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Autore: Tigre Rossa    14/10/2014    4 recensioni
“Non piangere . . .”
Ecco, lo stai sussurrando, ma dai tuoi occhi scendono fredde lacrime, le prime da molto, moltissimo tempo.
Sei seduta, anzi, rannicchiata per terra, una terra macchiata di sangue scarlatto.
Intorno a te ci sono cinque corpi ormai senza vita, così martoriati da essere quasi irriconoscibili, mentre tu stringi la zampa di un sesto corpo, ancora in agonia ma ormai prossimo a cedere.
Vorresti urlare, scappare, nasconderti, ma non riesci a muoverti.
Puoi solo piangere, sentendoti ad ogni lacrima gelida che ti attraversa il volto sempre più meschina.
Perché tu sai, e lo sai fin troppo bene, che non hai alcun diritto di piangere.
La zampa a cui ti stai tenendo aggrappata come se fosse un’ancora, uno scoglio, una cima di salvezza, si contrae leggermente.
Il corpo a cui appartiene solleva la testa piena di tagli, o almeno ci prova.
Le labbra, quelle che fino a pochi attimi fa erano labbra, si muovono, cercando di articolare il tuo nome.
“Ti-tigre . . ."
Genere: Drammatico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Po, Tigre
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Lacrime di sangue
 

 
La tua ferita è profonda
come gli abissi dell'oceano . . .
 
 
“Non piangere . . .”
 
Non piangere.
 
Quante volte, nella tua giovane vita, hai ripetuto a te stessa questa frase?
Quante volte, Tigre?
 
Non piangere.
 
Lo sussurravi ogni volta che vedevi gli altri bambini nascondersi alla tua vista, tremanti e con gli occhi iniettati di puro terrore.
Lo sussurravi ogni volta che osservavi gli adulti mormorare tra loro e lanciarti occhiate piene di sospetto e timore.
Lo sussurravi ogni volta che quella terribile parola divenuta la tua condanna, quel ‘Mostro!’ da te tanto odiato e allo stesso tempo tanto temuto, arrivava alle tue orecchie e si insinuava nella tua anima, trapassandoti il cuore come una spada affilata.
Lo sussurravi ogni volta che sentivi la tristezza e il dolore che erano ormai parte della tua esistenza divenire così forti e così dolorosi da farti desiderare solamente di scomparire.
Lo sussurravi ogni volta che la sofferenza diventava così pesante da tentare di scappare dalla prigione del tuo corpo sotto forma di lacrime.
 
Non piangere.
Una tigre non deve piangere.
Un guerriera non deve piangere.
Una maestra di kung fu non deve piangere.
Tu non devi piangere.
 
Hai sussurrato a te stessa queste parole per anni, anche dopo aver abbandonato quell’orfanotrofio del dolore, anche dopo aver trovato una famiglia, anche dopo aver trovato il tuo posto nel mondo.
La sofferenza, il dolore, la tristezza non ti hanno mai abbandonato.
Hanno continuato a torturati per anni, forti del fatto che tu, la più sola delle creature, ammirata ed allo stesso tempo temuta da tutti, eri costretta a tenerti ogni cosa dentro, nel tuo cuore, senza rivelare niente a nessuno.
Non potevi mostrati debole.
Non dovevi mostrarti debole.
Dovevi essere forte, sempre più forte, e sconfiggere ciò che sentivi dentro di te.
 
Purtroppo, però, quando la sofferenza, il dolore e la tristezza non possono svanire e restano nell’animo di qualcuno a lungo pian piano si trasformano in qualcosa di completamente diverso, qualcosa di ancora più difficile da gestire e celare.
Si trasformano in rabbia.
Pura, crudele, cieca rabbia.
 
Non piangere.
 
Hai combattuto per tutta la vita contro questo nemico malvagio ed invisibile.
Ti sei battuta duramente, con foga, per non permettergli di sconfiggerti.
Era il tuo pensiero fisso.
Non permettere alla rabbia di fuoriuscire, tentando così di causare altro tristezza e di conseguenza altra rabbia.
 
Non piangere.
 
Credevi di aver trovato un modo per batterla.
Usarla durante la battaglia, solo durante la battaglia, concentrarla nei tuoi attacchi, sempre per difendere, solamente per difendere.
Ogni combattimento era una sfida contro la rabbia che tentava di farti perdere il controllo e di sfuggire prima che tu potessi fermarla.
Ma tu sei stata a lungo più forte di lei.
Ti liberavi da essa ed allo stesso tempo l’addomesticavi, proprio come addomesticavi la tua forza.
Credevi, dopo vent’anni d’allenamento costante, di sforzi, di sacrificio, di essere riuscita finalmente a batterla.
Credevi di aver vinto, finalmente, quell’ultima, difficile battaglia.
 
Ma la rabbia è una creatura indomabile e crudele, incapace di farsi controllare anche dalla disciplina più rigida.
E, così, in un momento di distrazione, di fragilità, di debolezza, ha fatto la sua mossa.
 
E le sorti della battaglia si sono ribaltate.
 
 
“Non piangere . . .”
 
 
Ecco, lo stai sussurrando anche adesso, ma dai tuoi occhi scendono fredde lacrime, le prime da molto, moltissimo tempo.
Sei seduta, anzi, rannicchiata per terra, una terra macchiata di sangue scarlatto.
Intorno a te ci sono cinque corpi ormai senza vita, così martoriati da essere quasi irriconoscibili, mentre tu stringi la zampa di un sesto corpo, ancora in agonia ma ormai prossimo a cedere.
 
Vorresti urlare, scappare, nasconderti, ma non riesci a muoverti.
Puoi solo piangere, sentendoti ad ogni lacrima gelida che ti attraversa il volto sempre più meschina.
Perché tu sai, e lo sai fin troppo bene, che non hai alcun diritto di piangere.
 
 
La zampa a cui ti stai tenendo aggrappata come se fosse un’ancora, uno scoglio, una cima di salvezza, si contrae leggermente.
Il corpo a cui appartiene solleva la testa piena di tagli, o almeno ci prova.
Le labbra, quelle che fino a pochi attimi fa erano labbra, si muovono, cercando di articolare il tuo nome.
 
“Ti-tigre . . .”
 
Po, con uno squarcio spaventoso sullo stomaco, una gamba mancante e un volto coperto del suo stesso sangue, ti chiama con le ultime forze che gli restano.
 
Cerchi di resistere, di non guardarlo, ma non ci riesci.
 
Posi il tuo sguardo su di lui, tremante.
I suoi occhi color giada, nei quali tante volte ti sei rifugiata, sono lontani, ma in essi riesci a leggere la domanda che il panda steso accanto a te non riesce a pronunciare e che è riflessa sui volti dei cadaveri che ti circondano come una sinistra corte.
 
Perché?
 
Vorresti spiegarti, fargli capire che non volevi, che non avevi alcuna intenzione di far loro del male, ma non ci riesci.
Il dolore che tanto a lungo hai celato, ora dotato di nuova e velenosa linfa, ti stringe la gola e ti impedisce di dare voce a ciò che provi.
Tenti di muovere le labbra, ma è difficile, troppo difficile.
 
“Mi dispiace . . .”
 
Riesci a sussurrare solo questo, prima che il dolore riesca di nuovo a sopraffarti.
Chiudi gli occhi e le lacrime riprendono a scendere.
 
Avevi creduto di essere riuscita a sconfiggere la tua rabbia.
Anzi, eri certa di averla sconfitta.
Ma è bastato un attimo di distrazione, un fragile momento di insicurezza, ed ecco che un commento sbagliato, un’osservazione di poco conto, ha scatenato tutto . . . tutto questo.
La tua rabbia ha preso il posto della ragione ed ha usato il tuo corpo per compiere tutto ciò che tu le avevi impedito tante volte di fare.
Controllata dal tuo più grande nemico, hai attaccato il tuo maestro e i tuoi compagni.
Si, li hai attaccati.
Hai attaccato le uniche persone che non ti hanno mai temuto ed anzi, hanno creduto in te sempre, anche nei momenti di difficoltà.
Hai attaccato le uniche persone che non ti credevano un mostro.
Hai attaccate le uniche persone che ti hanno voluto bene.
Hai attaccato la tua famiglia.
Li hai feriti con le tue stesse zampe, infliggendogli il maggiore dolore nel modo peggiore che eri riuscita ad immaginare.
E poi, quando finalmente la razionalità ha avuto la meglio sulla rabbia, era troppo tardi . . .
 
“N-non piangere . . .”
 
Improvvisamente, senti qualcosa di leggero sfiorarti le gote, accompagnato da quelle parole mormorate con fatica.
Apri gli occhi, confusa, e quello che vedi ti lascia senza fiato.
Po ha sollevato il braccio libero e, con la zampa ancora sporca di sangue, ti sta accarezzando il volto.
Con lievi ma faticosi movimenti delle dita, sta cercando di asciugare le tue lacrime.
 
“Po . . .” mormori, stupita.
 
Com’è possibile che, dopo quello che gli hai fatto, quello che hai fatto a tutti loro, lui continui a non odiarti?
è questo che ti chiedi, mentre lo osservi senza parole.
 
Come puoi volerti ancora bene?
 
Cerchi la risposta nei suoi occhi, i quali non hanno smesso nemmeno per un attimo di cercare i tuoi, e solo per un momento, il tuo sguardo color del fuoco e il suo color della giada si confondono e diventano una cosa sola.
 
In quel momento, finalmente, capisci.
 
Non c’è odio, nel suo cuore, né rabbia.
C’è solo un infinito, incorruttibile amore.
Un amore che nemmeno ciò che hai fatto può cancellare.
 
 
Le sue labbra ormai esangui tentano di muoversi un’ultima volta.
 
“Non . . . piangere . . . “
 
Mentre Po pronuncia quelle ultime parole, la zampa poggiata sulla tue guancia scivola per terra, cadendo nel sangue scarlatto, mentre quella ancora stretta tra le tue perde ogni forza e si apre come un macabro fiore.
Il suo respiro si interrompe di colpo, così come il battito del suo cuore.
I suoi occhi color della giada, orami freddi e vuoti, ora non possono vedere altro che il volto crudele e beffardo della morte.
 
“Po! No, Po! Po!”
 
Lo chiami per nome, scuotendolo in un ultimo disperato gesto, cercando di riportarlo indietro, alla vita, da te, ma sai che è inutile.
 
Po non può più risponderti.
è morto.
E per colpa tua.
Esattamente come il tuo maestro e i tuoi amici.
 
Nella gola senti un grido soffocato che chiede disperatamente d’uscire, ma tu osservi immobile ed in silenzio il corpo martoriato ed ormai senza vita del panda che, fino all’ultimo memento, ha continuato a volerti bene.
Poi ti guardi attorno, posando lo sguardo su ogni singolo corpo a cui hai sottratto la vita.
Il maestro Shifu, Vipera, Scimmia, Gru, Mantide . . . tutti straziati, tutti irriconoscibili, tutti morti.
E sei stata tu a causarlo.
 
Vorresti piangere, ma trattieni le lacrime e ti guardi le zampe.
La tua pelliccia è macchiata del sangue della tua famiglia ed i tuoi artigli splendono in tutto quel crudele rosso.
Queste, pensi, sono le armi di un’assassina, di uno scherzo della natura, di un mostro.
 
Si, un mostro.
 
Perché, in fondo, è quello che sei.
Un mostro.
 
Un mostro dal cuore buono, forse.
Un mostro che ha lottato per tutta la vita contro la sua natura.
Un mostro che è stato amato incondizionatamente, nonostante tutto.
Ma pur sempre un mostro.
 
Ti sfiori le gote, le stesse gote che Po ha accarezzato con le sue ultime forze.
Le tue lacrime fredde si sono mischiate con il suo sangue scarlatto, in un’unione che nemmeno la morte può scindere.
 
Improvvisamente, sai cosa devi fare.
 
Guardi i volti dei cadaveri che ti circondano per l’ultima volta.
Ad ognuno mormori le tue scuse e il tuo dolore.
Poi, posi lo sguardo sul volto di Po.
Un sorriso triste si forma sulle tua labbra.
Accarezzi la guancia del panda, proprio come lui ha fatto con te, e dopo esserti persa un’ultima volta nel suo sguardo senza vita, sollevi la zampa destra e tiri fuori gli artigli.
Mentre lentamente chiudi gli occhi e porti la zampa sul cuore, un ultimo pensiero ti balena nella mente.
 
D’ora in poi non avrai più motivi per piangere.
 
 
 . . . il tuo delitto scarlatto
scolorirà con la morte.*

 
 
*Bleach, volume 30
  
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