Hidden from your truths
“Ventisette… ventotto… ventinove… trenta!” annunciò Sakura con voce squillante,
voltandosi di scatto per osservare l’elegante stanza in cui si trovava. Con
passi silenziosi si avvicinò all’ampia finestra e sbirciò dietro le tende
damascate, che dal soffitto scendevano pesanti fino al pavimento.
Niente.
Sempre con gli stessi movimenti felini si
inginocchiò accanto al letto, sollevandone le coperte. La polvere la fece
tossire, ma non se ne curò, troppo intenta nella ricerca di una sagoma dai
corti capelli biondi.
Niente nemmeno lì.
Sbuffando si diresse verso l’armadio scuro
e imponente, che dominava in altezza tutta la stanza, e aprì con impazienza le
quattro le ante, inondando la stanza con un forte odore di naftalina mischiato
a lavanda. Scostò gli abiti con fatica, ma trovò solo il liscio fondale in
legno.
Dove
diavolo è andato a cacciarsi? Si domandò
mentalmente, attorcigliando una lunga ciocca di capelli rosa attorno al dito.
Controllò rapidamente nella casa delle
bambole –come se fosse fisicamente possibile, anche per un bambino, entrarvici-, dietro alla cassettiera, nella cassettiera e poi nuovamente sotto al
letto. Poi un pensiero apparentemente illuminante le attraversò la mente.
Come un fulmine corse verso il corridoio,
facendo ticchettare le piccole scarpe numero trentadue sul lucido parquet.
Sempre correndo scese al piano inferiore facendo i gradini due a due,
rischiando così di rompersi il collo. Si fermò solamente in vista del
ripostiglio del sottoscala e un furbo sorriso le comparve sulle labbra.
Allungò lentamente la mano verso la
maniglia, poi, con un movimento rapido, la abbasso e spalancò la porta urlando:
“Trovato!”.
Davanti a lei, seduto sul pavimento, c’era
un bambino biondo di circa sette anni che la guardava imbronciato.
“Non vale!” scandì questi, puntandole il
dito contro. “Lo so che hai barato”.
Sakura sgranò gli occhi.
“E come avrei potuto barare, scusa?”
chiese, tornando ad assumere un’aria compiaciuta.
“Tu… Beh…” balbettò il bambino. “Tu hai ovviamente sbirciato”.
“Non è vero!” protestò scandalizzata
Sakura. “Naruto, ricordi cosa ti ha detto Tsunade sul
dire le bugie?”.
“Io sì, e tu?” replicò Naruto, incrociando
le braccia.
“Guarda che la colpa è tua” gli fece
notare. “Ti nascondi sempre qui, era ovvio che ti avrei scoperto così in
fretta” continuò, omettendo la parte riguardante la ‘disperata’ e poco
fruttuosa ricerca che aveva preceduto il ritrovamento.
“Allora tu non cercare sempre qui” ribatté
il biondo, come se fosse la cosa più normale del mondo.
“Ma così il gioco non avrebbe senso” spiegò
Sakura portandosi le mani ai fianchi.
“Non deve per forza avere senso” rispose
lui alzandosi in piedi e guardandola in tralice.
La bambina assottigliò gli occhi verdi.
“Invece sì!”.
“Ti dico di no!”
“E io dico di no!”
“Sì! Sì! Sì un miliardo di volte!”
“No!” gridò alla fine Sakura, esasperata.
“Smettila di fare il bambino!”
Naruto arricciò il naso.
“Ma io sono un bambino. E lo sei anche tu”
rispose con ovvietà. “Anche se tu sei una femmina, quindi sei una bambina”.
“Io non sono una bambina” disse lei
raddrizzando le spalle nel tentativo di assumere un atteggiamento adulto. “Io
sono una signorina, me lo dice sempre Tsunade-sama”.
“Sì, come no” borbottò Naruto torvo. “Voi
femmine vi credete sempre migliori di quello che siete. Sapete solo lamentarvi
e far diventare noiosi pure i giochi”.
“Questo perché tu non capisci niente! Sei
uno scemo!” gli rinfacciò Sakura, colpendolo con un piccolo pugno e correndo
poi al piano superiore. “Però con me ci vuoi sempre giocare, anche se sono una
femmina!” urlò infine con voce incrinata, una volta giunta in cima alle scale.
Il rumore della porta che veniva sbattuta
con violenza richiamò l’attenzione di Tsunade, che uscì dall’ufficio per
controllare l’accaduto.
“Non sono stato io!” disse prontamente
Naruto, appena scorse la figura della donna che lo fissava con sguardo
interrogativo.
Tsunade roteò gli occhi, maledicendo il
giorno in cui aveva deciso di prendere in affidamento quelle due pesti.
L’utilitaria
grigia imboccò la strada sterrata, procedendo a scossoni. Lungo tutto il viale
d’ingresso l’erba era cresciuta incolta, tanto da nascondere il percorso
originario e renderne difficoltoso tragitto.
All’ennesimo
sobbalzo, la donna alla giuda della vettura frenò bruscamente, tolse le chiavi
dal cruscotto e appoggiò la testa al volante.
Quella
mattina si era svegliata con un penetrante mal di testa che non accennava ad
andarsene, rendendole così impossibile andare al lavoro. Aveva preso
un’aspirina e si era coricata nuovamente in attesa che il dolore si
affievolisse, ma niente. Poi, quasi per caso, il suo sguardo era caduto sul
calendario appeso alla parete, costellato da numerose note e post-it.
Era
il 18 ottobre.
Un
brivido freddo le aveva percorso tutta la schiena. Si era alzata meccanicamente
e, come un automa, si era vestita, aveva messo sciarpa e cappotto e preso le
chiavi della macchina. Poi si era fermata, immobile, di fronte alla porta
d’ingresso.
Il
brivido l’aveva scossa nuovamente.
Tutto accadeva per un motivo.
Così,
nonostante il dolore e l’intontimento, era uscita di casa, aveva preso la
macchina e aveva guidato per ore nella campagna. Ed ora era arrivata.
Aprì
bruscamente la portiera, scendendo dalla vettura con movimenti carichi di
nervosismo. Guardò con astio le erbacce, inumidite dalla nebbia, che le
arrivavano quasi al ginocchio bagnandole i jeans. Strinse i pugni spazientita e
continuò a camminare.
Davanti
a lei si stagliava maestosa una villa vittoriana, ormai in rovina. Il secondo
piano era completamente crollato, mentre del primo non rimanevano che mura
carbonizzate. Il piano terra era sembrava integro –ma Sakura sapeva che non era
così-, ma inaccessibile dal lato est.
Raggiunse
il portico con passo incerto, brandendo il mazzo di fiori che teneva nella mano
destra come se fosse una spada. Con un piede saggiò la resistenza dei tre
gradini che l’avrebbero condotta alla veranda, assicurandosi che dopo tutto
quel tempo reggessero ancora il suo peso.
Sbuffò
nel constatare che la porta era stata sbarrata con due pesanti travi di legno,
messe per impedire l’accesso ad
eventuali
curiosi. Non le rimaneva altra soluzione che entrare da una finestra. Si
avvicinò a quella che ricordava appartenesse alla sala da pranzo e con poca
fatica riuscì a forzarne la chiusura ormai vecchia.
Con
uno salto scavalcò la finestra ed entrò in casa, trovandosi immersa nella
polvere. I pochi mobili ancora presenti erano stati ricoperti da spessi teli, a
loro volta ricoperti da pulviscolo e detriti. Un po’ come i suoi ricordi,
pensò.
“Bravissima Sakura, il professore di
chimica si è complimentato per la tua splendida relazione” disse Tsunade,
posando il bicchiere di vino sul tavolo. “Sono certa che avrai un futuro nella
medicina, proprio come me”.
Sakura abbassò gli occhi, sorridendo
lusingata.
“Ma il merito non è solo mio” disse, senza
togliere lo sguardo dal piatto. “Ho lavorato in coppia con Sasuke-kun…”.
“Un ottimo lavoro comunque” concluse
Tsunade. “Peccato che lo stesso non si possa dire per te, Naruto” aggiunse
accigliata, rivolta al ragazzino.
“Ma io sono bravo in molte altre cose”
rispose Naruto, continuando a masticare rumorosamente il boccone di carne.
“Tipo?”.
“Ora come ora non saprei” disse, preso alla
sprovvista. “Ma sono certo di essere migliore di Sasuke Uchiha in molte cose!”.
Tsunade scoppiò in una fragorosa risata,
ricordandosi la permalosità dei suoi tredici anni.
“Ecco dov’era il problema” celiò con l’aria
di chi la sa lunga. “Al nostro Naruto brucia essere surclassato –a scuola e in
amore- dal giovane Uchiha”.
“Non è vero!” protestò il biondo,
diventando improvvisamente color porpora.
“Però devi ammettere che ti supera in
tutto” disse Sakura, assumendo un’espressione pensierosa.
Naruto, classicamente imbronciato, si alzò
di scatto, andando a chiudersi del ripostiglio del sottoscala.
“Stavamo scherzando!” lo raggiunse la voce
di Sakura, ora fattasi più gentile. “Dai, esci da lì!”.
“Sakura-chan, Tsunade-sama, siete cattive!” disse da dietro la porta.
“Prima o poi sarò io il migliore in qualcosa” assicurò orgoglioso “e non
riderete più”.
Queste parole fecero sorridere la donna
che, con tono inaspettatamente materno disse: “Ne sono certa Naruto. Ne sono
certa”.
Le
assi del parquet scricchiolarono sotto al suo peso fino a farle temere il
peggio. Ogni passo lasciava nella polvere un’orma ben definita, segnando così
la strada percorsa: nonostante si trattasse di pochi metri, era come se stesse
camminando da ore. Ogni volta che portava un piede di fronte all’altro sentiva
su di sé il peso di un’età che ancora non aveva, così come la sfiducia e una
radicata malinconia.
Una
volta raggiunta la soglia della sala da pranzo si voltò, osservandola nella sua
completezza. Abbassando le palpebre era ancora certa di poter sentire i passi
di Tsunade provenire dal suo ufficio, la stanza limitrofa, e le grida di due
bambini risuonare dal piano sovrastante.
Avrebbe
voluto sentire ancora il delizioso profumo della cena provenire dalla cucina,
così come il delicato odore di bucato delle lenzuola della sua camera, e
giocare ancora con la sua vecchia casa delle bambole. Ma quella, probabilmente,
era andata distrutta nell’incendio che aveva logorato la villa nove anni prima.
A
testimonianza di quella tragedia, ora, non rimanevano che pareti spoglie
leggermente annerite dal fumo, nulla che
potesse ricordare anche solo vagamente l’inferno di quel giorno, di quel 18
ottobre.
Deglutendo
a fatica Sakura si spostò nel corridoio dove troneggiava l’imponente - e
distrutta- scala per il piano superiore. Sotto questa era ancora visibile una
piccola apertura, anche quella quasi completamente demolita.
Nel
guardarla trattenne un singhiozzo.
“Dove stai andando?” le chiese Naruto,
vedendola passare di fronte alla porta del salotto.
“Da nessuna parte” rispose prendendo il
cappotto dall’attaccapanni e abbottonandoselo con cura. “Come sto?” chiese poi,
facendo una giravolta su se stessa.
Naruto si strinse nelle spalle.
“Normale” disse laconico.
“Sii serio!” squittì Sakura cercando
qualcosa di non ben definito all’interno della borsetta. “Sono carina? Sono un
mostro? È meglio se mi cambio?”
“Non vedo che importanza abbia tutto
questo, visto che non stai andando da nessuna parte” ribatté lui con logica
ferrea.
La ragazza roteò gli occhi.
“Va bene, va bene” si arrese. “Esco con Sasuke”.
“Ah” fu la cosa più intelligente che Naruto
riuscì a dire.
“Oh, ti prego, non mostrare tutto questo
entusiasmo!” ironizzò Sakura. “Non fare
questi salti di gioia, mi imbarazzi troppo”.
“Cosa vuoi che ti dica?” le chiese
amareggiato. “Auguri e figli maschi”.
Sakura abbassò lo sguardo.
“Mi dispiace che tu la prenda in questo
modo” disse. “Sei il mio migliore amico, vorrei
che tu fossi almeno contento per me”.
“Ma sono contento” rispose lui con voce roca. “Comunque cambia
sciarpa e… divertiti”.
“Naruto io proprio non capisco perché ti
comporti così!” soffiò Sakura, che aveva ormai oltrepassato la soglia.
“Hai ragione” urlò Naruto dall’interno.
“Certe volte sei tu a non capire!”
La prima cosa che notò fu il fumo. Un fumo
nero e denso che si innalzava dalla villa di Tsunade-sama,
poi il fuoco e le luci intermittenti delle ambulanze. Poi, il buio.
Riaprendo gli occhi, pochi minuti dopo,
incontrò lo sguardo scosso di Tsunade avvolta in una pesante coperta di lana,
il volto leggermente scottato e macchiato di nero.
“Dov’è Naruto?” chiese con la voce
incrinata.
“Non è colpa tua” si sentì rispondere dalla
donna.
“Tsunade-sama,
dov’è Naruto?” chiese nuovamente, sentendo la
disperazione crescerle dentro.
“Lui…” iniziò Tsunade con la bocca asciutta. “Si era chiuso nel
sottoscala. Non si è accorto in tempo di ciò che stava accadendo e…”
Lasciò
cadere a terra il mazzo di fiori, improvvisamente priva di forze. Si sedette
per terra, incurante di ciò che la circondava, e toccandosi gli occhi li scoprì
bagnati.
Era
vero, certe volte era lei a non capire.
______
Ehm.
Ho deciso di pubblicarla circa dieci minuti fa…
So
che non è una delle mie one-shot migliori, ma
purtroppo non riesco a capire cosa dovrei sistemare. GRRR!
Mela