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Autore: Arial    20/11/2014    9 recensioni
«Ti prego. Se andrà male, ne affronteremo le conseguenze.»
Il sorriso di Sam si spense, poteva sentire le prime lacrime bruciargli gli occhi. «Se andrà male, ti avrò ucciso io.»
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Dean Winchester, Sam Winchester
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Nel futuro
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“I wanna hide the truth
I wanna shelter you
But with the beast inside
There’s nowhere we can hide.

 
When you feel my heat
Look into my eyes
It’s where my demons hide
It’s where my demons hide
Don’t get too close
It’s dark inside
It’s where my demons hide
It’s where my demons hide.”

(Demons – Imagine Dragons)
 
 
 
 
Sam chiuse gli occhi e strinse i denti.
La gamba ferita era un pulsare lento, distante. Era quell’aria che sapeva di neve e gli bruciava i polmoni a rallentarlo.
Un freddo pungente, bianco, gli era scivolato sulle spalle come una mantella bagnata.
Era stanco, Sam. Avrebbe voluto fermarsi, ma Dean – entrambe le sacche sulle spalle, la propria e la sua – era lontano. E l’Impala lo era ancora di più.
Non poteva permettersi alcuna pausa: suo fratello non l’avrebbe aspettato. Fu il pensiero di un istante, eppure seppe gelarlo più di quanto quel pomeriggio di fine novembre avrebbe mai potuto.
«Dean,» pregò, nel tentativo di esorcizzarlo, «aspetta.»
Il maggiore si voltò.
Col viso livido e gli occhi cerchiati, con le labbra sanguinanti e spaccate, Dean gli sorrise. «Ci siamo quasi, Sammy» lo rassicurò. «Tra poco avrai tanto Vicodin in corpo da fare invidia persino ad House. Gamba inclusa.» Percorse i pochi metri che li separavano e fece per chiudergli un braccio intorno alle spalle. Esitò. Un breve momento, poco più di un battito di ciglia e le sue dita lo attirarono a sé con tutta la naturalezza che c’era sempre stata in quel gesto. «Andiamo» gli disse. «Non possiamo restare qui fuori. Sarai grosso quanto lo Yeti, ma ti manca gran parte del suo pelo.»
Sam annuì e riprese a camminare, incapace di scacciare quell’orribile sensazione di presentimento dai suoi pensieri.
C’erano solo due tipi di caccia, quelle andate a buon fine e quelle cui preferiva non pensare. Ogni caccia andata a buon fine si concludeva allo stesso modo, col cattivo ridotto in cenere – o in una delle infinite declinazioni dell’annientamento fisico e spirituale, Sam non era particolarmente schizzinoso a riguardo – e coi frammenti di vetro che gli avevano chiuso la gola fino a quel momento che finalmente venivano deglutiti. L’anticipazione, l’eccitazione che provava Dean prima di uno scontro gli erano sempre state estranee: Sam voleva solo archiviare la questione alla svelta e senza conseguenze a lungo termine per nessuno dei due. Eppure ora i frammenti di vetro sembravano impossibili da mandare giù: affilati, tenaci, davano un sapore di sangue alla sua bocca. Sam era convinto che se avesse sputato, la candida neve si sarebbe tinta di rosso.
Quando giunsero all’auto, le gambe gli tremavano e il suo cuore si era fatto di ghiaccio. Si liberò dalla leggera stretta di Dean, dirigendosi automaticamente verso il sedile del passeggero. Lungo il percorso, prese una vecchia coperta dal bagagliaio: nel caldo abitacolo dell’Impala la ferita avrebbe ripreso a sanguinare e Sam non poteva sopportare un altro scandalo. Se fosse scoppiato l’Impala-Gate si sarebbe gettato dalla macchina in corsa, lo sapeva.
Dean gli porse le chiavi, un sorriso imbarazzato gli incurvava le labbra. «Te la senti, Sammy?»
Sam fece su e giù con la testa, frastornato. Suo fratello non lo faceva guidare mai, non quando era ferito. Non se poteva evitarlo.
Le chiavi passarono da Dean a lui senza una parola, poi il maggiore si allontanò ancora.
Gettò le due sacche nel bagagliaio, controllò le ruote posteriori con la punta dello stivale, aprì lo sportello del passeggero. I suoi movimenti erano sicuri, aggraziati. Non si muoveva come qualcuno che nasconde una ferita, Sam avrebbe potuto giurarlo.
Prima che montasse a bordo, lo vide deglutire una compressa.
«Cos’hai mandato giù?» domandò, odiando la sfumatura d’apprensione che coloriva le sue parole.
Questa non era sfuggita neppure a Dean, se il ghigno che gli riservò poteva costituire un indizio. «Ho mal di testa» rispose. «Posso andare, agente? Non vorrà perquisirmi, spero.»
Affondò nel sedile che ancora scuoteva la testa. Sam prese posto dietro il volante.
Quella giornata non sarebbe mai finita abbastanza in fretta.
 
 
* * *
 
 
Sam provò a sistemarsi per l’ennesima volta sul sedile scomodo. La gamba lo stava facendo impazzire: come aveva previsto, col calore dell’abitacolo aveva ripreso a sanguinare; il dolore gli aveva fatto contrarre i muscoli e, complice l’acceleratore più duro del necessario – Dean aveva promesso di ripararlo una settimana prima – non sentiva più il polpaccio.
Tirò la manica della felpa sopra le dita e la utilizzò per rimuovere la condensa dal parabrezza appannato. La neve cadeva lenta sul cofano, sciogliendosi a contatto col metallo bollente.
La radio aveva diramato un’allerta meteo per le successive trentasei ore e Sam sapeva che la situazione sarebbe precipitata a breve. Non ce l’avrebbero mai fatta ad arrivare a valle per tempo: i sentieri di montagna erano impervi, la città più vicina ancora troppo distante.
Gettò un’occhiata al sedile del passeggero. Dean dormiva col volto affondato nell’imbottitura di pelle. Sam gli sfiorò delicatamente la fronte, sistemandolo meglio contro il poggiatesta.
Il respiro del fratello neppure cambiò.
Pillole per il mal di testa un paio di palle.
Con un sospiro arrabbiato, Sam tornò a concentrarsi sulla strada. Non era da Dean comportarsi in maniera tanto sconsiderata. Una giornata storta poteva capitare a chiunque, ma nel loro lavoro poteva trasformarsi in un mancato ritorno a casa. Suo fratello lo sapeva meglio di chiunque altro.
Se non sei al cento per cento, non alzarti neppure dal letto.
Sam era certo che quelle parole fossero incise a lettere di fuoco nel cuore di Dean. Era stato John Winchester a pronunciarle, la voce lenta e misurata di chi voleva assicurarsi che fossero del tutto assimilate. E Dean – il volto più pallido delle lenzuola su cui era disteso, una flebo attaccata al braccio – aveva annuito. «Ma non mi pento di quello che ho fatto» aveva detto, nel tono un’insolita sfida. «Non eri in grado di affrontare questa caccia da solo. Non oggi.»
Il viso del padre si era accartocciato, un dolore che Sam non aveva mai visto aveva contratto i lineamenti così familiari. Con un sorriso tirato, John aveva ripetuto le sue parole. «Non voglio che tu mi segua, quando sei ridotto da buttar via. È un ordine, Dean» aveva detto, con rabbia – rabbia, Sam riusciva a vederlo soltanto adesso, rivolta esclusivamente contro se stesso. «In simili condizioni, non sei altro che un peso. Avresti potuto farmi uccidere.» Un pausa, un rumoroso respiro. «Avresti potuto fare uccidere tuo fratello.»
Al venir menzionato, Sam, un soldo di cacio che a stento arrivava al petto di Dean, si era fatto ancora più piccolo, nascondendosi dietro la porta della stanza d’ospedale. Né suo padre né suo fratello l’avevano notato.
Dean era quasi morto quel giorno, cacciando un Wendigo con una polmonite non diagnosticata.
Era il due novembre 1995.
I fari illuminarono un cartello che gli anni e gli agenti atmosferici avevano scolorito. Segnalava un rifugio di montagna, a venti minuti di distanza.
Sam prese la sua decisione e l’Impala si inerpicò lungo un sentiero battuto: le ruote avevano poca presa su neve e pietrisco, vecchie radici carezzavano la carrozzeria con dita nodose, il motore sembrava fare fatica nonostante la prima inserita. Ma prima che il cacciatore potesse cambiare idea, il tetto innevato del rifugio aveva fatto capolino fra gli alberi e una stretta radura si era aperta dinanzi a loro.
La neve aveva cominciato a cadere più fitta, addossata ai davanzali bui ricordava la densa glassa che aveva ricoperto la casa della strega cattiva. Sam pensò che all’ombra delle secolari querce e dei pini sempreverdi, lui e suo fratello non dovevano sembrare molto più alti di Hansel e Gretel. Forti dell’addestramento del padre, loro due avrebbero senza dubbio annientato una possibile minaccia in men che non si dica, eppure Sam si sentiva vulnerabile come i bambini di quella fiaba non sarebbero stati mai. Hansel e Gretel erano un tutt’uno, le labbra pronunciavano i loro nomi insieme, quasi fossero un’unica parola. Lui e Dean non erano una cosa del genere da molto tempo. Forse non lo sarebbero stati più.
Riscosse il maggiore.
Dean batté lentamente le palpebre: un sonnolento languore gli appesantiva lo sguardo, i suoi occhi erano lucidi, le pupille avevano fagocitato ogni traccia di verde. Quando si tirò a sedere, il nero recedette e Sam riprese a respirare.
Era stato uno scherzo della luce.
I frammenti di vetro gli avevano scavato la carne di altri preziosi centimetri e deglutì saliva che sapeva di sangue. Se Dean aveva notato il tremito che l’aveva scosso, non lo diede a vedere.
«Dove siamo?» domandò, con voce arrochita. «Non dirmi che abbiamo finito la benzina.»
Sam scosse la testa. «Neppure questo relitto della preistoria automobilistica potrebbe consumare tanto: c’è ancora metà serbatoio, ma con questa neve c’avremmo fatto ben poco.» Aprì lo sportello e si spostò con cautela sul terreno scivoloso. «Hanno diramato un’allerta meteo per le prossime trentasei ore, ci conviene passare la notte qui.»
Il rumore dell’altra portiera che sbatteva lo fece trasalire, un cumulo di neve si staccò dal tetto per ricomporsi in una montagnola accanto alla porta del rifugio. Le rabbiose falcate del fratello erano in qualche modo addolcite dal mantello bianco ai suoi piedi.
«Occupiamoci della tua gamba» ringhiò Dean, chino sul bagagliaio. «Poi monterò le catene da neve e ce ne andremo da qui. Non ho intenzione di passare un minuto di troppo nella casa sulla collina.»
Sam entrò nel rifugio senza una parola. In meno di un’ora la tormenta si sarebbe spostata sopra di loro, di certo ci avrebbe pensato quella a spegnere i bollenti spiriti di Dean.
 
 
* * *
 
 
Il rifugio era un po’ rustico, ma accogliente. Un generatore a metano garantiva l’acqua calda e il riscaldamento; nelle camere si respirava un’aria stantia e polverosa che era un balsamo per i loro polmoni gelati; la dispensa era colma di scatolame e cibo liofilizzato. Sam era curioso di provare il filetto alla Stroganoff.
Affondò la testa nel vecchio divano, le labbra che si serravano in una linea sottile, gli occhi chiusi, un velo di sudore che gli imperlava la fronte. Per quanto Dean si sforzasse di essere delicato, Sam poteva sentire la garza imbevuta di Betadine che puliva l’interno della ferita, e la sensazione di un corpo estraneo sotto la carne era qualcosa cui non si sarebbe mai abituato: portava a galla troppi ricordi insopportabili.
Quando la garza fu sostituita dall’ago e dal filo, Sam tirò un sospiro di sollievo. Il dolore era qualcosa con cui sapeva venire a patti.
Il cambiamento nel suo respiro non passò inosservato. «Ho quasi finito» lo rassicurò Dean, a capo chino, le dita che si chiudevano calde sulla caviglia del minore. «E l’offerta di Vicodin è sempre valida.»
Sam scosse la testa, nonostante il fratello non potesse vederlo. «Va bene così» disse. «È meno brutta di quanto sembri.»
Suturata la ferita, Dean la rivestì e gli passò una compressa di antibiotico. Sam la mandò giù senza acqua, poi fece per rialzarsi.
Il maggiore gli posò una mano sulla spalla. «Cerca di riposare» disse. «Vado a mettere le catene.»
«Fai sul serio, allora» mormorò Sam, esterrefatto. «Perché? Un letto caldo e un pasto decente non possono essere una prospettiva tanto orribile, non se l’alternativa è un viaggio in mezzo a una tormenta con destinazione un motel pidocchioso.» No, quell’idea era assurda, persino per Dean. «Hai un appuntamento?» riprese, cercando di fare chiarezza. «È per una ragazza? Ti prego, dimmi che non stiamo mettendo a repentaglio le dita dei piedi per una scopata.»
«E se ti dicessi che sento la mancanza di casa?» ribatté Dean, con un sorriso. «Se ti dicessi che muoio dalla voglia di buttarmi sul mio memory foam e di lasciarmi il Colorado alle spalle?»
«Ti risponderei che hai perso la testa.»
Il sorriso di Dean si allargò. Gli occhi sembrarono illuminarsi, le rughe ai loro angoli si approfondirono. Appariva esausto.
«Tieniti pronto a partire fra mezz’ora» disse, prima di infilarsi la giacca e sparire nella notte.
 
 
* * *
 
 
Dean tornò venti minuti più tardi, bagnato fradicio e pallido come un cencio. I vestiti zuppi aderivano al corpo come una seconda pelle, i capelli gli ricadevano sulla fronte e gocciolavano sul viso livido, le labbra erano esangui.
«Non ci muoveremo di qui prima che ti sia fatto una doccia bollente e abbia messo qualcosa di caldo addosso e dentro lo stomaco» disse Sam, in una voce che avrebbe reso fiero persino suo padre. «Ci siamo intesi?»
Dean gli riservò uno sguardo glaciale. «Tieni a freno la pressione, Sam: non andremo da nessuna parte. Non durante la tempesta del secolo.»
Il minore si chiedeva se ci fosse altro dietro la decisione del fratello, dato che il buonsenso non era mai stato fra i suoi punti forti, ma tenne a freno la lingua: il proverbiale gatto curioso era probabilmente morto a causa del freddo.
Dean prese il borsone e chiuse la porta del bagno dietro di sé, Sam pensò che quello fosse un momento buono come un altro per provare la cucina russa. Lasciò con cautela il divano e mise a bollire due pentolini d’acqua: a Dean non avrebbe fatto male un tè caldo.
Suo fratello riemerse dalla doccia annunciato da una densa nuvola di vapore, proprio mentre Sam posava la cena di entrambi su un basso tavolino di fronte al divano.
«Appena in tempo» lo accolse il minore. «Vieni finché è caldo.»
«Non ho fame» disse Dean. Si fermò sull’uscio dell’unica camera da letto, l’onnipresente sacca sulle spalle. «Ti spiace se questa la prendo io?»
Sam provò a sorridergli, un peso alla bocca dello stomaco, la voglia di mangiare totalmente scomparsa. «Non ce la giochiamo a forbici, carta, sasso?»
Il maggiore scosse la testa, l’ombra di un sorriso che gli sollevava gli angoli della bocca. «Questa volta non sceglierei le forbici, Sammy.»
Si chiuse la porta alle spalle.
Qualche secondo più tardi, Sam sentì la chiave che girava nella serratura.
 
 
* * *
 
 
Sam era stanco di girare intorno al vecchio divano: aveva i nervi a fior di pelle, la gamba lo stava facendo impazzire. Dieci minuti prima, aveva sentito un rumore di vetri infranti e il suo stomaco era diventato acqua. Aveva bussato alla porta e Dean gli aveva detto di non preoccuparsi, che aveva solo fatto cadere un soprammobile. Stai tranquillo, aveva scherzato, era così orrendo che nessuno ne sentirà la mancanza. Ma Sam non riusciva a stare tranquillo: se Dean non avesse aperto quella porta entro cinque secondi, l’avrebbe sfondata. Gamba o non gamba.
O almeno così aveva assicurato al fratello, certo di poter contare su un istinto di protezione cementato in trent’anni di vita sulla strada. Non si era sbagliato: un istante più tardi, Dean aveva aperto.
La stanza era già illuminata da una di quelle lampade a consumo ridotto che diffondono un alone caldo e soffuso. Fu questo a stupire Sam.
Più degli intricati sigilli che ricoprivano le pareti e il soffitto – per la maggior parte realizzati con la vernice spray, ma ce n’erano un paio che rilucevano del rosso del sangue – più del grosso specchio sulla cassettiera, finito in pezzi per il probabile impatto con un pugno, Sam trovava surreale l’illuminazione: certe scene non andavano scoperte a quel modo, ad accoglierlo nella stanza avrebbe dovuto essere il buio, un buio generoso, benedetto, che solo una luce spietata avrebbe dissipato. I segni sulle pareti erano fatti per le crude luci al neon che Sam associava agli obitori e agli ospedali. Alle case di cura.
Dopo avergli aperto, Dean era tornato al centro della trappola del Diavolo che aveva inciso nel pavimento. Si era seduto per terra e si era preso la testa fra le mani.
Indossava una lunga felpa grigio chiaro, su cui stava lentamente sbocciando una macchia. Era in prossimità del polso sinistro, la vena che Dean preferiva quando si trattava di improvvisarsi artista.
«Quanto tempo fa è cominciato?» chiese Sam.
«Oggi pomeriggio, mentre cacciavamo il cane nero.»
«Ne sei assolutamente certo?»
Aveva sentito la risata nel respiro del fratello, l’aveva sentita scuotergli le spalle e incrinargli la voce. Non c’era bisogno di risposta, ma Dean gliene fornì ugualmente una: «Sì,» disse, «ne sono certo: la cura ha smesso di avere effetto.»
Sam aveva cominciato a scuotere piano la testa, prima ancora che la voce del fratello si fosse spenta. «Non è possibile» sussurrò, coprendosi gli occhi con le mani. «Non c’è nessun precedente del genere.»
Dean sollevò lo sguardo. Le labbra erano incurvate in un sorriso amaro, il volto pallido tradiva tutta la sua stanchezza. «Di quali precedenti parliamo, Sammy? Del demone guarito dal prete? Per quanto ne sappiamo, due mesi dopo potrebbe essere tornato a sgozzare gattini. Esattamente com’è successo con Crowley.» Posò la fronte sulle ginocchia, la voce che si perdeva in un sussurro. «Posso assicurarti che quel bastardo c’ha messo poco a smettere di piangere per Mary Poppins. E senza gli effetti del marchio.»
«Sei sicuro che non sia solo psicologico?» insistette Sam. «Stress post-traumatico, sindrome del sopravvissuto, quello che ti pare!»
Adesso stava implorando, lo sapeva. Ti prego, Dean, dimmi che è tutto a posto. Ti prego, dimmi che possiamo risolverla. Ti prego, non abbandonarmi.
Dean scosse la testa. «L’acqua santa brucia, lasciare la trappola è doloroso.»
«E quando avresti avuto intenzione di dirmelo?» sibilò Sam. «Quando ti fossero spuntate le corna e la coda?»
Era incazzato, incazzato nero. Se avesse saputo cosa stava accadendo, non si sarebbe mai fermato in quella baita fuori dal mondo. Avrebbero affrontato la tempesta, avrebbe portato suo fratello in un luogo in cui aiutarlo. E invece no, Dean aveva voluto fare di testa sua e questi erano i risultati: l’avrebbe visto trasformarsi in quella cosa, sotto i suoi occhi, senza poterci fare un bel niente.
«Te l’avrei detto non appena fossimo giunti a casa, Sam» disse Dean, in un sussurro. «Quando saperlo avrebbe fatto una differenza.»
Suonava esausto. Peggio, suonava sconfitto.
Sam non si sarebbe mai abituato a quel tono: suo fratello non poteva arrendersi, non ne aveva il diritto, non quando per tutta la vita era stato lì a impedire a lui di farlo.
«Avrebbe fatto tutta la differenza del mondo, Dean!» gridò, impotente e furioso. «Nel bunker abbiamo più sacche di sangue di quante la polizia ne abbia trovate nel congelatore di Jeffrey Dahmer: avrei potuto ripetere il rituale.»
Dean sollevò gli occhi nei suoi, una linea di disillusa stanchezza gli tendeva le labbra. «E quante volte potrai ancora ripeterlo, Sam?»
«Tutte quelle che saranno necessarie.»
La sua risposta aveva vibrato di una granitica certezza: non si sarebbe mai dato per vinto, non con Dean.
Il fratello gli sorrise. «E allora fallo» disse. «Adesso.»
«Con quale sangue, Dean? Se usassi il mio, finirei con l’ucciderti.»
«Questo non puoi saperlo.»
Fu il suo turno di sorridere: «Direi che la mia A in biologia batta il tuo non classificato, fratellone.» Si avvicinò ai margini della trappola e si sedette sul pavimento, accanto a Dean. «Le trasfusioni di sangue sono qualcosa con cui neanche papà ha mai scherzato, lo sai.» Gli strinse la gamba, cercando con quel gesto di rassicurare entrambi. «Hai trasformato questa stanza in una piccola Alcatraz per demoni: quando la tempesta sarà passata, farò ritorno col sangue e tornerai in te nel giro di qualche ora. Te lo prometto.»
«Non posso trasformarmi di nuovo in quella cosa, Sammy. Non lo sopporterei.» Dean posò la mano su quella ancora chiusa sulla sua gamba, impedendo al fratello di scappare da quello che gli stava chiedendo. «Ti prego. Se andrà male, ne affronteremo le conseguenze.»
Il sorriso di Sam si spense, poteva sentire le prime lacrime bruciargli gli occhi. «Se andrà male, ti avrò ucciso io.»
«Se può consolarti, in ogni caso sarà solo temporaneo» sussurrò Dean, stringendogli le dita.
Il minore si rimise in piedi. «Non mi consola affatto.»
 
 
* * *
 
 
Sam tornò con la cassetta del primo soccorso. In silenzio, depose sul pavimento delle siringhe vuote, una flebo di soluzione salina, una fiala di dopamina, un autoiniettore di adrenalina.
Dean si sfilò il pugnale di Ruby dai pantaloni e lo impilò col resto. «Non si sa mai» disse.
Sam non fece alcun commento.
«C’è qualcosa che vuoi confessarmi?» proseguì il maggiore, tentando inutilmente di allentare la tensione. «Hai scopato con qualche mostro, di recente? Se l’hai fatto, ti prego di non scendere nei dettagli.»
«Non posso confessarmi,» disse Sam, i denti scoperti nell’imitazione di un sorriso, «non c’è niente di quello che ho fatto negli ultimi mesi di cui sia pentito. Dovevo riportarti a casa.»
L’emozione che gli aveva incrinato la voce era familiare a entrambi, e fu accolta nel più assoluto silenzio. Era più facile così.
«Credo che un Padre Nostro possa bastare» mormorò infine Dean.
Gli porse le mani, Sam le strinse. «Padre Nostro, che sei nei Cieli» cominciò. Il maggiore serrò le palpebre. «Sia santificato il Tuo nome.» La sua gola faceva su e giù incessantemente, dal viso era scomparso ogni colore. «Venga il Tuo regno, sia fatta la Tua volontà.» Dean tremò e una goccia di sangue cadde sulle loro mani intrecciate. «Come in Cielo così in terra.» Dita frenetiche gli artigliarono la carne e Sam le strinse con più forza. «Dacci oggi il nostro pane quotidiano, rimetti a noi i nostri debiti.» Il respiro di Dean si era fatto affannoso. «Come noi li rimettiamo ai nostri debitori.» Un conato di vomito gli squassò il petto, la sua pelle era madida. «E non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male. Amen.»
«È stato più facile di quanto pensassi» gracchiò Dean.
Sam gli sfiorò i capelli sudati. «Sei sicuro di voler andare fino in fondo? Possiamo fermarci, anche adesso.»
L’altro scosse la testa. «Va bene così.» Si liberò dalla stretta del fratello e prese la siringa vuota fra dita tremanti. «Prenderò la vena al primo colpo, vedrai. Esattamente come il Dr. Sexy.»
Sam guidò l’ago nel proprio braccio. «Pensavo che avesse uno stuolo di infermiere adoranti per certe cose» lo prese in giro. «Ma di certo ne sai più di me.»
«Vuoi davvero fare di queste battute, mentre tuo fratello mezzo demone maneggia una siringa piena d’aria?» gli sorrise Dean. «Non è molto furbo, Sammy.»
Restituì la siringa al minore. Adesso era piena, di un sangue tanto scuro da sembrare nero.
Nessuno dei due parlò per un minuto intero, la stanza colma solo dei loro respiri.
«Se qualcosa dovesse andare storto, non sarà colpa tua.»
«Lo so.»
Dean lo abbracciò. Con dolcezza, si portò la sua testa al petto; quando parlò, le sue labbra gli solleticarono l’orecchio. «Qualsiasi cosa accada, non farmi uscire dalla trappola. Promettilo.»
«Te lo prometto.»
«Okay» disse Dean, allontanandolo. «Cominciamo.»
Sam scosse la testa. «Ho un paio di regole anch’io.» Gli prese il viso fra le mani e lo costrinse a guardarlo in faccia. «Non ci sarà più di un’iniezione e mi avvertirai di qualsiasi cosa, persino un dolore all’alluce. Intesi?»
Il maggiore annuì. «Ti ho mai detto che adoro quando prendi il controllo della situazione in questo modo?»
Il primo istinto di Sam fu quello di dire qualcosa per cancellare quel sorriso cretino dal viso del fratello, ma si trattenne: se stavano per dirsi addio, voleva che fosse così. «Una volta o due» rispose in un sussurro.
L’altro gli porse il braccio e Sam lo tastò alla ricerca di una vena. «Pronto?» domandò, l’ago che già aveva penetrato la carne, il cuore che gli batteva all’impazzata.
Dean assentì ancora. Sam tirò lentamente giù lo stantuffo.
 
 
* * *
 
 
«Non sta funzionando.» Dean scosse la testa. Le sue labbra erano pallide, gli occhi apparivano enormi nel viso sparuto. «Non sta funzionando, Sam.»
Sam strinse il suo giubbotto intorno alle spalle del fratello e nel farlo gli sfiorò il collo con dita bagnate d’acqua santa. L’altro neppure ci fece caso.
Stava funzionando, ma Dean era troppo angosciato per capirlo. Il suo corpo era scosso dai brividi, le guance soffuse di rosso: era trascorsa solo una manciata di minuti dall’iniezione e i primi segni di emolisi erano già evidenti.
«Sta andando benissimo, Dean» disse Sam, stringendosi a lui e portandogli la mano alle labbra. «L’acqua santa non ha alcun effetto su di te, vedi?»
Dean annuì senza molta convinzione, i suoi denti battevano.
«Ma se le cose dovessero mettersi male, te ne andrai, vero? Me l’hai promesso.»
Sam non aveva fatto alcuna promessa del genere, ma fece segno di sì con la testa: non poteva correre il rischio di agitarlo ulteriormente.
«Devi dirmi cos’hai» mormorò contro la pelle di Dean. «Non posso aiutarti, se non parli.»
«Ho freddo. Si gela qui dentro, Sammy.»
Il minore scosse la testa. «Questo l’avevo già capito, Dean. Dimmi qualcosa che non so.»
«Ho mal di testa e lo stomaco sottosopra. Sento come se mi fossi svegliato in una vasca piena d’acqua fredda, con un dopo-sbronza colossale e un rene in meno.» Un sorriso stanco si dipinse sul volto sudato. «Non mi manca un rene, vero?» domandò, massaggiandosi la parte bassa della schiena. «Sento un dolore infernale.»
Sam si allontanò di poco, dopo avergli stretto brevemente la spalla in un gesto di muta solidarietà: sapeva che quando Dean usava certi aggettivi, non si trattava di vuote iperboli. «Sono entrambi al loro posto, tranquillo» disse. «È uno degli effetti della trasfusione.»
Mentre parlava, preparava la flebo: doveva mantenere stabili i valori del fratello, la situazione sarebbe peggiorata alla svelta. Inserì l’ago con dita tremanti e fissò la sacca a un vecchio attaccapanni. Dean lo guardava senza capire.
«Devo tenerti idratato» gli spiegò. «La pressione ha cominciato a scendere, rischi lo shock.»
Preparò anche la dopamina da iniettare, ma prima che potesse farlo, Dean cominciò a rigettare con violenza. Un sudore gelido gli scivolava lungo le guance infiammate e dietro il collo, le pupille erano dilatate, la fronte bruciava.
Sam gli tenne sollevata la testa finché non ebbe finito, poi lo attirò a sé. Gli terse il viso con la manica della felpa, gli ripulì le labbra, mormorò rassicurazioni. E Dean si abbandonò contro di lui, esausto e senza fiato.
Era debole, suo fratello. Completamente svuotato, si sarebbe detto. Eppure, quando Sam gli passò un braccio sotto le gambe e fece per tirarlo su – ignorando i punti che tiravano e si spezzavano, il fuoco che gli divorava la carne, il sangue che filtrava attraverso la fasciatura – Dean rivelò una forza inaspettata, e quando quella si dimostrò insufficiente, si affidò a unghie e denti, in un parossismo di rabbia e cieco terrore.
«Sto solo cercando di portarti a letto, Dean. Calmati.»
L’altro scosse la testa. «Niente letto. Resterò nella trappola, avevi promesso.»
«Va bene, ma smettila di agitarti ora.»
Con delicatezza, Sam lo distese sul parquet e Dean premette la fronte contro il legno fresco. Il minore gli sfiorò il collo, il cuore batteva all’impazzata: non gli restava molto tempo.
Gli abbassò la tuta e scoprì una gamba quasi livida contro il nero dei boxer. L’iniezione andava fatta nella femorale, era l’unico modo per non rischiare un travaso. Il liquido scomparve sotto la carne e Sam prese un profondo respiro. Poteva solo aspettare, adesso.
Si spostò all’interno della trappola, si portò Dean al petto. Suo fratello sembrava più tranquillo.
Stringendolo a sé, Sam non smise mai di parlargli. Di quando sarebbero tornati a casa, della voglia che aveva di provare la cucina russa. Di quanto lo avrebbe preso in giro per il modo osceno in cui gli si stava strusciando contro.
Per lunghi minuti, Dean fu in grado di sostenere la conversazione. Di rispondergli con sorrisi e sbuffate e sospiri. Gli occhi erano aperti solo a metà, ma sembravano mettere a fuoco quanto avevano intorno; quando Sam intrecciò le dita alle sue, Dean contraccambiò debolmente alla stretta.
Forse il peggio era passato. Mentre carezzava i capelli e il viso del maggiore, mentre ascoltava il battito ora più lento del suo cuore, Sam si concesse il lusso di pensarlo davvero. Poi Dean cominciò a sanguinare e Sam realizzò quanto fosse stato stupido.
Un lieto fine non era mai stato in programma, non per loro due.
Il liquido rosso sulle labbra di Dean avrebbe potuto indicare un’emorragia trascurabile, così come il sangue dal naso. Ma come ignorare gli ematomi violacei che sbocciavano sulla sua pelle lunare? Come ignorare il corpo che si appesantiva contro di lui e quegli occhi che avevano cominciato a spegnersi?
Sam spostò il fratello sulla schiena. Lo schiaffeggiò. Una, due volte.
Se Dean sentì i suoi colpi, non lo diede a vedere. Le sue labbra erano blu, gli occhi ormai chiusi: non respirava più. Senza neppure cercare un battito, Sam gli conficcò la siringa di adrenalina nell’incavo del gomito e tirò giù lo stantuffo.
Il corpo di Dean ebbe un sussulto e Sam cominciò la rianimazione cardiopolmonare.
Gli scoprì il torace, era costellato di lividi e petecchie. Vi posò sopra le mani e cominciò le compressioni. Ignorando le costole che si incrinavano e la pelle fredda sotto i propri palmi, contò fino a trenta e soffiò aria in una bocca che sapeva di sangue. E lo fece, ancora e ancora. Fino a quando le lacrime che gli solcavano il viso non furono più impotenza e rabbia, ma dolore e incredulità e resa: il cuore di Dean aveva ripreso a battere, ma i polmoni non riprendevano a funzionare. Dopo cinque minuti, Sam smise ogni tentativo di rianimazione: il cervello era rimasto senza ossigeno troppo a lungo, non avrebbe corso il rischio di strappare un demente alla morte. Dean non gliel’avrebbe mai perdonato.
Lasciò le mani abbandonate sul petto del fratello.
Due minuti più tardi, sette dall’inizio della procedura, il cuore di Dean si fermò.
Un’altra attesa era cominciata.
 
 
 
Note: Scritta per il compleanno di AryYuna. Scusa il ritardo tesoro, ancora tanti auguri. Ti voglio bene ♥
Un ringraziamento speciale alla mia beta, Alice: senza di lei, questa storia sarebbe stata illeggibile, ve l’assicuro. Per di più, non solo si è sciroppata tutto quest’hurt!Dean per il bene di Ary, ma le ha pure fatto uno splendido regalino per conto suo. Andate a vederlo qui. Fantastico, vero? ♥
Le informazioni mediche mi sono state fornite dalla ragazza di un mio caro amico. Ringrazio anche te, Mary, sei stata fantastica ♥
Che dire? Mi auguro che la storia vi sia piaciuta. Fatemi sapere. 
   
 
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