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Autore: PaleMagnolia    24/10/2008    0 recensioni
Il giovane, benestante Keith Finnegan viene ritrovato, morto, nel garage di casa sua. Nè Richard, l'ex fidanzato, nè la sorella Nicole credono che si tratti di suicidio. Richard indaga in sordina, cercando al contempo di non perdere il posto di protagonista nell'opera Le Corsaire, ottenuto in parte grazie al suo talento e in parte alle raccomandazioni di Keith. Le cose si complicano quando Elizabeth, prima ballerina della compagnia, diventa una presenza troppo assidua nella vita di Richard...
Genere: Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo un po' più lungo del solito, per tirare le fila della storia. Spero.

Quando ebbe in mano il biglietto, non si stupì nemmeno di vedere che, nello scrivere in fretta cell num

Quando ebbe in mano il biglietto, non si stupì nemmeno di vedere che, nello scrivere in fretta cell num., il notaio aveva tracciato la ‘n’ nel tratto nervoso e obliquo che aveva notato nelle firme dei testimoni.

Sapeva già tutto, ormai; aveva bisogno solo di capire come era successo, chi dei due avesse materialmente sparato. Non che avesse molta importanza; ma lo doveva a Keith.

“Mr. Wilkes? Sono Richard Williams.”

“Aspettavo la sua chiamata”, rispose l'uomo, quietamente. “Vediamoci al mio ufficio, fra mezz’ora.”

“Ci sarò.”

Chiuse il telefono.

Nicole lo guardava con gli occhi sbarrati. “Vuoi spiegarmi, per favore?”, chiese, allibita.

“So chi è l’assassino di tuo fratello. Anzi, gli assassini. Ora devo andare.”

Lei sbattè le palpebre. “Cosa? Dove? A chiamare la polizia?”

“A parlare con loro”, rispose semplicemente.

Sei matto?!” Nicole era sempre più confusa; pensò che Richard fosse impazzito.

“Non parli sul serio.”

Silenzio.

“Dick, se davvero quelle persone hanno sparato a Keith, cosa ti dice che non faranno lo stesso con te?”

“Perché io non ho fatto niente.”

“Scusami?”

“Non preoccuparti, Nikki. Non c’è motivo di avere paura di loro.”

“Ma se…”

“Davvero, Nikki, non devi avere paura.” Richard parlava in tono piatto, calmo, come in trance.

“Ti accompagno.”

No!” Si riscosse, quasi urlò. Si scusò subito. “Perdonami, ma è una cosa che devo fare da solo.”

“Sei fuori di testa”

“Ti racconterò tutto quando torno.”

Nicole lo fissò. “Non penserai sul serio che ti lasci andare a incontrare due assassini. Io chiamo la polizia.”

Allungò la mano verso il telefono, ma la mano di Richard spinse di nuovo la cornetta al suo posto.

“No. Per favore, fidati. Se non ti contatto entro un paio d’ore, puoi chiamare chi vuoi. Ma prima di allora, mi devi lasciare parlare con loro.”

“Ma…”

“Ci sentiamo, Nic. Prendo in prestito la fotografia.”

“Richard…”

Ma lui era già uscito dalla stanza. Nicole sentì la porta d’ingresso sbattere.

Benjamin Wilkes sentì bussare con discrezione alla porta.

“Entra pure, Richard.”

Richard si richiuse la porta alle spalle con un debole clic.

Il notaio gli dava le spalle. Teneva in mano una foto di famiglia in una cornice d’argento. Il vetro sulla fotografia rifletteva la luce che entrava dalla finestra sul viso del notaio, come uno specchio.

“So cos'è successo”, disse Richard, a disagio. Ora che era lì, non sapeva bene come comportarsi.

“Lo so.” Il notaio posò la cornice sulla scrivania e si voltò verso di lui. Sul suo volto non c’era paura, né rabbia, o sconforto, ma solo una placida, quieta rassegnazione.

“L’ho capito nel momento stesso in cui mi hai chiamato.”

Ci fu un lungo silenzio.

“Perché?”, chiese Richard infine, con un sospiro.

“Vieni qui, per favore.” Indicò la cornice. “Guarda.”

Richard prese la fotografia. Sullo sfondo di un prato verdissimo, stavano quattro figure in leggeri abiti estivi; sorridevano con allegria, senza forzatura, come se avessero visto qualcosa di divertente.

Un Benjamin Wilkes senza capelli grigi passava il braccio attorno alle spalle di una donna dal viso dolce e dai capelli scuri. Una bambina, indosso un vestito di cotone a quadretti, strizzava gli occhi azzurri - identici a quelli del padre - dietro un paio di occhiali; poggiava la testa sulla spalla di un ragazzo robusto e abbronzato, in calzoncini corti. Erano seduti su una tovaglia, stesa sull’erba, e un thermos pieno di tè freddo spuntava in mezzo a loro da una montagna di tovagliolini di carta.

John ed Elizabeth Wilkes con i genitori.

Richard estrasse dalla tasca la fotografia di Keith e confrontò le due immagini.

La Elizabeth che lui conosceva, coi capelli tinti e le lenti a contatto, si sovrappose alla bambina sorridente nelle fotografie.

“La mia era una famiglia felice. Oh, ma non una di quelle che fingono di esserlo, e nascondono i problemi dietro i barbecue con gli amici e lo steccato bianco. Noi eravamo felici davvero. Mia moglie era una donna fragile," disse. "Ma era anche così dolce, una così brava mamma… E sembrava avere trovato un po’ di serenità, nei figli, nella vita di casa.” Sospirò.

“E John! L’avevamo chiamato come suo nonno. Un ragazzo eccezionale. Sportivo, studioso, gentile con tutti: Beth lo adorava, gli stava sempre intorno. E mai che lui si infastidisse” prese in mano la fotografia di Richard, sorrise tristemente. “Anzi, la portava con sé alle gare della scuola, le aveva insegnato il tiro a volo. Un altro ragazzo non avrebbe voluto che la sorellina lo tediasse quando era con gli amici, ma a lui non dispiaceva.”

Posò la foto, si girò verso Richard..

“Quando morì… Mia moglie non resse il colpo. Era sempre stata così fragile." ripetè. "Si uccise coi gas di scarico, in garage, una mattina che io e Beth eravamo fuori casa. Beth uscì quasi di senno, quando la trovò.”

“Fu lei a trovare la madre?” Richard si sentì invadere da un impeto di pietà e orrore.

“Sì, e di questo non mi perdonerò mai. Charlotte teneva in garage i prodotti per la pulizia, perché non fossero alla portata di Beth e John quando erano bambini. Quando non la vidi in casa, pensai che fosse andata a prendere qualche detersivo in garage, e mandai Elizabeth a darle una mano.”

Si tolse gli occhiali e passò una mano sugli occhi.

"Ma che cosa c'entrava, Keith, con tutto questo?", chiese Richard, un nodo alla gola. Non riusciva a biasimare Wilkes e la figlia per quel che avevano fatto.

“John lo adorava: Keith era il suo migliore amico, il suo idolo, il suo eroe. E come dargli torto? Era brillante, popolare, espansivo. I professori lo avevano in simpatia, piaceva alle ragazze. Quando Keith cominciò a fare uso di droghe, John cercò di aiutarlo, ma alla fine ci cadde anche lui. Non so come sia successo; ma una sera erano ad una festa studentesca, e John si sentì male: morì poco dopo, in ospedale, senza riprendere conoscenza.”

Richard lo fissò.

“Quindi non è certo che sia stato Keith a dargli la dose che l’ha ucciso.”

“Invece sì. John non si drogava; avrebbe accettato di farlo solo se gliel’avesse chiesto Keith.”

Nel momento in cui lo diceva, Richard capì che era vero. Keith aveva il dono di convincere le persone a fare cose che non avrebbero mai sognato di fare. Era successo anche con lui: la sua vita era cambiata da quando lo aveva conosciuto: molti dei suoi gusti si erano trasformati, a emulazione quelli di Keith – il rito del caffè, i locali, i vestiti. Prima di conoscerlo, non era mai stato attratto da un uomo.

“Mi dispiace”, disse semplicemente. “Mi dispiace davvero. Ma non avrebbe dovuto ucciderlo lo stesso”

“Infatti. Non l’ha ucciso lui.”

 

  
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