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Autore: Nykyo    28/10/2014    4 recensioni
Talia e il piccolo Derek si godono il fresco sotto l’ombra di un ancora foltissimo Nemeton, in un placido pomeriggio primaverile, quando uno Stiles adulto, zuppo come un pulcino e parecchio spaesato, sbuca all’improvviso dal nulla. Derek gli gattona incontro, evitandogli di finire immediatamente sbranato, ma Talia, una volta rinfoderati zanne e artigli, ha comunque da porgli parecchie domande. La prima delle quali è senz’altro: perché Stiles odora come se un Derek ormai adulto passasse il tempo a rotolarglisi addosso?
Genere: Romantico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Derek Hale, Stiles Stilinski, Talia Hale
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'L'odore della luna.'
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Questo racconto è stato scritto durante lo hiatus tra la terza e la quarta stagione e non contiene alcun riferimento a quest’ultima. Viene invece seguito il canon fino alla stagione 3b compresa. Il racconto è a capitoli ed è finito, ma, nel rispetto del regolamento dell'iniziativa a cui partecipa, ho scelto di pubblicare un capitolo al giorno. Buona (spero) lettura. Un grazie speciale a Lori/Eloriee, per essere la meravigliosa musa e beta che è (un giorno o l’altro lascerò nel testo qualcuno dei tuoi commenti in “azzurro” solo perché il mondo intero possa goderseli come faccio io e amarti quanto ti amo io!) e per il bellissimo fanmix che non poteva essere più perfetto (è così azzeccato che fa impressione).
E come se tutto questo non bastasse, un grazie a Lori anche per essere stata la mia socia nella piccola, divertentissima impresa che è stato organizzare insieme questo primo Big Bang tematico su Teen Wolf (Teen Wolf Big Bang Italia). Un grazie colmo di ammirazione a piratesyebewarned aka Sanny_pirate per la illustrazioni che ha disegnato per questo racconto – una più bella e poetica dell’altra – ma anche per il modo adorabile con cui ha colto lo spirito dell’iniziativa e ha voluto collaborare con me e rendermi partecipe di ogni suo schizzo, tentativo, disegno finito ed esternarmi ogni entusiasmo e perplessità. E' stato piacevolissimo, mi hai fatto un regalo in ogni modo. Credimi anche i bozzetti che non pubblicherai per me sono stati bellissimi e preziosi. Un grazie sorridente e con gli occhioni luccicosi (insomma, così: *___________*) a Mars250ct per il delizioso bannerino che è stato una sorpresa graditissima e che sfoggio di gusto. Ogni capitolo è aperto da una citazione musicale. In ogni citazione c'è un link al fanmix che accompagna il racconto. Se volete, cliccateci sopra per ascoltare la canzone durante la lettura.

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Centinaia di migliaia di odori sembravano non valere più nulla di fronte a quest'unico odore. Questo solo era il principio superiore secondo il quale si dovevano classificare gli altri profumi. Era pura bellezza. Il Profumo – P. Süskind.
 
Come la marea
(L’odore della Luna)


 
 
 
 
It's so simple right before your eyes
If you'll look through this disguise
It's always here, it's always there
It's just love and miracles out of nowhere
(Miracles out of nowhere – Kansans)
 
 
«No.» Talia sorrise, ma fu comunque ferma nello sfilare lo stelo d’erba dalla presa tenace delle manine di suo figlio. «Puoi giocarci. Così, vedi?» Gli stuzzicò il mento con quella piccola lancia verde, morbida e inoffensiva. «Puoi fare il solletico alla mamma, ma non devi metterla in bocca. Hai capito, Derek? Non si mangia.»
Derek emise un brontolio frustrato, più simile a un tentativo di ringhio che al lamento tipico di un bambino umano. Talia lo provocò ancora e dovette ammettere che la tenacia con cui il suo ultimogenito cercava di riacchiappare il filo d’erba che lei gli aveva sottratto era davvero notevole.
Ma, per quanto sveglio e vivace potesse essere, Derek aveva appena otto mesi e non una sola speranza di spuntarla.
Talia ridacchiò, notando che era così frustrato che i suoi occhi stavano assumendo la caratteristica luce dorata tipica della mutazione. Per calmarlo gli accarezzò una guancia e ripeté con maggiore dolcezza: «Non si può, Derek, mi spiace. L’erba non si mangia. Ti farebbe male al pancino. E nemmeno i fiori si mangiano, sai? Specialmente alcuni» lo redarguì mentre lui cercava di strappare un’altra manciata di steli e con essi anche un paio di margheritine selvatiche.
Derek non parve affatto convinto e diede un’altra tirata vigorosa all’erba e alle corolle bianche e gialle. Per lo sforzo le gote gli si fecero così rosse che Talia scoppiò a ridere prima ancora di notare l’accenno di minute zanne che gli era spuntato ai lati della bocca a causa dell’ennesima fonte di insoddisfazione.
Un attimo dopo, però, si fece più seria. Prese Derek in braccio, pur rimanendo seduta comodamente ai piedi dell’enorme quercia che gli Emissari chiamavano Nemeton e, cullandolo per rasserenarlo, gli sussurrò piano in un orecchio: «Nemmeno le margherite si mangiano, Derek. Certi fiori e piante non li devi mai neppure toccare. Non devi annusarli troppo a lungo e non devi mai, mai, metterli in bocca. Ma lo imparerai al momento giusto. La mamma ti insegnerà tutto quello che devi sapere. Pian piano, quando sarà il momento».
Si mise più comoda, con la nuca appoggiata al tronco ruvido e poderoso, fece accomodare il piccolo con la schiena contro il suo petto e iniziò ad accarezzargli i capelli scuri e ancora corti e sottili. «Said it is only a paper moon, sailing over a cardboard sea…» canticchiò, ben sapendo che Derek l’avrebbe adorato. Sentirla cantare lo tranquillizzava, e lei si era sempre divertita a utilizzare ninnananne non troppo convenzionali. Trovava buffo usare quel vecchio pezzo di Ella Fitzgerald, proprio come trovava che ci fosse un che di ironico nel ritmare a bassa voce un famoso pezzo dei Doors che ogni volta la faceva pensare a Laura. Era una cosa sciocca, ma davvero divertente perché a soli due anni Laura sapeva essere molto controllata e obbediente, se voleva. Non aveva un’indole turbolenta come quella che a volte dimostrava il suo fratellino.
A differenza di lui, Laura era più socievole, più solare e, in apparenza, assomigliava a una comune bambina umana molto più di Derek. Non sembrava affatto una bimba selvaggia. Eppure, la sua maggior capacità di trattenere gli impulsi, anche se era ancora così piccola, portava Talia a pensare che da grande Laura sarebbe stata un’ottima risorsa per il branco. Proprio lei che subiva molto meno l’influsso della sua natura di lupo e non si trasformava ogni volta che le toglievano di mano un giocattolo o che le impedivano di guardare i suoi cartoni preferiti, era probabilmente molto più in contatto diretto con la sua metà animalesca di quanto Derek non sarebbe mai stato.
Talia lo sapeva per esperienza. Cedere di continuo a sentimenti semplici e basilari come rabbia, collera, paura e frustrazione non significava per forza essere più simili a un lupo. Non funzionava esattamente in quel modo. Specie se si voleva diventare un leader.
Però non importava. Derek poteva spesso essere una piccola peste e ogni volta che era arrabbiato il lato non umano del suo essere aveva il sopravvento quasi all’istante, ma ciò non significava che non sarebbe diventato un buon lupo e una brava persona. Forse non avrebbe mai fatto il capobranco, ma comunque sarebbe stato un bravo ragazzo e un membro valevole della famiglia. Talia aveva tutto il tempo per insegnargli ciò che era necessario sapere, e chissà che Derek non fosse destinato a stupirla.
Per il momento era ancora troppo presto per qualunque lezione specifica. Derek non era in grado di capire cosa fosse l’aconito o perché ingoiare una bacca di vischio avrebbe potuto essergli letale.
A otto mesi non c’era differenza tra l’avvelenarsi con una pianta o il soffocare inghiottendo una biglia. Quasi sempre lei doveva badare a Derek come avrebbe fatto con qualunque altro bambino, anche se gli altri bambini non erano capaci di lasciare tracce di unghiate sul divano.
Con Derek, per il momento, Talia poteva limitarsi a fare soprattutto la mamma umana. Le piaceva, era rilassante. Derek non stava mai fermo, ma era comunque la sua gioia e il suo tesoro e, in certi frangenti, lui e Laura erano anche un’immensa fonte di serenità e di distrazione da altri tipi di responsabilità. Con loro Talia poteva permettersi di essere un po’ sciocca e di lasciarsi tirare per le orecchie perfino quando era in forma di lupo, o di sciorinare canzoncine idiote per calmare i suoi figli o per farli ridere. Quindi continuò a cantare e lasciò che Derek le mordicchiasse un dito per dimostrare tutta la propria sbavante contentezza.
Talia poteva capire quell’entusiastica gioia infantile. Il pomeriggio era splendido. Uno di quei languidi pomeriggi di primavera inoltrata in cui l’aria era davvero calda ma non afosa e la brezza spargeva ovunque l’odore della terra, dell’erba e dei fiori.
Se Talia avesse voluto, chiudendo gli occhi e rimanendo in completo silenzio, avrebbe potuto udire, una volta isolati ed esclusi i battiti del suo cuore e di quello di Derek, una miriade di suoni infinitesimali. Zampettii, frulli d’ali, un leggerissimo agitarsi di foglie, frinire d’insetti: suoni che richiamavano alla mente la natura, la vita e, sì, perfino la morte, ma non in una maniera triste e macabra. Sarebbe stato piacevole ascoltarli, ma lo era anche sentire la propria voce che veniva trascinata via leggera nella brezza, come una piuma nel vento.
I raggi del sole piovevano a chiazze sul manto erboso, approfittando di ogni minuscolo varco lasciato aperto tra i rami della quercia, e nell’aria si poteva già annusare una promessa d’estate.
Tutto era tranquillo e aveva un che di così bucolico da sembrare quasi irreale. Era vero, però, ed era molto più banale e facile da godere di qualunque idillio fiabesco.
Talia aveva voglia di starsene un po’ da sola con il suo piccolino, all’aperto, in un posto che l’aveva sempre fatta sentire al sicuro con la sua maestosa quiete.
Il Nemeton si apriva su lei e Derek, allargando le fronde come un ombrello bucherellato da un artista un po’ pazzo. Talia lo trovava bellissimo e, a suo modo, solenne e rasserenante. Ne coglieva la sacralità e la vecchiaia. Avvertiva la sua ombra protettiva sotto cui poteva sentir vibrare forze potenti e antiche che, però, al momento non avevano nulla di minaccioso.
«Tieni il ritmo con la mamma» disse a Derek e gli prese le manine nelle proprie, per insegnargli a batterle, più o meno a tempo. In realtà riuscì a compiere solo parte del movimento. Rimase bloccata a metà gesto, i palmi aperti e sollevati, gli artigli sfoderati d’istinto ma anche un po’ per la sorpresa.
Sotto il suo sguardo incredulo e sotto gli occhi spalancati di Derek una figura umana si era appena materializzata dal nulla.

Allarmata e preoccupata prima di tutto di difendere il suo cucciolo, Talia notò a malapena i dettagli più irrilevanti. La parte prettamente umana del suo cervello registrò il fatto che lo sconosciuto era scalzo, e bagnato come un pulcino appena uscito dall’uovo. Il che era assurdo, ma fu proprio l’incongruità della faccenda a far sì che Talia se ne accorgesse. A parte quello, si rese conto solo di due cose.
La prima era il fatto che si trattava di un ragazzo di qualche anno più giovane di lei. L’istinto animale di Talia e il suo occhio critico da umana le suggerivano che il ragazzo doveva avere una ventina d’anni. Non che le interessasse stimarne l’età con precisione, semplicemente un nemico giovane poteva essere anche un nemico meno esperto e più vulnerabile. E Talia aveva bisogno di capire se aveva davanti a sé una fonte di pericolo.
Il secondo particolare che colpì subito i suoi sensi, mettendola in effetti in allarme, fu il fatto che il misterioso nuovo arrivato era chiaramente umano, ma aveva addosso l’odore di un branco e, soprattutto, l’odore di un Alpha. Un Alpha molto, molto potente, a quanto Talia era in grado di capire tramite l’olfatto e le proprie spiccatissime capacità. Non a caso anche lei era un’Alpha ed era, a detta di tutti, uno tra i capibranco più dotati in circolazione.
Anche Alpha molto più anziani di lei la rispettavano, e Talia li conosceva quasi tutti, ma l’odore che stava sentendo non apparteneva a nessuno di loro. Di conseguenza lei lo prese come un ulteriore motivo per allarmarsi.
Prima ancora di rendersene conto era saltata su, ringhiando a zanne snudate come di norma non avrebbe mai fatto davanti a un umano sconosciuto. Del resto, solitamente gli umani con cui interagiva non le spuntavano sotto gli occhi dal nulla, come per magia, e non avevano quell’odore.
Con Derek lì presente Talia non aveva nessuna intenzione di correre rischi o di aspettare mansueta una spiegazione. Non si era trasformata del tutto, ma sapeva di poter incutere timore anche così e, all’occorrenza, era pronta a diventare una lupa nera e letale.
E poi accadde l’ultima cosa che Talia si sarebbe mai aspettata.
A causa della sua reazione, Derek era rotolato spaventato sull’erba. Non si era fatto male, ma non era quello il motivo per cui non si era messo a strillare a pieni polmoni per dimostrare la propria indignazione all’essere stato sfrattato in modo brusco dall’abbraccio materno. La causa di una reazione così poco rumorosa e concitata pareva essere lo sconosciuto.
Talia fece appena in tempo a rendersi conto che Derek lo stava fissando con gli occhioni sgranati, annusando l’aria con particolare foga. Lo vide gettarsi in avanti e, senza smettere di ringhiare, si slanciò per riacciuffarlo prima che Derek si ficcasse in guai irreparabili, ma il bambino le sfuggì rotolando di lato e poi si mise a gattonare veloce verso il nuovo arrivato.
Un bimbo comune alla sua età sarebbe stato svelto, ma mai quanto Derek che poteva contare su una sorta di innata capacità di correre a quattro zampe. Talia sarebbe riuscita comunque ad afferrarlo in tempo, prima che il suo piccolo raggiungesse quell’estraneo potenzialmente pericoloso, però si bloccò nello stesso istante in cui lo fece Derek.
A mezza strada tra lei e il ragazzo piovuto dal niente, Derek si era fermato, si era seduto sull’erba e aveva sollevato le braccia nel tipico gesto infantile. Nessuno avrebbe potuto equivocare il senso dell’invito che Derek, pur senza parole, aveva appena rivolto a uno sconosciuto.


Fu proprio quella consapevolezza a congelare Talia sul posto, tesa e guardinga, con le fauci spalancate e gli artigli ancora bene in vista, ma finalmente pronta a cercare altri dettagli risolutivi. Perché dovevano esserci dei motivi se Derek, il suo piccolo, riottoso Derek, per nulla incline a farsi prendere in braccio da chiunque non facesse parte del branco, ora se ne stava seduto lì con un’espressione buffa e speranzosa, ad aspettare che un tizio mai visto prima lo sollevasse e se lo lasciasse attaccare al collo.
Non era da Derek fare così. Non era da Derek per niente. E, se come umana lei era comunque restia a lasciare che un perfetto estraneo si avvicinasse troppo a suo figlio, come lupa sapeva fidarsi di quelli in cui il suo branco confidavano per istinto.
La prima cosa che Talia notò, passato il  momento di massimo allarme, fu una specifica sfumatura nell’odore dello straniero. Sì, era questione di odore, o meglio di odori. Non si stupì nemmeno un po’ di non averci fatto caso fin dal primo istante, non solo per via della concitazione ma, più che per qualunque altro motivo, per il fatto che la scia olfattiva lasciata da un altro Alpha e la presenza di Derek l’avevano confusa.
Ora che annusava con attenzione, però, riusciva a sentirlo perfettamente: il ragazzo aveva addosso anche l’odore di suo figlio. Non del piccolo Derek che lei aveva davanti, però. Il sentore era quello, ma leggermente diverso. Oh, si trattava di una sfumatura minima, era una questione di piccole note ormonali che cambiavano con la maturità, con il passaggio dall’adolescenza all’età adulta.
Talia sapeva che se le fosse successa la stessa cosa con Laura, pur nell’ansia del primo momento, l’avrebbe capito subito. Con le ragazze era più facile, il loro corpo cambiava in maniera più radicale al momento del pieno sviluppo. Ma anche trattandosi di Derek, adesso che lei ci prestava attenzione, la cosa era lampante.
Il misterioso giovane comparso dal nulla odorava di branco e di un Alpha estraneo e sconosciuto, ma soprattutto il suo odore diceva a Talia che era stato a lungo a contatto – a fin troppo stretto contatto – con Derek. Sì, con Derek, esatto, ma con un Derek ormai  adulto. Il che aveva poco senso, ma era un dato di fatto ineludibile. Quindi Talia rinfoderò le zanne e disse: «Puoi usare il nostro plaid per asciugarti un po’, e dopo ti consiglio di accontentarlo, perché strilla parecchio quando vuole essere preso in braccio e non viene tirato su alla svelta».
Il ragazzo scosse il capo come se fosse confuso e un po’ scioccato dalla sua osservazione, e Talia pensò che era buffo come sembrasse più sconvolto dall’ultima offerta gentile e dall’idea di dover cullare Derek, piuttosto che dalla vista di denti che avrebbero potuto squarciagli la gola da un orecchio all’altro.
«Tieni» lo esortò lei, raccogliendo la coperta e porgendogliela. «E inizia a spiegarmi qualunque cosa ci sia da spiegare. Fai conto che io ti abbia già fatto tutte le domande, ok?» Nel dirlo tornò a sedersi e si rimise Derek sulle ginocchia prima che il piccolo, che iniziava già a dare i primi segni di nervosismo, cominciasse davvero a piangere perché i suoi desideri erano stati palesemente ignorati.
Avvolto nel sottile plaid a scacchi rossi lo sconosciuto ricordava a Talia una certa bambina ingenua delle favole, il che era buffo, ovviamente, perché lei in teoria era il grosso lupo cattivo.
«Avanti!» lo apostrofò, visto che non si era ancora deciso a dire una sola parola intellegibile, anche se fin da quando aveva accettato la coperta non aveva fatto che parlottare tra sé e sé a voce bassa. Talia avrebbe potuto ascoltare anche quei bisbigli, ma preferiva che il ragazzo le desse i dovuti chiarimenti di sua spontanea volontà.


Certo a vederlo così più che pericoloso sembrava un po’ squilibrato. Aveva perfino preso a camminare avanti e indietro, e intanto si stava asciugando i capelli e non smetteva un secondo di borbottare.
«Ok» si arrese Talia, «vediamo di farla il più semplice possibile…» Derek emise un gorgoglio divertito e scosse il capo come se volesse annuire in accordo con la madre .«Hai addosso l’odore di mio figlio, ma come dovrebbe essere tra qualche anno. Sei comparso dal nulla, sembri confuso e… beh, potrei dire che non credo in sciocchezze come i viaggi nel tempo, ma dubito che tanto scetticismo avrebbe molto senso espresso da un lupo mannaro. Quindi, sentiamo, devo chiamarti Marty McFly o hai un vero nome e una spiegazione che non abbia nulla a che fare con il futuro?»
«Certo che ho un vero nome. Tutti hanno un vero nome.» Talia pensò che non aveva mai visto nessuno sbottare con un’aria così confusa e poco convinta riguardo a ciò che stava dicendo. «Non ho mai conosciuto qualcuno che non avesse un nome.»
«Sì» gli concesse lei, interrompendolo, «di norma la gente ha un nome, resta solo da appurare qual è il tuo, e poi immagino che potremo passare anche al perché sei qui e, se sarai convincente, forse mi scorderò di indagare ulteriormente sulla faccenda dell’odore di mio figlio…»
Sotto i suoi occhi le gote dello sconosciuto si accesero di un rossore allarmante e inequivocabile.
Talia sarebbe scoppiata a ridere, non fosse stato per il fatto che aveva bisogno di risposte e iniziava a sentirsi un po’ a corto di pazienza.
«È… io… » farfugliò lui, ma poi parve riprendersi un po’. «È che il mio nome in effetti non… lasciamo perdere. Lei però può chiamarmi… no, no, accidenti, non può chiamarmi come mi chiama la gente di solito perché, beh, no, non posso rischiare che rivelarle troppo crei qualche casino. Non mi pare una buona idea. In effetti è un’idea pessima. Ne ho discusso più volte con… no, no, si sa che i paradossi e… no, solo che… non può nemmeno chiamarmi sul serio Marty McFly è… cioè, il film era grandioso, davvero, ma… e poi comunque forse preferirei…»
«Se tu avessi il seno ti chiamerei Sarah Connor, sai?» sbuffò Talia, un po’ esasperata e un po’ divertita. «Ma è evidente che non ce l’hai, quindi non potresti smetterla di fare avanti e indietro e deciderti a dirmi qualcosa di sensato? E dammi del tu, già che ci sei, per cortesia.»
Le parve che lui la guardasse come se fosse indeciso tra lo scoppiare a ridere per la battuta e l’imbarazzo per la bizzarria dell’intera conversazione. Le rimase anche l’impressione che quello strambo ragazzo stesse per chiederle se davvero le piacevano “Ritorno al futuro” e “Terminator” e, del tutto irrazionalmente, le venne voglia di puntualizzare che, se era per quello aveva anche una passione sciocca, inspiegabile ma parecchio ironica per un ridicolo film sul basket e sui licantropi uscito anch'esso qualche anno prima.
Ma non aveva senso parlarne in un frangente come quello. Del resto nulla in quella situazione pareva avere una sua logica, e non era il caso di peggiorare le cose mettendosi a blaterare a vanvera di pellicole cinematografiche.
«Seriamente» disse, sforzandosi di riprendere un tono e un’espressione quanto più seri possibile, «c’è qualcosa che puoi spiegarmi senza mandare a gambe all’aria l’universo, senza gesticolare troppo e magari stando un po’ fermo?»
Dovette constatare che, a quanto pareva, stava chiedendo troppo al suo interlocutore, che, per tutta risposta, prese ad agitarsi ancora di più. Talia lo guardò sbarazzarsi del plaid, imprecare – sottovoce – compiere una mezza giravolta su se stesso e passarsi ripetutamente una mano tra i capelli.
«Ah!» esclamò lui, evidentemente frustrato. «Ah! Ah! Accidenti! È che non so come… è chiaro che lei… tu, tu vuoi sapere chi sono, ma non so se sia giusto dirlo e, ok, non Derek e nemmeno Scott, ma almeno Deaton avrebbe dovuto pensarci. Perché Deaton non ci ha pensato? Perché non ci ho pensato io, cavolo? Di solito penso a questi dettagli, perché insomma, dovrò pure…  se non ti dico un nome non saprai nemmeno come chiamarmi e... oh, è così ridicolo e quando lo racconterò a Derek mi guarderà in quel modo, lo so che mi guarderà in quel modo come se pensasse che ha sbagliato a fidarsi a mandare me, perché sono un cretino incapace. Ma perché non ho pensato prima a come…»
«Mi arrendo!» lo bloccò Talia. Davvero non riusciva a capire se quell’assurdo tizio scarmigliato e logorroico la faceva sentire più incline all’ansia o all’esasperazione. «Mi arrendo, va bene? Non importa come ti chiami, ok, però frena un secondo, per favore. Mi pare che un paio di cose stiano diventando più chiare, perciò fammi verificare se ho ragione, vuoi? Facciamo così, tu ti siedi… ti prego, te lo sto chiedendo per favore, siediti almeno per un secondo, perché se continui in questo modo Derek non starà mai fermo e io ho bisogno di concentrarmi.»
Lui l’accontentò subito, andando ad accoccolarsi sui talloni poco lontano dal tronco del Nemeton. Anche così non riuscì a stare fermo del tutto e prese a dondolare impercettibilmente avanti e indietro. Dal momento che la cosa pareva avere un effetto ipnotico e non eccitante su suo figlio, Talia decise di concedergli quel compromesso.
«Vediamo se sono riuscita comunque a capirci qualcosa» si offrì propositiva e paziente come solo una madre era in grado di essere, perfino con i figli altrui. «Tu limitati a rispondere solo sì o no, se non ti dispiace.»
Il ragazzo annuì con troppo vigore, ma se non altro non partì con una nuova delirante tirata. Talia annuì a sua volta ed esordì: «Vieni dal futuro?»
In risposta ottenne un ulteriore cenno positivo del capo. Quello che nella sua mente rispondeva ormai al ridicolo nome di Cappuccetto Rosso McFly pareva intenzionato a non aprire più bocca per non sbagliare. Poco male, aveva comunque confermato i suoi sospetti.
«Sei un Emissario? L’Emissario di un qualche branco?»
Il diniego che seguì fu altrettanto silenzioso ed esagerato, ma anche eloquente. Talia si chiese se fosse il caso di porgli domande sull’Alpha di cui continuava a sentire l’odore, ma le venne in mente che forse il ragazzo non se la sarebbe sentita di risponderle e per aggirare il problema l’avrebbe di nuovo sepolta sotto una valanga di chiacchiere quasi tutte inutili. Di conseguenza preferì lasciar perdere. Una volta presa quella decisione, Talia proseguì più sicura. «Conosci bene Derek, questo è più che evidente da parecchi indizi. Ma conosci anche Deaton, a quanto pare. Al momento è fuori città, ma non ho bisogno che me lo confermi. L’hai nominato tu stesso e, ora che ci faccio caso, annusandoti posso dire che è così. Beh, è decisamente un ulteriore punto a tuo favore. Conosci Derek, conosci Deaton e… sono stati loro a mandarti qui?»
«Ci sono!» esclamò lui all’improvviso, con concitazione e con le guance di nuovo rossissime, anche se sembrava essersi rasserenato. «Puoi chiamarmi Miguel, ok?»
«Miguel? Sei sicuro? Proprio Miguel?» Talia non riusciva a immaginare nessuno che avesse una faccia meno adatta a quel nome.
«Mmmh… sì, Miguel. Certo che mi ha mandato Deaton. Più che altro Deaton ha trovato il modo e lui e Derek mi hanno aiutato, ma, ecco, in realtà, è lei… sei tu, volevo dire, che mi hai chiamato qui. Non proprio, cioè, non proprio… non nel senso che mi hai evocato come si fa con uno spirito o con un demone.» Talia lo vide prendere fiato, fare pausa per un attimo e rabbrividire, quasi che le ultime parole lo mettessero molto più in ansia e a disagio di quanto volesse mostrare. Ma fu questione di secondi, poi lui si riprese e spiegò cosa intendeva. «Nel futuro» disse, indugiando sulla parola perché in effetti suonava incredibile perfino detta in presenza di un licantropo e del suo cucciolo, «hai detto a Derek che doveva mandarmi a parlarti. Solo pensavo sarebbe stato un po’ più semplice. Pensavamo di aver studiato tutto nel dettaglio, invece… devo esserti sembrato proprio uno stupido.»
«Ho visto di peggio» fu la filosofica e sincera risposta di Talia. «A me sembra che tu sia affidabile, a giudicare dal poco che so e dal battito del tuo cuore che è agitatissimo, ma non nella maniera in cui lo sarebbe per un bugia. Mi sembra anche che tu sia ansioso di avere il mio aiuto per qualcosa che deve essere importante, se c’è di mezzo Deaton e se c’è stato addirittura bisogno di far spostare qualcuno indietro nel tempo. Mi pare anche evidente che intendevi farmi una buona impressione e, malgrado tutto, ammetto che ci sei riuscito. Non conosco molti ventenni normali, come puoi immaginare, anche se perfino il mio branco conta degli umani, però ti posso assicurare che di ventenni disposti a correre il rischio di viaggiare come hai fatto tu ne conosco perfino meno. Sembri sveglio, sei coraggioso ed è chiarissimo che ti stanno a cuore persone che stanno a cuore anche a me… mio figlio. Tieni molto a Derek, giusto? O almeno odori come se lui tenesse molto a te e, se il buon giorno si vede dal mattino, Miguel o comunque ti chiami, beh, Derek deve tenerci parecchio, sì. E questo ti mette nella posizione di potermi chiedere quello che vuoi. Quindi, sentiamo, perché ho detto a Derek che doveva spedirti qui a parlarmi?»
Le sembrò che, malgrado l’imbarazzo evidente, quell’ultima domanda fosse stata accolta con maggior serenità delle altre.
«Non posso entrare troppo nei dettagli, mi spiace» fu la risposta, molto più concreta e pacata delle precedenti. «Deaton dice che meno informazioni sul futuro ti rivelo e minore è il rischio che qualcosa vada storto. Ma posso dirti che abbiamo un problema con il Nemeton e» il presunto Miguel guardò in su verso le fronde con apprensione e poi tornò a fissare Talia dritta negli occhi, «abbiamo bisogno che tu apponga uno specifico sigillo tra le radici. Ci serve che segni il Nemeton con la triscele degli Hale. In che modo va fatto esattamente non lo so. È questo il punto, in effetti, dovresti saperlo tu. A noi basta che crei un legame…»
«Un vincolo protettivo» lo anticipò lei, completando la frase. Strinse Derek al seno un po’ più forte. «Vi serve un vincolo protettivo, giusto? Ma sai cosa significa? Se lo traccio creerò un legame permanente tra la mia famiglia e l’albero. Il Nemeton non è un albero normale, se faccio quello che mi chiedi la mia famiglia dovrà prendersi l’impegno di proteggerne l’essenza.»
Per un momento il ragazzo le parve interdetto e preoccupato anche peggio di prima. Lo vide annuire, scuotere il capo come in un diniego, gettare un’occhiata irrequieta verso il tronco alle sue spalle. Stava di nuovo dondolando sui talloni e Talia riusciva quasi a sentire il metaforico – ma anche frenetico – ronzio delle rotelle che giravano a tutta velocità nel suo cervello, formulando quesiti e cercando le risposte giuste.
«Intendi dire» chiese lui alla fine, «che se imprimi il sigillo degli Hale sul Nemeton poi gli Hale dovranno fare di tutto perché non sia, beh, per esempio distrutto o tagliato, o comunque danneggiato in nessuna maniera?»
«No.» Talia cercò di spiegarlo nel miglior modo possibile. «Il Nemeton è una risorsa preziosa e il suo ruolo è positivo. È bene che rimanga così qualunque cosa succeda, perfino se per ottenere questo risultato l’albero dovesse andare in parte distrutto. Il Nemeton può essere una fonte di potere benefico ma, per quel che ne so, potrebbe trasformarsi in un faro capace di attirare creature molto più pericolose di un licantropo.»
Talia fece una pausa per controllare che il concetto fosse stato recepito in tutta la sua importanza e gravità. Il cuore dello sconosciuto sembrava essere impazzito nel momento in cui lei aveva accennato alla possibilità che il Nemeton facesse da calamita per qualcosa di oscuro e malvagio.
Talia percepì uno strano tipo di paura, un timore tutto ripiegato verso chi lo stava provando, ma non tanto e non solo come se il ragazzo avesse il terrore che potesse succedergli qualcosa di male. Era un’ansia tinta di rimorso e per qualche secondo dopo averla avvertita Talia rimase sulla difensiva. Ma quella strana sensazione venne spazzata via del tutto quando Miguel – aveva deciso che quello sarebbe stato comunque il suo nome, per quanto suonasse ridicolo – chiuse e poi riaprì gli occhi, e scrollò le spalle come per sciogliere il nodo di una tensione enorme.
Le narici di Talia furono colpite dal sentore di una specie di risolutezza venata di sollievo. Alla fine le rimase l’impressione che Miguel fosse affidabile, ma che ne sapesse più di quanto sarebbe stato un bene riguardo al potenziale negativo del Nemeton. Decise di evitargli ulteriore angoscia e di recuperare il filo del discorso.
«In ogni caso gli Hale non sono e non saranno mai indifferenti a quello che può succedere al Nemeton, però non abbiamo nessun compito specifico riguardo all’albero, non siamo come gli Emissari» spiegò. «Se lego la mia famiglia al Nemeton le cose cambieranno e gli Hale dovranno assumersi il compito di preservare non tanto l’albero in sé, ma ciò che di positivo rappresenta. Perfino a costo di distruggerlo, in effetti. Il Nemeton protegge Beacon Hills, sigillarlo con una triscele significherebbe che, se succedesse qualcosa, gli Hale dovrebbero difendere la città, in quanto guardiani del Nemeton. È un grosso impegno e comporta i suoi rischi. Non è una decisione da prendere alla leggera, a meno che non sia strettamente necessaria. E devo tenere conto anche del fatto che addosso non hai solo l’odore di mio figlio e, se annuso bene, anche quello di Deaton. Odori come se facessi parte del branco di un Alpha che non è un Hale. Nel futuro da cui provieni fai parte del suo branco, non del mio. Il poco che mi hai detto mi porta a pensare che quest’Alpha e gli Hale saranno alleati e che Deaton e Derek si fidano di te e quindi anche di lui, ma… mi chiedi comunque qualcosa di grosso e vuoi che decida ora, senza consultarmi prima con i miei. Non è una pretesa di poco conto, spero che tu te ne renda conto.»
Un guizzo di comprensione accese le iridi del messaggero che era stato mandato a chiederle qualcosa di così gravoso. Miguel pareva del tutto conscio di ciò che le stava domandando di fare.
«Umh, ho capito. Certo che mi rendo conto. L’Alpha di cui…» Talia lo vide rannuvolarsi e percepì che stava di nuovo lottando con se stesso per cercare di decidere cosa rivelarle e come. Alla fine parve sbloccarsi, anche se lo sguardo gli si era appena velato di una patina di evidente tristezza. «Derek e l’Alpha di cui parli sono amici. Si fidano l’uno dell’altro come… come fratelli. È tutto quello che posso dirti. Mi spiace, anche tu dovrai fidarti.»
Talia valutò la sua proposta ripetendo quasi tra sé e sé: «Legare il mio branco al Nemeton non è uno scherzo».
Miguel parve esaminare il suo stesso dilemma con altrettanta serietà e alla fine Talia lo sentì borbottare: «… tra l’altro credevo che gli Hale vegliassero solo sul loro branco, ma… no… ha senso, certo. Ha molto più senso di quanto pensavo».
Mentre parlava il ragazzo aveva preso a gesticolare come sovrappensiero e a un certo punto si alzò e mosse un paio di passi verso di lei, si sedette a gambe incrociate e indicò con un cenno del capo il bambino che Talia teneva ancora ben stretto tra le braccia. «Tu sei Derek, non è vero? Beh, dovevo immaginarlo che ci saresti stato al mio arrivo, proprio come c’eri alla partenza. Piacere di conoscerti, ragazzone.»
Talia lo vide tendere una mano verso il bambino e, malgrado tutto, non poté fare a meno di stupirsi un po’ della rapidità con cui Derek gorgogliò una risata felice e gli afferrò un dito. Per un istante gli occhi del ragazzo si soffermarono su Derek, che intanto cercava di tirarlo verso di sé, poi tornarono a incrociare quelli di Talia. Lei lo guardò passare da una buffa espressione sorridente e soddisfatta alla serietà più assoluta.
«È necessario» lo sentì assicurare Talia, e ascoltando il battito del suo cuore capì che non stava né esagerando né mentendo. Nel ritmo del suo respiro e nel suo odore colse anche una sfumatura di decisione molto forte e non poté fare a meno di chiedersi se Miguel pensava che apporre la triscele avrebbe significato futuri sacrifici per entrambi.
«Vorrei poterti spiegare più cose, davvero, ma meno ti dico e meglio è. E se acconsentirai anche tu dovrai tacere al riguardo, almeno finché non sarà Derek a parlarti del sigillo. Immagino che non ci sia bisogno di spiegarti il perché. Sì, è una cosa seria per te e per gli Hale, lo capisco» le rimarcò, «però devo proprio chiederti di farlo. È importante. Per tutti. Soprattutto per me e per Derek.»
Talia si chiese quanto quel tutti includesse sul serio anche Derek e decise che credeva allo strambo viaggiatore del tempo che aveva davanti. Di sicuro non si chiamava davvero Miguel, e non voleva darle delle effettive spiegazioni, ma era evidente che non era lì per caso e che doveva avere delle ottime ragioni per domandarle di legare gli Hale al Nemeton.
«Va bene» annuì, ripetendo a se stessa che, in fondo, era suo figlio che le stava mandando quella richiesta. «Tienilo d’occhio, ci vorrà un po’ di tempo» disse, e tese Derek a quello che a quanto pareva nel futuro era il suo compagno e che, per il momento, avrebbe dovuto fargli da babysitter.
Lo sguardo spiazzato che ottenne in risposta la fece scoppiare a ridere. Derek riecheggiò la sua risata agitando i piedini e tendendo di nuovo le braccia in avanti.
Talia lo depositò senza tante cerimonie in braccio alla sua momentanea balia e non seppe trattenersi dall’aggiungere: «Non so se ci sia bisogno di avvisarti, ma nel dubbio sappi che Derek ha il vizio di mordere». Poi corse svelta a nascondersi dietro l’enorme tronco della quercia druidica, si sfilò il vestito e si trasformò subito in lupo, non perché le servisse per scendere tra le radici del Nemeton, ma per trattenere l’ennesima risatina divertita. In fondo ciò che stava per fare richiedeva una certa solennità, perché da allora in poi avrebbe sancito un notevole tipo di impegno.

   
 
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