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Autore: Sheelen_    12/10/2008    0 recensioni
Premessa: Questa Fiction è nata durante una nottata insomnie a fantasticare sull'esito della saga della Meyer. Pensando e fantasticando ho ideato un mio finale e l'entrata in scena di un nuovo personaggio Violet. Lei sarà la protagonista delle mie vicende. Una nuova Licantropa nel territorio di La Push che avrò molto a che fare con Sam, Jacob e il resto del Clan. Ovviamente lo svolgimento del brano va al di là di ciò che scriverà la Meyer in Breaking Down, è tutto frutto della mia fantasia il seguito.Premetto che questa è la mia prima Fan Fiction: Siate clementi.
Genere: Triste, Drammatico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Jacob Black, Nuovo personaggio, Quileute
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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{EIGHTH Chapter} » Wishes

Casa di Leah sapeva di nuovo, anche se la gradinata in legno che si propendeva all’ingresso, era rovinata da graffi e alcuni solchi lungo il corrimano. Per il resto era una casa abituale di La Push dove tutto era piccolo ma accogliente.
Avevo già lasciato nelle mani della signora Clearwater la piccola confezione rosea che non sapevo cosa contenesse.
“Leah è in salotto.” Disse Sue indicando una piccola porta aperta che portava alla stanza più grande della casa, quella era la seconda volta che mettevo piede nella loro casa. Speravo fosse sorpresa nel rivedermi, sicuramente non si aspettava che qualcun notasse la sua assenza ma per me era diverso, sentivo di avere un legame particolare con lei al di là di ogni opinione che l'era stata gettata sulla sua personalità folle. Non potevo che giustificarla, dopo quello che aveva dovuto subire per Sam, vedersi chiudere il sipario senza ragione. Aveva reagito fin troppo bene e gli altri non dovevano far altro che biasimarla. Da sola aveva dovuto allontanare dal proprio cuore l'unico vero amore della sua vita. Invece non era così, detestavano ancora quell’accanimento nei confronti non tanto di Emily da ma di Sam se stesso. E la sua reazione alla mia vista fu inaspettata.
“Ciao Leah, come stai? Sono passata per un saluto.” Era sdraiata su una poltroncina in pelle nera guardando un punto fisso davanti a sé; al richiamo della mia voce si girò in un gesto lento verso di me con un’ espressione totalmente assente.
“Ciao” Rispose secca. Non aveva affatto una bella cera e questo mi stava facendo preoccupare seriamente. Mi accomodai di fronte a lei raccogliendo le braccia sulle gambe.
“Non ti sei più fatta vedere e ho temuto il peggio, che c’è?” Se io fossi stata male avrei voluto qualcuno con cui sfogarmi, e volevo far altrettanto per lei se me l’avesse concesso.
“Non mi andava di uscire” rispose con un tono quasi affaticato, si voltò verso la finestra ammirando un paesaggio di vegetazione.
Vederla in quello stato senza sapere la causa di una tale angoscia mi rendeva nervosa; avevo bisogno di sapere non per curiosità ma perché volevo darle una mano. Anche se qualcosa già temevo di conoscere.
“Leah lo sai che a me puoi dire tutto.” Suonava un’affermazione troppo scontata, di quelle che ripetutamente si ribadiscono nelle Fiction e nei vari film, ma la mia era una richiesta di fiducia nei miei confronti.
Passarono svariati secondi prima che mi degnasse di una risposta.
Dalle sue espressioni contate capì che si stava preparando per un lungo discorso.
“Niente. Niente di niente. C’è soltanto che sono stanca di far vedere agli altri ciò che vedono i miei occhi, sono stanca di condividere i ricordi più segreti con chi non mi capisce, sono stanca di vivere qui perché non riesco a dimenticare. Non ci riesco. Se l’oggetto assoluto dei ricordi più belli che vuoi eliminare ti viene sbattuto in faccia giornalmente come credi che possa rimuovere quelle rimembranze portatrici di emozioni che al loro tempo sono state fantastiche? Come?!?!? Non ci riesco…” E dopo questa dichiarazione seguì un fiume di lacrime che a stento riuscì a colmare. Mi sentivo dannatamente in colpa per non essere riuscita a trovare una soluzione perché sapevo che in questioni di cuore l’unico aiuto era il tempo: poteva aiutare a curare le ferite o a riaprirle con semplicità. Non c’era alcuna cura per le pene d’amore; l’unica consapevolezza che avevo nell’ambito amoroso. Passai il resto della giornata a cercare di consolare una Leah che non avevo mai visto in quello stato per le poche settimane che ero stata insieme a lei.
Dopo che l’ultima lacrima si asciugò sul suo volto si addormentò fra le mie braccia, comodamente appoggiata al mio petto umido a causa del suo pianto liberatorio. Insieme a sua madre la lasciammo riposare e decisi che era ora di ritornare a casa, non avevo pranzato e Sue si era interessata di avvertire Sam ed Emily del mio ritardo.

Una volta salutata Sue mi dileguai dalla porta principale. Fuori non c'era nessuno ad aspettarmi e questo non mi meravigliò affatto. Mi aspettava una lunga passeggiata che sarebbe stata ricca di ripensamenti.
In una mezza giornata ero venuta a conoscenza di troppe cose, un doppio triangolo amoroso che da una parte vedeva mio fratello Sam con Sue e dall’altro Jacob con il resto. Da esterna non potevo far altro che commentare e riflettere. Forse era meglio non innamorarsi se l'amore portava con sè tanto dolore. Negli occhi di Jake e Leah avevo visto la stessa angoscia e la stessa voglia di farla finita, ma come un guerriero spietato l'amore continuava a lacerare le loro anime. Mi stavo facendo una visione troppo crudele del sentimento più ambito al mondo.
Per fortuna la mia casa, la mia nuova casa, bastò a placare quell' afflusso di pensieri. Non arrivai sul davanzale con un umore migliore ma per lo meno ero distante da quei due. In fondo anche io avevo i miei problemi. Nessuno pensava a quanto era stato duro catapultarmi in una nuova vita che ancora mi era sconosciuta. Io stessa sentivo già di essere pronta ad affrontare l’avvenire ma temevo di sbagliare, non potevo permettermi errori in quel campo. Avevo una nuova famiglia da aiutare e a cui voler bene. Avevo nuove vere amicizie e nuove preoccupazioni.

Raggiunta la cucina trovai Sam; sembrava stesse aspettando me da ore ormai.
Di Emily nemmeno l’ombra, questo iniziò a far crescere la preoccupazione. La mia espressione s’incupì per mia volontà. Rimasi sul ciglio della porta che divideva l’ingresso dalla cucina.
“Ciao” Lo salutai, ancora non ci eravamo visti.
“Salve Violet.” Rispose al mio saluto con quel tono formale che tanto odiavo.
“Come sta Leah?” Proseguì. Come doveva stare?
“Bene.” Mentì. Mi doleva farlo ma Leah non avrebbe voluto che io informarsi Sam del suo stato, anche se già lo sapeva.
“E Tu come stai?” Continuò. Quella domanda era inaspettata.
Mentire o Dir la verità?. Scelsi per la via di mezzo.
“Non c’è male.” Si, come risposta poteva anche andare bene.
“C’è qualcosa di cui vorresti parlarmi?” Proseguì in seguito senza darmi un attimo di respiro.
Non sapevo dove volesse arrivare, forse tutta quella sfilza di domande concerneva il compito del fratello maggiore oppure c’era qualcos’altro sotto. Certo. Forse voleva arrivare alla storia della
battaglia. “Non me ne starò seduta a guardare.” Serrai i denti.
Lui rimase nella sua solita espressione composta. Avevo centrato l’obiettivo.
“Non posso permettermi errori ne impicci Violet.” Rispose.
“Non sarò d’intralcio, sai già di cosa posso essere capace se solo mi impegno” Incalzai.
Nessuno errore: non c’era bisogno che me lo ripetesse lui, sapevo cosa dovevo e non dovevo fare.
“Non spetta a te decidere. Ormai la battaglia è imminente Violet e dobbiamo prepararci, tu sei ancora inesperta e io non voglio …” Si bloccò da solo, come se gli venisse complicato continuare la frase, come se qualcosa glielo impedisse. “ Eppure qualcuno non è d’accordo con me, quindi Domenica prossima si terrà una riunione per decidere se sia idoneo che tu collabori nella battaglia o no.” Scorsi una certa amarezza nel suo tono, avevo capito che temeva di perdermi.
Ci eravamo ritrovati da poco e il rischio di perderci era prossimo a giungere, ma il tempo è tiranno.
“Bene. Quindi non è ancora detto?!” Dissi con una certa euforia. Lui annuì distrattamente.
“Ok. Quindi per il momento chiudiamo questa discussione, Ok?”
Cercai di sorridere per alleviare un po’ quella tensione che aleggiava nell’aria.
Come un’ancora di salvezza Emily ci raggiunse sempre con quell’aria tranquilla stampato sul volto che un tempo era stato divino, senza alcun intralcio dell’essere qualcos’altro. Mi sorrise raggiungendo Sam e in fretta mi dileguai nella mia camera.

Quella fu una notte insonne, di quelle in cui ti rigiri più volte nel letto e non capisci se hai dormito per qualche istante o hai continuato a fantasticare fra le lenzuola nell’attesa che il sonno profondo ti abbracciasse e in un attimo ti trasportasse al mattino.
“Dormi dormi piccolina che presto sarà mattina.”
La solita ninna nanna che ricordavo malinconica, le uniche paroline che da sempre erano riuscite a farmi addormentare.
“Dormi dormi mia bambina che la luce si avvicina”.
Parole cantate in una melodia dolce da mio padre, ormai defunto.
Ma quella notte non mi furono di nessun aiuto.
   
 
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