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Autore: _Eleuthera_    10/10/2014    9 recensioni
Sif è rimasta sola. Thor è partito per Midgard e non tornerà.
Stanotte, Sif distrugge un cofanetto di madreperla e trova il ricordo di una vita perduta: un ricciolo biondo.
Stanotte Sif riceverà la visita di un fantasma.
[Post Thor: The Dark World] [Loki/Sif]
Genere: Drammatico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Loki, Sif, Thor
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CREDITORI

 

Ci si fa ingannare una volta sola. Poi si tengono gli occhi bene aperti. 
Tu non sei mai stato ingannato, quindi fa' attenzione a chi lo è stato.
​ E' gente molto pericolosa, quella.
August Strindberg, Creditori (1889)

 

Prima di chiunque altro fu Sif a saperlo, perché Thor la prese da parte la sera dei festeggiamenti e le parlò subito chiaramente, senza lasciarle il tempo di fraintendere, o di sognare.
«Ho fatto la mia scelta. Il mio destino è su Midgard».
Di Sif era ben noto il temperamento burrascoso, la ferocia scattante degli sguardi, ma il sorriso che gli mostrò non rivelò nemmeno per un momento la tempesta che scuoteva il suo cuore.
«Spero che tu ti renda conto di cosa significhi», disse. Poi i suoi occhi incrociarono quelli di Thor, che guardavano altrove, al di là degli universi, e parlò ancora. «Spero che tu sia felice».
Allora Thor sorrise e appoggiò le mani sulle spalle di Sif, un gesto di affetto che a lei sembrò nient'altro che l'aborto di una carezza. «Per te, Lady Sif, non desidero altro che la stessa gioia con cui io sono benedetto».
E Sif aveva sorriso ancora. In pochi potevano vantare l'amicizia di Thor, il potente guerriero dal cuore gentile. Lei era fortunata.

Thor partì all’imbrunire di una giornata di sole e non lo fece come suo solito, con la voce grossa di quando andavano in battaglia sicuri di tornare. Se ne andò con il morbido silenzio della sera, nella lunga quiete.
È un addio, pensò Sif, che quando andava a combattere con Thor gridava con il sorgere del sole, felice e furiosa - e se la sua voce aveva mai tremato non era stato per sé stessa, ma per il dio che le cavalcava di fianco. La propria sorte non la spaventava. Aveva ottimi riflessi ed una solida armatura.
Adesso la spaventava un po’ di più. Era scesa la sera su Asgard e Thor era partito e di notti come quella ne sarebbero scese ancora molte altre. Erano tutte cose con le quali un’armatura non serviva a niente.


Qualunque cosa ci fosse nel cuore di Sif era un segreto, ed era ben custodito. Tuttavia, quando qualche ora dopo Fandral fece una battuta su Thor e la sua mortale e sulla loro prima notte su Midgard, Sif non gli gettò il boccale per terra, non gli diede un manrovescio e non gridò una parola. Si alzò, con calma e in silenzio, e andò via.
Qualunque cosa ci fosse nel cuore di Sif era un segreto, ma lo conoscevano tutti ancora prima che lei si alzasse dal tavolo. Mentre marciava fuori dalla taverna e si dirigeva verso le proprie stanze, pensò a quello che avrebbe detto Fandral se lei fosse rimasta lì ad ascoltare.

 

Sif dormì tutta la notte e la mattina seguente si allenò come ogni giorno nel cortile della caserma, riducendo a brandelli l’amor proprio di un numero considerevole di giovani reclute. Fu mentre tornava a palazzo che incontrò Odino. Si fermò lì dov’era con la bizzarra sensazione di essere stata colta in flagrante, e l’inchino non le riuscì poi così bene.
«Lady Sif. Siete turbata». Odino non aveva bisogno di scoprire le cose, le sapeva e basta, ma Sif aveva un peso sulla bocca dello stomaco ancora dalla sera prima e alzò a malapena lo sguardo.
«Affatto, mio signore. Con permesso».
Sentì lo sguardo del Padre degli Dei seguirla finché non voltò l’angolo.

 

Quella sera non dormì. Attese che calasse l’oscurità e si mise a guardare fuori dalla finestra, dove il cosmo riluceva di stelle e da qualche parte anche Midgard brillava.
Quella sera arrivò la tristezza. La inondò con la luce dalle mille punte della notte e Sif la trattenne tanto da farsi venire male alla gola. Pensò che un giorno la mortale sarebbe morta, ma lui l’avrebbe ancora amata. Thor amava come in una storia. A lei delle storie non è che importasse molto: parole che cambiano come cambia il cuore, pensò.

La notte seguente finalmente arrivò la rabbia e fu nella rabbia che Sif scaraventò un cofanetto di madreperla contro il muro. Quando se ne rese conto, la rabbia crebbe ancora e lei serrò la mascella mentre si chinava a raccogliere i frammenti.
In mezzo ad essi trovò un nastrino di raso azzurro, avvolto stretto attorno ad una ciocca di capelli color del grano.
Non è che l’avesse perduta. Sif aveva sempre saputo di averla conservata lì, solo non voleva trovarla. Ma adesso, stringendo tra due dita la ciocca di capelli che una volta era stata sua, Sif ricordò un tempo ancora troppo vicino, quando le piaceva spaventare i maschi e quando l’unico che aveva osato toccarla era stato un dio dalle labbra fredde come il ghiaccio.

«Sif».

Il primo pensiero di Sif fu: che umiliazione. Che umiliazione farsi trovare da lui sul pavimento, in un angolo, con le guance ancora umide di lacrime.
Davanti alla porta c’era Thor. Sif nemmeno l’aveva sentito entrare, eppure era lì e la stava guardando con un mezzo sorriso, quasi in attesa.
«Sono tornato» disse Thor. Poi corrugò la fronte. «Perché sei per terra?»
Sif si alzò, chiedendosi come mai non riuscisse ad essere felice.
Thor fece un passo verso di lei. «Stai bene?»
Sif si sorprese a indietreggiare impercettibilmente. Le ci volle ancora un attimo prima di capire.
«Chi sei?»
Faceva freddo nella camera. Thor sorrise. Una scintilla color smeraldo brillò nei suoi occhi, per meno di un istante.
Loki riprese le proprie sembianze senza una parola e Sif lo scrutò come avrebbe fatto prima di un duello.
«Sapevi che me ne sarei accorta», disse.
«Certamente», rispose Loki. Sorrise ancora.
Un tempo Sif gli si sarebbe avventata contro senza esitare, ma un tempo sarebbe stata sicura di trovare una gola da stringere. Loki non era abbastanza pallido da essere un fantasma, ma a volte è così che funziona, pensò Sif, funziona come quando stai sognando e sei convinto di essere sveglio.
«Tu sei morto», disse ugualmente. Sif non era mai stata veramente brava a sognare.
«Uhm. Presumo di sì».
«Cosa ci fai qui?»
Loki si strinse nelle spalle. «Suppongo che sia questo che fanno i fantasmi. No?»
Sif non seppe mai perché gli credette. Nella sua vita non aveva mai dato per buona una sola parola di Loki, ma quella notte il silenzio era cocente e la stella di Midgard brillava senza pietà; e lei gli credette.
«Sei venuto a tormentarmi?» chiese lei.

«A quello provvedi già benissimo da sola».
«Per quale motivo sei qui, dunque? Nelle mie stanze. Perché infesti proprio questi luoghi?»
Un istante di silenzio e solo allora, solo alla fine, Loki scostò lo sguardo da lei e si rivolse alla notte scura.
«Be’, ho sempre pensato che le tue stanze avessero la vista migliore». Mosse qualche passo verso le finestre e Sif serrò i pugni, serrò le braccia contro il petto pur di non farsi sfuggire nemmeno un sussulto. Loki allungò una mano nel buio e accarezzò stelle che non poteva toccare. «Le mie davano sui giardini. Mai viste stelle così, da vivo».
«Nemmeno quando cadesti dal Bifrost?»
«Nemmeno allora».
Sif aveva ancora tra le mani il ricciolo biondo, ma se ne rese conto soltanto in quel momento. Loki non avrebbe potuto toccarlo comunque, ma lei lo nascose lo stesso dietro la schiena.
Sif non amava Loki. I suoi modi le erano odiosi. Non era così ingenua da credere che l’arte della spada fosse più onesta della magia, ma era l’uso che ne faceva Loki che lei disprezzava. Loki prendeva qualunque cosa e la trasformava in un arma, in ogni momento. Così era diventato un mostro.
Il ricciolo di capelli tra le sue dita era straordinariamente morbido, proprio come quando era stato tagliato. Sif se lo ficcò in tasca e diede le spalle a Loki.
«I fantasmi bevono?» chiese mentre allungava una mano verso la caraffa sul tavolino e riempiva un calice.
«Dubito che l’idromele possa... ravvivarmi a sufficienza».
Loki era dietro di lei. Sif bevve un sorso e si voltò.
«Ad alcuni è d’aiuto», disse.
«Non ne sono certo». Loki sorrise, poi il sorriso sparì; mosse un passo, si guardò attorno e la sua voce risuonò gelida nella penombra. «Sono tornato per Thor. Era lui che volevo vedere, ma non l’ho trovato. Dov’è Thor, Sif?»

 

La notte serba ore infinite. I secondi sono lunghi come tuoni, i minuti come arcobaleni. Nell’attimo che seguì, a Sif sembrò che la notte si spalancasse sotto di lei e che l’istante prima di cadere si congelasse nel tempo.
Fu con questi occhi che guardò Loki e con questa voce che gli rispose.
«Non lo so».
«Sì che lo sai, Sif». Lo sguardo di Loki la teneva inchiodata sull’orlo del baratro e la notte si spalancò un po’ di più. «Sì che lo sai».
«Se n’è andato». Non fu semplice finire la frase, così come non è semplice lasciare la presa e precipitare. «Su Midgard. Dalla mortale».
Loki la fissò ancora per un attimo, poi si voltò e la lasciò andare. Sif sentiva nelle orecchie il tuono cupo del sangue. Si appoggiò al tavolino e bevve un altro sorso dal calice.
«Prevedibile», commentò Loki. «Quando fu esiliato, Thor fece ogni sorta di numero pur di tornare su Asgard e avere il suo trono. Ora che è arrivato il momento di compiere il suo destino, fugge su Midgard e sceglie una vita che prima o poi dovrà lasciare».
«Non c’è nessun destino, Loki», replicò Sif. Improvvisamente si sentiva così stanca.
«Il destino è prerogativa degli dèi».
«Noi siamo gli dèi. Noi plasmiamo il nostro destino. Il che è come dire che non esiste».
«Quindi è stato un puro caso il fatto che sia venuto qui per Thor e che invece abbia trovato te?»
Sif si alzò e finalmente, dal fondo del baratro, trovò la voce per rispondergli. «Sì, Loki. Non c’è nessuna congettura, nessun maleficio, nessun segno del fato. Il fato si occupa dei mortali. Non spreca tempo con noi».
«Anche la scelta di Thor, dunque, è stata un puro caso».
Il calice a mezz’aria, una mano appoggiata al tavolino, Sif si rese conto di non riuscire a guardare Loki in faccia. Cercò nel cuore un po’ di rabbia per poterlo odiare, ma non trovò altro che un abisso. Il vuoto che resta quando qualcuno se n’è andato.
«Quale scelta?» chiese con voce tremante, pur di non dargliela vinta.
«È stato un caso, Sif, che Thor abbia scelto una mortale al posto tuo?»
Il calice si infranse contro il muro sopra al letto. Mille pezzi e una macchia scura come la notte, densa come il sangue.
«Loki, vattene».
«È un caso, Sif-»
«Ti ho detto di andartene».
«È un caso, Sif, che Midgard splenda così forte stanotte?»
«Loki, VATTENE! Torna a Hel, restaci. Sparisci!»
Loki avanzò. Anche i suoi occhi splendevano. Sif era una guerriera ma lui le afferrò il polso ancor prima che lei se ne potesse accorgere. Aveva mani fredde come il ghiaccio ed un sorriso che sembrava tagliato nel volto.
«È un caso, Sif, che proprio questa sera tu abbia ritrovato questo?»
Sul palmo aperto di Sif riluceva la ciocca di capelli, stretta nel nastro azzurro.

 

Sif non rispose. Ci sono storie che non hanno bisogno di parole. La ciocca di capelli raccontava mille avventure di bambina, ma non era per questo che la conservava in una scatola che non apriva mai. Era per l'ultima avventura, quella in cui non era stata più una bambina.
Loki non aveva ancora lasciato la presa sul suo polso, e quando Sif si divincolò lo fece piano, quasi con dolcezza. Loki aprì la mano e la lasciò andare come sabbia in un torrente.
«Credi di essere diventato un fantasma soltanto poche notti fa, quando gli Elfi Oscuri ti hanno ucciso?» mormorò Sif rigirandosi la ciocca tra le dita. «Ti sbagli, Loki. Tu sei un fantasma da molto più tempo. Infesti questi luoghi da un'eternità. E liberarli spettava a me. Doveva spettare a me».
Sif distolse lo sguardo dal letto; ed ora all'improvviso era come se la sua bella chioma corvina si fosse tramutata in fili di piombo. Loki allungò una mano e gliela sfiorò come un alito di vento.
«Vieni qui, Sif», disse «Ti racconto una storia»
«Non voglio»
«Perché no?»
«Le tue storie sono bugie. E non intendo tollerare altre illusioni».
«Lascia che ti racconti questa, Sif. E poi giudicherai».
E Sif lo fece.
Loki si sedette davanti al fuoco del camino e Sif dal bordo del letto osservò i suoi occhi farsi grandi e luminosi come le fiamme. Le parole di Loki non nascevano mai dalla gola, ma da qualche altra parte dentro di lui, in un luogo segreto, e spaventoso.
«Era la primavera degli dèi e Asgard cresceva in gloria e in potenza. I giardini risuonavano di canti e di risate. I giovani maschi giocavano alla lotta e le fanciulle raccoglievano fiori in mezzo ai boschi.
«Tutte tranne una. Era la più bella e la più virtuosa, e anche la più feroce, come una rosa coperta di spine. I fiori e i canti li lasciava alle compagne. Preferiva gettarsi nella mischia con gli uomini e umiliarli uno ad uno, perché oltre ad essere bella e virtuosa era anche la migliore di tutti i guerrieri.
«Ma imparò presto che questo non bastava per essere amata. Che gli uomini sono orgogliosi e che le donne sono invidiose, e che entrambi avevano paura di lei. Perciò ne ridevano. Dicevano che era mezza uomo e mezza donna. Lei, forte e testarda com'era, continuò a incrociare la spada con gli uomini, ma non ottenne null'altro che ciò che aveva già avuto. Così mentre lei cresceva in bellezza e ferocia, le spine si infittivano, finché il suo cuore divenne una corazza intricata. Avrebbe punto chiunque. Avrebbe punto anche lei. E per paura di ferirsi, nessuno osava sfiorarla.
«Così combatteva e vinceva e gettava nella polvere tutti i suoi avversari. Non sapeva che c’era qualcun altro che avrebbe voluto sfidarla… e d’altronde, come avrebbe potuto immaginarlo? Lui era l’ombra che lei non aveva mai guardato. Non un guerriero, non un soldato, non un principe. Meno di un uomo, dicevano; e ridevano di lui così come ridevano di lei. Lui inghiottiva le loro parole una ad una, come gocce di veleno. Era davvero una creatura d’ombra, pallido e sottile. Un giorno avrebbe combattuto con loro, ma mai per loro.
«La fanciulla guerriera lo chiamava codardo e le sue parole bruciavano incandescenti quando le mandava giù. Quando furono troppe, prese a rotolarsele sulla lingua e restituirgliele. Così lei si riempiva di spine e lui di veleno. E nessuno li amava.
«Forse fu perché tutti gli altri li poteva disarmare con un fendente di spada. Ma lui? Era il solo contro il quale non riusciva a vincere. Le spine di una rosa contro il veleno di un serpente. Non ti amerà mai nessuno, le disse lui un giorno. Poi le insegnò parole avvelenate per rispondere alle beffe dei guerrieri battuti e alle sentenze spietate delle altre fanciulle. Ben presto divennero inseparabili.
«Erano giovani allora e l’universo era giovane con loro. Eppure, tra tutti quegli dèi che crescevano forti e luminosi, loro avevano qualcosa di diverso da chiunque altro. Il mondo era incapace di accettare una donna che combatteva e un uomo che preferiva le arti magiche alla spada. Lui le disse che era inutile e stupido cercare di essere compresa da un mondo che non li desiderava, ma lei continuava a sfidarli tutti quanti, a lottare per far parte di qualcosa che non era per lei.
«L’avrebbero distrutta. Poteva combattere e conquistarsi un posto in quel mondo, ma non l’avrebbero mai amata. Questo cercò di dirle lui. Non ti amerà mai nessuno.
«Lei non gli diede mai retta e lui pensò che se le parole non le bastavano, avrebbe avuto i fatti».
Loki non interruppe il racconto nemmeno per un istante e Sif non sarebbe stata in grado di fermarlo, ma come capì cosa stava per arrivare provò la profonda sensazione di essere sull'orlo di una caduta inarrestabile. Non avrebbe voluto ascoltare, ma non poteva fare altrimenti.
Non poteva fermarlo.
«Quella notte la portò con sé. La fece sdraiare al suo fianco. La baciò. Voleva essere una guerriera, ma sotto le sue mani sarebbe stata una donna. Dopo gli si addormentò tra le braccia e lui contò uno ad uno i suoi capelli color dell’oro. Non ti amerà mai nessuno, le aveva detto.
«Quando il mattino dopo lei si svegliò e trovò la propria chioma sparpagliata per terra, pianse di rabbia e lo accusò di averla tradita nel peggiore dei modi. La notizia si sparse per tutta Asgard. Alcuni la derisero, altri la compatirono. Ma l’unico che fece qualcosa, l’unico che corse alla ricerca della soluzione, l’unico che volle renderla felice…
«…fui io. Attraversai i luoghi più lontani e oscuri, luoghi dove solo le ombre come me si sarebbero potute addentrare, scesi ai patti con la truce stirpe dei nani e tornai con la più bella chioma d’oro che si fosse mai vista in tutti i Nove Regni. E mentre tutti gli dèi stavano a guardare, io feci ritorno e la portai a te.
«Ma nell’odio nei miei confronti avevi trovato la comunione con i guerrieri di cui anelavi tanto la stima. Mi strappasti il dono dalle mani e dimenticasti ogni cosa, tranne l’unica che ti serviva ricordare».
«La chioma d’oro divenne nera come le ali di un corvo, il giorno seguente», puntualizzò Sif, la voce stretta come un sibilo, e solo allora Loki fece una pausa e aspettò che il suo viso impallidisse, prima di risponderle.
«L’incanto finì perché tu smettesti di crederci», disse. «Da allora combattesti con loro e fosti loro compagna. E mi odiasti. Ora dimmi, Sif, cosa ci hai guadagnato? Hai forse ottenuto l’amore di Thor? Ne è valsa la pena, Sif, di dimenticare?»
«Dimenticare cosa?» esalò Sif, stordita dai ricordi, furiosa perché non riusciva, davvero, non riusciva a fermarlo.
«Di essere diversa da loro». Loki si alzò in piedi e Sif pensò che ora sarebbe svanito, come il fantasma che era. «Quello che io non ho mai scordato».
Fece per andarsene.
«Aspetta».
Loki si voltò lentamente, come sospeso nella notte.
«Io ricordo», fece Sif, e finalmente respirò. «Ricordo i prati di fiori dove le ragazze andavano a giocare. Ricordo la polvere, il frastuono, e il cuoio della mia prima armatura. Ricordo che avrei voluto essere alta e robusta come loro. Ricordo che non ero come loro».
Loki era ancora lontano da lei. Non disse niente. L’ascoltò e basta.
«Ricordo quando mi dicesti che non mi avrebbero mai amata. Mi arrabbiai così tanto che forse fu proprio per questo motivo che continuai ad insistere. Ricordo quella notte. Mi tagliasti i capelli mentre dormivo e al mio risveglio luccicavano morti alla luce dell’alba, per terra.».
«C’è una cosa che non ti ricordi, Sif».
«Che cosa?»
Avrebbe dovuto sorridere, Loki. I suoi sorrisi taglienti celavano segreti. E invece no.
«Ciò che non ricordi, Sif, è che fosti tu a chiedermi di tagliarti la tua bella chioma d’oro, quella notte».


 

Ed il suo viso era spietato e violento come la verità, e Sif tese i muscoli e strinse i pugni e combatté per non credergli.
«No».
«Mi implorasti e mi supplicasti, quella notte. Mi presi le mani e le misi sui tuoi capelli-»
«No».
Si mosse come una vipera fra l’erba alta e con un guizzo aveva la spada in mano, tesa contro la penombra, l’estremità aguzza contro il mento di Loki. Chissà se si può trafiggere un fantasma, pensò Sif.
«Sei una guerriera», disse Loki, le mani alzate ma il volto duro, durissimo. «E le tue mani non tremavano neanche allora. Ma è a me che desti il pugnale per tagliarti i capelli. Era la lunga bionda chioma di una fanciulla. Non ne avevi bisogno, dicesti».
Quando la notte è troppo profonda ed i ricordi diventano sogni, la luce delle stelle non basta per ritrovare la strada. Sif guardò fuori, ma vide solo Midgard. Rafforzò la presa sull’elsa.
«Questa visita è durata troppo a lungo. Non costringermi ad infierire sul tuo cadavere», disse tra i denti.
«I tuoi capelli erano dell’oro più splendente e scorrevano fra le mie dita come l’acqua di un fiume», proseguì Loki. «Amavo i tuoi capelli. Ma lo stesso gli tagliai. E per tutta la notte rimasi sveglio a guardarli splendere per terra. Il mattino seguente, quando mi accusasti davanti a tutti gli dèi, capii la tua astuzia: incolparmi per vincere il loro appoggio. Ma andava bene così. Mi piaceva quel gioco. Anch’io ne sarei uscito vincitore. Avrei risolto ogni cosa. Ti avrei salvata. Ci credevo veramente. Ma quando tornai mi resi conto che era già troppo tardi, che eri già andata perduta, e che avresti dimenticato in fretta. Mentre io avrei ricordato, per sempre. È questa la condanna di chi pronuncia menzogne, Sif. Per saper mentire bisogna conoscere la verità».

Sif ricordò, mentre la rabbia le spezzava il cuore; ricordò l’astio sordo dei bambini e le cattiverie del piccolo mago dai capelli corvini, e ricordò i suoi occhi cresciuti e la certezza acerba di una fanciulla soldato, la certezza che tutti erano uguali, ma che lui era diverso, lui era come lei. La paura infinita di quella sicurezza. Ricordò la notte in cui lasciò che lui la portasse via, e adesso c’era qualcun altro nei suoi pensieri, una confusione puntiforme alla quale non doveva cedere, non doveva cedere…
 

Loki, pensò Sif con terrore, diceva la verità.

 

«Sei venuto per farmi ricordare. Non per scambiare l’ultima parola con Thor. Tutta questa strada da Hel, per farmi ricordare. Tutto questo per vendicarti».
«No, Sif».
Non sapeva nemmeno più dire quanto l’odiasse. Mai avrebbe desiderato tornare indietro ai tempi in cui veniva derisa come la strana fanciulla che giocava a fare il soldato, ma improvvisamente rimpiangeva le ore segrete sotto agli alberi con il giovane mago che le insegnava a prendersi gioco di chi la rifiutava.
«Non ho lasciato Hel per vendicarmi. Non ho fatto tutta questa strada per strapparti il sonno e riempire i tuoi sogni di orrore. E' lunga, la strada da Hel. Davvero molto, molto lunga. Sif. Per una vendetta così, non ne sarebbe valsa la pena».
Si era sentita veramente una donna soltanto quando per la prima volta aveva preso in mano ago e filo e si era cucita in testa la chioma nera che Loki aveva portato dalle fucine dei nani. Fu allora che Thor e i Tre Guerrieri l'accettarono fra loro. Questo Sif non l'aveva mai dimenticato. Questo, no. Ma ora Thor era su Midgard e lei ricordava soltanto la lama d'argento...
«Non sono qui per vendicarmi, Sif».
...del pugnale che che aveva messo in mano a Loki quando gli aveva chiesto di tagliarle quei capelli biondi come il grano, biondi come l'oro, biondi come le fanciulle che mai e poi mai sarebbero state soldati.
Thor, su Midgard, la ripagava del suo sacrificio regalando il cuore ad una fragile mortale.
«Sono qui perché tu ti possa vendicare».
Sif guardò davanti a sé l'unico uomo che l'avesse mai avuta. «Adesso ricordo».
E abbassò la spada.

 

Quando sentì il corpo di Loki forte e concreto contro di lei non si chiese nemmeno come fosse possibile. I suoi pensieri erano avvolti dalla nebbia e dietro agli occhi vedeva la stella di Midgard una, due, cento volte. In una notte come quella avrebbe potuto credere a qualunque cosa. In una notte così anche i fantasmi potevano essere di carne e sangue e denti.
E questo Loki lo sapeva.
Così Sif lo afferrò violentemente, ricordando chi era prima, quando erano uguali perché erano diversi. Loki rispose senza esitare nemmeno per un istante. Nei suoi baci poteva esserci dolcezza, e carezze nella sua presa - ma era qualcosa che Sif desiderava così violentemente da vergognarsene. Invece lo cercò a morsi, come se potesse mangiarsi tutti i ricordi di un tempo in cui era innocente, come se ad ogni boccone potesse ritrovare sé stessa, o quella che era prima di scendere a patti con il mondo. Ma più mangiava e più il vuoto si allargava nello stomaco. E aveva sempre più fame.
Loki la guardò quasi ammirato, con gli occhi pieni di caos. Quella confusione Sif la ricordava. Loki voleva tutto, subito, in fretta, e anche se col tempo aveva imparato ad aspettare ciò non significava che i suoi desideri fossero diversi.
Sif non riusciva a pensare. C'era qualcosa che non andava ma lei non riusciva a pensare.
Loki le sorrise e le agguantò forte i capelli proprio come se fossero stati color dell'oro e la prese inarcandosi contro di lei. Sif lo abbracciò, lo strinse, giocò con lui e l'unico pensiero che l'attraversò, dritto e feroce come un brivido di piacere, fu: “Sei contento, Thor? Sei contento, adesso?”

 

Non la svegliò l'alba, ma un respiro mozzato. Spalancò gli occhi e si portò subito una mano ai capelli. C'erano ancora, sciolti sul cuscino e pieni di nodi.
Rimase sdraiata sul letto a contemplare i frammenti del sogno che sprofondavano lentamente nel cervello. Loki non era accanto a lei. Loki, rifletté Sif, non c'era mai stato.
Strane cose sono i sogni, pensò Sif, che mai aveva amato sognare, perché aveva sempre pensato di non esserne capace. Si mise seduta e pensò a Loki, ai suoi sogni disperati, ai suoi desideri violenti e voraci come una notte d'amore. Si portò una mano al basso ventre, dove i muscoli la tiravano e dove sentiva un insolito piacere umido, annebbiato.
Strane cose sono i sogni, si ripeté, pensando a come non ricordasse di essersi addormentata, né di aver lasciato la finestra aperta. Guardò fuori. Era giorno e la stella di Midgard non splendeva più. Sif tornò a sedersi sul letto e, con un respiro profondo, ricordò il sogno, ricordò Loki e assaporò stoicamente il vago senso di colpa che si scioglieva nel suo petto. Si chiese se anche Thor sentisse mai qualcosa di simile, nelle sue notti su Midgard...
Poi ricordò il tempo di mille anni prima, l'albero sotto al quale sedeva con il giovane principe che non partecipava ai duelli, e pensò a quanto avesse desiderato essere amata da loro, da tutti i guerrieri e i soldati e i giovani dèi coraggiosi. Non ti ameranno mai. Lui l'aveva avvertita.
Era certa di aver trovato il ricciolo di capelli che ancora conservava, la sera prima. Sif si alzò e lo cercò tra i frammenti del cofanetto, poi nella stanza, in ogni angolo, ma non ve ne era traccia. Il ventre ancora mormorava piano e Sif, completamente sola in mezzo alla sua camera, pensò a quanto avesse sognato, disperatamente, a quanto fosse brava e abile nel tessere le proprie illusioni e a quanto avesse combattuto per dar loro qualcosa di più che la propria fantasia.
Appoggiò il viso sulle mani e i suoi capelli le scivolarono fra le dita, splendidi, neri e lucidi come le ali di un corvo, e pensò alla solitudine. Al prezzo che Loki, fin dall'inizio, era stato disposto a pagare.

 

Strane cose sono i sogni, pensò Loki, ma ancora più strano è il mondo della veglia. Conosceva luoghi della mente più reali del mondo reale, eppure, per qualche motivo, non riusciva a smettere di desiderare qualcosa, qualunque cosa, che non fosse soltanto un sogno.
Era solo questione di tempo prima che Sif capisse di non aver affatto sognato quella notte, e allora Asgard sarebbe stata scossa dalle fondamenta, il traditore inseguito e cacciato negli occhi di ogni fratello, e nessuno sarebbe più stato al sicuro.
E poi, una volta catturato, gli avrebbero chiesto: perché una mossa così sciocca, perché rovinare la vittoria con un gioco tanto sventato? E avrebbero riso di lui, per mascherare l'inquietudine.
Loki non avrebbe risposto. Un creditore, alla fine, bussa sempre alla porta; ma non ne valeva la pena di stare a spiegarlo a loro.
Si mise in piedi e si preparò ad ammantare il proprio aspetto con la sua ultima illusione, quella che non lo avrebbe mai consolato. Avrebbe seduto nella sala del trono, avvolto nelle sembianze di Odino, e atteso i suoi creditori.
Si rigirò tra le dita il nastrino azzurro e la ciocca dorata, sorrise, e ricordò non la notte prima, ma un'altra notte ancora più lontana.


Era stata una bella notte.

 








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La scorsa estate, a giugno, ho visto il saggio del terzo anno degli attori della mia accademia. Mettevano in scena due opere di Strindberg: La contessina Julie e Creditori.
Quando mi sono resa conto che stavo scrivendo una versione dei Creditori ambientata ad Asgard, era ormai troppo tardi.
A parte gli scherzi, le somiglianze non abbondano nella trama, ma mi rendo conto che i dialoghi riflettono talvolta la dinamica tra Gustav e Tekla e che in generale questa storia risente molto della mia visione di Creditori. Quindi, in primo luogo, consiglio a tutti coloro a cui è piaciuta questa storia di andare a leggersi Creditori di Strinderbg o, meglio ancora, di vederlo a teatro se ne avete la possibilità.
(Contessina e Creditori sono in replica in questi giorni proprio in Paolo Grassi. Fateci un salto, se vi va)
Questa storia è stata scritta a singhiozzo, ma sono felice di come ho trovato la conclusione, con molta naturalezza, durante un viaggio in treno.
Spero tanto che vi sia piaciuta e vi sarò grata se mi lascerete un commento.
Per chi fosse proprio entusiasta, spero vogliate aggiungermi su facebook: https://www.facebook.com/eleuthera.efp
Grazie!
Au revoir
Eleu

   
 
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