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Autore: Nisi    20/10/2008    2 recensioni
Fu solo qualche secondo dopo che Saya registrò la presenza di tre grosse valigie, ordinatamente disposte e già richiuse, pronte per essere portate a destinazione, qualunque essa fosse.
Rimase impietrita, senza muovere un passo e al colmo dello stupore.
La consapevolezza ed il dolore arrivarono dopo, ma ciò non stava a significare che fossero meno intensi.
“Io… Non volevo lo sapessi in questo modo.”
Toru era giunta silenziosamente alle sue spalle senza che Saya se ne fosse accorta.
Saya soffocò un singulto che le era salito alle labbra e ancora si morse forte il labbro per non gridare.
“In che modo avrei dovuto saperlo, allora…” bisbigliò poi con voce rotta. “Forse lo avresti detto a mio marito, oppure mi avresti lasciato un messaggio come hai fatto l’ultima volta che sei sparita…”
Toru e Saya, yuri
Genere: Romantico, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Toru non stava più nella pelle, quel giorno avrebbe saputo.
Aveva dodici anni, ormai, ed erano secoli che domandava a Keito, sua madre, perché non avesse una nonna. Tutte le sue compagne di scuola ne avevano una e se non l’avevano, ciò era dovuto ad un’ottima ragione, per cui non riusciva a capire il motivo per il quale non solo non aveva una nonna, ma anche perché non sapeva niente di lei, nemmeno il suo nome.
Tutte le volte che le rivolgeva quella domanda, Keito scuoteva il capo e diceva che era troppo presto per lei e che non avrebbe capito.
“Non è una domanda difficile” ribatteva Toru contrariata, pestando un piede a terra per la frustrazione.
“E’ la risposta che è complicata, piccola mia”, e la questione restava chiusa fino alla volta successiva.
Il giorno prima era stata sua madre ad affrontare l’argomento, inaspettatamente. “Toru, vuoi ancora sapere di tua nonna?” le aveva chiesto in tono esitante.
Aveva abbracciato sua madre stringendola alla vita e aveva risposto esultante: “Sì!”
“Allora domani partiamo.” La informò accarezzandole i lunghissimi capelli neri.
Il resto successe in un baleno: madre e figlia prepararono le valigie, Keito uscì per andare a comprare il biglietto del treno e qualcosa di già pronto per cena: non valeva proprio la pena fare la spesa dal momento che il giorno successivo sarebbero partite.
“Perché dobbiamo prendere il treno, mamma?” aveva domandato Toru prima che la madre se ne andasse, ma non aveva ricevuto risposta. “Dove andiamo?” e sua madre era andata nell’altra stanza.
Ora, si trovavano sedute fianco a fianco sul treno e Toru taceva per paura che sua madre cambiasse idea e la riportasse a casa senza sapere niente di sua nonna. Erano salite alla stazione di Tokyo ed erano scese a Shin-Osaka, poi erano salite su un altro diretto ad Hakata.
Quando si erano accomodate al loro posto, Keito aveva abbassato gli occhi su sua figlia: “Sai chi sono gli hibakusha?” le aveva domandato a bruciapelo.
Toru aveva fissato la madre per un attimo senza capire, poi le aveva dato la risposta che stava aspettando: “Gli hibakusha sono le persone che sono sopravvissute alla bomba atomica.”
“Tua nonna era una hibakusha. E noi stiamo andando ad Hiroshima.”
Era?
Toru aveva aperto la bocca per chiedere qualcosa, ma un’occhiata della madre l’aveva fatta tacere.
Erano arrivate in albergo e si erano lavate in fretta, per poi uscire subito dopo. Toru non era bassa per la sua età, ma non aveva le gambe lunghe di Keito e fece fatica a tener dietro al suo passo veloce.
In estate, la notte arriva in fretta in Giappone e quando madre e figlia si ritrovarono sulla riva dell’Outa-gawa, era ormai buio.
C’era tantissima gente radunata accanto alle sponde del fiume e tutti recavano delle lanterne di carta per commemorare le anime di quelle persone che il sei di agosto di tanti anni prima avevano perso la vita quando il sole rosso* aveva posato i suoi tremendi raggi sulla città.
“Toru, coraggio, tocca a te!”
Si era chinata e, esitando, aveva posato la lanterna accesa sull’acqua. Accanto a lei, le persone si asciugavano gli occhi o pregavano commosse. Anche lei mormorò una preghiera per quella nonna che non aveva mai conosciuto e tenne lo sguardo sulla luce che splendeva sul fiume fino a quando non fu più possibile distinguerla dalle altre.
Sua madre le mise un braccio attorno alle spalle e la condusse via e la portò a bere qualcosa in un caffè poco lontano.
“Puoi farmi qualche domanda, se vuoi…” la incoraggiò per una volta Keito.
“Come si chiamava la nonna?”
“Si chiamava Haru.”
“E’ un’altra di quelle persone che sono morte per colpa delle radiazioni?”
“Sì. Si è trovata sotto la pioggia nera** e qualche anno dopo si è ammalata. Cancro.”
Toru fece segno che sì, aveva capito, anche la nonna di Sachiko, la sua compagna era morta a causa di un tumore “Allora Haru era di Hiroshima?”
Keito trasalì e strinse le labbra. Era giunto il momento di spiegare e la cosa non le piaceva per niente. “No, era di Tokyo e abitava nella stessa casa dove abitiamo noi.”
“Cosa ci faceva qui, allora?”
“Era venuta apposta perché sapeva che stava per accadere qualcosa di brutto.”
“Per quale motivo? Avrebbe dovuto scappare, invece di venire qui.”
Keito scosse il capo. “Perché era il suo destino…” sospirò. La più penosa conversazione di tutta la sua vita stava per avere inizio.
“Vedi, Toru… Noi siamo una famiglia molto particolare…”

Quando sua madre le aveva spiegato quale fosse il ruolo segreto della famiglia Magami, Toru non aveva ancora capito cosa fosse il destino.
Lo comprese solamente anni dopo, quando incontrò Saya e seppe che non c’era proprio niente che potesse fare per opporsi a quello che sarebbe accaduto.

* * *

“Tragedia evitata per un soffio questa mattina a Kyoto, in pieno centro…”
Saya stava ascoltando le notizie del giorno quasi distrattamente.
Aveva provato a leggere un libro, ma senza troppa convinzione e senza comprendere un granché di quel che c’era sulle pagine, per cui aveva acceso la radio, sintonizzandola sul primo canale disponibile.
Si era seduta a gambe incrociate sul tatami, dentro di sé un sentimento strano, indefinibile, che non la lasciava tranquilla: la notte precedente aveva fatto uno strano sogno, uno dei soliti sogni confusi che faceva sempre quando stava per accedere qualcosa a Toru.
Ora i suoi nervi erano tesi, all’erta, in attesa che succedesse qualcosa e, allo stesso tempo, sperando che la sua amica non avesse la peggio. Aveva messo a scaldare l’acqua per il tè senza quasi rendersene conto, aveva aperto il barattolo del bancha con mani tremanti e ne aveva posto un cucchiaino nella teiera, rovesciandone un po’ sul piano della cucina.
“… l’auto del Primo Ministro improvvisamente ha sbandato e l’autista ha perso il controllo della vettura, la quale ha sbandato pericolosamente per Shijo-dori, arrestando la sua corsa contro un palazzo. Quello che ha dell’incredibile Premier e Sakurakoji-san, l’autista, sono rimasti miracolosamente illesi…”
L’ultima frase pronunciata dallo speaker la strappò bruscamente al suo stato di indolenza e, rendendosi conto di quello che era veramente accaduto, trasalì e si portò una mano al cuore che aveva cominciato a pomparle dolorosamente nel petto.
Ecco, la notizia era arrivata.
In fretta, come si aspettava.
Puntuale, come sempre.
Ora solo un pensiero, solo una parola, solo una persona.
Toru.
Era balzata in piedi velocemente, di scatto, ed era corsa fuori, infilando due zoccoli diversi per la fretta.
* * *

Toru era seduta sulle ginocchia mentre cercava malamente di fasciarsi un braccio, tenendo ferma la benda con i denti, le sopracciglia aggrottate per lo sforzo. Quella volta non era andata troppo male: il braccio, qualche escoriazione sparsa e aveva netta l’impressione che di lì a poco un bel livido avrebbe fatto mostra di sé sul suo didietro.
Sentì scorrere poi sbattere la porta.
La stava aspettando, Saya era arrivata puntualissima.
“Toru!” esclamò cercando di riprendere il fiato.
“Ah, Saya!” la salutò Toru continuava l’automedicazione, sorridendo tra sé perché Saya sentiva sempre quando il suo destino la metteva al lavoro.
“S-stai bene…”
Toru lasciò cadere la benda: “Sì, sto bene. Non fare quella faccia, dai… E’ solamente un graffio.”
“Mi fai sempre preoccupare. Quando ho sentito quella notizia alla radio, io…”
“Saya, lo sai...”
“Sì, sì, lo so. Ma io…” e la voce le si incrinò e chinò il capo.
“Dai, lo vedi che sto bene, stai tranquilla.” Prese poi la benda che era finita sul tatami e la porse a Saya con un largo sorriso. “Non mi daresti una mano a fare questa fasciatura? Da sola non me la cavo e tu sei più brava di me in queste cose.”
Le accarezzò le dita, sorridendole appena. Ecco, Saya era arrivata. Ora restava solamente da trovare il coraggio per dirglielo e per non crollare subito dopo averglielo detto.
Saya prese la striscia di tessuto senza dire niente, ma mordendosi forte il labbro inferiore per non sfogare la preoccupazione davanti a lei. Sapeva benissimo che a Toru le scenate non piacevano.
Arrotolò la benda accuratamente, poi, gli occhi puntati a terra, chiese: “Dove lo tieni il balsamo di tigre?”
“Nell’armadio di camera mia. Ma vado io a…” Toru fece per alzarsi, ma venne bloccata recisamente dall’altra.
“Non se ne parla che tu ti alzi. Sei ferita, non ti devi affaticare. Andrò io.”
“Ma no, dai…”
Ma Saya era stata più veloce ed l’aveva battuta sul tempo, facendo scorrere la porta prima di Toru.
Toru si mordicchiò l’unghia dell’anulare, proprio lei che curava le sue mani in modo estremamente scrupoloso.
Si alzò. Oramai Saya doveva aver visto i bagagli, per cui la raggiunse mettendo un piede davanti all’altro, certa di stare per affrontare la conversazione più penosa della sua vita. Almeno non glielo aveva dovuto dire chiaramente che stava per partire. Incerta se maledire di più la sua codardia o il suo destino, Toru entrò nella camera.

* * *

Era stata parecchie volte in quella stanza, ma non aveva mai notato la foto che avevano fatto alla festa dell’ultimo anno delle superiori. Forse perché era la prima volta che la vedeva sul tavolino.
La prese in mano e la studiò attentamente. Toru era già quella donna alta e magra, mentre lei era sempre la solita, solo con qualche anno di meno e qualche chilo in più.
Fu solo qualche secondo dopo che Saya registrò la presenza di tre grosse valigie, ordinatamente disposte e già richiuse, pronte per essere portate a destinazione, qualunque essa fosse.
Rimase impietrita, senza muovere un passo e al colmo dello stupore.
La consapevolezza ed il dolore arrivarono dopo, ma ciò non stava a significare che fossero meno intensi.
“Io… Non volevo lo sapessi in questo modo.”
Toru era giunta silenziosamente alle sue spalle senza che Saya se ne fosse accorta.
Saya soffocò un singulto che le era salito alle labbra e ancora si morse forte il labbro per non gridare.
“In che modo avrei dovuto saperlo, allora…” bisbigliò poi con voce rotta. “Forse lo avresti detto a mio marito, oppure mi avresti lasciato un messaggio come hai fatto l’ultima volta che sei sparita…”
“No.” Rispose Toru, guardandola con uno sguardo rassegnato. “Sarei venuta stasera a salutarti e ad augurarti buona fortuna.” Disse quelle parole sapendo benissimo che non ce l’avrebbe fatta a dirle addio.
Saya annuì senza guardarla e senza troppa convinzione. Conosceva benissimo Toru, conosceva il destino di coloro che portavano il suo nome, ma non aveva mai fatto commenti sulle strane, improvvise sparizioni che avevano costellato la loro amicizia.
Saya aveva voltato le spalle alla donna bruna accanto a lei, la quale sapeva benissimo che l’altra stava facendo uno sforzo per non piangere e non voleva farsi vedere a quel modo, non da lei.
Toru le si avvicinò, trattenendosi dal posare un bacio sul collo candido dell’altra e di stringerla a sé e sussurrò: “Non volevi aiutarmi a fare la medicazione? Non te l’ho detto prima, ma la ferita mi dà parecchio fastidio.” Il tono era dolce, la voce era bassa. Toru pronunciò quelle parole con lo stesso tono che avrebbe usato per parlarle dei suoi sentimenti, quelli veri e tangibili.
L’altra, senza girarsi, rispose di rimando, un po’ bruscamente: “Sì, certo. Naturalmente. A… aspettami di là, io arrivo subito.”
“Sì, va bene. Ma non tardare, ti prego.” Le sussurrò all’orecchio, approfittandone per inalare il profumo della sua pelle.
Saya udì la porta scorrere e chiudersi lentamente alle sue spalle.
Cadde in ginocchio sul tatami, si nascose il viso fra le mani e, finalmente, lasciò libere quelle lacrime che stava trattenendo da quando Toru le aveva detto che se ne sarebbe andata.
Era diverso, questa volta.
Toru ogni tanto spariva e non si sapeva dove andasse. E spesso tornava con una cicatrice, un livido e delle escoriazioni; un paio di volte si era rotta un braccio e la caviglia. Tutto questo era parte del suo destino di Magami e lei lo accettava – doveva accettarlo - anche perché nell’imminenza di quelle partenze, Saya ricominciava ad avere quei sogni pieni di angoscia durante i quali accadeva che mentre stava parlando tranquillamente con Toru, all’improvviso, i contorni del suo volto e del suo corpo si facevano sfocati.
Nei sogni delle notti precedenti, la figura della sua amica era quasi completamente sparita e Saya sapeva bene che stava a significare che non l’avrebbe vista per molto tempo.
Ma doveva farsi forza, per cui asciugò le lacrime quasi con rabbia e afferrò la fotografia appoggiata lì vicino. Accarezzò con un dito l’immagine in corrispondenza del viso di Toru e la nascose tra le pieghe dello yukata. Forse Toru l’aveva lasciata lì apposta perché voleva che l’avesse lei.
Saya poi raggiunse l’amica e le si sedette di fronte, le gambe ripiegate sotto di sé.
“Non volevo lo sapessi così” ripeté.
Saya si limitò ad annuire e il silenzio cadde su di loro.
Saya sapeva benissimo di avere gli occhi rossi: le accadeva tutte le volte che piangeva. Toru non disse niente e la guardò con una tenerezza che le fece male al cuore.
Quando fu sufficientemente sicura di poter parlare senza tradire la sua emozione, Saya alzò gli occhi ma li riabbassò subito, non riuscendo ad incontrare lo sguardo dell’altra.
“Starai via molto.”
“Sì…”
“Perché proprio ora? Perché hai deciso di andartene adesso?”
Toru sospirò stancamente. Fece per aprire la bocca, ma la richiuse, mordendosi il labbro.
“E’ successo qualcosa che ha a che fare con la tua famiglia?”
L’altra scosse il capo, muovendo la lunga chioma scura. “No, non è successo niente. Ed è questo il punto.”

Saya riuscì ad alzare gli occhi. “Non capisco.” Toru allungò una mano per toccarla, ma all’ultimo, un istante prima di stringerle le dita tra le sue, la lasciò ricadere lungo il fianco. Odiava quello che stava per dire e se l’avesse toccata, si sarebbe persa in lei e non avrebbe più trovato il coraggio di pronunciare quelle parole: “Hai deciso di farti carico del destino che era stato tracciato per me. Ma non lo hai fatto…”
“Cosa stai dicendo?” Saya si era fatta pallida come un cencio.
Fu Toru a non avere il coraggio di guardarla in viso, questa volta. “Sì. Il tuo destino è quello di partorire due figli a Kyougo Mono, e di accogliere la spada dentro il tuo corpo al posto mio. Ma se non avrai quei due bambini...” La sua voce si fece più dolce mentre continuava a spiegare: “Io… io lo so che finché sarò vicina a te il tuo destino non potrà compiersi. Per questo ho deciso di andarmene.”
Saya si nascose il viso tra le mani per un momento: “Cosa credi, che non abbia pensato al nostro destino ogni giorno della mia vita? Perché non… perché non ce ne andiamo, io e te e ci lasciamo alle spalle il tuo nome, il nostro destino e… potremmo vivere felici.”
“No, non possiamo farlo, lo sai. Il nostro bene, la nostra felicità non sono importanti rispetto alla salvezza del mondo. Sia tu che io dovremo partorire dei figli che saranno importanti per decidere il destino del mondo, nel 1999, nella battaglia tra i Draghi del Cielo e i Draghi della Terra.”
“Ma questo destino ci è caduto addosso, noi non lo abbiamo scelto!”
“Noi Magami non abbiamo mai potuto scegliere. La nostra maledizione è nel nostro sangue e nel nome che portiamo. Tu, almeno…”
Saya non si rassegnava. “Io non ho avuto più scelta dal giorno che ti ho conosciuto, Toru! E poi, perché oggi? Non ho nemmeno il tempo di abituarmi al fatto che tu… che tu non ci sarai più vicino a me.”
Toru le pose dolcemente una mano sul ventre. “Perché stanotte potrebbe essere il momento giusto.”
Saya trasalì visibilmente: lei e Toru non si toccavano mai, era una sorta di regola non scritta tra loro: era già difficile fingere di essere solamente amiche, ma se avessero cominciato a toccarsi, l’impalcatura di bugie che avevano costruito tanto accuratamente per il mondo esterno per giustificare il loro strettissimo rapporto, non avrebbe resistito un attimo… e loro con esso. Nonostante annullarsi in Toru l’avrebbe portata a provare la gioia più grande, sapeva benissimo che ciò le era precluso.
“Ti prego, Toru…” le prese la mano e la guidò verso il basso, ma Toru si scostò piano.
“Saya-chan, non rendermi le cose più difficili di quanto non siano già… Torna da Kyougo, per favore.”
“Tu vuoi che faccia dei figli con Kyougo quando sai benissimo che non li amerò mai quanto amo te! Se dovrò scegliere tra loro e te, sai benissimo che sarai tu la mia scelta, Toru! E’ terribile pensare di portare in grembo dei figli che metterò sempre in secondo piano rispetto a te!”

“Non ci possiamo fare niente, Saya”. Lo sguardo fermo, tuttavia sereno negli occhi di Toru, raggelò Saya.
Toru avrebbe dato qualsiasi cosa per restare con Saya, con l’unica persona della quale le importasse veramente, oltre a sua sorella Tokiko, ma non poteva. Le conseguenze sarebbero state spaventose “Ora vai, Saya. Tuo marito ti sta aspettando.”

“Io non ce la faccio, Toru.” “Sciocchezze.” Le appoggiò le dita sulle labbra e Saya le baciò piano. “Tu sei forte e seguirai la tua strada, così come io seguirò la mia.”
L’aveva toccata ancora una volta. Ormai non aveva più senso trattenersi e non voleva farlo. L’importante era cogliere quegli ultimi attimi, quelle briciole di un amore che era destinato a non arrivare mai al suo culmine. Forse.
La spinse dolcemente verso la porta.
“Comunque, io tornerò. Non so quando, ma questo non è un addio. E’ scritto che ci dovremo incontrare ancora, assieme ai nostri figli.”
Saya azzardò una battuta: “Allora devo sbrigarmi a restare incinta, così sono sicura che tu tornerai prima.”
Toru le sorrise con tenerezza. “Già, è vero.”
Saya riprese, tornando seria: “Ho paura di non sapere cosa farne, di quei due bambini.” Disse sinceramente. “Non mi importa molto di loro.” Aggiunse, nell’ultimo tentativo di far cambiare idea alla donna che le stava di fronte.
Saya fece scorrere lentamente la porta mentre ricambiava il suo sorriso e l’ultima cosa che vide di Toru furono i suoi capelli lunghi e morbidi e scuri che aveva toccato troppe poche volte.
“Questo è l’ultimo dei problemi, amore mio” sussurrò Toru piano.
Andò nella sua camera e alzò la cornetta del telefono. “Pronto? Buonasera. Avevo prenotato un taxi per le otto, ma volevo sapere se era possibile venire ora a prendermi. Sì? Molto bene.
” Ormai era solo questione di tempo.
Il loro destino era già stato già deciso.

Saya era rimasta, nascosta dietro ad un’alta radura di bambù prospiciente il tempio ed aveva atteso.
Voleva vedere il suo viso ancora una volta. Aveva quella foto, ma voleva imprimerselo nella memoria perché aveva così paura di scordarselo a furia di pensarlo.
Che cosa buffa! A volte i visi degli estranei rimanevano per sempre nel ricordo, ma quelli delle persone che si amavano, sparivano piano piano diluendosi in contorni sfocati. Forse perché si pensavano troppo, talmente tanto che il ricordo si logorava nella mente e perdeva di intensità, quasi come un acquarello lasciato al sole.
Non dovette aspettare tanto: un taxi si fermò davanti alla casa e un secondo dopo, Toru fece la sua comparsa sulla soglia. Disse qualcosa all’uomo che le si era presentato davanti, poi sparì in casa a prendere le valigie che il tassista caricò in macchina.
Toru salì in vettura e dopo un attimo era sparita dalla sua vista e dalla sua vita e Saya si sentì come se qualcuno le avesse portato via l’anima: non sentiva più niente, non le importava più di nulla e, come un automa, rientrò in casa. Fece per sedersi ancora una volta sul tatami quando avvertì dei rumori nella cucina. Entrò nella stanza e vide Kyougo alle prese con un canovaccio mentre tentava di asciugare il mobile cottura e il pavimento sottostante, senza peraltro cavarsela molto bene.
L’acqua per il tè! Se n’era completamente dimenticata! Non aveva spento il fuoco sotto il pentolino per la fretta.
“Kyougo! Scusami, ho fatto un disastro.” Disse togliendogli di mano lo straccio.
“Non ti preoccupare: me la so cavare, anche se non tanto bene come te.”
Le stesse parole di Toru.
“Piuttosto”, proseguì Kyougo, “dove eri finita?”
“Ero andata ad aiutare Toru. Si è ferita e da sola non riusciva a farsi la fasciatura.”
“Ah, sì. Toru.” Saya era occupata a rimediare al pasticcio che aveva combinato e non si accorse dello strano sguardo di consapevolezza che era passato negli occhi di suo marito. Ma qualcosa nel suo tono la costrinse a fissarlo in viso, quasi come se lui… come se lui…
avesse capito. Ma non era possibile: erano sempre state così attente… La abbracciò con fare possessivo e la guardò con uno sguardo talmente carico di amore che Saya si sentì ancora una volta in colpa nei suoi confronti per quel sentimento che non poteva ricambiare.
Senza capire cosa la spinse a farlo, appoggiò una mano delicatamente sulla guancia di Kyougo e si alzò sulla punta dei piedi a baciarlo.
Dopo un attimo di stupore, lui cominciò a ricambiare il bacio: era la prima volta che Saya gli si avvicinava di sua iniziativa, “Andiamo in camera?” chiese la donna con voce strozzata quando si staccarono.
Ormai, aveva scelto, era stata costretta a farlo: Toru era partita e non c’era niente che potesse fare per farla ritornare da lei.
Non le restava altro che seguire la strada che qualcun altro aveva tracciato per lei, per loro.
Dopotutto, il loro destino era già stato deciso.

* * *

185: Sakura wa arigatou. Lei sa cosa voglio dire.

Ecco qua. Primo tentativo nel fandom di X, primo tentativo di scrivere una yuri. Spero che lo troviate accettabile.

* Il “sole rosso” è un modo molto poetico (non mio!) per definire quell’orrore che è stata la bomba esplosa sulla città di Hiroshima il giorno 6 agosto 1945 alle ore 8,15.
** La pioggia nera è una sostanza altamente radioattiva che, dopo lo scoppio della bomba, si è riversata sulla città. Moltissime persone che non sono decedute a causa dell’esplosione e che si sono trovate sotto questa pioggia nera, anni dopo hanno sviluppato tumori rari, difficilmente curabili. La piccola Sadako Sasaki, alla quale è dedicato il Children’s Peace Monument, è stata una di queste persone: al momento dello scoppio della bomba aveva due anni ed è morta a dodici a causa della leucemia.
   
 
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