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Autore: Delena85    14/10/2014    3 recensioni
Storia partecipante al contest "Klaroline on Holidays"
Klaus e Caroline in vacanza, riuscite ad immaginarli, dolci e affettuosi mentre si godono il caldo sole dei caraibi? No? Beh nemmeno io...
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Caroline\Klaus, Stefan Salvatore
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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«Avevi detto che lunedì mattina avrei avuto quei contratti firmati sulla mia scrivania» urlò alterato.
Caroline scosse la testa con esasperazione mentre guardava Klaus camminare avanti e indietro per la stanza. Erano lì da meno di tre giorni e il suo cellulare aveva già squillato un centinaio di volte. Non avrebbe dovuto permettergli di portarlo, ma era stata così sciocca da credere che con o senza non avrebbe fatto alcuna differenza. Lui aveva promesso, e lei come al solito gli aveva creduto.
Erano sposati da cinque anni, avevano una bambina e lei non aveva ancora imparato.
Klaus riusciva sempre ad avere la meglio su di lei, cene di famiglia, vacanze, compleanni, se non rientravano nei suoi schemi, venivano puntualmente rimandate o annullate. Erano davvero rare le volte in cui si piegava ai suoi doveri e acconsentiva ai suoi capricci. Quella vacanza rappresentava una di quelle poche eccezioni. E doveva ammettere che, se non altro, sta volta anche lui aveva provato a far funzionare le cose.
All’inizio era riuscita persino a convincerlo a non rispondere, ma l’insistenza di quegli idioti aveva avuto la meglio sulle sue suppliche. E avrebbe anche potuto essere comprensiva, dopotutto Klaus era il proprietario di una delle più grandi aziende di marketing della grande mela, se solo lui non le avesse promesso, prima di partire, che durante quelle settimane avrebbe messo da parte il lavoro e avrebbe avuto occhi solo per lei.
“Non ha resistito nemmeno un paio di giorni” pensò sbuffando in modo ostentato e si lasciò cadere scompostamente sul letto.
La camicia da notte si era aperta e forniva un ottimo spettacolo delle sue gambe, per un secondo pensò di sfruttare la situazione, Klaus non era mai stato insensibile alla sua bellezza, doveva solo giocare d’astuzia, girando le loro posizioni. Sorrise con determinazione, e con rinnovato zelo si mosse sul letto adagiandosi sui cuscini. I capelli sparsi intorno al volto, lo sguardo languido e i seni che si intravedevano sotto il tessuto sottile della sottoveste in raso bianco.
Attese per qualche minuto, pronta a qualsiasi cenno d’assenso da parte sua, ma il tempo passava e lui non la degnava di uno sguardo, continuava a camminare con la testa bassa, e il volto preoccupato sgretolando a poco a poco le sue speranze.
Poi si fermò di colpo e un lampo rabbioso gli attraversò lo sguardo e Caroline seppe con certezza che la sua vacanza era appena andata in frantumi.
«No Marcel qui l’unica cosa certa è che voi siete un branco di incompetenti e io un idiota perché sborso migliaia di dollari l’anno per i vostri stipendi» detto questo riattaccò il telefono.
Si volse imbestialito e lo lanciò sul letto incurante di Caroline, che lo guardava costernata, e cominciò a recuperare i suoi vestiti sparsi per la stanza.
«E ora che stai facendo?» gli chiese sollevando un sopracciglio nella sua direzione
«Mi sembra ovvio, faccio la valigia»
«Cosa?» Caroline balzò in piedi come una molla «Ma è la nostra vacanza, me lo avevi promesso»
Lui sollevò gli occhi al cielo con ostentazione gettando una maglietta nella borsa in malo modo
«Tesoro non cominciare…Hai sentito no, non sono capaci nemmeno di concludere un misero contratto senza di me, non posso restare qui a grattarmi la pancia mentre la mia azienda va a rotoli»
«Oh andiamo non essere melodrammatico » sbuffò guadagnandosi un’occhiata torva da parte del marito «Sono sicura che Elijah se la caverà benissimo anche senza di te»
«Bah le parole di Marcel mi hanno appena dimostrato il contrario»
Caroline strinse i pugni nervosamente, sapeva esattamente come sarebbe finita quella conversazione e non le piaceva affatto.
«Ah sì? Per caso quell’idiota di Marcel ti ha detto anche che tuo fratello non sapeva come gestire il problema, o forse ti ha implorato di tornare per aiutarlo?» «Non è stato necessario» rispose sollevando l’angolo della bocca in un sorriso superbo che le fece letteralmente scappare la pazienza.
Andarsene, era quello che voleva fin dal primo momento, ne era certa. Egoista com’era doveva aver pensato che un paio di giorni erano più che sufficienti per accontentare una moglie annoiata.
«Sei impossibile» sbottò furente «Abbi almeno la decenza di ammettere che non riesci a sopportare l’idea che possano farcela anche senza di te. Sappiamo entrambi che il tuo unico problema, al momento, è di non poter avere il controllo della situazione»
Klaus non si degnò di risponderle ma un sorriso involontario tese le sue labbra e diede a sua moglie le conferme di cui aveva bisogno.
«Se te ne torni a New York non disturbarti a disfare la valigia» lo ammonì puntandogli un dito in faccia con aria minacciosa. I suoi occhi sprizzavano lampi verdi di indignazione e lo sfidavano a controbattere.
«Vuoi dire che saresti capace di chiedere il divorzio per un’inezia come questa?»
La sua voce era calma ma la minaccia latente nel suo tono non era affatto da sottovalutare. Klaus non era tipo che si lasciava mettere alle strette, nemmeno da sua moglie.
«Mettimi alla prova» insistette lei con altrettanta determinazione. Definire un’inezia anni di indifferenza era davvero il colmo.
Klaus la soppesò con lo sguardo, la conosceva troppo per non sapere che stava facendo sul serio, ma nemmeno questa consapevolezza era sufficiente a farlo desistere. Accennò un saluto con un veloce cenno della mano e recuperando la sua giacca uscì dalla stanza senza più voltarsi indietro.
Testardo fino alla fine, aveva preso la sua decisione e l’aveva portata avanti incurante delle conseguenze. Non avrebbe mai imparato a rapportarsi con le persone e forse era arrivato il momento per Caroline di rendersene conto.
Fissò la porta annichilita, non poteva credere che se ne fosse andato sul serio, poi si lasciò sfuggire un sospiro rammaricato, questa volta aveva davvero esagerato, e con passo lento e misurato uscì sulla veranda.
L’aria tiepida dei caraibi era un ben misero aiuto ai suoi nervi, così come lo erano lo spettacolo meraviglioso della luna che sorgeva sull’oceano e il rumore della risacca.
Ai tempi aveva scelto quel posto proprio per quelle ragioni, aveva pensato che in un luogo simile, fuori da ogni contesto cittadino, anche un uomo come suo marito avrebbe potuto trovare un po’ di pace, dimenticando per qualche settimana la vita frenetica di tutti i giorni. Ma solo ora si rendeva conto di quanto si fosse sbagliata. Per Niklaus la sua azienda non era semplicemente una fonte di guadagno, era il suo mondo, il suo impero, l’unica cosa a cui non sapeva rinunciare. Molto più importante di lei o della sua famiglia.
Lui voleva il controllo, il potere, e non riusciva a farne a meno, neanche per qualche misera settimana.
Tutto ciò che lo faceva sentire onnipotente aveva inesorabilmente la precedenza.
Le tornò in mente uno degli ultimi party a cui avevano partecipato e le sfuggì un sorriso ripensando all’atteggiamento di Klaus. Era stato organizzato da un’azienda leader nel settore delle telecomunicazioni e loro erano stati invitati in quanto dirigenti dell’azienda partner. Il presidente aveva tenuto un discorso, incentrato quasi interamente su di lui, aveva esaltato le sue doti di grande organizzatore e mediatore, esasperando così tanto i suoi complimenti, che perfino un cieco si sarebbe accorto che erano solo frasi di circostanza, dette per imbonire il suo socio in affari. Niklaus lo sapeva, ne era consapevole, come e forse più di tutti gli altri, eppure aveva sorriso e gongolato come un ragazzino, che ha appena ricevuto un’avance dalla ragazza di cui è infatuato.
L’ego era la sua grande forza ma anche la sua più grande debolezza. Lo esaltava e allo stesso tempo lo gettava nel baratro più profondo, quando le cose non andavano come sperava.
Così lunatico e così maledettamente sensibile.
«Se solo riuscisse a trovare la giusta misura» mormorò rivolgendo i suoi pensieri alla luna. «Se solo capisse quanto altro c’è al mondo»
Il silenzio fu l’unica risposta alle sue preghiere, per qualche istante attese un segno che non poteva arrivare, poi si volse sconfitta e indossando l’abito che aveva scelto per la cena uscì dalla sua stanza e raggiunse il ristorante.
Non aveva fame ma distrarsi un po’ non poteva farle che bene, dopotutto era in vacanza e non le andava di rovinarsi la permanenza a causa degli eccessi di edonismo di suo marito. E poi i piatti dello chef italiano erano così buoni che avrebbero potuto risollevare il morale anche ad un uomo sull’orlo del suicidio.
Caroline si sistemò i capelli per l’ennesima volta, lasciandoli ricadere sulle spalle in onde ordinate, ed entrò nell’ascensore. Le pareti erano vetrate e mentre saliva verso l’ultimo piano, per raggiungere la sala da pranzo dell’hotel, il suo sguardo fu monopolizzato dal meraviglioso panorama che si poteva godere da lassù.
Si sentiva sola, in realtà era tutta la vita che si sentiva sola, anche se era troppo testarda per ammetterlo, avrebbe voluto un uomo accanto, qualcuno che la comprendesse e la appoggiasse ma la vita aveva scelto diversamente per lei. Si era innamorata dell’uomo bello e carismatico che l’aveva rincorsa sotto la pioggia e baciata a Central Park. Quello stesso uomo che tutti avevano cercato di tenere lontano da lei. Sua madre l’aveva avvertita, suo padre l’aveva persino minacciata ma lei non aveva voluto sentir ragioni. Lo aveva sposato e ora era costretta ad ammettere, che loro avevano ragione e lei torto. Le era toccata la sorte della moglie dell’uomo d’affari e l’unica persona con cui poteva prendersela era se stessa.
Il campanello dell’ascensore la avvisò che era arrivata al piano selezionato, uscì e dopo aver attraversato il piccolo corridoio, rivestito in marmo, entrò nella sala da pranzo.
Il ristorante era illuminato a festa, le luci scintillanti dei lampadari di cristallo rischiaravano le pareti e facevano risplendere le stoviglie e i bicchieri di cristallo, conferendo a tutto l’ambiente un’atmosfera magica. Ma mentre la sera prima quello stesso scenario le aveva fatto spalancare gli occhi d’ammirazione, ora la infastidiva soltanto. Tutto le appariva troppo luminoso, troppo sfarzoso, troppo ostentato. Il profumo dei fiori sui tavoli le dava la nausea e il caldo dei caraibi le faceva girare la testa.
Caroline si fermò sulla soglia indecisa, aveva il fiato corto e le vertigini, molti degli ospiti dell’hotel erano già a tavola, aveva sperato che, scendendo un po’ prima, avrebbe potuto evitare di farsi vedere a cena da sola, e invece erano già lì. Aveva solo due opzioni, voltarsi e tornare in camera,
oppure farsi coraggio e attraversare la sala, mostrando a tutti che suo marito aveva preferito tornare ai suoi affari piuttosto che stare con lei.
«Accidenti a te Niklaus» sbottò a denti stretti. Ma perché avrebbe dovuto sentirsi in colpa? Si disse.
Non era lei ad aver sbagliato, era lui che doveva sentirsi uno schifo per averla lasciata in quel modo.
Di nuovo padrona di se stessa, sollevò la testa con determinazione ed entrò. Ma come immaginava il suo ingresso diede vita ad un mormorio generale, Caroline chiuse gli occhi in preda all’angoscia, pensando a quello che stavano dicendo di lei: la poveretta scaricata dal marito! E solo grazie a un tremendo sforzo di volontà riuscì a trattenersi dal fuggire a gambe levate.
Non poteva nemmeno immaginare quanto, invece, i suoi pensieri fossero lontani dalla realtà. Non era la sua situazione a destare scalpore bensì la sua figura. Nella fretta non aveva fatto attenzione al suo riflesso nello specchio, e non sapeva quanto fosse affascinante la sua figura vestita di seta blu scuro. L’abito, raffinato e dal taglio audace le scendeva morbido sui fianchi, scoprendole una gamba lunga e affusolata, che appariva maliziosamente ad ogni passo. Le bretelle sottili mettevano in mostra la pelle lattea delle spalle e la linea delicata del collo. Ma era il freddo distacco del suo incedere il fulcro del suo fascino. Scostante, sinuosa , dal volto dolce e malinconico, attraversava la sala muovendosi tra i tavoli come se galleggiasse, non si accorgeva degli sguardi fissi su di sé, né dei rasi delle tovaglie che accarezzavano le sue gambe.
Prese posto al suo tavolo in silenzio e il maître di sala le fu subito alle spalle per scostarle la sedia.
«Grazie» mormorò rivolgendogli appena un’occhiata
«Vuole ordinare signora Mikaelson, o preferisce aspettare suo marito?»
Caroline sussultò sentendolo rivolgersi a lei con quel nome, ma lui sembrò non notarlo e se lo notò fu molto bravo a nasconderlo.
«No grazie, preferisco ordinare.» Rispose calma, riacquistando in fretta il controllo delle sue emozioni.
«Molto bene, cosa le faccio preparare?»
«Vorrei del carpaccio di tonno e un bicchiere di vino bianco, uno chardonnay profumato possibilmente»
Mentre ordinava la sua voce mantenne lo stesso tono fermo e distaccato di prima.
L’uomo annuì approvando con fervore la sua scelta e si congedò per riportare la sua ordinazione alle cucine.
Attese per un tempo che le sembrò lunghissimo, per quanto ne sapeva potevano essere trascorse delle ore, e nemmeno quando la sua ordinazione arrivò le cose migliorarono. La sala era piena di coppie che si scambiavano carinerie ad ogni istante e lei non ne poteva veramente più.
Si ritrovò a prestare attenzione a dettagli che nei giorni precedenti non aveva mai notato. Dettagli innocui, che però le facevano male, mostrandole tutto ciò che lei non avrebbe mai avuto: Suo marito non le avrebbe mai stretto la mano sul tavolo, come stava facendo quel ragazzo all’altro capo della sala, né le avrebbe mai sussurrato all’orecchio in pubblico, come l’uomo brizzolato che sedeva al tavolo di fianco al suo. Né tantomeno danzato con lei solo per il gusto di farlo, e non per dare spettacolo di sé e della sua famiglia.
Eppure il suo cuore di donna non riusciva ad odiarlo per questo. Lo odiava per averla lasciata sola, per non averla portata con lui, per non averla presa tra le braccia convincendola con un bacio a tornare a casa insieme.
Una lacrima le solcò il volto e Caroline si affrettò ad asciugarla con la mano, i suoi nervi stavano andando in pezzi e se non voleva scoppiare in un pianto dirotto davanti a tutti, era meglio tornare nel silenzio confortante della sua stanza.
Si alzò tremante, e guardandosi intorno valutò quale fosse il modo migliore per attraversare la sala, senza dare troppo nell’occhio, alcuni ospiti avevano approfittato della musica offerta dal pianista e stavano danzando.
Caroline scorse una piccola via di fuga alla sua destra, doveva attraversare il bar ed era fatta.
Raccolse la sua pochette dalla sedia e si mosse in quella direzione, la musica copriva il tonfo sordo dei suoi passi e nascondeva il suo incedere ai presenti.
Camminava spedita quando un uomo le si parò davanti ostacolandole la strada, sconcertata, sollevò il volto verso il suo e si ritrovò a fissare la più bella faccia da schiaffi che avesse mai visto. Occhi verdi, capelli castani e volto scolpito come quello di una statua greca. «Buonasera» le disse cauto sostenendo apertamente il suo sguardo.
Caroline non rispose, poteva anche essere carino, ma al momento non era in vena di scherzare. Incrociò le braccia sul petto infastidita, il suo sguardo era un chiaro invito a farsi da parte ma lui non si lasciò intimidire.
«Mi spiace importunarla» continuò con la stessa calma di prima «Ma penso che lasciare sola una donna come lei sia un’eresia e non posso permetterlo»
Scontato e banale, pensò, suo marito sarebbe stato capace di fare molto meglio.
«La ringrazio per la sua premura, ma mi creda, non ho affatto bisogno di compagnia» lo liquidò acidamente.
Lui non si mosse di un millimetro.
«Allora, vuole spostarsi per favore» aggiunse alterandosi ulteriormente di fronte alla sua sfacciataggine.
«No»
«Come?» soffiò al culmine dell’indignazione.
«Ho detto di no» ripeté cauto «L’ho vista piangere poco fa e vorrei aiutarla»
Il suo volto ora era serio e non vi era più alcuna traccia di divertimento nel suo tono di voce
«Non sono affari suoi»
«E’ vero, infatti non le sto chiedendo di raccontarmi tutti i suoi drammi, solo di permettermi di tenerle compagnia per un po’»
Caroline avrebbe voluto rifiutare, ancora e ancora, ma era così stanca di essere forte, voleva solo una spalla su cui piangere e se quel ragazzo così carino voleva offrirgliela, allora perché lei avrebbe dovuto rifiutarla?
«Va bene, ma solo un drink» Un sorriso scanzonato segnò le sue labbra disegnate
«Veramente io stavo pensando a qualcos’altro» e vedendo l’espressione interrogativa sul volto di lei aggiunse «Che ne direbbe di ballare?» Caroline si strinse nelle spalle con rassegnazione, avrebbe preferito un po’ d’alcool ma anche il ballo andava bene
«Ok»
Gli tese la mano e lui con gentilezza la depositò nell’incavo del suo braccio, scortandola al centro della sala.
«Comunque mi chiamo Stefan» si presentò
«Caroline» rispose rivolgendogli un sorriso timido mentre lui la prendeva tra le braccia. Cominciarono a muoversi in sincrono e la musica ben presto diede i suoi frutti. Era un lento, una canzone che conosceva ma di cui non ricordava il nome, le piaceva e in qualche modo, tra le braccia di quello sconosciuto, cominciava a sentirsi meglio. Ma nel profondo qualcosa si agitava, scalpitava e la faceva sentire incompleta, il suo cuore era freddo e il calore di quelle braccia non riuscivano a scaldarlo. Poteva negare, poteva costringersi ad odiarlo ma la verità era che non era capace, amava Klaus e non poteva strapparsi quell’amore dal petto nemmeno volendo.
Perfino ora, se solo si concentrava appena un po’ di più, poteva sentire la sua mano tra i capelli, il suo respiro caldo contro la pelle e la dolce tortura delle sue labbra sulla gola. E non aveva alcuna importanza quanti sforzi facesse, non riusciva a toglierselo dalla testa. Era tutto inutile!
Distolse lo sguardo rassegnata e continuò a lasciarsi condurre tra la folla come una marionetta, si accorse appena che si erano fermati. Sollevò gli occhi verso Stefan, ma lui non la guardava più, il suo sguardo era puntato su qualcosa al di là delle sue spalle.
«Se non le dispiace vorrei ballare con mia moglie»
Caroline sussultò riconoscendo la voce di Niklaus e quasi si sciolse quando la sentì accarezzare con possesso la parola mia.
Si volse con il cuore in gola e le mancò il respiro quando i suoi occhi si scontrarono con l’azzurro dei suoi, erano così intensi che quasi non riusciva a guardarli, eppure non poteva nemmeno distogliere lo sguardo, Klaus la teneva saldamente incatenata a lui. Pretenzioso, autoritario, non le dava possibilità di scampo. Non sentì nemmeno Stefan che le porgeva le sue scuse e si allontanava da loro, in quel momento esisteva solo lui, le sue braccia che si avvolgevano saldamente intorno a lei e il suo profumo che le invadeva i sensi con prepotenza.
E fu come tornare a casa dopo un lungo esilio!
Quante, delle donne che aveva invidiato poco prima, avrebbero potuto dire la stessa cosa dei loro perfetti mariti? Quante avrebbero potuto provare una tale devozione e assuefazione per l’uomo che avevano al proprio fianco?
Niklaus sicuramente non era perfetto, forse poteva esserlo nell’aspetto, con i suoi grandi occhi azzurri e il sorriso affascinante, ma di sicuro non lo era nell’indole. Era irascibile, megalomane, testardo e maniacale, ma era anche l’unico che riusciva a farla sentire contemporaneamente: madre e figlia, moglie e amante, amica e compagna. E non aveva alcuna importanza quanti difetti potesse continuare ad elencare, Caroline lo amava come non aveva amato nessun’altro al mondo.
Era il centro del suo mondo, la sua stella polare e il suo destino.
«Sei bellissima ma questo lo sai già» le disse con la sua solita noncuranza riportandola alla realtà.
Bellissima!
Forse lo era, ma mai quanto lo era lui. L’abito di una profonda tonalità di grigio, la camicia bianca sbottonata alla base del collo e il viso disegnato, dove un leggero accenno di barba dorata accentuava la linea decisa della mandibola.
«Perché sei tornato Klaus?» gli chiese sforzandosi di tenere a freno il tremito della sua voce. Sentiva la sua mano sulla pelle nuda della schiena e il suo cuore correva all’impazzata.
«Tutta colpa della luna» rispose stringendosi nelle spalle.
Sembrava calmo e impassibile come al solito.
«La luna?» esalò stupita
Lui annuì con condiscendenza, ma non la guardava, i suoi occhi erano rivolti altrove, distanti e assorti, nel ricordo di quei minuti.
«Mentre andavo all’aeroporto, l’ho intravista dal finestrino del taxi. Così pallida e fredda, mi fissava come se avesse avuto occhi per guardare e orecchie per ascoltare, non diceva nulla, eppure io sentivo il peso della sua accusa, mi rimproverava in silenzio per le mie azioni.
Il tuo volto distorto dalla rabbia prima e dall’angoscia poi mi assillava, non riuscivo a pensare ad altro. Non il lavoro, non quei maledettissimi contratti …solo tu!
All’inizio non capivo, pensavo fosse solo suggestione, pensavo fosse il senso di colpa per averti lasciata in quel modo ma improvvisamente tutto è diventato chiaro. ..» si fermò e tornò a guardarla negli occhi, ora erano intensi e profondi come prima «Ho capito che non mi importa quanto denaro e potere posso accumulare nella vita se non ho te al mio fianco. Preferisco essere tuo marito e non avere nient’altro al mondo, piuttosto che avere tutto e non avere la donna che amo con cui condividerlo»
L’ultima volta che Caroline aveva sentito un tono tanto appassionato uscire dalle sue labbra era stato quando le aveva chiesto di diventare sua moglie.
Era meravigliosamente sincero.
Calde lacrime le riempirono gli occhi e un sorriso che partiva dritto dal cuore distese le sue labbra, alla fine la luna dei caraibi aveva ascoltato le sue preghiere.
«E ho anche lasciato il cellulare alla reception con l’ordine di restituirmelo solo quando ce ne andremo» aggiunse con sarcasmo.
Caroline scoppiò a ridere e con il cuore prossimo ad esplodere gli gettò le braccia al collo. «Ti amo» mormorò lui tra i suoi capelli, la sua voce era scossa da un leggero tremito «Anche se non riesco a dirtelo tanto spesso quanto vorrei, è così, e niente al mondo potrà cambiare questa realtà!»
Lei non rispose si allontanò appena da lui, cercò le sue labbra con le proprie e la sua dolce risposta le fece piegare le ginocchia. Un bacio, una carezza e il suo corpo si infiammava, prendeva vita e un dolce languore la pervadeva in ogni fibra del suo essere.
In cuor suo sapeva che in futuro sarebbe stata costretta a subire ancora una volta i suoi cambiamenti di umore e la sua prepotenza, ma ora sapeva anche che nessuna discussione sarebbe mai stata troppo grande da poter intaccare il sentimento profondo, che la luna dei caraibi aveva avuto la forza di risvegliare.



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