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Autore: Ameliasvk    12/11/2014    10 recensioni
"In principio ci furono le fiamme."
Londra, 1882. Amelie von Kleemt è una giovane di buona famiglia, ed ha tutto ciò che una ragazza della sua età possa desiderare: un nome altisonante, una casa lussuosa, innumerevoli vestiti, gioielli e... un fidanzato che non ha nemmeno mai visto in volto. Accade però che durante la festa di fidanzamento, la ragazza viene a conoscenza della più orrenda delle verità. Chi sono le creature che popolano i suoi incubi? Cosa vogliono da lei... ma soprattutto, sono reali? Ma è proprio quando tutte le sue speranze crollarono in mille pezzi, che Amelie viene salvata da un misterioso ragazzo, il quale, subito dopo…
Genere: Dark, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 1

L'Uomo Del Mistero

_ Amelie_

Londra, 1882.
         Presa dallo spavento, mi svegliai di soprassalto.
Avevo la fronte madida di sudore ed il cuore così agitato che quasi sembrava volesse uscirmi fuori petto. Fuori era buio, ma ovunque posassi lo sguardo non vedevo altro che piccole macchioline rosse danzare per aria.
Terrorizzata, mi guardai intorno per capire cosa diamine fosse accaduto e perché mai mi trovassi vestita di tutto punto, in un posto polveroso e sporco come la vecchia biblioteca!
         Ancora intontita dal sonno, mi alzai in piedi di scatto, tuttavia ci misi troppa foga nel farlo e prima ancora che potessi accorgermene, fui investita da una pioggia di antichi tomi consunti, spessi e pesanti come grossi mattoni.
         “Meraviglioso” pensai, “ci mancava solo questa!”.
         Del tutto scocciata, mi rialzai da terra scansando i libri con un piede.
Notai dispiaciuta che il mio bel vestito di seta verde era diventato ormai inutilizzabile: c'erano delle profonde scuciture sulle maniche e sulla scollatura, le gonne si erano sporcate d’inchiostro e polvere, mentre su alcuni punti penzolavano fili di ragnatela e  pezzi di stoffa sgualcita.
         “Dannazione!” imprecai tra me e me. 
         Di quel vestito non me ne importava poi molto, ma era pur sempre un regalo di Lamia, e come tale andava difeso a costo della vita.
Dopo l’ennesimo litigio avuto con lei, infatti, mi ero rifugiata in quella vecchia stanza così da sbollire i nervi e stare per un po’ di tempo in pace con me stessa. In fin dei conti, sapevo di essere un'inetta, ne ero ben cosciente e fuggire di fronte alle difficoltà era la cosa che sapevo fare meglio.
Per quanto riguardava il disastro che avevo addosso, invece... dovevo essermi addormentata sotto il tavolo senza rendermene conto, facendo nuovamente quell'orrido incubo che da sempre mi perseguitava.
         Nel ripensarci, un brivido di terrore mi corse lungo la schiena e con stupore, mi resi conto che la nebbiolina scarlatta che mi velava gli occhi, ormai si era dissolta nel nulla come neve al sole.
         Sicuramente, Eva ci avrebbe messo poco tempo a trovarmi: sapeva bene quali fossero i miei nascondigli e tra l'altro, non era certo complicato per lei scrutare all'interno dei miei pensieri. Mi conosceva meglio di chiunque altro; peccato però, che di chiedere scusa a Lamia, non volessi proprio saperne: lei era nel torto ed io avevo ragione.
Abbastanza semplice come concetto, no?
Sposare uno sconosciuto era un'idea pressoché inconcepibile, che non stava né in cielo né in terra! Oltretutto faticavo a comprendere il tornaconto personale di quell'uomo, dato che la primogenita era Eva e nelle mie vene non scorreva neanche una goccia del sangue dei von Kleemt.
Avrebbe ereditato tutto lei.
I miei genitori adottivi non volevano sentire ragioni e per quanto riguardava le questioni sulla mia nascita, erano pronti a tutto purché la cosa restasse segreta; io stessa avevo scoperto la verità solo da pochi anni.
         Comunque, oramai era ufficiale e nel giro di qualche mese sarei diventata la moglie di un perfetto sconosciuto.
Ero contrariata, triste ed amareggiata, ma la cosa che più di tutte m'infastidiva, era quella di esser trattata come merce di scambio.
Cosa credevano che fossi? Una mucca?
James e Lamia avevano taciuto fino all’ultimo secondo sull’identità di questo fantomatico marito, almeno fino a quel giorno; e cioè il giorno del mio fidanzamento ufficiale. Quella sera, infatti, si sarebbe tenuto un ballo in onore del mio diciassettesimo compleanno, e i miei genitori avevano tutte le intenzioni di cogliere l’occasione al volo, annunciando così la felice conclusione dei loro nuovi affari.
         Arrabbiata, diedi un calcio alla gamba del tavolo e feci crollare altre pile di libri che a stento riuscivano a stare in equilibrio. Mi abbassai per raccogliere quello che avevo fatto nuovamente cadere, ma prima che potessi anche solo respirare, la porta della biblioteca si aprì scricchiolando.
         << Sapevo che eri qui. >> disse Eva con voce divertita.
         << Ed io sapevo che mi avresti trovato. >> affermai, senza però guardarla negli occhi.
         << Amelie, gli invitati arriveranno a momenti. Ti ricordo che questo ballo... >>
         << Sì, sì, lo so. Questo ballo è in mio onore! >> la interruppi cantilenando.
         Poi alzai lo sguardo su di lei e come sempre, provai un pizzico di ammirata invidia nei suoi confronti: pelle candida come la neve, leggermente rosea sulle gote; lunghi capelli color miele, lisci e setosi; occhi verdi come il mare e uno splendido vestito color panna, decorato qua e là con ricami preziosi fatti di pizzi e merletti raffinati.
Guardai lei, così bella, perfetta e poi, disgustata, abbassai lo sguardo su me stessa.
         << Amelie, ma che cosa hai fatto a questo vestito? >> domandò seccata, avvicinandosi per toccare lo strappo sulle maniche.
         << Si è rovinato. >> ammisi, dicendo semplicemente la verità.
         Eva non fece in tempo ad aprire bocca per rimproverarmi che dalla porta semi aperta, apparve Lamia con gli occhi fiammeggianti di rabbia e l’acconciatura bionda leggermente in disordine per la lunga corsa.
         << Amelie! Che cosa ci fai tu qui?! >>
         << Non vi preoccupate madre. Amelie stava per venire con me a prepararsi. >> rispose prontamente Eva al mio posto.
         Lamia guardò torva a entrambe. Era tanto bella quanto arrabbiata.
         << Ora? >> chiese sarcastica.
         << S- sì... >> risposi timidamente. << Ora. >>
         Per un attimo il suo volto sfiorò i toni del viola, ma seppe mantenere la calma celando la sua furia con maestria, assumendo un'espressione di ferro.
         << Amelie, prendi questo, è un regalo del tuo fidanzato. Indossalo. Fra dieci minuti vi voglio entrambe ad accogliere gli ospiti e… >>
         << Ma è impossibile! >> proruppe Eva scavalcando la voce della madre.
Lamia si girò di scatto verso la figlia con uno sguardo truce.
         << Eva, per favore. Non dire sciocchezze! Volere è potere. E Amelie deve essere pronta entro dieci minuti, non un secondo in più! >>
         Dopodiché, Eva fu quasi costretta dalla madre ad occuparsi sia del trucco che dell’acconciatura, senza l’aiuto delle domestiche, che erano fin troppo impegnate negli ultimi preparativi per il ricevimento.
         Strappò velocemente la carta della scatola contenente il regalo di quel tale, e m’infilò uno splendido vestito di seta blu, come la notte.
Rimasi sbalordita dalla raffinata squisitezza della lavorazione in pizzo sulla stoffa, ma purtroppo continuai a sentirmi poco a mio agio. D'altronde, ero la tipica ragazza che vestiva in modo pudico, quasi clericale, con abiti informi e gonne molto larghe. Tenevo spesso i capelli sciolti per nascondere il viso e una fascia restringente per coprire il seno. Non che odiassi il mio corpo, chiariamolo, ma non sopportavo l'idea che le persone potessero giudicarmi unicamente in base all'aspetto esteriore. Quindi cercavo di non attirare troppo l'attenzione, ma l’ampia scollatura del corpetto ricamato, faceva risaltare in modo provocante quel seno tanto procace che tentavo in tutti i modi di nascondere e che la silhouette slanciata dell’abito, sottolineava in maniera così evidente.
         Chissà se gli sarei piaciuta... o se sarei stata felice, con il mio promesso sposo?
Pur non volendo, continuavo costantemente a chiedermelo. Era paradossale, lo sapevo fin troppo bene... ma per un attimo, venni sfiorata dall’idea che forse sarebbe andato tutto per il meglio e che magari, una vota conosciuti, ci saremmo potuti innamorare perdutamente l'uno dell'altra; non per i nostri rispettivi titoli e proprietà, ma perché eravamo semplicemente noi stessi. Un uomo ed una donna come tanti. Due persone in procinto di condividere un'intera esistenza insieme.
         Quell'illusione, comunque, durò poco.
Con una ripresa incredibile, nel giro di pochi secondi tornai con i piedi a terra e sorrisi fra me e me. Meglio non lasciarsi andare a melense fantasticherie, perché in fin dei conti... si trattava solo di affari.
         Quando Eva finì l’opera nei dieci minuti prestabiliti, non volli nemmeno guardarmi allo specchio.
         << Mio Dio, Amelie. Sei bellissima! >> disse esaminandomi stupefatta.
         << Oh, grazie mille! >> risposi con euforia, mascherando dietro un amabile sorriso il fatto che non le credessi minimamente.
---
        
         Lui mi stava aspettando sotto il porticato, nella loggia inferiore sul lato nord della casa.
O almeno così mi aveva riferito Eva.
         Le avevo chiesto più volte di accompagnarmi, anche perché era piuttosto sconveniente per una signorina di buona famiglia aggirarsi sola di notte, tuttavia le mie suppliche non avevano avuto il successo desiderato.
         “È stato lui a volere così... ” aveva affermato Eva.
         “ E poi pensaci bene Amelie, sarà un primo incontro davvero romantico!” aveva aggiunto ammiccando con l’occhio.
         Fortunatamente, anche i miei genitori erano al corrente di quell’incontro tanto informale, tanto da dare la loro approvazione.
Intanto camminavo lentamente, fermandomi più volte e guardando spesso indietro, così da ritardare il più possibile il fatidico incontro.
È inutile dire quanto fossi curiosa riguardo all’identità del mio futuro sposo, eppure avrei preferito di gran lunga non doverlo mai incontrare.
         L'avevo spesso immaginato come un vecchio signore sulla sessantina, magari vedovo o qualcosa del genere, con baffi impomatati, barba folta e lunghi basettoni alla Francesco Giuseppe D’Asburgo. Ma proprio mentre avevo impresso nella mente l’immagine dell’Imperatore austriaco, ecco comparire davanti ai miei occhi Mr. Adam Faberschneider.
         Per un secondo, mi accarezzò il pensiero che fosse lui il mio fantomatico fidanzato, ma poi tornai con i piedi a terra, scuotendo lievemente il capo. Ma sì... doveva trovarsi da quelle parti per caso.
Dopo aver nascosto il mio turbamento dietro ad un'espressione educata e cordiale, mi avvicinai all'aitante gentiluomo che mi stava di fronte.
         << Buonasera, Amelie. >> mi salutò, prendendo la mia mano per baciarla.
         << V- vi siete perso, signore? >> chiesi timidamente, ignorando i suoi occhi per non distogliere successivamente lo sguardo come una bimbetta imbarazzata.
         << No. >> affermò piatto, percorrendo il mio corpo con gli occhi.
         << Mi trovo nel luogo giusto, al momento giusto. >>
         Come al solito, sentii le farfalle nello stomaco e il cuore accelerare il battito.
Nel bagliore lunare accentuato dalle illuminazioni esterne, i suoi occhi grigi parevano quasi argentati, come il riflesso della luna sul pelo dell'acqua.
         << E voi, Amelie, siete nel posto giusto? >> il tono mellifluo della sua voce, mi fece sobbalzare dalla vergogna.
         << S- sì. C- credo di si. >> balbettai in preda alle palpitazioni, poi, senza volerlo, mi rotolò fuori dalla bocca un incerto: << Voi invece state aspettando qualcuno in particolare, signore? >>
         “Sì, voi …” sognai ad occhi aperti che pronunciasse quelle parole, ma ero cosciente dell’assurdità di un tale pensiero.
         Lui sorrise mostrando i bei denti bianchi.
         << Sì, è voi che aspetto, mia cara. >>
         Lo guardai sbalordita, con gli occhi che sembravano volermi uscire fuori dalle orbite. Immediatamente mi diedi un bel pizzico sul braccio, così forte che urlai dal dolore. Alzai lo sguardo e lui era ancora lì, che mi guardava con aria decisamente confusa.
         << State bene? >> chiese gentilmente.
         << S- sì! Certo! >> farfugliai.
         Ma … no, non stavo affatto bene. O meglio, ero talmente felice da stare male per la troppa contentezza.
Non potevo credere che il mio promesso sposo fosse lui, il famigerato Adam Faberschneider, l'uomo più bello ed ambito dalle signore di mezza Inghilterra.
Nonostante sapessi che quello che mi stava accadendo non fosse un sogno, ancora stentavo a crederlo. Forse Dio aveva finalmente ascoltato le mie preghiere! Avevo passato intere notti a sperare in un suo sguardo durante le feste o nei salotti... sempre. I nostri genitori si conoscevano da tempo ed io potevo affermare di essere cresciuta insieme a lui, certo... sempre ad una debita distanza. Io e Adam avevamo parlato molte volte, ma il suo atteggiamento nei miei confronti era sempre stato di cordiale amicizia e mai avrei immaginato di destare il suo interesse.
         Per me, era sempre stato un amore a senso unico: mi bastava osservarlo da lontano per essere felice.
         Ma ora lui era lì, davanti ai miei occhi, vivido e concreto, con un sorriso angelico dipinto sul bel volto e la mano tesa verso la mia. Feci per afferrarla, ma a quell’immagine si frappose quella del mio sogno; l’uomo sconosciuto con il palmo proteso verso di me, i suoi occhi scarlatti che fiammeggiavano nei miei.
Spaventata, ritrassi velocemente la mano e Adam sorrise in modo bieco.
         << State tranquilla… >> disse, << Non vi mangio mica. >>
         Cercai di abbozzare un sorriso, ripetendomi mentalmente di stare calma.
Infondo era stato solo un brutto sogno.
Presi la sua mano, lui fece un lieve inchino e sfiorò con le labbra il dorso della mia. Poi mi prese a braccetto.
         << È ora di andare. >> dichiarò rivolgendo lo sguardo all’edificio principale che s’intravedeva dall’altra parte.
         << Non aspettano che noi. >>

 
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