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Autore: Chie_Haruka    19/10/2014    3 recensioni
Questa è la storia problematica di una ragazza che ha perso suo padre, il suo pilastro di vita. Da Quando non c’è più si è chiusa parecchio, come un riccio. Evitando contatti con chiunque. Non ha mai amato fare amicizie ne tanto meno fare conversazioni lunghe.
Suo padre sapeva bene che sarebbe morto e per questo ha lasciato a sua figlia, molte lettere in cui ci sono messaggi per lei.
Nel tentativo, sua zia l’obbliga ad andare all’università. Ciò implicherà un grande sforzo da parte di Evee che la condurrà pian piano alla verità. Ma quanto sente che sta per afferrare ciò che vuole, qualcuno gli sbarrerà la strada, cambierà la sua vita, cambierà lei. . .
E lei da quel momento capirà cosa voleva dirgli suo padre. Cosa voleva suo padre per lei.
Lo interpreterà a modo suo ma alla fine ci riuscirà. Ma prima dovrà vedere l’inferno, l’altro lato, ciò che ognuno di noi nasconde.
Questa storia non ha niente di normale, siete stati avvertiti xD
Genere: Malinconico, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Note: i personaggi e il contesto, o qualsiasi cosa che ritrovante all'interno della fic, è puramente inventata da me. Tutti i diritti riservati all'autore( cioè io XD ma quando sono pessima. ok evaporo) Buona lettura:)
 
 
 
 
 



 
La bellezza della notte, delle tenebre, del male . . . ha sempre affascinato l’uomo. Ma vi siete mai chiesti il perché?
Il concetto di essere buono o cattivo io lo eliminerei nella qual’ora un individuo adoperi entrambi. Mi spiego. . . l’uomo ad esempio, è portato al male perché è nella sua natura. L’uomo è egoista. Sono pochi chi scelgono di combattere loro stessi per essere “buoni”, anche se sono consapevoli del fatto che non verranno e non faranno mai parte della società. Ma la società a cosa serve quando hai virtù e morale? La società è un illusione che si è creata l’uomo per nascondere i loro crimini e peccati. L’uomo non può mai raggiungere la felicità se si auto illude.
 
J./C./43,0094
Alla sua figliola.
Leggere le lettere di mio padre mi mette tristezza e nostalgia. Questa è una delle tante. . .  Anche se non ne capisco ancora il motivo e il senso del contenuto, sono convinta che lui in qualche modo sapesse che sarebbe morto. Che in quelle lettere ci sia un qualche strano messaggio per me.
Ormai sono due anni che non c’è più, e spesso mi ritrovo a piangere da un momento all’altro. Era il mio pilastro che mi teneva stabile ogni giorno.
Sono stata sempre una ragazza timida fuori dal normale. Da piccola non parlavo neanche all’asilo, tanto che la maestra chiedeva il perché a mio padre. Poi, quando ho iniziato le elementari, medie e liceo ho dovuto superare alcune barriere. Le interrogazioni ad esempio, per me erano un dilemma. Non perché non studiassi, anzi, ma mi mettevano ansia perché dovevo parlare davanti a tutti. E ciò mi mandava in confusione, tremavo, sudavo freddo e poi diventavo di mille colori.
Mio padre è morto in un incidente stradale. Stava tornando a casa quando un camion l’ho investi centrandolo in pieno.
Quando mi chiamarono i medici dell’ospedale rimasi senza parole, nessun flusso di parole passava dalla mia mente.
Quando arrivai sul posto, mio padre ormai era deceduto. Non ho avuto neanche il tempo di poterlo salutare. Non ho avuto il tempo di niente.
Mia madre morì quando avevo cinque, era troppo piccola per capirlo.
Piango molto al giorno. Prima singhiozzi forti poi un semplice pianto silenzioso.
Adesso vivo con mia zia, è più un amica di famiglia che zia. Ma io l’ho sempre chiamata così e la considero tale.
Ormai sto cercando di auto convincermi che è un momento che passerà, che starò bene, che riuscirò a chiudere capitolo e. . . e come diceva mio padre riuscirò ad aprirmi con gli altri.
 
Quando torna a casa mia zia, non mi faccio mai vedere da lei mentre piango. Non voglio farla preoccupare. . . semplicemente faccio finta che tutto sia apposto e parlo molto per evitare il discorso.
Adesso sono sdraiata con una noia assurda mentre rileggo e rileggo le lettere di papà.
Ho le cuffie, e la musica è troppo alta per poter sentire mia zia che è entrata nella mia stanza. Quando mi accorgo che è accanto a me, sussulto e lascio cadere lettere,cuffie e telefono a terra. Lei di rimando scoppia a ridere, poi, si siede sul letto accanto a me.
- Evee, ascolta non ti arrabbiare. . .  – mi dice piano e con una voce che riuscirebbe a sciogliere la neve.
- Dimmi zia – dico in tono pacato.
La vedo innervosirsi parecchio e inizia a contorcere le mani solo come lei sa fare. E’ il suo ticchio nervoso.
- Ti ho iscritta all’università di filosofia e psicologia! – mi guarda preoccupata, quasi non si strappa i capelli dal nervoso, perché dalle mani e passata ai capelli.
- Zia.. . ne avevamo già parlato. Ma visto che mi hai iscritto non vedo altra scelta – sospiro sconfitta.
Il discorso dei soldi non centra nulla, mio padre di mestiere faceva l’archeologo. Mi ha lasciato in eredità la grande villa che c’è fuori città e altro. Ma ho troppa paura di viverci da sola e soprattutto non ho ancora la forza di entrare lì dentro sapendo che potrei ricordare tante cose. . .
Comunque sia mia zia mia ha fregato!
Non esco mai se non per comprare qualcosa di necessario e non parlo con nessuno se non con lei.
La vedo super felice, trotterellando per la stanza. Poi si avvicina sull’uscio della porta facendomi la linguaccia e mi butta per terra come cibo per cani i moduli da compilare. Un test in breve. . .
“Ah, devo compilarlo. . . pure“. Penso sbottando fra me e me.
Osservo il questionario con astio e mi sale una certa voglia di gridare in faccia a quella donna tanto dolce ma tanto spietata.
Non è molto grande, ha una decina di anni in più di me e aggiungo che mi ha fatto pure da madre. Ha occhi azzurri ed è biondissima, figura slanciata e un seno da far invidia a chiunque.
 
Dopo dieci minuti decido e riesco senza problemi a compilare il quesito. Alla fine mi viene chiesto: chi sono, cosa mi piace fare, a cosa aspiro e perché ho scelto questa università. Tutto in rigorose dieci righe.
“Mhm dieci righe? Beh non c’è molto da sapere quindi potrei riuscire a fare un micro sunto” rifletto.
Inizio a scrivere facendo una descrizione su di me. . .
“Mi chiamo Evee Cans, ho 20 anni, sono alta un metro e settanta e peso cinquantaquattro kili. Sono una persona riservata e pieni di dubbi.
Mi piace ascoltare musica e suonare il piano. Spesso mi dedico al giardinaggio per osservare la natura e il tempo. Non ho ben chiaro a cosa aspiro veramente, è una cosa delicata e complicata. Ho deciso di iscrivermi a questa università perché vorrei comprendere, almeno in parte, alcuni grandi dubbi che mi affliggono. Mi affascinano le cose che celano mistero e anche perché mia zia mi ha in parte dato la spinta a fare questo passo.”
 
Credo che sia una vera schifezza e che quando lo leggeranno mi butteranno fuori. Vorrei tanto sapere chi è questo suo “super amico”, che ha garantito la mia entrata facendomi saltare il test di ingresso e cose varie.
Ma del resto è quello che penso. Non mi piace fingere qualcosa che non esiste pur di arrivare a un obiettivo, come fanno molti. Solo che loro vanno avanti . . . io sono sempre qui, statica,ferma e immobile.
Il mondo gira al contrario. Nessuno lo sa ma è così.
Poggio i fogli del test sulla scrivania e raccolgo tutto quello che in precedenza avevo fatto allegramente volare.
- Evee è pronto! – trilla mia zia.
Più che trillare urla. Ultimamente è super felice, si sta “frequentando”, se così si può dire, con un uomo.
Non l’ho mai visto e so che domani farà la sua grande apparizione.
Con passo strascicato e i capelli arruffati scendo le scale lentamente, ma qualcosa mi blocca.
Una voce maschile.
“ OH merda!” impreco, consapevole che era oggi ma non domani.
Risalgo le scale alla velocità della luce e apro l’armadio per infilarmi dei vestiti ed eliminare il pigiama che precedentemente mi ero premurata di mettermi.
Pigiama. . . ma perché i boxer e una canotta è un pigiama? Me lo sono sempre chiesta.
Apro l’armadio forsennata in cerca di qualcosa che possa andare bene. Ora che ci penso Lily, mia zia, era vestita con un elegante tubino nero.
Quella donna sa confondermi . . . . 
Alla fine opto per un paio di jeans blu scuro e una camicia bianca. Infilo le converse a tutta velocità e corro in bagno.
Nel frattempo sento Lily che borbotta contro di me.
Sistemo i capelli alla meglio e nel tentativo di truccarmi stavo per perdere una lente a contatto.
“Dannazione a te che non avvisi le persone”. Sbuffo.
Dopo quindici minuti passati riesco ad arrivare di nuovo davanti alle scale.
Stavolta quello che mi ferma è la paura. Più che paura è timidezza. . . mi ero dimenticata che è una persona che non conosco e che dovrò interloquire con il nuovo arrivato.
Scendo le scale a rallentatore e faccio capolino in salotto ma non trovo nessuno. Poi sento dei passi dirigersi verso di me e mi giro di scatto.
-Tu devi essere Evee! – esclama l’uomo porgendomi la mano.
Inizio a diventare un pezzo di legno e come un robot compio l’immane sforzo di alzare la mano e stringere quella dell’uomo.
E’ alto. Al dire il vero è altissimo. Elegantissimo, ha una camicia blu scuro, giacca e pantaloni neri.  A giudicare come gli stanno rigidamente deve essere muscoloso. Ha l’ aria da super intelligente e di chi la sa lunga. Sguardo ammiccante e un profumo davvero ottimo. Occhi vermigli e i capelli di un castano chiaro sul miele.
Adesso capisco perché mia zia lo chiama “virile”.
- Evee ti ho chiamata almeno venti minuti fa - mi guada truce Lily quasi non mi infiamma con i suoi occhietti azzurri.
-Veramente ho impiegato quindici minuti, e vi chiedo scusa. Ho avuto un problemino con una lente a contatto- cerco di spiegare.
- Venti minuti! – ribatte prontamente.
La guardo inarcando un sopraciglio. Poi l’uomo scoppia a ridere.
- Ha ragione Evee. . . quindici minuti. Mi spiace Lily -  l’uomo fa un sorriso e prende posto a tavola.
Lily mi guarda truce e mi fa segno che se non mi siedo entro tre secondi mi fa fuori.
Mi siedo a mia volta e provo a guardare qualsiasi cosa, basta che non siano gli occhi di quell’uomo. Mi mettono a disagio. . .
- Evee, Richard è il preside della tua scuola – dice mia zia all’improvviso.
Stavo per bere l’acqua ma qualcosa mi diceva di abbandonare l’idea perché da li a poco sarebbe successo qualcosa. Infatti, ho evitato di sputare in faccia al preside della mia futura scuola.
- Oh! Che sbadato non mi sono presentato. Mi chiamo Richard e sono molto curioso di sapere come se la cava la figlia di James – si presenta in tono formale.
- Conosceva mio padre? – dico con un leggero nervoso, ma chi non mi conosce non può capire che quello è il mio tono quando sto per avere una crisi di rabbia.
E’ come se fossi benzina viva e quando qualcuno nomina mio padre mi accendo automaticamente.
- Eravamo compagni d’avventura. L’ultimo viaggio è stato in Perù – mi informa che erano molto intimi.
Mi sa che quest’uomo sa più del dovuto, e magari qualcosa che io non so.
Mentre mangiamo mi accenna qualcosa sui loro viaggi, a quanto fosse affezionato a mio padre, e che ha molte cose di cui parlarmi e che gli ha lascito un sacco di cose per me.
Rimango basita, non una parola. Mi chiedo se posso fidarmi di questo Richard ma la mia curiosità mi porta ad accettare un suo invito a casa sua per mostrarmi tutto quello che ha appena detto.
- Ha lasciato anche una cosa importante, lì in Perù. Ho una lettera in cui dice che se lui non avesse avuto il tempo di portarti lì lo dovevo fare io. – si ferma un secondo, contenendo un sorriso beffardo. – Era una vecchia volpe, sapeva sempre come incastrarmi – concluse portandosi entrambi le mani intrecciate fra loro sotto il mento. Fissandomi intensamente. Vedo i suoi occhi brillare e accendere quel suo colore vermiglio davvero incantevole.
Mi sento prendere fuoco e mi arrampico sugli specchi pur di evitare il suo sguardo.
- Zia! Quindi è grazie al signor Richard che sono entrata all’università? – domanda ovvia e super stupida. Forse la più stupida che io abbia fatto nella mia vita.
- Ti prego solo Richard – mi sorride. – le formalità lasciamole per la scuola. – conclude.
- Ah! prima che mi dimentico. Era oggi il primo giorno, ma siccome tu sei il caso dell’universo, hai la possibilità di iniziare domani. E . .  non voglio nessun “ma”,”però” o qualsiasi cosa tu stia per dire non dirla – interrompe il silenzio Lily.
“AH! Domani . . “. Penso.
Quindi in una mezzora ho detto una cretinata, accettato un invito di uno sconosciuto e per di più una quasi minaccia da parte di mia zia senza remissive.
Domani. . . il “domani”  mi rimbomba dentro la testa almeno una ventina di volte.
Sono rimasta in silenzio almeno per dieci minuti ed entrambi mi guardano preoccupati.
- tutto ok? – mi chiede Lily.
- Si, sono solo stanca. Vi lascio soli – faccio in tempo per dileguarmi e chiudermi nella mia stanza.
“Ok Evee, adesso vai a farti una doccia e vai a dormire, domani. . . inizierai un'altra vita . . .” penso prima di buttarmi a peso morto sopra il letto.
 
 
 
 
 
 
 
Angolo autore:
Salve gente! Sono tornata :3 ma so che a nessuno interessava xD
Anyway ci tengo a dirvi che. . . sono molto stressata in questo periodo e scrivo e scrivo come se non ci fosse un domani. . . che effettivamente non sappiamo se c’è un domani ma questo è un altro discorso.
Questa storia mi frullava da un bel po’, solo che un po’ il tempo, un po’ quello . . . non ho avuto modo di metterlo per iscritto. Mi sono fatta una premessa con questa storia, quella di farvi piangere ed emozionare XD non prendetela a male ma io voglio storie che emoziono e penso che sia lo stesso per voi. Qualcosa che possa in qualche modo scuotere il vostro animo. Vorrei lasciarvi un pezzo di me (?). Si ok compatitemi, sto studiando letterati davvero importanti in questo periodo che mi stanno facendo esaurire xD detto questo, spero che il prologo vi abbia incuriositi e che continuerete a leggere i prossimi capitoli. Ps: aggiornerò una volta a settimana (salvo imprevisti )
Un bacio, Haru <3
 
   
 
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