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Autore: telesette    10/10/2014    2 recensioni
Fin dai tempi dell’antica Grecia, i cavalieri al servizio della Dea Atena difendono la pace e la giustizia, attraverso i poteri delle stelle dell’universo. Nessuno però ha mai saputo fino in fondo che genere di forze governa l'intera galassia; forze antiche e misteriose sconosciute persino agli dei. Qualcosa di sconosciuto e terribilmente potente si sta risvegliando, qualcuno è adirato con gli dei e coi loro insulsi giochi di potere. Un misterioso cavaliere, dotato di una forza incommensurabile, è comparso improvvisamente al Grande Tempio e sta cercando Pegasus...
Genere: Guerra, Sentimentale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Nuovo Personaggio, Ophiuchus Shaina, Pegasus Seiya
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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- Questa storia fa parte della serie 'Pegasus x Tisifone'
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Alfadiplòs guardò Pegasus con un misto di divertimento e aria di sufficienza tuttavia, nel passarsi meccanicamente il dito sull'incrinatura sotto la gorgiera dell'elmo, non poté fare a meno di incollerirsi per l'indiscutibile smacco inflittogli proprio da quello sciocco ragazzino insolente.
Non fosse stato per gli ordini ricevuti dal Sommo Agoràs, il possente Cavaliere Galattico avrebbe senza dubbio inteso risolvere la faccenda a modo suo.
Mai, prima di allora, vi era stato avversario in grado di penetrare la sua guardia né tantomeno di intaccare la sua invincibile armatura. Gli stessi Cavalieri d'Oro di Atena, pure unendo le loro forze, avevano constatato quanto deboli fossero se paragonati a lui. Ciononostante, Pegasus era riuscito a scalfìre la superficie istoriàta delle vestìgia sacre ad Agoràs, laddòve innumerevoli avversari prima di lui avevano fallito.

- Dannato moccioso - pensò Alfadiplòs, facendo strada affinché Tisifone potesse seguirlo nel trascinare il corpo del giovane semisvenuto.

Con l'ultimo colpo ricevuto, Pegasus pareva convinto di essere stato "schiacciato" dal peso dell'intero universo.
Né le forze di: Arles, Poseidon o di Apollo messi assieme potevano dirsi anche solo lontanamente paragonabili al dolore di un simile pugno. Alfadiplòs aveva investito Pegasus con una parte infinitesimale della sua immensa aura, trattenendo di proposito al minimo i propri poteri, e anche così la differenza tra i loro livelli di combattimento era semplicemente palese.
Alfadiplòs sembrava perfettamente in grado di distruggere l'universo intero, se solo avesse voluto, e tuttavia la sua devozione ad Agoràs gli impediva di agire autonomamente ma solo e soltanto per eseguire la volontà del suo signore.

- Pegasus - mormorò Tisifone, preoccupata dal sangue che il suo compagno perdeva ad ogni passo. - Ce la fai a camminare?
- Non... Non preoccuparti... Tisifone - rispose lui, gli occhi sbarrati, nel tentativo di contenere l'immane dolore che avrebbe steso chiunque altro al suo posto.

Alfadiplòs si fermò di scatto, voltandosi verso Pegasus, con apparente freddezza e distacco negli occhi fermi ed inespressivi.
Sulle prime, vedendolo sollevare la mano, Tisifone temette che costui volesse porre fine alle loro sofferenze. Invece, con suo grande stupore, il Cavaliere Galattico si limitò a concentrare parte della sua energia per risanare sia il suo braccio offeso che le ferite del giovane eroe di Atena. La sacerdotessa rimase sbalordita, nel constatare la propria completa guarigione, e anche Pegasus smise di incespicare.

- Confido che non farete più niente di stupido - osservò Alfadiplòs atono. - Agoràs intende parlarvi, e questo mi impone un occhio di riguardo per la vostra salute, ma non sarò più "tanto tenero" se insisterete a fare i cocciuti... Quel dolore era per voi un semplice monito, nient'altro!

Ciò detto, il gigante riprese a camminare come se niente fosse.
Non potendo far altro, tenendo occhi e orecchie bene aperte, Pegasus e Tisifone si accinsero dunque a seguirlo.
La Fortezza dei Giudizi, situata in una dimensione fuori dal tempo e dallo spazio umanamente conosciuto, non risiedeva ad alcuna distanza "reale" dalla dimora del Sommo Agoràs. Seguendo Alfadiplòs passo passo, i due cavalieri di Atena si ritrovarono dunque a percorrere un lungo corridoio fiancheggiato da altre celle siderali del tutto identiche a quella che avevano appena lasciato.
Quivi, volgendo lo sguardo in giro, entrambi percepirono la presenza di un cosmo familiare ma appena percettibile.
Gran parte delle celle erano vuote ma, gemendo sommessamente attraverso le sbarre, un uomo vi si trovava rinchiuso in catene, con la schiena addossata ad una fredda parete di marmo nero e il corpo segnato dalla fame e dagli stenti. D'istinto, sia Pegasus che Tisifone guardarono a quel poveretto con un moto comprensibile di pietà e commiserazione. Guardandolo più attentamente però, in particolare i rossi capelli fiammeggianti e gli inconfondibili occhi color del cielo, i due stentarono quasi a riconoscere, nell'aspetto miserabile del prigioniero, il sommo Dio Apollo... signore dei Guerrieri Scarlatti e fratello di Atena.
Costui, un tempo forse la più orgogliosa ed arrogante delle divinità, al pari di suo zio Poseidone, giaceva ora meschino ed affamato come il più debole e vulnerabile degli uomini mortali che tanto disprezzava.

- Andiamo, non indugiate - esclamò Alfadiplòs seccamente.
- Apollo - chiamò Pegasus, accostandosi con foga alle sbarre. - Dio Apollo, riesci a sentirmi ?

Nonostante l'aspetto pallido ed emaciàto, il volto così crudelmente segnato ed infossàto al punto da farlo sembrare l'ombra di ciò che era, Apollo parve destarsi al suono squillante e familiare di quella voce. I suoi occhi stanchi si incrociarono per un attimo con quelli di Pegasus, cercando di ricostruire i contorni del volto che pure gli appariva confuso, allorché le sue labbra secche e screpolate emisero un soffio appena udìbile.

- A... A... cqu... a...

Pegasus vide dunque un piccolo recipiente con dentro il prezioso liquido, subito dietro le sbarre e fuori dalla portata del prigionero, cosicché si chinò a roccoglierlo e fece per accostarlo alla bocca disidratata dell'altro. Apollo quasi sentì la fresca vicinanza dissetante di quelle poche limpide gocce, senonché Alfadiplòs rovesciò il recipiente dalle mani di Pegasus con un gesto carico di stizza.

- Ma che stai facendo ?!? - ruggì Pegasus, incapace di accettare una simile crudeltà, anche se nei confronti di un essere come Apollo.
- E' la giusta pena di costui, ora che la divinità gli è stata tolta - spiegò duro il Cavaliere Galattico. - Chi non ha rispetto per la natura di un qualsiasi essere vivente, schiacciando i più deboli senza pietà, merita di conoscere fino in fondo ciò che ha sempre irrìso o disprezzato!

Pegasus non riusciva neanche a concepire una cosa del genere.
Anche se, in passato, l'odio e il risentimento per le sue azioni lo avevano spinto a detestare Apollo con tutto sé stesso, riteneva comunque una simile sorte troppo crudele persino per lui.

- Non morirà, se ti interessa saperlo - puntualizzò Alfadiplòs. - Un giorno, quando il ricordo si sarà radicato profondamente in lui, la sua pena verrà commutata e tornerà ad essere un dio migliore di quanto non sia mai stato!

Fu allora che, ascoltando meglio il lugubre lamento che riecheggiava nella fortezza, Pegasus capì di cosa si trattava.
Il pianto dei superbi e degli arroganti, condannati a subire lo stesso destino di Apollo, era l'esito di un giudizio inappellàbile. Apollo non poteva né doveva morire, per espiare tutti i suoi peccati, e così anche tutti gli altri. Tutti i potenti e i padroni dell'universo, forti e spietati verso i più deboli, relegati al ruolo più umile che nulla ha a che vedere con le loro origini divine.
Pure malvolentieri, non potendo fare o dire nulla per porre fine a tutto ciò, Pegasus non poté far altro che seguire Alfadiplòs lungo il corridoio e lasciare Apollo in balìa del destino che egli stesso si era tracciato.  

 

( continua )

   
 
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