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Autore: Valpur    16/11/2014    8 recensioni
Hai mai tremato al pensiero di poterle chiedere di perdonarti per ciò che sei, di poterti inginocchiare al suo cospetto e implorarla di guarirti?
Un cane e un uccellino.
Una fiammella azzurra in una città in rivolta.
[SanSan]
Genere: Angst, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sandor Clegane, Sansa Stark
Note: Movieverse | Avvertimenti: Tematiche delicate
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I will keep you safe



Ruggito di una folla che rompe gli argini dell’ordine pubblico. Grida di uomini, un cavallo sopraffatto che cade e si spezza e geme. Occhi sgranati, sclera bianca di terrore, sangue e merda sotto piedi e zoccoli.

Approdo del Re, patria di puttane e straccioni che si accalcano attorno alle guardie, attorno al Mastino che fende il caos con metodica violenza. Mano di ferro, pugno chiuso, mandibole che si spezzano e branchie di sangue sulla gola delle bestie umane che cercano di sopraffarlo.
Non c’è spazio per udire un canto in questo clamore di morte e rabbia. Gli uccellini non cinguettano.
Gridano.
Sandor Clegane, il Mastino. Il cane del re bambino. Un pilastro di cuoio e metallo cicatrizzato attorno a un nucleo di rabbia.
Lei è lì, oltre le porte di travi sconnesse, oltre le pareti di pietra rosa macchiate di letame e cervella. Una fiammella azzurra nel buio di una stalla.
Perché? Perché fai questo, Sandor Clegane? Non sei altro che un cane.
La spada –larga, sgraziata, elsa consunta dall’uso e metallo annerito dal sangue- cala, il sasso cade dalla mano di un uomo con metà dei denti e le vesti lacere. Anche la mano cade, divelta dal polso in un getto rosso. E l’uomo urla. Si contorce. Sparisce dalla mente del Mastino.
Non sei altro che un cane. Hai abbandonato il padrone?
Troppo facile bandire dalla testa Joffrey e i suoi piccoli occhi freddi.

Cosa lo guida? Non l’udito, non una razionalità bruciata dalle braci prima e dal vino poi.
Sei un cane.
Il fiuto. Ecco cos’è. Non l’olfatto, no: qualcosa di diverso. Di oltre. Una certezza.
La calca di corpi e miseria gli si chiude alle spalle. Un vicolo secondario, alto fino al cielo e buio come il peccato. Come gli occhi che cercano, che spiano negli angoli.
Non serve la forza, la porta è aperta. L’unica in tutto il vicolo. Oltre la soglia penombra, paglia sporca, grugniti.
Uno strillo.
Lei.
Non si accorge di correre, Sandor Clegane. L’armatura sferraglia a ogni passo. Pesante, inesorabile.

Sono in tre. Capelli lerci, cute unta, braccia che frugano e colpiscono, che agguantano e strappano grida e pianti. Strappano stoffa.
Per terra, sulla pietra mai spazzata, la piccola scarpa pulita – broccato che scintilla alla scarsa luce del sole – sembra un giocattolo di bimba. La gamba avvolta in una calza azzurra scalcia tra i corpi che si accalcano su di lei, voci che ringhiano parole viscide. Non adatte a una dama.
Sansa piange. Implora. Un canto di terrore e pena che non trova ascolto nei maiali che le grufolano addosso. Un canto che spezza il cuore di un cane.
Sandor Clegane si avvicina. Non lo hanno sentito, avvolti dalla fregola, accecati dalla carne fresca, resi sordi dalle urla di paura di una fanciulla.
Un velo di calma rossa gli cala sulla mente.
L’acciaio è per gli uomini. Per le bestie bastano le mani.
Il primo dei porci è leggero nella sua mano. Sono ossa di pollo quelle che il Mastino stringe nel pugno, una gola fragile che un attimo prima sbavava oscenità sul collo di un usignolo e che ora annaspa per trovare l’aria. Basterebbe uno scatto del polso e spezzare quella vita inutile, ma Sandor Clegane esita. Solo un attimo, solo il tempo per farsi vedere, capelli neri e sfregio e barba che non ricorda il rasoio e rabbia, odio, furia e…
Gli occhi del maiale sono sgranati, globi tondi e vuoti. La bocca è un pozzo nero che rantola.
L’acciaio è per gli uomini. Per le bestie bastano le mani, certo.
Ma un Mastino vuole vedere il sangue.
La lama attraversa il torace del porco. Angolata, pelle e grasso, stomaco, diaframma. Cuore? Polmoni? Morte.
Ecco. Hai colpito quella pelle candida. Hai strappato la veste della signorina. Non si fa. Non si prendono quelle gambe giovani da cicogna, non si aprono con la forza, non ci si cava il cazzo dalle braghe come se fosse solo una puttana. Non si fa, meriti di morire.
Un ultimo gorgoglio, uno stupore che non accetta la morte. Il Mastino apre la mano e il corpo gli si accartoccia ai piedi, capelli sporchi e bocca aperta e cazzo cavato dalle braghe.

Il secondo maiale è paralizzato. Roseo e lucido come se fosse pronto per lo spiedo.
E il Mastino lo macella. Troppa misericordia nella mano che afferra la stoffa della tunica, troppa grazia nella lama che scorre sulla pelle tesa, sulle vene che affiorano. Lo gira, non vuole che l’uccellino veda. Non vuole che si sporchi. Un torrente di porpora inonda la paglia calpestata.
Nell’aria, puzza di ferro e piscio.
Anche tu te lo meriti. Stavi a guardare, no? Aspettavi il tuo turno. Avresti messo una mano su quella bocca rosa, l’avresti fatta stare zitta, l’avresti schiacciata col tuo peso. Lei avrebbe sanguinato e pianto e tu avresti riso. Sì, te lo meriti. Non ti lascerò andare via.
Morte, di nuovo.

Sandor Clegane sente su di sé uno sguardo limpido e blu. Lo ignora, oppure la follia scarlatta si spegnerà e lui sarà perduto.
Il terzo suino prova a correre via. Non servirebbe ucciderlo.
Lasciarlo in vita?
Impossibile.
Il Mastino chiude la mente. Appena consapevole di un viso pallido, di capelli del colore del tramonto che scintillano nel sole.
Il terzo. La teneva ferma. Ora cercava di scappare.
Le tue mani erano strette attorno ai suoi polsi. Hai sentito il palpito del suo cuore? Hai capito che cosa preziosa sia? Hai tremato al pensiero di poterle chiedere di perdonarti per ciò che sei, di poterti inginocchiare al suo cospetto e implorarla di guarirti? Sai cosa significhi desiderare di essere qualcun altro di bello e integro solo per poter deporre la tua anima ai suoi piedi e pregarla di un sorriso? No, non lo sai. Te la saresti scopata e basta e ti saresti vantato.
Stringe i denti mentre la lama scivola ancora nella carne calda, aprendo la strada a un getto rosso. Il porco muore prima ancora di toccare terra. Si affloscia con un basso sibilo.

Un tonfo.
Il silenzio.
Urla lontane oltre la porta aperta, cavalli che nitriscono, sassi che volano.
Nella stalla solo il respiro calmo di un assassino e quello d’ali di farfalla di Sansa Stark.
Solo un istante prima di voltarsi. Solo un istante per riprendere se stesso e nascondere ogni pensiero, per ignorare il rossore sulle guance lucide di lacrime, per dimenticare la bella veste strappata e aperta sulle stecche del corsetto. Per diventare cieco alla morbida curva di un seno troppo giovane, di un cuore troppo puro.
Per ingoiare il nodo bruciante che gli artiglia la gola. Il nodo che solo il vino può sciogliere.
“Va tutto bene, uccellino”, ringhia nel tenderle la mano. “Va tutto bene”.
E vorrebbe abbracciarla, tenerla stretta e lasciarla piangere contro la propria spalla e cancellare quelle lacrime con i baci e accarezzare i capelli sciolti e scarmigliati.
Non lo fa. Un cane può solo prendersi gli ossi e obbedire.
Le dita esili di sansa nel palmo grande e coperto di cuoio del Mastino. Potrebbe spezzarle con facilità. La violenza svanisce e diventa forza. Vorrebbe esitare per un attimo, stringerla.
E Sansa sta per dire qualcosa. Lo vede in quel viso di porcellana che guarda di sbieco –mai, mai un cane sosterrebbe lo sguardo della sua vera padrona – e che si sta aprendo a una timida, ardente gratitudine.
Un attimo in più e sarebbe perduto. Sarebbe un uomo, non più un cane. Qualcosa di diverso dalle cicatrici e dalla puzza di alcol.
Qualcosa di diverso da tutto ciò che è sempre stato. E quell’ignoto gli fa paura, perché c’è fuoco che scalda e dà vita, ma lui non riesce a non temerlo.
Non c’è redenzione, non c’è speranza. Non lo merita.
Leggera come una piuma se la carica in spalla, un uccellino che non si dibatte nello stupore dell’istante. Un peso lieve e caldo contro il collo, il profumo di fiori che si mischia a quello del sudore.
Sandor Clegane deglutisce e stringe i denti.
Chiude la porta su quei pensieri, su quella speranza, su quel… su cosa?
Sui cadaveri dei tre maiali.
Sei un cane. Solo un cane. E non sarà mai tua.
Ma mentre esce per le strade di Approdo Sandor Clegane è certo di aver sentito qualcosa oltre l’armatura.

Una carezza che attraversa il metallo.
Un “grazie” mormorato.
E il nucleo di rabbia brilla d’azzurro, solo per un attimo.

 

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Valar Morghulis, va bene, ma almeno loro due li vorrei vivi alla fine. E possibilmente insieme (seeee...).
Non riesco a pensare a una prossima stagione di GoT senza il Mastino. Non riesco a vedere altri che lui con Sansa. No, non è vero, ci sarebbe anche Margaery, ma direi che non sono in competizione.
Ultimamente sono ossessionata dalla trilogia di Magdeburg di Altieri, e questa breve shot prova a rendere omaggio al suo stile. Spero che il signor Altieri non la scopra mai e non venga a sgridarmi .__.
Infine il titolo: preso direttamente dalla colonna sonora della seconda stagione di GoT.

Val

   
 
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