti. Quella donna li stava studiando. Poi,
come
riscossa dai suoi pensieri, sorrise leggermente.
«Perdonatemi » posò lo strumento e
l’archetto sulla poltrona nera del
detective «non sono particolarmente capace con il violino.
Sherlock è sempre
stato più bravo di me.»
I volti dei presenti non abbandonarono l’espressione stupita
che li
caratterizzava da qualche istante.
Molly, con il cappotto pesante ancora indosso, la sciarpa colorata
che le copriva parte del volto, le mani guantate che tenevano le buste
con i
regali, osservava sbigottita quell’essere quasi irreale che
aveva di fronte.
Quella donna, quella donna era bellissima! La figura slanciata, le
forme sinuose, le mani elegantemente incrociate di fronte a
sé, gli occhi a dir
poco meravigliosi…si sentì mancare, si
sentì soccombere sotto i suoi abiti
goffi ed ingombranti, sotto i suoi capelli legati malamente, sotto il
suo
maglione natalizio, sotto l’essere Molly Hooper.
Una camminata rapida e pesante nel corridoio, annunciò
l’imminente arrivo
del detective. Vestito con un elegante abito scuro ed intento a
sistemarsi il farfallino,
Sherlock Holmes fece il suo ingresso nel salotto non degnando della
minima
attenzione nessuno dei presenti salvo la donna in verde.
«Siamo in ritardo, muoviamoci.»
Lei si mosse e prese la mantella pesante che lui gli stava porgendo.
Poi, prima di passare in mezzo all’allibito gruppetto per
incamminarsi lungo le
scale, si bloccò ed incatenò il suo sguardo a
quello di Lestrade.
«Scusatemi»
L’ispettore aprì e chiuse la bocca un paio di
volte e poi si fece da
parte con un impacciato “si, prego prego”, per
permettere alla donna di
passare.
John Watson la osservò scendere le scale prima di rivolgersi
al
detective che era intento ad infilarsi il cappotto.
«Sherlock ma, ma chi è?...E dove stai andando? Non
puoi andartene,
siamo venuti qui per festeggiare il Natale, non puoi prendere e
sparire»
L’uomo si legò la sciarpa intorno al collo e diede
una rapida
occhiata all’amico.
«Perdonami John, non ora.»
Oltrepassò la porta e scese rapidamente le scale.
Il dottore si precipitò alla finestra.
Davanti al portone era parcheggiata un auto nera. Vide uscirne Mycorft
Holmes che, dopo aver incredibilmente ed inspiegabilmente abbracciato
quella
donna, rientrò nell’auto seguito da lei e da
Sherlock.
La macchina partì subito dopo.
Nel salotto di Baker Street regnava un silenzio innaturale.
Molly
Hooper, seduta nella poltrona attribuita da tutti a John e con
in mano una tazza di punch, fissava imbambolata il camino. La mano
delicata di
Mary posata sul suo avambraccio la fece sussultare.
«Molly, va tutto bene?»
La patologa sorrise e bevve un sorso della bevanda.
«Si, scusami….ero distratta»
I suoni di Baker Street ritornarono ad essere percepiti dalle sue
orecchie e dal suo cervello. Si voltò ad osservare John che,
camminando avanti
e indietro per la stanza, stava ancora inveendo contro Sherlock.
«Prende e se ne va! Ma certo, si fa così,
ovvio»
Mary lo redarguì con un leggero “sh” ,
lanciando uno sguardo
preoccupato verso la camera di Sherlock momentaneamente occupata da sua
figlia.
«Avanti John, starà lavorando ad un caso. Non
c’è alcun motivo per
cui tu debba preoccuparti in questo modo»
L’uomo si fermò improvvisamente, il respiro
pesante e gli occhi
scuri.
«Non c’è da preoccuparsi? Sherlock con
una donna in casa, Sherlock
che va via con quella donna, Sherlock che va via con una donna che
Mycroft
saluta amorevolmente…c’è molto di cui
preoccuparsi!»
La signora Hudson, seduta sulla poltrona di Sherlock, guardava con
preoccupazione la faccia irata del dottore.
«Oh caro, vedrai non sarà nulla di serio. Gliene
abbiamo viste fare
di tutti i colori, non preoccuparti, se la caverà»
Il sorriso accennato dell’anziana signora non produsse
l’effetto
rincuorante che sperava.
«Appunto Mrs Hudson, ne abbiamo viste di tutti i colori,
è
esattamente questo che mi preoccupa»
Il volto della donna tradiva il suo tentativo di cercare altre
spiegazioni a quello a cui avevano assistito.
«Beh mio caro, magari è la sua ragazza. Credo che
sarebbe anche ora
che si sistemi, non trovi?»
Il silenzio imbarazzato che seguì quella distratta
dichiarazione di
Mrs Hudson, Molly, lo percepì chiaramente dovuto a lei.
L’anziana proprietaria
di casa mise una mano davanti alla bocca sussurrando un
“Perdonami tesoro” in direzione
della ragazza.
La patologa scosse leggermente la testa e le sorrise.
«Non c’è nulla di cui scusarsi Mrs
Hudson» si schiarì la voce «anzi,
ha perfettamente ragione. Potrebbe anche essere
così».
La risata nervosa con cui concluse quella frase la tradì.
Tuttavia, il
rumore del motore di un auto che si accostava sotto le finestre
dell’appartamento attirò l’attenzione
dei presenti.
Il dottore si precipitò alla finestra.
«John!» il sussurro di Mary non produsse alcuna
risposta.
«John!!»
«Cosa?» la voce era nervosa.
«Che sta succedendo? Sono loro?»
L’uomo si voltò per una frazione di secondo verso
la moglie e tornò a
guardar fuori.
«Credo di si. Non succede nulla
però…No! Aspetta!...Sono usciti»
«Chi?» la voce curiosa di Mary era più
alta di prima. Istintivamente
portò una mano alla bocca pensando alla bambina
nell’altra stanza.
«Quella donna, Sherlock e Mycroft. Stanno
parlando…E’ uscita anche Anthea»
Mary Watson si irrigidì.
«Chi?»
Il marito gesticolò vagamente con una mano senza
però voltarsi a
guardarla.
«E’ l’assistente di Mycroft.»
«E TU come fai a sapere il suo nome?!». Gli occhi
erano ridotti a due
fessure.
Il dottore percepì l’ira della moglie e fece per
girarsi quando del
movimento fra le persone che stava spiando attirò la sua
attenzione.
«Anthea sta abbracciando quella donna! Ma
com’è possibile?!...Ecco,
ora sta risalendo in macchina»
John si allontanò di scatto dalla finestra.
Lestrade lo guardò come se fosse impazzito.
«Che succede?»
«Mi ha visto»
«Chi?»
«Quella donna, chi se no?!» John era a disagio
«Comunque credo stiano
salendo!»
Molly, senza sapere esattamente il perché, si
alzò nervosamente dalla
poltrona.
«Chi sta salendo?»
«Sherlock, Mycroft e quella donna»
Mrs Hudson portò una mano alla collanina.
«Ma non c’è abbastanza punch per
tutti!»
Il dottore si voltò verso di lei con aria dubbiosa.
«Non credo stiano salendo per il punch, Mrs Hudson.»
Il portone
di Baker Street si aprì e la risata cristallina della
donna si fece largo sino al salotto. Tutti presenti si voltarono in
direzione
della porta mentre dalle scale proveniva una voce femminile.
«Oh Mycroft, non cambierai mai!»
Un offeso ed impettito Mycroft Holmes entrò nella stanza
seguito da
quella donna, ancora sorridente, e da un ghignante Sherlock. Non appena
si
accorsero di essere osservati, i tre si ricomposero.
Il detective tolse sciarpa, cappotto e guanti e li appese dietro la
porta.
«Siete ancora qui»
John Watson lo fulminò con lo sguardo e stava per iniziare
la sua
sequela di insulti quando la voce della donna in verde lo precedette.
«Sherlock, non essere maleducato!». Si
sfilò gli orecchini.
Il detective assunse un’espressione in cui era palese il suo
orgoglio
ferito e per tutta risposta vide suo fratello sogghignare. La donna
intervenne
di nuovo.
«Mycroft, vedi di smetterla…Possibile che vi
comportiate ancora come
due bambini?!». Si massaggiò delicatamente i lobi.
La voce di lei era tutt’altro che perentoria, li stava
riprendendo ma
con una dolcezza infinita ed un sorriso leggero. Si tolse la mantella
per poi
passarla al detective che l’appese sopra il suo soprabito.
La tosse nervosa del dottor Watson risuonò nella stanza.
Mycroft posò la punta del suo ombrello sul pavimento ed
alzò un
sopracciglio in direzione del fratello.
«Suppongo tu non abbia fatto gli onori di casa,
Sherlock»
L’uomo infilò le mani nelle tasche dei pantaloni.
«Perdonami, non sono una brava donnina di casa.»
«Si chiama educazione, fratellino. Dovresti
saperlo.»
La donna in mezzo a loro alzò gli occhi al cielo.
«Per favore»
I due si fermarono. Il detective si schiarì leggermente la
voce,
guardando altrove. Mycroft lo guardò con biasimo.
Lei sbuffò leggermente.
«Devo suppore, dal vostro comportamento, che tutte queste
persone
ignorino la mia esistenza! Veramente molto gentili»
I due uomini iniziarono a parlare uno sopra l’altro, il primo
sostenendo che “non era necessario, per la tua sicurezza, sai
la nazione?!” il
secondo discolpandosi “non è come credi,
è che non è capitato e poi lui me lo
ha impedito”.
Iniziarono a battibeccare prima che lei alzasse le mani per farli
fermare.
John la vide superare i due litiganti ed andare nella sua direzione,
un sorriso in volto e la mano protesa in avanti.
«Sherrinford Holmes. E’
un
piacere Dottor Watson»
L’uomo gliela strinse con aria assente, il cervello troppo
impegnato
a cercare di capire.
«Holmes?» la voce strozzata in gola.
La donna alzò scherzosamente gli occhi al cielo.
«Si, Holmes. Sono la sorella di questi due maleducati,
purtroppo»
Nota
autore: Credo
che qualche spiegazione
sia dovuta.