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Autore: hahahahaha    09/11/2014    0 recensioni
Mi chiamo Charlotte, da fuori sembro una normale ragazza di 17 anni, capelli biondo platino e gli occhi color ghiaccio. Quello che nessuno sa è che ho dei poteri...
Genere: Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Charles Xavier/Professor X
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Mi chiamo Charlotte, da fuori sembro una normale ragazza di 17 anni, capelli biondo platino e gli occhi color ghiaccio. Quello che nessuno sa è che ho dei poteri, o almeno nessuno lo sapeva finché non sono arrivata in un collegio per persone speciali, come me. Mi trovavo abbastanza bene e i giorni passavano in fretta, avevo imparato a sviluppare i miei poteri: potevo creare il ghiaccio, per questo il colore degli occhi, loro riflettevano il mio potere. Ero al collegio da qualche anno e avevo molti amici in particolare Luca, con cui avevo legato molto. Lui conosceva tutto di me ed io tutto di lui, eravamo inseparabili e niente ci avrebbe mai divisi, almeno così credevo. La sua abilità era unica, bellissima: era immortale, anche se lo ferivi il taglio si rimarginava ed era come se non fosse successo niente, aveva tre artigli che uscivano dalle nocche in grado di perforare qualsiasi e cosa. Adoravo stare vicino a lui, mi sentivo protetta, al sicuro. Luca aveva i capelli corti, castano scuro e gli occhi verdi. Non avevamo niente in comune, tranne il nostro “essere speciali”. Al collegio insegnavano anche materie normali come matematica, italiano e geografia, materie in cui non eccellevo, a quelle preferivo gli allenamenti. Un giorno arrivo un ragazzo nuovo, aveva gli occhi nerissimi come i capelli, incuteva paura ma allo stesso tempo appariva gentile e simpatico. Io e Luca andammo subito a conoscerlo, al primo impatto fu scontroso e arrogante, ma poi man mano che lo che lo conoscevamo capimmo che era simpatico e gentile anche se continuava a farmi una strana impressione, come se avessi paura di lui. Si chiamava Marco, poteva manipolare il fuoco a suo piacimento ma non crearlo, per questo si portava sempre in giro il suo accendino. Quando mi accorsi che i suoi poteri erano l’opposto dei miei mi sembro strano, ma non ci pensai molto. Il giorno dopo il direttore mi fece andare nel suo ufficio per parlarmi, mi parve molto strano visto che non pensavo di aver fatto qualcosa di sbagliato. Il direttore del collegio era un uomo molto gentile, premuroso e paziente, sui 44 anni; non si arrabbiava quasi mai. Per me era come un padre, fu lui che mi trovò dopo che i miei genitori mi abbandonarono e mi porto con sé. Anche lui era un mutante ed era potentissimo, poteva controllare la mente delle persone e leggergli nel pensiero inducendole al proprio servizio. Quando entrai nell’ufficio la prima cosa che notai è che c’era anche Marco, a quel punto iniziai a non capire più nulla, ero molto confusa e non avevo la minima idea di cosa mi volessero dire. Marco era appena entrato nella mia vita e già mi aveva messo nei guai. Il direttore iniziò a parlare e ci spiegò il motivo per cui ci aveva convocati, il motivo era semplice se mai avessimo unito i nostri poteri avremmo creato un’energia inimmaginabile. Noi non ne capivamo il motivo visto che non eravamo gli unici mutanti con poteri opposti ma lui ci mandò via dicendoci che avremmo dovuto capirlo da soli. Dopo essere uscita dall’ufficio passai l’intera giornata a riflettere su ciò che il direttore ci aveva detto. Durante la pausa delle lezioni ero come tutti i giorni con Luca, e dopo avergli spiegato l’accaduto iniziammo ad avviarci verso la classe di biologia, non particolarmente felici visto che entrambi odiavamo quella materia, quando vedemmo una porticina che non avevamo mai visto. Era piuttosto piccola e scura, forse era per questo che nessuno ci aveva mai fatto caso. Presi per un braccio Luca e ci dirigemmo verso quella porticina ma proprio mentre stavamo per entrare arrivò la professoressa Greenwood, una donna molto severa e rigida, chiunque avesse infranto le regole con lei intorno, si sarebbe trovato con una punizione esemplare. La professoressa vedendoci nei corridoi in orario di lezioni ci portò subito nell’ufficio del direttore dove ci fu dato per punizione il compito andare ogni sera a pulire i corridoi per una settimana, poi ci rispedirono in classe. Finirono le lezioni e andammo a mangiare, il pomeriggio avremmo avuto gli allenamenti quindi dovevamo riposarci e non mangiare pesante. Gli allenamenti durarono circa tre o quattro ore dopodiché andammo a farci una doccia veloce perché la sera avremmo dovuto andare a pulire i corridoi per punizione. Mentre mi stavo dirigendo verso la camera di Luca mi scontrai con un ragazzo e caddi per terra, alzai la testa e vidi Marco che si scusò con me, poi mi salutò e scomparve nel buio. Ancora stranita da quell’incontro arrivai alla stanza del mio migliore amico e insieme andammo dal direttore che ci fece dare il necessario per le pulizie. Passammo tutta la notte a fare le pulizie dopo un po’ passai davanti alla porticina che avevamo visto quella mattina e incuriosita cercai di aprirla, ma purtroppo era chiusa a chiave. Chiamai Luca per vedere se almeno lui riusciva a forzarla ma fu tutto inutile. Così ritornammo a pulire. La mattina dopo eravamo esausti, con due occhiaie enormi e come al solito in ritardo per le lezioni mattutine. Corremmo come dei pazzi nella speranza di arrivare in tempo senza ricevere ulteriori punizioni. Per fortuna per la prima volta da quando ero arrivata al collegio arrivammo puntuali anche se  con un aspetto mostruoso: entrambi indossavamo il pigiama ed eravamo scalzi, io ero senza trucco e con i capelli spettinati, anche se non avrei mai potuto essere peggio del mio amico che aveva i capelli completamente per aria. Appena varcammo la porta della classe ci fu una risata generale nata grazie al nostro aspetto dovuto a quella tremenda punizione. Stavano ridendo tutti, tranne Marco, lui stava seduto al suo posto, rigido, serio, impassibile, senza dire ne fare nulla e non ne capivo il motivo, dopotutto anch’io avrei riso vedendomi in quello stato. Ma in quel momento la mia concentrazione non era rivolta ne verso l’intera classe che stava ridendo di noi due ne verso Luca che si stava addormentando in piedi di fianco a me, era rivolta verso Marco ma non sul motivo per cui non stesse ridendo, no, la mia attenzione era rivolta sul fatto che era seduto al mio posto! Quel posto per me era importane: quello era stato il mio primo ed unico posto da quando ero arrivata al collegio, in quel posto avevo conosciuto Luca, lì ho passato tutte le lezioni e fatto i miei pisolini, lì avevo preso il mio primo due e gli infiniti altri orrendi voti seguenti, su quel banco avevo perfino inciso il mio nome nella speranza che nessuno oltre a me si sedesse o che comunque si sapesse che io ero stata lì; e da un giorno all’altro arriva lui e fa come se fosse a casa sua sedendosi al mio posto e facendo finta di nulla come se fosse chissà chi. Furiosa mi precipitai da lui e spostandogli la sedia lo feci cadere a terra sedendomi io al suo posto. Appena si rialzò iniziò a darmi dell’incapace e io di tutta risposta feci finta di nulla dicendogli solamente che essendo quello il mio posto avevo tutto il diritto di farlo ed era lui quello che era nel torto. Dette queste parole si allontanò e si mise a sedere nell’unico posto libero della classe, dall’altra parte della stanza. Intanto Luca si era seduto al suo posto accanto al mio e avendo assistito alla scena di prima stava ridendo come un matto. Dopo qualche minuto entrò il professor Simpson e iniziò a spiegare filosofia, noiosa come sempre, così per compensare la notte passata in bianco, mi misi tranquillamente a dormire cosa che non tardò a fare anche Luca e il resto della classe, tranne Marco lui continuava a stare rigido e ad ascoltare la lezione. Mi svegliai grazie al suono della campanella e notai che il ragazzo di fuoco mi stava guardando ma non ci feci molto caso dato che le lezioni erano finite, così andai in mensa. La sera ero di nuovo nei corridoi a pulire ma questa volta andai subito dalla porticina e usando tutta la mia forza, unita anche a quella di Luca, riuscimmo ad aprirla. Dentro era molto buio e polveroso, non mancavano le ragnatele che di certo non aiutavano a rallegrare l’ambiente, prendemmo una torcia nel ripostiglio in cui si tenevano le scope e il necessario per pulire, sapevamo che tenevano un paio di torce in caso di blackout o altre emergenze. Dopo averle prese esplorammo quella stanza tanto polverosa, si respirava a fatica e continuavamo a tossire. Era pieno di mobili polverosi, quadri, tappeti, sembrava l’arredamento di una vecchia casa; andando avanti con la nostra esplorazione trovai un mobiletto che a differenza di ciò che ci circondava non aveva polvere sulla sua superficie, come se fosse stato utilizzato di recente. Senza avvisare Luca, che era impegnato nel capire cosa fossero alcuni oggetti, mi avviai verso il mobiletto che aveva tutta l’aria di un vecchio comodino e notando che aveva un cassetto lo aprii, lì trovai alcune foto nella prima erano ritratti un uomo e una donna sulla trentina d’anni, l’uomo era in tutto e per tutto simile a me: capelli biondo platino e occhi color ghiaccio, mi venne il sospetto che fosse mio padre ma pensai che non era possibile perché, da quel che sapevo, i miei genitori non centravano niente con il collegio. La donna invece aveva i capelli nerissimi come gli occhi, assomigliava a Marco… In quasi tutte le foto successive continuavano a tornare i volti delle due persone protagoniste della prima foto, spesso in pose romantiche che facevano intuire che fossero fidanzati o addirittura sposati, cosa che faceva crescere sempre di più il dubbio che fossero i miei genitori. Nell’ultima foto in braccio alla coppia c’erano due neonati: un bambino moro con gli occhi neri e una bambina bionda con degli occhi di ghiaccio. Estrassi dalla tasca la mia foto di quando ero piccola, trovata qualche tempo prima nell’ufficio del direttore, la guardai attentamente e in seguito la confrontai con la foto di prima. A quel punto non avevo dubbi, quella bambina ero io ma nella testa avevo molte altre domande: Chi era l’altro bambino? Era mio fratello? Chi erano quell’uomo e quella donna? Stavo impazzendo, non capivo più nulla. Continuai a frugare nel cassetto alla ricerca disperata di qualcosa che mi aiutasse a vederci più chiaro, continuavo a cercare come una pazza piangendo; Luca confuso si avvicinò a me e iniziò a consolarmi, appena mi calmai gli spiegai tutto nei dettagli. Anche lui affermò che la bambina non potevo che essere io e che l’uomo era sicuramente mio padre ma sulla donna era molto restio a pensare che fosse mia madre, certo i suoi lineamenti mi somigliavano ma per il resto era il mio opposto, così come quel mio presunto fratello. Detto questo rincominciammo a cercare nel cassetto, ad un certo punto a Luca cadde la torcia sul cassetto, questa fece un rumore sordo, cosa che succede solitamente quando la superficie è vuota. Questo ci incuriosì e provammo a vedere se ci fosse un doppio fondo o qualcosa simile, riuscimmo ad alzare la sottile listella di legno; sotto erano custodite una lettera e una collana a forma di cuore, la osservai e la aprii dentro c’erano due foto sempre a forma di cuore in una c’era la donna con i capelli corvini e gli occhi neri, nell’altra l’uomo biondo con gli occhi color ghiaccio. Era bellissima e me la misi, nascondendola sotto la maglietta. Poi afferrai la lettera e iniziai a leggerla:
“Cara Charlotte, figlia amata, sono sicura che ti hanno nascosto la verità su di me e suo tuo padre, se con questa lettera troverai anche la collana vedrai le nostre due fotografia. So che non penserai che io sia veramente tua madre, dopotutto siamo così diverse: tu hai l’aspetto di tuo padre, il carattere lo capirai da sola, con il tempo. Mi dispiace così tanto di non avere potuto vederti crescere, la mia bambina, ora sarai sicuramente una ragazza bellissima e con un potere bellissimo, il ghiaccio in questo mi assomigli, anch’io posso creare il ghiaccio ma non posso modellarlo come fai tu, ed è questo che ti rende così speciale. Non so se lo sai, spero di non essere io a rivelartelo, hai un fratello, si chiama Marco e ha la tua età, mi assomiglia molto ha i miei capelli neri, scuri come gli occhi, lui può manipolare il fuoco. Non so cosa ti abbiano raccontato su di noi ma so che non ti hanno detto la verità. I miei poteri e quelli di tuo padre sono opposti ma ovviamente questo non è speciale, non siamo gli unici, ci siamo conosciuti qui al collegio e ci siamo innamorati, col tempo ci siamo sposati e siamo andati a vivere in una casa fuori città. Desideravamo molto una famiglia che comprendesse anche dei bambini e così dopo nove mesi il nostro sogno si avverò e tu e Marco veniste al mondo, non pensavamo di fare niente di male dopotutto ci sono tantissimi mutanti che fanno la stessa cosa. Più avanti un nostro caro amico, conosciuto tempo prima al collegio e nuovo direttore, Charles Xavier, ci disse che eravamo in pericolo perché le autorità mutanti avevano saputo della vostra nascita ed erano furiosi, la nostra unione era stata un sacrilegio che aveva creato un’energia capace di distruggere l’intera umanità, questa energia era racchiusa in voi due, nei miei figli. Noi avevamo paura che potessero farvi del male. Non capivamo come noi due avevamo potuto creare tutto ciò. Non riuscimmo a capirlo Charles ci disse che sarebbero venuti a prenderci e a portarci chissà dove, avrebbero bruciato la casa con voi dentro per eliminarmi; così affidammo te a Charles che ti avrebbe tenuta al sicuro al collegio e Marco ad un’altra famiglia. Vi volevamo talmente bene che avremmo fatto qualsiasi cosa per proteggervi. Spero che un giorno ci rivedremo figlia mia e dopo questa lettera ci perdonerai di averti abbandonata.                                                                                                      
Con affetto Leyla, tua madre.”
Finii di leggere la lettera mentalmente piangendo, Luca mi stringeva forte a se per sostenermi, mi sentivo in colpa: per tutti questi anni avevo odiato i miei genitori per avermi abbandonato, chiamandoli egoisti, cattivi, senza cuore e ora che scopro tutto ciò mi accorgo di essere io la malvagia che non ha capito niente ne della sua vita ne dei suoi genitori. Mi sento uno schifo e inizio a impazzire, prendendo i mobili a pugni o rompendoli, il mio amico cercava di placare la mia ira ma io ero invasa dalla rabbia che impediva di farmi ragionare. Dopo un po’ mi fermai, tutto ad un tratto e iniziai a correre fuori alla ricerca della camera di Marco, mio fratello, sotto la pioggia che intanto aveva iniziato a scendere forte, come le mie lacrime. Arrivai alla stanza 763, la camera che avevano assegnato giorni fa al ragazzo di fuoco, quel ragazzo che odiavo, quello che mi aveva rubato il posto, quello che mi aveva chiamata impedita numerose volte, quello ai cui rivolgevo lo sguardo rarissime volte ma a tutte mi veniva una sensazione strana, che non capivo, ma che ora capivo lui era il fratello che non sapevo di avere, era l’unica parte della mia famiglia con cui potevo stare e da cui non mi sarei separata mai. Entrai senza bussare, non m’importava molto in quel momento, facendolo svegliare e corsi ad abbracciarlo. Parlammo tutta la notte e mi raccontò cosa gli era successo: era stato affidato ad una famiglia con altri due figli mutanti, appena compii 16 anni gli raccontarono la verità sui nostri genitori e su di me. Appena lo scoprì iniziò a cercarmi per più di un anno finché non seppe del collegio e qui mi trovo all’oscuro di tutto e aspettò fino ad allora. Ci abbracciammo per molto tempo, come solo un fratello ed una sorella sapevano fare, eravamo finalmente insieme e così volevamo restare. La mattina dopo salutai mio fratello, mi piaceva chiamarlo così mi faceva stare bene, mi sentivo completa quando lo dicevo, probabilmente ciò era dovuto alla notte passate insonne che iniziava a farmi impazzire completamente facendomi straparlare. Andai nella mia stanza per cambiarmi, truccarmi e pettinarmi, il quale era più un tentativo disperato di non sembrare una che aveva appena preso una scossa elettrica; poi invece di andare a lezione di geografia mi diressi verso l’ufficio del direttore o meglio l’ufficio del signor Charles Xavier, spalancai la porta arrabbiata per tutte le bugie che mi aveva detto per l’immagine che mi aveva fatto dei miei genitori. Gli dissi tutto per filo e per segno mentre lui mi guardava a metà tra lo stupito e lo spaventato. Alla fine del mio racconto aveva le lacrime agli occhi ma nonostante ciò non riuscivo a non disprezzarlo. Mi disse solamente tre parole: via Washington 97, dedussi che era il posto dove si trovavano i miei genitori, poi scomparve come un vigliacco, come uno che non ha il coraggio di affrontare la realtà e confessare tutta la verità. Corsi da Marco e noncurante della lezione presi Marco e Luca raccontandogli tutto mentre ci dirigevamo verso il parcheggio, prendemmo la macchina del mio migliore amico, dato che era l’unico con la patente e ci dirigemmo al posto prima indicato da quel codardo. Lo raggiungemmo in fretta, fortunatamente visto che durante il viaggio nessuno osava aprire bocca come se ci avessero tolto la lingua invece che i genitori, entrammo nell’edificio non molto allegro e con i vetri completamente oscurati, non era molto confortevole ma pensandoci bene era quello che ci aspettavamo… Presi per mano i due ragazzi vicino a me ed entrammo. Ci accorgemmo presto che quello non era una casa bensì un cimitero, questo mi fece pensare solo al peggio. Riflettei a lungo, poi pensai a quella cosa che mi diceva sempre il direttore, quell’uomo patetico, mi ripeteva sempre il suo numero preferito: il 45. Contai le tombe fino ad arrivare a quel numero lessi i nomi sulla lapide: Leyla e Peter Clarkson 1971-1996 1970-1996. Scoppiai a piangere e Marco con me, Luca cercava di consolarmi ma senza successo, presi mio fratello e corremmo fino al collegio, lui non capiva ma io sì ed era questo che importava. Andammo fino all’ufficio del professor X e lì lo trovammo, con un sorrisetto stampato in volto, appena lo vidi mi venne l’istinto di picchiarlo. Gli chiedemmo il motivo perché ci avesse nascosto la morte dei nostri genitori, senza aprire bocca premette un pulsante e ci porto in una stanza che era nascosta dietro la libreria che lui aveva spostato quando aveva premuto quel bottone. Quello era la sede delle autorità mutanti, ma per me erano solo quelli che avevano ucciso i miei genitori. Erano riuniti intorno ad un tavolo rotondo e stavano discutendo animatamente, appena ci videro si bloccarono a metà fra il sorpresi e lo spaventati. Il direttore, l’uomo di cui prima mi fidavo ci presentò a loro e loro a noi, ci raccontarono la verità finalmente. Dopo che presero i nostri genitori vedettero che la casa era vuota e senza noi due, sapevano che almeno uno dei due bambini era da Charles e andarono da lui, lo torturano ma non disse nulla riguardo a noi alla fine lo uccisero. Poi lo sostituirono con un altro uomo. Alla fine del racconto ero sconvolta: il vero direttore era un uomo buono e leale non come quello che aveva preso il suo posto. Un uomo con una folta barba ci offrii un bicchiere d’acqua, io non lo presi non mi sarei mai fidata di loro e non avrei mai accettato niente da quelle persone, Marco lo prese e lo bevve prima che lo potessi fermare, ad un tratto iniziò ad urlare dal dolore mentre tremava, dopo pochi minuti cadde a terra vomitando, improvvisamente si fermò, occhi serrati, respiro nullo, morto. Iniziai ad urlare dal dolore per averlo già perso dopo così poco tempo che l’avevo conosciuto, dal mio corpo iniziò a uscire un energia che non sapevo di avere, poi diventò tutto buio. Mi risvegliai in un luogo bianco, sdraiata sopra un letto con mille macchine strane intorno e accanto a me Luca, gli chiesi cosa fosse successo e lui con calma mi disse solo: “ Stai tranquilla, è tutto finito” e mi baciò.         
 
  
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