Fanfic su artisti musicali > Guns N'Roses
Ricorda la storia  |      
Autore: breath    18/11/2014    4 recensioni
Slash è tornato in Italia insieme a Myles Kennedy ed al trio dei Conspirators ed io ho avuto la fortuna di assistere a un suo concerto. Questa non è una storia, per una volta ho messo in un cassetto la mia fantasia ed ho deciso di raccontare come sono realmente andate le cose, almeno per me.
"A malapena sento queste parole, il mio sguardo è troppo impegnato a seguire l'avanzata calma eppure sicura di Slash sul palco. La sua figura interamente vestita in nero, il solito, inconfondibile cilindro, i soliti occhiali. Lui come l'ho sempre visto, lui come l'ho sempre immaginato. Non si sono aperti i cieli, non ci sono state luci divine e rivelazioni. Era semplicemente lui, non diverso da come lo vedevo nelle foto e nei video. Ma la straordinarietà di questa ordinarietà è stata perfetta..."
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro personaggio, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Voglio farlo prima che questi ricordi sbiadiscano come alla fine, inevitabilmente, tutte le cose fanno, anche quelle che non vorresti lasciare mai, anche quelle che vorresti mantenere nitide nella memoria come quando le hai vissute. 
Voglio provare ma non penso di esserne capace. Come si fa a descrivere a parole un'emozione così forte che ti lascia senza fiato, che ti scombussola tutta facendoti guardare intorno per accertarti che no, non è un sogno? Come fai a parlare della soddisfazione di un'attesa così lunga, della realizzazione di un sogno che ti è sempre sembrato così lontano ed irraggiungibile, proprio come nelle parole di Far And Away?
Magari non riuscirò a farlo proprio bene ma tanto vale provarci.
Le prime cose che mi vengono in mente a proposito dell'inizio di quel giorno sono l'ansia e l'agitazione, ansia perché avevo visto che la gente era già in fila da ben prima che io mi fossi svegliata, agitazione perché la consapevolezza che la prima fila non sarebbe stata mia mi aveva invasa lasciandomi addosso solo una paura irrazionale. E poi mi ricordo la fretta, la corsa al supermercato per prendere qualcosa da mangiare e qualcosa da bere, il pensiero che va a Slash non appena vedo la bottiglia di Jack Daniel's, che va a Duff mentre prendo quella di vodka. 
Mi ricordo le gocce di pioggia in caduta libera dal cielo che si suicidano a contatto con l'asfalto scuro, che riflette ogni luce e sbiadisce i contorni, che si infrangono sul mio ombrello aperto creando una melodia ritmica ed impossibile da ignorare o da odiare, nonostante la prospettiva di passare otto ore sotto quel diluvio non sia molto incoraggiante.
Mi ricordo le parole indistinguibili di un uomo dai tratti del viso duri e l'espressione autoritaria, ricordo la fretta del preparare le cose prima di un'eventuale entrata anticipata che ci permetta, se non di stare dentro, almeno di stare sotto una tettoia. 
Presto, subito, apri la bottiglia di Lemon Soda, versane un po' per terra, lasciala confondersi con le pozzanghere, ignora gli sguardi curiosi e divertiti degli altri, adesso apri quella di vodka, versala in quelle della bibita analcolica e spera che questa mascheri sufficientemente la prima. 
Il rumore di una bottiglia vuota di vodka che rotola indisturbata sotto la pioggia e si ferma contro una transenna, presto accompagnata da un sacchetto giallo del supermercato. Il giallo che si staglia fastidioso contro il grigio dell'atmosfera e il nero dell'asfalto, il sacchetto che contiene un numero del Rolling Stone che rimarrà lì, abbandonato, dimenticato, in balia dell'acqua. Non è stata una gran perdita.
Ricordo il sollievo dell'essere finalmente al riparo dalla pioggia, di essere finalmente seduta, anche se su un sacchetto che non blocca il freddo del pavimento, le sigarette fumate più per passare il tempo che per reale voglia, le conversazioni con perfetti sconosciuti con i quali però l'intesa è immediata. E' strano come una comune passione faccia nascere una particolare complicità fra le persone, le quali si trovano a parlare come vecchi amici, a fare brindisi, senza neppure sapere i reciproci nomi.
Alla fine, per quanto l'attesa sia sfiancante, soprattutto se non sai con cosa riempirla, il tempo passa.
Ed ecco che mancano pochi minuti alle 6:30. Avevano detto che aprono alle 6:30 vero? It's five o' clock somewhere, non c'entra niente ma ormai quasi ogni cosa riporta alla mente lui e tutto ciò che a lui è collegato... o forse è lui che si infiltra in ogni cosa del mondo macchiandola con il suo colore.
Ricordo l'agitazione dei momenti che precedono il via libera del buttafuori, quel braccio, che prima ti bloccava la strada, che improvvisamente si alza lasciandoti libera di raggiungere la tua meta, il tuo posto ed il tuo sogno. Le gambe che, sforzate dopo un'immobilità eccessiva, protestano, si ribellano, bruciano, senza essere però assecondate, almeno fino a quando non raggiungi il posto più vicino al palco che trovi, almeno fino a quando non ti siedi e rimarchi il possesso di quel mezzo metro di pavimento che non è mai stato più prezioso. 
Ricordo quegli attimi di relativa calma dettata soprattutto dalla certezza di non essere in prima fila ma comunque più avanti di quanto avessi sperato. Ricordo di aver guardato il palco di averlo visto incredibilmente vicino, di essermi immaginata come sarebbe stato vedere Myles ergersi lì sopra, a solo un paio di metri da me. 
Ricordo il cammino pieno di ostacoli, di persone e zaini e borse e giacche, fino al piccolo bar. Ricordo una cascata lunga di riccioli neri che attira il mio sguardo il quale segue la linea longilinea di un paio di gambe fasciate da jeans neri dalla cui tasca posteriore scende pericolosamente una bandana; risale lungo il chiodo di pelle e lungo quei ricci, in attesa, sapendo che quello non è Slash, troppo alto per esserlo, ma che è una buona imitazione ed aspettando curioso di scoprirne la faccia. 
Non faccio in tempo a constatare che in effetti non è male neppure di faccia che le mie birre mi richiamano. E di nuovo il calvario di gambe e zaini e borse e giacche, il tutto tenendo in mano due bicchieri barcollanti pieni di birra che suscitano terrore negli occhi delle persone. Ricordo la freschezza di quelle birre faticosamente riportate alla base, ricordo lo specchietto che riflette la mia immagine già estatica, il rosso che colora le mie labbra mentre sto attenta a non sbavarmi, ignara dei commentini acidi di due ragazze dietro di me che interpretano quel mio gesto come un tentativo di attirare l'attenzione di Myles. Sono qui per la musica teste di cazzo, anche se sarebbe ipocrita negare che non sarebbe male attirare un paio di occhi neri mascherati da lenti scure, una fantasia che tanto non svanirà mai.
Ricordo l'ultima sigaretta, fumata solo a metà, prima che la pressione delle persone dietro mi costringa ad alzarmi a mia volta. Ed eccomi in piedi, a guardare per la prima volta con occhio attento quegli amplificatori che ho visto tante volte sullo schermo del mio PC e nella mia fantasia. Una sagoma femminile dall'inconfondibile cilindro, dal solito seno prosperoso, fissata su quelli amplificatori in una posa leggermente oscena ma che mi fa solo sorridere perché è una cosa così tanto da lui. Osservo quegli oggetti disposti ordinatamente al di sopra degli amplificatori: teschio con i brillantini, bambola di una spogliarellista le cui gambe avvolgono un palo, un dinosauro in peluche, Spongebob, il teschio di un animale. Ricordo il telo nero che ricopre la batteria che so portare il simbolo di lui, di questo concerto, di questo tour e di questo album.
Ricordo i Monster Truck, ricordo le loro chiome che si agitano a ritmo di quella musica che prende anche me pur non avendola sentita mai. Ricordo che guardo il chitarrista e penso che mi ricorda il personaggio di una fanfiction.
Ricordo l'eccitazione che cresce a dismisura mentre i tecnici del suono provano le varie chitarre, ricordo il mio cuore che batte più veloce alla sola vista di una doubleneck perché so che è sua, so che lui è lì dietro e che, questione di minuti interminabili, lo vedrò.  
- E' lui, eccolo!- 
A malapena sento queste parole, il mio sguardo è troppo impegnato a seguire l'avanzata calma eppure sicura di Slash sul palco. La sua figura interamente vestita in nero, il solito, inconfondibile cilindro, i soliti occhiali. Lui come l'ho sempre visto, lui come l'ho sempre immaginato. Non si sono aperti i cieli, non ci sono state luci divine e rivelazioni. Era semplicemente lui, non diverso da come lo vedevo nelle foto e nei video. Ma la straordinarietà di questa ordinarietà è stata perfetta, non doveva essere altrimenti, doveva essere così rassicurante la sua vista perché mi confermava che non avevo preso un abbaglio, non avevo trasfigurato con la mia fantasia la sua immagine. Quel momento è stato incredibilmente giusto in una maniera rassicurante, come se finalmente l'incontro che era destinato ad avvenire fosse accaduto, come se un pezzettino di un puzzle finalmente si fosse incastrato nel posto a lui designato. Lui era il pezzo e il mio cuore il puzzle. E' stato così giusto il gesto con il quale ha imbracciato la chitarra che il tutto è fluito spontaneamente: il suo movimento, il posizionarsi di Myles di fronte al pubblico, a me, con una familiarità che spiazza perché ti aspetteresti che davvero si aprano i cieli e il tempo si fermi per permetterti di assaporare quel momento. Ma il tempo è crudele e non si ferma e già le prime note invadono potenti l'ambiente richiamando a loro quell'insieme di corpi troppo vicini che siamo tutti. Tutti saltiamo allo stesso tempo, seguendo lo stesso ritmo con la stessa passione, tutti alziamo le braccia, tutti cantiamo, tutti ci lasciamo andare a un momento che di nuovo è incredibilmente giusto. Myles cavalca sicuro le onde musicali che Slash e i Conspirators creano per lui, ci guarda con quel suo sguardo così incredibilmente vivo, così incredibilmente pieno di gioia genuina che accende tutti. 
Penso che Slash sia troppo lontano, che stia guardando troppo la sua chitarra quando ecco che, e questa volta sul serio come per magia, me lo ritrovo davanti a me in tutta la sua maestosità. Non riesco a distogliere lo sguardo dal suo viso, alzo le braccia saltando più in alto che posso, ringrazio mentalmente la mia altezza, e butto di poco la testa all'indietro senza perderlo di vista. Vederlo finalmente così vicino è di nuovo incredibilmente giusto, la materializzazione di tutto quello che avevo provato ad immaginare fino a quel momento. E poi è un attimo, capisco che sta guardando la folla davanti a lui, davanti a lui ci sono anche io e quando vedo gli angoli delle sue labbra sollevarsi per formare il suo tipico strafottente sorriso penso che quel sorriso sia solo per me. Forse era per me, forse per qualcun altro o forse era per la folla in generale ma quel sorriso nel mio piccolo rimarrà per sempre per me. Me lo sono preso, me lo sono tenuto ed adesso lo custodisco gelosa nella mia memoria, terrorizzata che possa affievolirsi.  
Poi Slash diventa lontano, Myles diventa lontano, la musica stessa si confonde e perde tutto il suo senso, solo in un attimo di lucidità capisco che è Nightrain ma è solo un attimo perché tutto quello che sento è una marea di corpi che spinge con una forza spaventosa in avanti tutto ciò che trova, compresa me che mi sento soffocare, che devo concentrarmi per riuscire a respirare prima che una nuova ondata mi arrivi addosso. I miei piedi quasi non toccano più per terra, mi faccio completamente trascinare ed intanto mi chiedo spaventata se riuscirò ad allontanarmi sufficientemente da questa follia per potere respirare di nuovo, per potere sentire di nuovo la musica. La marea di corpi sembra un muro invalicabile ma spingo, faccio pressione ed alla fine riesco ad allontanarmi. 
L'acqua fredda è la migliore medicina in quel momento. E poi di nuovo nella folla, questa volta più esterna però, a cantare Ghost e a riuscire finalmente a ballare. Quando sento le note iniziali di Mr. Brownstone guardo stupita in direzione di Slash, questa volta più lontano, troppo lontano, da me e mi rendo conto che no, non sto sognando ma finalmente sto ascoltando quell'intro mentre lui lo suona a un paio di metri da me e non più a migliaia di chilometri e a decenni di distanza. Un carica di adrenalina che si riaccende estatica nel mio corpo mentre finalmente mi lascio pervadere del tutto dalla musica ballando come ho sempre sognato di fare, nel posto in cui ho sempre sognato di farlo.
Un susseguirsi di canzoni che scorrono troppo veloci per i miei gusti e che mi lasciano ogni volta senza fiato perché, pur avendole sentite fino alla nausea, hanno tutto un altro suono, tutto un altro sapore direi, quella sera quando a suonarle sono loro, solo a un paio di metri da me. L'assolo di Rocket Queen mi trascina stupefatta per tutta la sua durata, mi lascia incredula perché davvero non pensavo che potesse essere in grado di entrarmi dentro a quel modo e di prendermi a quel modo.
Sentire le note iniziali di Sweet Child O' Mine è un'emozione irrazionale ed oggettivamente indescrivibile, almeno per le mie capacità espressive. Stesso discorso, ma amplificato all'inverosimile, per Paradise City, accompagnata dalla folla che si scatena con rinnovata energia che non tiene conto della spossatezza fisica, della disidratazione e del sudore che rende i visi lucidi. Una gioia amara data dalla consapevolezza che poi finirà tutto, che i momenti che ho sognato per mesi stanno per giungere a termine lasciandomi allo stesso tempo abbandonata da quella musica così pura eppure anche arricchita di quei momenti, di quelle emozioni e sì, di quella stessa musica che ormai è diventata una droga. 
Ricordo Slash che lancia plettri alla folla, che si mette le mani in tasca alla ricerca di nuovi e che poi allarga le braccia e alza le spalle per dire che non ne ha più. Un uomo di 49 anni che con un semplice gesto fa una tenerezza che scioglie anche la corazza più dura.
Tanti pezzettini di carta con la scritta Slash volano in aria e io alzo le braccia per cercare di prenderne almeno uno, sono consapevole del fatto che non ci riuscirò ma non mi importa più di tanto. Non ho bisogno di un pezzo di carta che mi ricordi dove sono stata e quello che ho vissuto. Anche se la mia memoria renderà meno intensi quei momenti so che il mio cuore non dimenticherà mai quella gioia, quella musica che ti trascina e ti impedisce di rimanere immobile, quel sorriso.

Buonasera. Come anticipato nell'introduzione, questa piccola e scritta in tutta fretta one shot non è frutto della mia fantasia ma un semplice e schietto racconto di come ho vissuto io il concerto di Slash a Firenze. Come mi è capitato altre volte, sentivo la necessità di provare a tradurre in parole quello che ho provato, sono sicura di non essere stata l'unica. Ho deciso di chiamarla Starlight in omaggio a quella canzone indescrivibile che però, con mio grande dispiacere, non hanno fatto. Nel caso in cui Julietds faccia un salto qui le dico subito che quando ho visto il chitarrista dei Monster Truck in azione ho pensato subito a Frank <3
Detto ciò vi lascio, spero che abbiate apprezzato la lettura e soprattutto mi auguro che abbiate provato anche voi le stesse cose,
Breath

PS: se siete di quelli che seguono la mia long Post Blue, conto di pubblicare il nuovo capitolo domani! Stay Tuned!
  
Leggi le 4 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Guns N'Roses / Vai alla pagina dell'autore: breath